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martedì 4 aprile 2023

My Review: Division Of Doubt - Suffer, Sinner B / W Days of Old

Division Of Doubt - Suffer, Sinner B / W Days Of Old


We jump on the train of the animalistic Division Of Doubt, lead suitcase with solid poison in it, and off we go, plunging into Salt Lake City, Utah, USA, to lose track of ourselves (benefit, yes, pure benefit) and find ourselves in black-stained Post-Punk, which defies Darkwave to deliver twists in body and mind. It must be that in those parts, music is a summary of dramas and passions without the need to educate them, a fascinating and cruel melting pot that conquers by conviction and skill. The first track Suffer, Sinner is a TGV of asbestos and asphalt bubbles in the vicinity of Deathrock making demands, and getting them. The following Days of Old sees a change of pace and atmosphere, slowed down and pure, almost shoegaze the system, with Post-Rock studying and sitting back to applaud. Two songs for an overview that elicits elegant and measured weeping, but with the impression that as the listens go by it will become a landslide to expand the size of the city lake...


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
4th April 2023




La mia Recensione: Division Of Doubt - Suffer, Sinner B / W Days of Old

 Division Of Doubt - Suffer, Sinner B / W Days of Old


Saltiamo sul treno degli animaleschi Division Of Doubt, valigia di piombo con dentro del veleno solido, e via, in tuffo su Salt Lake City, Utah, Usa, per perdere le tracce di noi stessi (beneficio, sì, puro beneficio) e ci ritroviamo nel Post-Punk macchiato di nero, che sfida la Darkwave per regalare torsioni nel corpo e nella mente. Sarà che da quelle parti la musica è un riassunto di drammi e passioni senza necessità di educarli, un melting pot affascinante e crudele, che conquista per convinzione e capacità. La prima traccia Suffer, Sinner è un TGV di amianto e bolle di asfalto nei pressi del Deathrock che avanza pretese, ottenendole. La successiva Days of Old vede un cambio di ritmo e di atmosfera, rallentata e pura, quasi Shoegaze l'impianto, con il Post-Rock che studia e si siede ad applaudire. Due canzoni per una panoramica che suscita pianto elegante e misurato, ma con l'impressione che con il passare degli ascolti si diventerà una frana ad ampliare le dimensioni del lago della città…


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
4 Aprile 2023




martedì 28 marzo 2023

My Review: Molly - Picturesque

 Molly - Picturesque 


The first sweet tears of the new year come up from the stereo and kiss the old scribe: the creators of this unshakeable joy are Molly, the band from Innsbruck who, even though there are only six songs, release an album (it has all the trappings), which, besides being extremely moving, perfectly defines their reality, musical citizens free to range, to probe, to experiment, to be gazelles with dreams in their hooves, taking flight towards the beautiful Austrian mountains. How meticulous is the production, how perfect is the order of the tracks but, above all, how clear is the sky they show us.

Lars Andersson and his trusted stablemate Phillip Dornauer have no intention of repeating the good previous work entitled All That Ever Could Have Been and have composed an even better one: having abandoned the Shoegaze identity, everything here becomes rarefied, with Post-Rock sticking to the most refined Dreampop and far from the old clichés.  One can daydream and understand the density of the sounds, torches with no need for high voltage to shed light on our dreamlike moments. One weeps because the intensity achieved by the duo is an artistic gift of boundless capacity, as they are not even capable of holding back the fluidity of jewellery in search of a home. They find it in our eyes, while the Progressive spirit (no, they don't make this kind of music) leads the roots of Shoegaze to absent themselves quite a bit to play the game with ingenious touches of notes in serene taste and not biting our bellies with continuous rumblings. Touching and Perfect…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

28th March 2023


https://wearemolly.bandcamp.com/album/picturesque






La mia Recensione: Molly - Picturesque

 Molly - Picturesque 


Le prime lacrime dolcissime del nuovo anno, salgono dallo stereo e baciano il vecchio scriba: gli artefici di questa incrollabile gioia sono i Molly, la band di Innsbruck che, anche se sono sei le canzoni, pubblica un album (ne ha tutti i crismi), che oltre a emozionare tantissimo definisce perfettamente la loro realtà, cittadini musicali liberi di spaziare, di sondare, di sperimentare, di essere gazzelle con i sogni negli zoccoli, spiccando il volo verso le bellissime montagne austriache. Come è meticolosa la produzione, come è perfetto l’ordine dei brani ma, soprattutto, come è limpido il cielo che ci fanno vedere.

Lars Andersson e il fido compagno di scuderia  Phillip Dornauer non hanno intenzione di ripetere il buon lavoro precedente intitolato All That Ever Could Have Been e ne compongono uno ancora migliore: abbandonata l’identità Shoegaze, qui tutto si fa rarefatto, con il Post-Rock appiccicato al Dreampop più raffinato e lontano dai vecchi cliché.  Si può sognare a occhi aperti e capire la densità dei suoni, torce senza bisogno in alto voltaggio per fare luce nei nostri momenti onirici. Si piange perché l’intensità raggiunta dal duo è un regalo artistico di smisurata capacità, non essendo nemmeno loro capaci di trattenere la fluidità di gioielli in cerca di una abitazione. La trovano nei nostri occhi, mentre lo spirito Progressive (no, non fanno questo genere musicale) conduce le radici dello Shoegaze ad assentarsi parecchio per giocare la partita con tocchi geniali di note in assaggio sereno e non mordendo la nostra pancia con fragori continui. Toccante e Perfetto…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

28 Marzo 2023


https://wearemolly.bandcamp.com/album/picturesque




venerdì 24 marzo 2023

My Review: Pothamus - Varos (vinyl version)

Pothamus - Varos (vinyl version)


There is a lesser-known Belgium, not that of Coldwave, but represented by this stratospheric band, a golden-skinned musical chameleon, capable of radiating energies and provoking healthy side effects.

The old scribe here is considering a single, soon to tell you about the album from three years ago.

Gloomy the beginning, on a ground filled with fog and stunned palpitations, as if out of an earthquake, to create suspense and controlled tremors. The vocals produce a distant, psychedelic, London 1966-era vocal. The music is a slow, Post-Rock meteorite, with Doom imprints expertly kept in check. There is a lunar landing to replenish the energy that leads to an essential drumming momentum, in a crescendo of celestial intensity.  

The track's progression builds an imaginary plane capable of agglomerating impulses and references that are here mastered in a delightful way: one gets lost, one finds oneself, one compacts the need to find in music a dreamy cradle that keeps awake the adoration for subtle thoughts...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

24 March 2023


https://pothamus.bandcamp.com/track/varos-vinyl-version-ft-stefan-de-graef







La mia Recensione: Pothamus - Varos (vinyl version)

 Pothamus - Varos (vinyl version)


C'è un Belgio meno conosciuto, non quello della bici, non quello della Coldwave, bensì rappresentato da questa band stratosferica, un camaleonte musicale dalla pelle dorata, capace di irradiare energie e di provocare  sani effetti collaterali .

Il vecchio scriba qui prende in considerazione un singolo, prestissimo vi parlerà dell’album di tre anni addietro.

Cupo l’inizio, su un terreno colmo di nebbia e di palpiti stralunati, come usciti da un terremoto, per creare suspense e fremiti controllati. La voce produce un cantato di matrice lontana, psichedelica, zona Londra 1966. La musica è un meteorite lento, Post-Rock, con impronte Doom tenute sapientemente a freno. Ci sarà un atterraggio lunare per fare rifornimento di quell’energia che porterà a uno slancio essenziale per il drumming, in un crescendo di celestiale intensità.  

L’incedere del brano costruisce un piano immaginario capace di agglomerare pulsioni e riferimenti che sono qui ammaestrati in modo delizioso: ci si perde, ci si trova, si compatta il bisogno di trovare nella musica una culla sognante che tenga sveglia l’adorazione per pensieri sottili…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

24 Marzo 2023


https://pothamus.bandcamp.com/track/varos-vinyl-version-ft-stefan-de-graef







martedì 21 febbraio 2023

La mia Recensione: Unwed Sailor - Mute the Charm

 Unwed Sailor - Mute the Charm


Una folgore sul capo del vecchio scriba arriva da Seattle, grazie alla divina bellezza incontrollabile della band di Johnathon Ford, la farfalla che accarezza il Post-Rock, il Pop, lo Shoegaze, l’Alternative, il Post-Punk, ma soprattutto la zona concreta del paradiso terrestre. 

Che sapore ha la musica degli Unwed Sailor? Quello di una fragola vigorosa, non acerba bensì matura al punto giusto per essere masticata. Che gioia insostenibile l’ascolto di queste nove tracce, perché si sogna con gli occhi aperti e si trovano armonie che ci afferrano per le orecchie, portandoci appunto in quella parte specifica del cielo che è la meta di ogni anima dalla faccia pulita. Titolo irridente, e quindi spettacolare, perché tutto fanno queste canzoni tranne disattivare il fascino. Direi esattamente l’opposto, dandogli una mano enorme per espandersi e trovare accoglienza all’interno degli ascolti che conducono la fantasia a fare l’amore con i sogni, nella danza della soddisfazione più pura e incantevole.

Le note musicali qui sono cerbiatti che corrono, masticano erba fresca e si muovono con eleganza dentro terreni fertili di frutti prelibati del suolo terrestre. E come una fiaba distribuiscono ruoli e competenze: sentire questa grazia conduce alla commozione per via di melodie in perpetua espansione, come una residenza che non fa altro che cambiare i connotati. 

Ford (che è stato bassista con i Pedro the Lion) e compagni con questo ultimo lavoro hanno regalato l’idea di un affresco che non può conoscere l’invecchiamento, perché accarezza dolcemente il bisogno di una musica atta a sospendere il nero, a verniciare le stelle di una luce continua. Non servono le voci a queste composizioni, in quanto gli strumenti dicono già tutto, in un vocabolario colmo di evoluzioni.


Tra i pregi, i meriti, le infinite corsie di bellezze di cui è pregno l’album, la principale e più evidente è il buon gusto di spaziare mantenendo lo stile, il timbro di una ricerca che dia alle canzoni aria limpida, con i giochi melodici/ritmici che garantiscono sempre nuovi slanci.


Le chitarre scavano le nuvole, il basso gioca con i venti e la batteria scherza con i lampi: come un film muto andato perso e quindi fortunato a non essere coinvolto nel marasma del cinema moderno pieno di dialoghi inutili, ecco che la visione di questa pellicola degli americani è un meraviglioso appiglio per godere dell’unicità, e nei nove episodi potrete trovarne diverse, all’insegna di un valore enorme, che vi aspetta, perché le fragole si possono mangiare a qualsiasi ora della giornata…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

21 Febbraio 2023


https://unwedsailor.bandcamp.com/album/mute-the-charm





My Review: Unwed Sailor - Mute the Charm

 Unwed Sailor - Mute the Charm


A thunderbolt on the old scribe's head comes from Seattle, thanks to the divine uncontrollable beauty of Johnathon Ford's band, the butterfly that caresses Post-Rock, Pop, Shoegaze, Alternative, Post-Punk, but above all the concrete zone of heaven on earth. 

What does the music of Unwed Sailor taste like? That of a vigorous strawberry, not unripe but ripe enough to be chewed. What an unbearable joy it is to listen to these nine tracks, as one dreams with open eyes and finds harmonies that grab us by the ears, taking us precisely to that specific part of heaven that is the destination of every clean-faced soul. Irrelevant title, and therefore spectacular, because everything these songs do is to turn off the charm. I would say exactly the opposite, giving it an enormous hand to expand and find a home within the listenings that lead the imagination to make love to dreams, in the dance of the purest and most enchanting satisfaction.

The musical notes here are fawns running, chewing on fresh grass and moving elegantly through fertile soils of the earth's delicious fruits. And like a fairy tale they distribute roles and skills: hearing this grace leads to emotion through perpetually expanding melodies, like a residence that does nothing but change connotations. 

Ford (who was a bass player with Pedro the Lion) and co. with this latest work have given the idea of a fresco that cannot know ageing, because it gently caresses the need for music that suspends the blackness, that paints the stars with a continuous light. There is no need for voices in these compositions, as the instruments already say it all, in a vocabulary full of evolutions.


Among the qualities, the merits, the infinite lanes of beauty with which the album is imbued, the main and most evident is the good taste of ranging while maintaining the style, the timbre of a search that gives the songs a clear air, with the melodic/rhythmic games that always guarantee new impulses.


The guitars dig the clouds, the bass plays with the winds and the drums play with the lightning: like a silent film lost and therefore lucky not to be caught up in the welter of modern cinema full of useless dialogue, watching this film by the Americans is a wonderful way to enjoy uniqueness, and in the nine episodes you can find several of them, at enormous value, waiting for you, because strawberries can be eaten at any time of the day…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

21st February 2023


https://unwedsailor.bandcamp.com/album/mute-the-charm




mercoledì 15 febbraio 2023

La mia Recensione: Leech - If We Get There One Day, Would You Please Open The Gates?

Leech - If We Get There One Day, Would You Please Open The Gates?


Gocce di vita sulla grandine di ogni tensione scendono dalle Alpi, nella variopinta Svizzera, come un giorno lavorativo da spegnere solamente con l’urgenza di disegnare un quadro nel quale sia contenuta la creatività come risposta continua alla fascinazione della ricchezza del vivere da una parte e dall’altra di un fremito che ingloba miriadi di espressioni tra il grigio e il giallo, colori dal carattere acido ma pieni di calore, basta osservare bene.

Il vinile, 500 copie in edizione limitata, e la certezza di avere la storia delle lacrime tra le mani: le note al suo interno sono disciplina, accostamento al pudore, una corsa lenta dentro il mistero, un agitare il vetro di ogni paura per stabilire una necessità nuova. Ascoltare questo album è diventare gnomi, splendide creature alle quali l’altezza non impedisce realtà, altro che limitarsi ai sogni! E così, mentre la musica viaggia dentro il nostro corpo e nell’emisfero delle emozioni, ci ritroviamo piccolissimi ma eretti, perché i Leech (la miglior Post-Rock band di sempre) sono i maestri dell’equilibrio, sovrani del meraviglioso luogo dove tutto è residenza del dolore trasformato in ebbrezza respiratoria, continua.


E questo quarto epocale tratteggio sonoro è un dispetto clamoroso: non trovi spazio per discutere eventuali approssimazioni e sbagli, per sgridarlo o quant’altro. La band nata a Ofringen, nel cantone di Argovia, fa esplodere la genuina propensione all'architettura sonora, strabordando, coinvolgendo l’ascoltatore in un lago di sudore, per un bagno imprevisto dentro le proprie vene. Il vecchio scriba scrive mentre le lacrime avanzano verso il computer per definire con precisione l’enorme fascio di luce che queste dieci composizioni generano, in un crocevia delizioso fatto di entusiasmi, disperazioni, silenzi, luccichii continui e un senso di arrendevolezza, perché questa band disegna sul pentagramma una vistosa capacità di sorpassare i sogni: dalla musica si vogliono e pretendono molte cose, ma basterebbe l’ascolto di questo disco per tacitare l’egoismo.

L’approccio nei confronti di un album di questo genere musicale comporta già di sé per un grande sforzo, aumentato dal fatto di essere completamente strumentale. In un mondo avviluppato all’esagerato bisogno di parole, troviamo qui quelle mute, quelle straordinarie che provengono da strumenti in calore, assatanati e contemporaneamente capaci di carezze senza limiti. 


Tutto è strutturato per essere un racconto visivo, una poesia senza voci se non quelle dell’anima che escono dagli amplificatori per dirigersi al cuore. Un lungo tintinnio, uno scampanellare la vita tra le montagne che dalla Svizzera si dirigono nei pressi dei nostri apparati uditivi non più dediti ad accogliere certe modalità stilistiche che contemplano perlomeno un piccolo sforzo. Il rischio con questo enorme quadro alpino è quello di sentire il trambusto del nostro ventre misurare le nostre gravi lacune: quanto siamo davvero disposti a rimpicciolire i nostri egoismi?

Volete sapere meglio cosa state ascoltando?


Domanda sbagliata: siamo dentro un film, un racconto che incontra la Filosofia più sottile, dove il baricentro è la consistenza di un sentire non comune perché siamo davanti a una miscela unica, altro che semplice Post-Rock…

Le Chitarre sono corsare, streghe, sirene, ortiche, lastre, rughe, balestre, lepri, abeti in un giorno di vento. Sono agenti atmosferici corrosivi, sono la febbre del cuore che trova pace e in grado di sostenere anche la guerra, con impeto e la volontà di estremizzare gli incroci tra il Rock, l’Hard Rock, il Progressive e il Dreampop. Sempre presenti come luogo delle trame, della melodia e del sogno che conosce anche bufere e smottamenti. 

Il Basso è il Niesen, il Monte Svizzero che spesso scompare ma, quando lo vedi, con la sua forma triangolare, non puoi che sorridergli e ringraziarlo, perché sa essere efficace. Ecco, nell’album questo prezioso strumento è l’indiscusso pilastro, con i suoi cambi ritmo, per come nelle note sembra scivolare come un sassolino lungo il pendio del ghiacciaio, per come dirige il traffico di bellezza sonora con rigore e capacità.

Il Piano è un leone che sbadiglia e bacia le note con eleganza e stupisce per il modo in cui ogni suo movimento sa donare poesia e un grande piacere cerebrale: seppur poco pesante, rivela la sua importanza.


Il Sintetizzatore è il veicolo che equilibra la compattezza effervescente della band donando petali, coperte, tappeti, fiammate, sogni acidi, in una visibilità totale per dare colori diversi ma perfettamente sensati alle notevoli trame chitarristiche.

La Batteria è la Dea del senso, il pilota unico che è esteriore e interiore, il fluttuante che accoglie la melodia e la ingrossa, la educa, donando saggezza tramite i consigli delle sue bacchette e dei suoi pedali, in un ristoro continuo perché questo elemento non solo salda, ma amplifica le proprietà di note venute al mondo per avere il giusto ritmo.


Ecco che la loro musica diventa non soltanto un paesaggio perfettamente disegnato, ma anche un raccoglitore, prezioso di odori e impressioni, sentimenti, stati d’animo in pellegrinaggio verso l’incandescente incontro con il bacio di Dio. A volte spigolose, come rocce in sgretolamento, altre lievi come la stagione dell’accoppiamento tra anime pacifiche, le composizioni alla fine sono fiabe dagli umori saldati, con braccia possenti e mani delicate, cosicché è impossibile scappare dal progetto di libellule operaie sulla schiena della poesia. 


Nulla può essere definito digressione elettrica dilatata, in quanto occorre qualificare il discorso con un ascolto che colga le scintille composte di particelle di vento e grandine che conferiscono alle note un senso di estraneità nei confronti, appunto, delle digressioni. Gli Svizzeri immergono l’intenzione e la piacevolezza del suonare nel mare delle possibilità, di incastri, di flussi di coscienza che non hanno sosta nemmeno quando il ritmo rallenta: tutto è pregno della volontà di essere veloci, di non tergiversare, di non illudersi che la lentezza sia la sorella gemella della qualità. Loro sono veloci dentro, nei pensieri, negli arti che, insieme, schizzano via verso il pianeta della magnificenza. Non più musica, né letteratura, tantomeno fotografia, ma dimensioni al di fuori dell’umano in cerca dell’abbraccio eterno, perché queste canzoni non invecchieranno mai…

Romantici, assassini, quieti e ribelli, i Leech hanno raggiunto l’infinito: ascoltare questo album è un po’ come illudersi di poterli seguire…


Avanguardia, teatro, cinema, fotografia, a tratti pure un insieme di accenni di un cabaret timido, fanno di questo percorso l’apertura del genere Post-Rock verso un cavallo che non vuole briglie, una vergine pura ma libera di infangarsi a suo piacimento. Suite non ve ne sono, però ne sentiamo il profumo, e nulla assomiglia a divagazioni, sperimentazioni del momento nel segno della libertà, che invece è presente nelle trame di questi grappoli di luce che miscelando gli strumenti producono il nettare del vino più pregiato: un liquido dalla pelle nebulosa ma dal gusto limpido…


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
15 Febbraio 2023







My Review: Leech - If We Get There One Day, Would You Please Open The Gates?

 Leech - If We Get There One Day, Would You Please Open The Gates?


Drops of life on the hail of all tensions descend from the Alps, in the colourful Switzerland, like a working day to be extinguished only with the urgency of drawing a picture in which creativity is contained as a continuous response to the fascination of the richness of living on the one hand and on the other of a quiver that encompasses myriad expressions between grey and yellow, colours with an acid character but full of warmth, just watch closely.

The vinyl, 500 copies in a limited edition, hold the certainty of having the story of tears in your hands: the notes inside are discipline, a juxtaposition of modesty, a slow rush into mystery, a shaking of the glass of every fear to establish a new necessity. To listen to this album is to become gnomes, beautiful creatures to whom height does not prevent reality, anything but dreams! And so, as the music travels inside our bodies and into the hemisphere of emotions, we find ourselves tiny but erect, because Leech (the best Post-Rock band ever) are the masters of balance, sovereigns of the marvellous place where everything is the residence of pain transformed into respiratory intoxication, continuous.


And this fourth epochal sonic hatching is a resounding spite: you don't find room to discuss any approximations and mistakes, to scold or whatever. The band, born in Ofringen in the canton of Aargau, explodes their genuine propensity for sound architecture, overflowing, involving the listener in a lake of sweat, for an unexpected bath inside their veins. The old scribe writes while the tears advance towards the computer to precisely define the enormous beam of light that these ten compositions generate, in a delightful crossroads of enthusiasm, despair, silences, continuous shimmering and a sense of surrender, because this band draws on the stave a conspicuous ability to surpass dreams: one wants and demands many things from music, but listening to this record would be enough to silence selfishness.

Approaching an album of this genre of music already involves a great deal of effort in itself, increased by the fact that it is completely instrumental. In a world enveloped by the exaggerated need for words, we find here the mute ones, the extraordinary ones coming from instruments in heat, at once capable of limitless caresses. 


Everything is structured to be a visual tale, a poem without voices except those of the soul coming out of the amplifiers and heading for the heart. A long tinkle, a ringing of life in the mountains that from Switzerland head towards our auditory apparatuses no longer dedicated to accepting certain stylistic modes that contemplate at least a little effort. The risk with this huge alpine picture is that we will hear the hustle and bustle of our bellies measuring our serious shortcomings: how much are we really willing to shrink?

Do you want to know better?


Wrong question: we are inside a film, a tale that meets the subtlest Philosophy, where the centre of gravity is the consistency of an uncommon feeling because we are in front of a unique mixture, more than just Post-Rock...

Guitars are corsairs, witches, sirens, nettles, slabs, wrinkles, crossbows, hares, firs on a windy day. They are corrosive atmospheric agents, they are the fever of the heart that finds peace and is capable of sustaining even war, with impetus and the will to go to extremes between Rock, Hard Rock, Progressive and Dreampop. Always present as a place of textures, melody and dreaming that also knows blizzards and mudslides. 

The Bass is the Niesen, the Swiss Mountain that often disappears but, when you see it, with its triangular shape, you can only smile at it and thank it, because it knows how to be effective. Here, on the album, this precious instrument is the undisputed mainstay, with its changes of rhythm, for the way in which its notes seem to slide like a pebble down the glacier slope, for the way it directs the traffic of sonorous beauty with rigour and skill.

The Piano is a lion that yawns and kisses the notes with elegance and amazes with the way its every movement is able to give poetry and great cerebral pleasure: although not very heavy, it reveals its importance.


The Synthesiser is the vehicle that balances the effervescent compactness of the band by giving petals, blankets, carpets, flames, acid dreams, in total visibility to give different but perfectly sensible colours to the remarkable guitar textures.

The Drums are the Goddess of sense, the unique driver that is exterior and interior, the floater that welcomes the melody and swells it, educates it, bestowing wisdom through the advice of its sticks and pedals, in a continuous refreshment because this element not only steadies, but also amplifies the properties of notes that have come into the world to have the right rhythm.


Here their music becomes not only a perfectly designed landscape, but also a precious collector of smells and impressions, feelings, moods on a pilgrimage towards the incandescent meeting with the kiss of God. At times angular, like crumbling rocks, at others as gentle as the mating season between peaceful souls, the compositions are ultimately fairy tales with welded moods, with powerful arms and delicate hands, so that it is impossible to escape from the project of worker dragonflies on the back of poetry. 


Nothing can be defined as a dilated electric digression, as it is necessary to qualify the discourse with a listening that captures the sparks composed of wind and hail particles that give the notes a sense of extraneousness with respect to, precisely, digressions. The Swiss immerse the intention and the pleasure of playing in the sea of possibilities, of joints, of streams of consciousness that have no pause even when the rhythm slows down: everything is imbued with the will to be fast, not to prevaricate, not to delude oneself that slowness is the twin sister of quality. They are fast inside, in their thoughts, in their limbs, which, together, sprint away towards the planet of magnificence. No longer music, nor literature, let alone photography, but dimensions outside the human in search of the eternal embrace, because these songs will never grow old...

Romantic, murderous, quiet and rebellious, Leech have reached the infinite: listening to this album is a bit like deluding yourself that you can follow them...


Avant-garde, theatre, cinema, photography, at times even a set of hints of a shy cabaret, make this the opening of the Post-Rock genre towards a horse that wants no reins, a pure virgin but free to muddle along at will. There are no suites, but we can smell the scent, and nothing resembles digressions, experiments of the moment in the sign of freedom, which is instead present in the textures of these clusters of light that, by mixing instruments, produce the nectar of the finest wine: a liquid with a hazy skin but a clear taste...


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
15th February 2023







mercoledì 8 febbraio 2023

My Review: SUIR - NOT ALL OF YOUR PAIN IS SELF CHOSEN

 SUIR - NOT ALL OF YOUR PAIN IS SELF CHOSEN


Cologne is the musical mountain of Germany: towering peaks, the biting cold in the notes, the right and perfect chill on the skin comes when you get a chance to take a free descent there.

Lucia Seiß & Denis Wanic are simply beautiful: a determined, capable, clear-headed duo, architects and workers of songs that clench the heart and throw it into delirium from the taut-faced, somber, pure, divine, flawless spectacle.

Released in October 2022, this work is much more than it seems: it is a machine, a glimpse, kilos of literature, continuous nuance, a black-and-white film, a stimulus to make up one's thoughts, a set of tales, a surfboard on the sound stones of the German city...

How can one describe the place where truculent feelings, sense of loss, disillusionment, frustration meet? It's natural for them: they sling their instruments and everything comes out, clear in their inner haze, a miracle that can only be cuddled with careful listening.

Sure: there are musical genres, even precise ones, and methodical forays into taking from the past what can be scaled down, but would it be necessary to specify the mode? Leave me with the conviction that something else needs to be done here: to disperse into listening, possibly in the basement, and to feel the house come crashing down on your head, feeling an absurd joy...

I can imagine, though, the insistence: Darkwave, Coldwave, Post-Punk, Post-Rock in the album take precedence, they are the ostensible forms of expression, how to deny it?

Let's avoid prolongations that might be tedious and rather throw in the notes of Not Accustomed To Be Hurt and you will have a clear idea of what you will find in this their third record: you will have no escape, all that is a painful mantra and sweetness compacted, knowing how to imprison impulses in pleasurable torture. And then the bands you love, many of them, might applaud the band and your purchase, because you cannot miss the appointment with this record, which is representative of suggestions glued to the need to be thrown into you, as this is perfection, just know it..

Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

8th February 2023

https://suir.bandcamp.com/album/not-all-of-your-pain-is-self-chosen





La mia Recensione: SUIR - NOT ALL OF YOUR PAIN IS SELF CHOSEN

 SUIR - NOT ALL OF YOUR PAIN IS SELF CHOSEN


Colonia è la montagna musicale della Germania: vette altissime, il freddo pungente nelle note, il giusto e perfetto brivido sulla pelle arriva quando si ha la possibilità di fare una discesa libera da quelle parti.

Lucia Seiß & Denis Wanic sono semplicemente bellissimi: un duo determinato, capace, con le idee chiare, architetti e operai di canzoni che stringono il cuore e lo gettano nel delirio dalla faccia tesa, cupa, spettacolo puro, divino, privo di difetti.

Uscito nell'ottobre del 2022, questo lavoro è molto di più di quello che sembra: è una macchina, uno sguardo, chili di letteratura, sfumatura continua, un film in bianco e nero, uno stimolo per truccarsi i pensieri, un insieme di racconti, una tavola da surf sulle pietre sonore della città tedesca...

Come si può descrivere il luogo dove si incontrano i sentimenti trucidi, il senso di perdita, il disincanto, la frustrazione? Per loro è naturale: imbracciano gli strumenti e tutto esce, limpido nella loro foschia interiore, un miracolo che si può solo coccolare con ascolti attenti.

Certo: ci sono generi musicali, anche precisi, e metodiche incursioni nel prendere dal passato ciò che può essere ridimensionato, ma servirebbe specificare la modalità? Lasciatemi la convinzione che qui occorra fare altro: disperdersi nell'ascolto, possibilmente in cantina e sentire la casa crollare sulla testa provando una gioia assurda...

Immagino, però, l'insistenza: Darkwave, Coldwave, Post-Punk, Post-Rock nell'album hanno la precedenza, sono le forme apparentemente di espressione, come negarlo?

Evitiamo prolungamenti che potrebbero tediare e piuttosto buttatevi nelle note di Not Accustomed To Be Hurt e avrete l'idea precisa su cosa troverete in questo loro terzo disco: non avrete scampo, tutto ciò che è mantra doloroso e dolcezza si è compattato, sapendo imprigionare gli impulsi nella tortura piacevole. E allora i gruppi che amate, molti di loro, potrebbero applaudire la band e il vostro acquisto, perché non si può mancare all'appuntamento con questo disco, che è rappresentativo di suggestioni incollate al bisogno di essere buttate dentro di voi, in quanto questa è la perfezione, sappiatelo...

Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

8 Febbraio 2023

https://suir.bandcamp.com/album/not-all-of-your-pain-is-self-chosen




venerdì 27 gennaio 2023

La mia Recensione: Haunting Octaves - Secret Garden

 Haunting Octaves - Secret Garden


Ci si può ritrovare dopo anni in cui si è emigrati nel posto sbagliato?

La letteratura ha speso milioni di chilometri per rispondere, con consigli, tecniche, racconti e poesie.

Al vecchio scriba accade con Secret Garden, il secondo album dei californiani Haunting Octaves, una di quelle formazioni che non conoscere definisce la colpevolezza dell’ignorare, volutamente o meno.

Cosa dire di questo album?

Straordinario.

Sublime.

Obbligatorio il consumo.

All’insegna di una delicatezza compositiva eccelsa, da applauso scrosciante, tutte le dieci composizioni sono affreschi del Settecento trasportati, indenni, ai giorni nostri. Non ci sono voci perché a cantare sono gli strumenti, tutti suonati dal misterioso A.R. 

Nel suo giardino segreto a emergere sono fiori Post-Rock melodici e malinconici, che si accoppiano con sottili piume Shoegaze, a tratti con chitarre quasi Hard-Rock, ma poi tutto torna tra quelle dita che accarezzano le corde con arpeggi che sequestrano, ci chiudono gli occhi per donarci la sicurezza di essere in un luogo che apparterrà ai nostri sogni.

Basterà aprire la porta e quel giardino straordinariamente affascinante sarà pronto ad accoglierci. Un disco meraviglioso dovrebbe essere proibito e invece avrete anche la fortuna di poterlo vivere con il free download.

E allora siate rapaci, date libero sfogo all’egoismo che impone di ascoltare la musica gratuitamente e congelate il resto per ritrovare la brina sulla vostra pelle, in ogni stagione dei vostri bisogni.

È già che ci siete ripetete il trucco con il suo primo album DERELICT.

Intanto Secret Garden fa gridare al miracolo, in quanto inebetisce, creando panchine e sentieri nel suo perimetro per sospendere il tempo in un ascolto continuo. Siate gentili con i miracoli perché se hanno scelto di mostrarsi a voi il minimo è accoglierli, abbracciarli e parlarci insieme: e, visto che qui sono ben dieci, date spazio alla cupidigia e abbuffatevi perché sarà un pranzo che non scorderete…

Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

27 Gennaio 2023

https://hauntingoctaves.bandcamp.com/album/secret-garden




My Review: Haunting Octaves - Secret Garden

 Haunting Octaves - Secret Garden


Can one find oneself after years of being in the wrong place?

Literature has spent millions answering this question, with advice, techniques, stories and poems.

It happens to the old scribe with Secret Garden, the second album by Californians Haunting Octaves, one of those bands that unknowingly  defines the guilt of ignoring, intentionally or otherwise.

What to say about this album?

Extraordinary.

Sublime.

Mandatory consumption.

In the name of a sublime compositional delicacy, to roaring applause, all ten compositions are eighteenth-century frescoes transported, unscathed, to the present day. There are no voices because it is the instruments, all played by the mysterious A.R., that sing. 

In his secret garden to emerge are melodic and melancholic Post-Rock flowers, which are coupled with subtle Shoegaze feathers, at times with almost Hard-Rock guitars, but then everything returns between those fingers that caress the strings with arpeggios that seize, closing our eyes to give us the security of being in a place that belongs to our dreams.

We need only open the door and that extraordinarily fascinating garden will be ready to welcome us. A marvellous record should be forbidden and instead you will be lucky enough to experience it with the free download.

So be rapacious, give free rein to the selfishness that dictates listening to music for free and freeze the rest to find the frost on your skin, in every season of your needs.

And while you're at it, do the trick again with his debut album DERELICT.

Meanwhile Secret Garden makes one cry out for a miracle, as it intoxicates, creating benches and paths in its perimeter to suspend time in a continuous listening. Be kind to the miracles because if they have chosen to show themselves to you, the least you can do is welcome them, embrace them and talk to them together: and, since there are ten of them here, give room for greed and binge because it will be a lunch you won't forget...

Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

27th January 2023

https://hauntingoctaves.bandcamp.com/album/secret-garden





mercoledì 25 gennaio 2023

My Review: Karma Voyage - Lights in Forgotten Places

 Karma Voyage - Lights in Forgotten Places 


What is the aspect of astonishment that embraces the need for an impressive immersion into truth? 

You might know it by listening to the debut album by the Italian band Karma Voyage, which, after the eponymous Ep of 2021, follows a path where the medals have two sides, but reveal their identity, their entity, their specific weight, in a journey where everything touches lightly the greatness that generates, precisely, astonishment. There is no definition of such a fact other than the extraordinariness of its depth, in a circuit made up of sound trails and sacred words, because they investigate and put people before something absolute. Italy, which struggles to have a noble identity, in any field, should listen to this rhythmic encyclopaedia, read in the movements of probing souls, who do not seek ease, let alone privileges, but a path where eyes and ears are not apparatuses at the service of the senses but the first participants of a consciousness under construction.

The skills of the five Venetian Doctors of Knowledge are infinite and amassed with order, method, and patience in the nine compositions where the powerful sound expressed is only the base, not the window, let alone the content: they are all provided with a skin that moves, descends in depth and reveals contents that have as their common denominator the interest in giving expressive means which form an idea and lead it to matter. It is an enchanting album that overcomes boundaries, preconceptions and takes us to places where there are no flags or properties to defend or deny others. Their music brings people together, in a hypothetical encounter in which the chosen language (English) is the only one understandable, because no other could have rendered it in the same way, already delivering a first message: at least in this respect we are beginning to appropriate something that will equalise everyone.

And that is only the first point: the starting point. 

Having decided on the language, what is needed now is a thought, something to give so that it can be exchanged, and the band does this clearly also through a stylistic method that presents at least three identifiable musical genres,  which are not restrictive but only a means that once identified allows others to be noticed. They range from obvious psychedelia that is not muzzled, to a shoegaze attitude (often more in  vocals than in the music, and that is another arrow in their favour) to Post-Rock that knows how to make itself powerful. And that's not all: there are Post-Punk sensibilities, craters from the 1980s that have been little explored by Italian bands, which they instead put their hands on, kneading, hiding, confusing, but in the end revealing crossovers that leave one open-mouthed. 

And again: they go even further back with Hard-Rock seeds in their coats, because it is always better to protect certain roots, especially if the functionality of all these genres is to create their own style. 

We go back as far as the 1960s, knowing, however, that there is no certainty in this: we can have sources of inspiration as far back as the beginning of the first millennium.

Mission perfectly accomplished to the tremendous satisfaction of the old scribe.

Do not believe, however, that grains of apocalyptic Folk, of Industrial particles, are also missing. In this album, nothing ends, everything continues, there are no barriers, but carpets like avalanches that instead of burying bodies highlight them: one of the many miracles here.

There are tensions, nervousnesses, always dilated, but concentric in these tracks in a perpetual state of grace: everything is evoked, invoked, exaggerated, contained but never abandoned, because this record is the manifesto of continuity also given by the perfect consequentiality of the songs, not a lucky puzzle, but a careful skill in creating a path that from a starting point leads to the arrival.

We have the good fortune of immense imaginary fields resting on these songs, places to be encountered and that invite our minds to lodge just enough to fall in love with them and appropriate them, because these songs are a unique and generous offer to have an experience that undoubtedly embellishes.

Before attempting to describe all the songs, a statement must be made: we are not worthy of the quality and truth of this immense work, but it is our duty to at least try to have the awareness that, when Art is of this workmanship, the privileges that may come depend only on our ability to read it. It would be good not to miss this opportunity.


Song by Song


1 - Silent Towns

The beginning is epic: Luca Castellaro's medieval vocals and his and Giuseppe Brunetti's oblique guitars open the mouth in a bubble of celestial shivers. Combined with Stefano Anoè's mighty drums and Alvise Scarpa's surgical bass, the track is a robust psychedelic contortion that shakes and opens the chest.


2 - Circle' Sides

Leonardo Sebastiani's keyboards are the first sign of a viaticum on the shores of a Post-Rock that puts its feet in the water of early 70s London psychedelia. The guitar this time chooses Catherine Wheel's shoegaze for a few seconds and it is a liturgical litany, a slow chorus that shakes the church. Vocals are the perfect homily for this heaven-bound gem. 


3 New Foundations Feat Nils Ottensmeyer (The Blue Angel Lounge)

Two guitars like snakes on heat give the go-ahead: and it is perfection that manifests itself right from the start for this musical cusp that wounds and heals, for it is total power. Then a magical act happens: the guitar becomes gentle, on the road to purest romanticism, while the drumming counterbalances it, giving the feeling of universes in contact.


4 - Shine 

Released as an 'opener' single, it is the slow gust of sirocco, like a song not included in Catherine Wheel's Ferment. But here we get the feeling that the guitars and drumming have emerged from a sunbeam while still being damp. And it is finally able to reveal an apotheosis within.


5 - 'Em

We are on the Everest of the album: from here you can see all the greatness of the Venetian band (if you ever had any doubts with the previous four episodes), as they are capable of progressions that go beyond the song form, like a crescendo held on a leash and released slowly. And it is Psych, Post-Rock, Shoegaze, Alternative, all blended into an evocative hardness.


6 - Branches Of An Old Ash

A seagull comes out of Giudecca: it is a guitar that, after an incipit with keyboards, takes flight between Shoegaze and Dreampop but then abandons it, after 45 seconds, because everything comes together in a psychedelic lake that leaves Venice and lands in the harbours of our imagination. The drums invent a syncopated march, the bass is a master of tasty clusters of notes swollen with warmth, and everything flies away, like a poignant day.


7 Distance And Echoes

What's beyond Everest? Here, this song is the lunar eclipse, from which this miracle comes: everything lives in compactness, in a din that is more emotional than musical, but great is the sword that pierces the heart given by the guitar notes that wound with their high register. And we here extend our hands to welcome this timeless jewel.


8 - City Of The Lame

It is not possible: another heart-warming blaze? Yes, undoubtedly, because this is the episode where the enchantment of sweetness meets an ever-changing musical structure, in a solid grip that makes listening an experience capable of bringing the senses under water. The 90s, with its shoegaze and alternative itches, are perfectly aligned in a tearful exchange.


9 - Shiver

The album that is in serious danger of not only being the most fascinating and intense Italian one of 2023, but of being able to enter many charts beyond the national space, finds in the end the kiss for a goodbye: it is impossible not to want to meet again this crazy band that here manages to write a song in continuous suspension, in a perfect review of their melodic and rhythmic arsenal shown in the previous eight tracks, to give a poetry soaked in noise and psychedelia. 

Album out on 27th January 2023


Karma Voyage:

Vocals & Guitars: Luca CasteIIaro

Lead Guitars: Giuseppe Brunetti 

Synths And Keyboards: Leonardo Sebastiani

Drums: Stefano Anoè

Bass Guitar: Alvise Scarpa


Icy Cold Records

Shyrec



Alex Dematteis 

Musicshockworld 

Salford

27th January 2023





La mia Recensione: Karma Voyage - Lights in Forgotten Places

 Karma Voyage - Lights in Forgotten Places 


Che volto ha lo stupore che abbraccia il bisogno di imponenti immersioni nella verità? 

Lo potreste conoscere ascoltando l’album di esordio della band italiana Karma Voyage che, dopo l’Ep omonimo del 2021, compie un percorso dove le medaglie hanno sì due facce, ma ne rivelano l’identità, l’entità, il peso specifico, in un percorso dove tutto sfiora la grandezza che genera, appunto, stupore. Non ha definizioni un fatto del genere se non la straordinarietà della sua profondità, in un circuito fatto di sentieri sonori e di parole sacre, perché indagano e mettono le persone davanti a un assoluto. L’Italia che fatica ad avere una identità nobile, in qualsiasi campo, dovrebbe ascoltare questa enciclopedia ritmica, leggere nei movimenti di anime che sondano, che non cercano agio tantomeno privilegi, bensì un cammino dove gli occhi e le orecchie non sono apparati a servizio dei sensi ma  primi partecipanti di coscienza in costruzione.

Le abilità dei cinque Dottori del Sapere veneziani sono infinite e ammassate con ordine, metodo, pazienza nelle nove composizioni dove il potente suono espresso è solamente il basamento, non la finestra e tantomeno il contenuto: sono tutte dotate di una pelle che si muove, scende in profondità e rivela contenuti che hanno come comun denominatore l’interesse di dare mezzi espressivi che formano un’idea e la conducono ad essere materia. Un album incantevole, che scavalca i confini, i preconcetti e ci porta in luoghi in cui non esistono bandiere o proprietà da difendere o da negare ad altri. La loro musica mette in contatto le persone, in un ipotetico incontro nel quale la lingua scelta (l’inglese) sia l’unica  comprensibile, perché nessun’altra avrebbe potuto rendere nello stesso modo, consegnando già un primo messaggio: almeno sotto questo aspetto incominciamo ad appropriarci di qualcosa che parifichi tutti.

Ed è solo il primo punto: quello di partenza. 

Decisa la lingua, occorre ora un pensiero, qualcosa da donare per poterlo scambiare e la band lo fa con chiarezza anche attraverso un metodo stilistico che presenta almeno tre generi musicali identificabili, ma che non sono restrittivi bensì solo un mezzo che una volta individuato permette di notarne altri. Si va dall’evidente psichedelia che però non ha la museruola alla bocca, per poi passare a una attitudine Shoegaze (spesso più nel cantato che nella musica, ed è un’altra freccia a proprio favore) per arrivare al Post-Rock che sa farsi potente. Non è finita: esistono sensibilità Post-Punk, crateri degli anni '80 poco perlustrati da band italiane su cui loro invece mettono le mani, impastando, nascondendo, confondendo, ma alla fine rivelando  incroci che lasciano a bocca aperta. 

E ancora: si va ancora più indietro con semi di Hard-Rock con il cappotto, perché è sempre meglio proteggere certe radici, soprattutto se la funzionalità di tutti questi generi è quello di creare un proprio stile. 

Si torna indietro sino agli anni '60, consci però che non vi sia certezza alcuna in questo: capacissimi di avere fonti di ispirazione che possano arrivare sino all’inizio del primo millennio.

Missione perfettamente riuscita per la tremenda soddisfazione del vecchio scriba.

Non credete che però manchino anche granelli di Folk Apocalittico, di particelle Industrial. In questo album nulla finisce, tutto continua, non vi sono barriere, ma tappeti come valanghe che invece di sotterrare corpi li mettono in rilievo: uno dei tanti miracoli qui presenti.

Esistono tensioni, nervosismi, sempre dilatati, ma concentrici in queste tracce in perenne stato di grazia: tutto viene evocato, invocato, estremizzato, contenuto ma mai abbandonato, perché questo disco è il manifesto della continuità data anche dalla consequenzialità perfetta delle canzoni, non un puzzle fortunato, bensì una attenta abilità nel creare un percorso che da un punto di partenza porti all’arrivo.

Abbiamo la fortuna di immensi campi immaginari posati su questi brani, luoghi da incontrare e che invitano la  nostra mente ad albergare quel tanto che basta per innamorarsene e appropriarsene, perché queste canzoni sono un’offerta unica e generosa per compiere un’esperienza che abbellisce senza dubbio.

Prima di cercare di descrivere tutte le canzoni presenti occorre fare una affermazione: non siamo degni della qualità e della verità di questo immenso lavoro, ma è nostro dovere provare ad avere almeno la consapevolezza che, quando l’Arte è di questa fattura, i privilegi che potrebbero arrivare dipendono solo dalla nostra capacità di lettura. Sarebbe bene non perdere questa occasione.


Song by Song


1 - Silent Towns

L’inizio è epico: il cantato medievale di Luca Castellaro e le chitarre oblique sue e di Giuseppe Brunetti spalancano la bocca in una bolla di brividi celestiali. Unito al drum possente di Stefano Anoè e al basso chirurgico di Alvise Scarpa, il brano è una robusta contorsione psichedelica che scuote e apre il petto.


2 - Circle’ Sides

Le tastiere di Leonardo Sebastiani sono il primo segnale di un viatico sulle sponde di un Post-Rock che mette i piedi nell’acqua della psichedelia Londinese dei primi anni '70. La chitarra questa volta sceglie lo Shoegaze dei Catherine Wheel per alcuni secondi ed è litania liturgica, un lento coro che scuote la chiesa. Il cantato è la perfetta omelia per questa chicca che sovrasta il cielo. 


3 New Foundations Feat Nils Ottensmeyer (The Blue Angel Lounge)

Due chitarre come serpi in calore danno il via: ed è la perfezione che si manifesta sin da subito per questa cuspide musicale che ferisce e cura, perché suo è il potere totale. Accade poi un atto magico: la chitarra diventa gentile, sulla strada del romanticismo più puro, mentre il drumming gli fa da contrappeso, donando la sensazione di universi in contatto.


4 - Shine 

Pubblicata come singolo “apripista”, è la folata lenta di scirocco, come se fosse una canzone non inclusa in Ferment dei Catherine Wheel. Però qui abbiamo la sensazione che le chitarre e il drumming siano uscite da un raggio di sole essendo ancora umide. Ed è infine in grado di rivelare un’apoteosi al suo interno.


5 - ‘Em

Siamo sull’Everest dell’album: da qui si vede tutta la grandezza della band veneziana (se mai avevate avuto dei dubbi nei quattro episodi precedenti), in quanto capace di progressioni che vanno oltre la forma canzone, come un crescendo tenuto al guinzaglio e liberato lentamente. Ed è Psych, Post-Rock, Shoegaze, Alternative, il tutto amalgamato in una durezza suggestiva.


6 - Branches Of An Old Ash

Un gabbiano esce dalla Giudecca: è una chitarra che dopo un incipit di tastiera spicca il volo tra Shoegaze e Dreampop ma poi lo abbandona, dopo 45 secondi, perché tutto si unisce in un lago psichedelico che lascia Venezia e approda nei porti della nostra immaginazione. La batteria inventa una marcia sincopata, il basso è un fuoriclasse di grappoli gustosi di note gonfie di calore, e tutto vola via, come una giornata struggente.


7 Distance And Echoes

Cosa c’è oltre l’Everest? Ecco, questa canzone è l’eclisse lunare, da cui proviene questo miracolo: tutto vive di compattezza, di un frastuono più emotivo che musicale, ma grande è la spada che si conficca nel cuore data dalle note di chitarra che con il loro registro alto feriscono. E noi qui a tendere le mani per accogliere questo gioiello senza tempo.


8 - City Of The Lame

Non è possibile: un’altra fiammata a scaldare il cuore? Sì, indubbiamente, perché questo è l’episodio dove l’incanto della dolcezza incontra una struttura musicale in continuo mutamento, in una presa solida che rende l’ascolto una esperienza capace di portare i sensi dentro l’acqua. Gli anni '90, con i suoi pruriti Shoegaze e Alternative, qui sono perfettamente allineati in un scambio che produce lacrime.


9 - Shiver

Quello che rischia seriamente di essere non solo l’album italiano più affascinante e intenso del 2023, ma di poter entrare in molte classifiche oltre lo spazio nazionale, trova nel finale il bacio per un arrivederci: impossibile non voler rincontrare questa band pazzesca che qui riesce a scrivere un brano in continua sospensione, in un ripasso perfetto del loro arsenale melodico e ritmico mostrato nelle precedenti otto tracce, per regalare una poesia imbevuta di noise e psichedelia. 

L'album uscirà il 27 di Gennaio


Karma Voyage:

Vocals & Guitars: Luca CasteIIaro

Lead Guitars: Giuseppe Brunetti 

Synths And Keyboards: Leonardo Sebastiani

Drums: Stefano Anoè

Bass Guitar: Alvise Scarpa


Icy Cold Records

Shyrec



Alex Dematteis 

Musicshockworld 

Salford

26 Gennaio 2023

https://karmavoyage.bandcamp.com/album/lights-in-forgotten-places

https://open.spotify.com/album/1RDYk4x1w1TVeGZ4Sa72zM?si=vfutvO8kQYaAInWyva2Tew



domenica 27 novembre 2022

La mia Recensione: Leech - Live 06.06.2020


Leech - Live 06.06.2020

 Spesso il desiderio è figlio di un’ipnosi inconscia, il territorio sospeso tra ciò che vorrebbe nascere e la sua inconsapevolezza. Lì e solo lì nasce ogni cosa. Ci risiedi senza conoscere ancora nulla e può durare un attimo come un’eternità.

Nella musica può capitare tutto questo e quando lo scopri esci da una trance che ti fa uscire le note dalla pelle e te le ritrovi sparse, mentre ti osservano e reclamano il tuo sguardo. Anche i sogni sanno ballare…

Partecipare a un concerto degli Svizzeri Leech conduce proprio a vivere questo marasma emozionale, senza attrito, con la materia di sconvolgimenti che generano purificazione continua. Uno shock gentile che regala elettricità nei circuiti di desideri sconosciuti: nel bel mezzo del tuo ascoltare sei immerso nella loro profonda ricerca di trame melodiche e ritmiche per una danza degli occhi e dei pensieri dal vestito più lucido che esista nei tuoi battiti sbigottiti. Definiti Post-Rock  per il genere musicale che suonano, lo scriba non ci casca e va oltre, si riduce e si rifugia a un silenzio che non disturbi la loro messa limpida di voli angelici, terrificanti per profondità e suggestioni. Perché con loro si sogna, si freme, si precipita nella bellezza di un incanto, tra le nuvole e la polvere.

Sì, chiamatelo Post-Rock, Instrumental, perdetevi pure nelle certezze che possano far stare insieme tutte le vostre fameliche esercitazioni di bravure raggiunte, io sono altrove, completamente, beatamente perso nei loro valori sonici, nei circuiti onirici di storie che non necessitano di parole. Tutta la storia musicale di un genere trova il suo momento più alto (non mi pare possibile che ciò non esista), la sua perfezione indiscutibile, ma il fatto più eclatante sono le anime poco attrezzate alla intelligenza  che debbono affannarsi nella ricerca, per vivere pacificamente questa condizione. Se volete per forza limitarvi a definire quello che fanno questi angeli delle montagne svizzere allora avete già trovato tutto. Questo Live è assolutamente l’esaltazione che trova il palco del cielo perché certa musica la si ascolta, la si vive guardando all’interno di nubi gonfie di miracoli irresistibili e irripetibili. Si viaggia per strade mentali piene di ricette per l’estasi, con le loro atmosfere imbevute di sfumature desolate e melanconiche, fiumi di delicata propensione alla ricerca di quella vibrazione che annetta e faccia dimenticare tutto. Musica che fa sospendere i pensieri e diventa immagini, film continui per  sceneggiature mutanti, attori che si scambiano sguardi e ruoli, per divenire la colonna sonora di brividi multipli. Trame mai sfocate, tantomeno frammentate, vi sedurranno conferendo a queste undici pillole di trasportare il nucleo originale lontano, trasformandosi in liquidi bollenti, colmi di fascino, ci si perde, come conseguenza non programmata, nella accattivante storia di un percorso dove tutto rimbalza continuamente nello stupore, nel buio che accende i fari di deliri che conoscono la ripetizione. Le chitarre, la tastiera, il basso e la batteria sono corpi creati per dare all’azzurro un colpo di tosse, facendo uscire molecole contagiose di quella parte del rock che non puoi controllare. La sfrenata collezione di fantasie divaricate, generose, si materializza nella magia: chiudete gli occhi, il loro magnetico esercizio di sublimazione cancellerà la noia producendo respiri e sospiri imprigionati dalla intensità e dalla bellezza, nel giardino della profondità. Conoscerete filastrocche, pastiche sensuali, morbosità antiche con la forza del fragore moderno. Sperimentatori audaci dell’impossibile, disegnano la perfezione in trame lunghe e continuamente aperte alla manipolazione, ricordando a tutti che non esiste solo il Prog a fare questo. Miscugli di surreali percorsi ipotetici qui trovano concretezza: vibrazioni ammalianti che fanno sentire le loro canzoni come se fossero lo starnuto perfetto di un angelo in cerca del sonno eterno. Ogni composizione tesse trame che non conoscono sosta, con loop che convincono a divenire ubbidienza implacabile perché siamo pure noi musicisti ascoltandole, non paresi ma pennelli a nostra volta. Raggiunta l’epicità, la riflessione, il vibrato interiore che fortifica l’età adulta, si può trovare agio nella loro identità selvaggia ma ragionevole: solo il nomade cambia la pelle, così facciamo noi ascoltando questo concerto, il loro primo dopo il disastro pandemico. Sapendo spaziare nei decenni, negli stili, mettono la benda ai cliché per respirare la libertà espressiva maturando continui sconvolgimenti. Ecco arrivare le condizioni attraenti del surreale a favorire la curiosità e gli estremi che si danno appuntamento in questi minuti benedetti dal Dio della musica, della ricerca interiore e della gioia più spavalda. Pennellate liquide, languide, nervose ed erotiche per un disegno di legge che stabilisce completo abbandono, per incontrare la violenza di emozioni fortissime. Tutto si fa marziale, abrasivo, lancinante e piacevolmente insostenibile: regalatevi cento minuti di follia totale, farete la più bella doccia emotiva degli ultimi anni…

Struggenti, nervosi, pacifici con interezza sublime, un concentrato di contraddizioni ribelli ma educativi, i Leech sono il guanto perfetto per toccare ogni instabilità uscendone intonsi, senza possibilità di infezioni bensì guariti da ogni male interiore, perché capaci di spazzare l’inutile.

Il migliore Live degli ultimi vent’anni per il vostro scriba: sono talmente sicuro che la vostra intelligenza coglierà questi fiori meravigliosi da potermi congedare felicemente… 


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

27 Novembre 2022


https://leechofficial.bandcamp.com/album/live-06062020


https://open.spotify.com/album/3cc8yjj31E6toviqZsLoo4?si=djpFQAgpR7eN30-hbdA8eA







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