Andrew Cushin - Waiting For The Rain
Heaton è un sobborgo di Newcastle, un quartiere di questa splendida città del nord dell’Inghilterra, da dove proviene Andrew, un talento cosciente, audace, capace di portare il Pop nella zona dell’Alternative, comprimendo il Blues e il Country. Dopo una gavetta voluta e che l’ha portato ad aprire per diverse band importanti, firma un contratto con uno dei due protagonisti dei Libertines, Pete Doherty, e registra canzoni con le ali aperte, capaci di far arrivare le sue melodie nel centro del cuore, attraverso parole davvero profonde e mature data la sua giovane età. Profumi di Paul Weller, Noel Gallagher e la scia del Northern Soul sono i primi evidenti segni della sua rotta di provenienza. Poi: il duro lavoro di lasciare l’appartenenza delle sue emozioni e del suo viale dialettico, consentono una portentosa valanga di pensieri mentre le bocche sorridono e la pelle prende il sole.
Visto di supporto ai The Slow Readers Club, da solo sul palco a imbracciare una chitarra che sembrava l’eco primordiale di un bambino che afferma la gioia di essere al mondo, pare essere un lontano parente di se stesso: entrambe le identità sono autentiche ed è indubbio che il disco suoni come frutto di un lavoro collettivo, con una vibrante tensione che viene addomesticata dalle linee romantiche ma che non riescono a nascondere la tensione perché non esiste un modo migliore per non scontentare nessuno.
All’interno del suo vagabondaggio, per perlustrare personaggi intinti di olio e sale, trova anche l’occasione per scrivere un toccante testo sull’alcolismo e in cui i due protagonisti sono Padre e Figlio. È proprio in questo brano che tutto evapora, sciolto nella sua maturità che presenta la canzone successiva, nella quale la malinconia e la preoccupazione trovano slancio verso aspetti pieni di raggi di luce.
Colpisce, stordisce, accarezza la storia degli ultimi trent'anni della musica inglese sapendo anestetizzare il tempo, tenendo lucida la pelle della gioia, senza abrasioni. La sua magia è quella di avere la capacità di dare spazio a modalità diverse di espressione: non solo la sua chitarra semiacustica, bensì il desiderio di attraversare binari diversi che portino il treno del suo talento all’interno di zone disabitate.
La solitudine, le scelte, gli affanni, i sogni e gli entusiasmi sono i suoi cavalli, liberati nella prateria della sua scrittura sempre mirata a non concedere interpretazioni sbagliate. Con un uso sapiente dell’elettronica riesce a visitare il cielo, con la chitarra elettrica trova arpeggi semplici ma che provocano brividi, ma, soprattutto, con la sua voce ci possiede, incanta, seminando dolcezza anche quando la sua gola e la sua anima bruciano. Spesso parrebbe usare alcuni trucchi, nel cantato, del fratello più grande dei Gallagher: dare, cioè, l’impressione che i cambi di registro possano sembrare prevedibili, ma arriva il guitto, l’invenzione per spostare il paragone dentro il fango.
Prima semplici episodi (con i suoi singoli) e poi una collettività sonora per rendere il tutto una grande nave con brani che, grazie a una effervescente produzione, rendono evidente che il concept è più nei suoni che non nei testi, in quanto le sue parole sono onde che non possono essere comandate.
Un insieme musicale che non vive di momenti che spiccano: questo giovane musicista ha la colla nel talento e non è in grado di fare di quell’onda, di cui prima, un sali e scendi, evidente è il suo polso, la sua fermezza per rendere l’ascolto un’esperienza compatta, il tempo necessario per sognare mentre la vita chiede di fare lo stesso, tra il fuoco e il vento della sua penna, capace di una scrittura precisa e libera.
Il Vecchio Scriba invita ad ascoltare l’album facendo attenzione al titolo: una metafora pericolosa, se non colta: inutile nascondere il fatto che la pioggia non è in attesa, ma operativa, perché in realtà non è altro che un fiume denso di gocce di vita che vogliono essere viste e accolte, raccolte, per spargersi poi all’interno dei nostri bisogni. Un disco veloce, senza velleità di trovare la canzone indimenticabile, tantomeno l’hit della vita.
Piuttosto: ascolti la prima e avanzi, senza tentennamenti, poiché hai subito coscienza che sentire queste composizioni è un regalo che giunge dall’estremo nord dell'isola che necessitava di questo entusiasmante artista. Notevole è la sensazione di calore e freschezza al contempo: le orchestrazioni, gli arrangiamenti brevi ma di grande impatto, conferiscono al fascio sonoro una presa che non costa fatica: riascoltarlo tutto è un desiderio necessario e non una impresa…
Saper portare le canzoni nel cuore degli anni Novanta (boyband comprese) è un pregio sottile, in quanto poi, non temete, ci si rende conto dello spessore artistico, dell’impegno e delle sue qualità.
Si fischia, si canta con la bocca aperta, e poi quando la musica prende piede ci si sente al sicuro, in quella prateria dove i suoi cavalli corrono non felici ma capaci: e anche in questo caso Andrew si rivela maturo e spiazzante…
Seal, George Michael, i Travis, gli Oasis, i James, i Clash: tutti loro entrano nei respiri espressivi del ragazzo, spesso con la maschera sulla pelle delle note e degli accordi, ma ben presenti, con la loro che lascia scie di suono del tutto riconoscibili, se solo le orecchie ragionano…
Ma poi, più di tutto, questo lavoro di esordio rivela come non sia l’età ma l'esperienza, lo studio e il desiderio a permettere a queste angeliche composizioni di spiccare il volo, accompagnando la corsa di quei cavalli che avranno biada per l’eternità.
Il debut album del 2023 per il Vecchio Scriba: i dubbi non possono esistere davanti a queste gemme…