domenica 6 aprile 2025

La mia Recensione: Helen Jewitt - Astrolabium


 

Helen Jewitt - Astrolabium


Chissà se nel nome della band esiste un riferimento diretto a una ragazza che venne uccisa all’inizio del 1800. Resta comunque la sensazione, dati i temi e la modalità di espressione, che i tre musicisti abbiano una tensione nel loro dna come reazione al malessere esistenziale, sviscerando, acclamando, presentando storie in cui il romanticismo ha sempre una corona di spine nei suoi circuiti sonori. L’album di esordio è una bomba atomica, circolare, che pedina le anime in ascolto, sferrando bordate, urla, cavi elettrici direttamente nei nervi e nelle vene. Un'esplosione continua che prende il livore del post punk e la torsione emotiva dello Shoegaze, per un risultato spiazzante nel quale si avvicendano emozioni, osservazioni, spunti e una nutrita fila di paralisi in quanto queste composizioni intossicano (piacevolmente), conducendo a una impossibile reazione negativa: ci si ritrova inseminati dalla loro ricchezza. 

In alcuni momenti, quelli meno nevrotici (e in modo delizioso disperati), si ha come l’impressione che il terzetto visiti la possibilità di un futuro in cui immergersi per esplorare la ricchezza di onde calme sulla pelle di un batuffolo di ansia ammaestrata. Il risultato è una sublime ipnosi, una protesi, un'invenzione che amplia il loro presente, per generare un futuro in cui la scrittura possa essere una pallottola che fa il giro del globo. 

Stupisce come questa energia non sia legata alla sfrontatezza giovanile bensì a una maturità concettuale che porta queste creazioni in un avamposto ancora da capire: sono gestazioni, feti, ipotesi e bagliori in cerca di un luogo dove crescere e solo un ascolto attento può dar loro il pretesto di una culla adatta. I temi affrontati nei testi mettono in risalto lo sguardo d’insieme, il coinvolgimento totale, un senso di frustrazione e un forte legame con il passaggio del tempo, l’ostinata ricerca di far sposare la fantasia e la ricerca della verità. Pianificano anche un’ipotesi del futuro e l’impianto teatrale si rivela capace, di grandi proporzioni, unendo l’insieme alla gittata sonora che non lascia scampo. Il senso di abbandono, dato dalle note lunghe (quelle così addentro allo stile Shoegaze), si sposta verso quello della lotta e della determinazione, tipica del post punk, il tutto nelle stesse canzoni, senza dover aspettare le successive, per un binomio effervescente che rilascia scintille di agganci a un passato remoto che tendenzialmente pare essere morto per la stragrande maggioranza del pubblico. Questa formazione, invece, suscita moti di riscatto, compattando, rigenerando il tempo che fu, come un impegno doveroso e magnificamente riuscito. Astrolabium si trasforma così in un laboratorio effervescente, caldo, dai colori cupi in cerca di ossigeno, un serbatoio dell’anima dove non si espelle ma si contagia l’addormentata coscienza, alimentando il futuro con una speranza che passa attraverso nove strategie compositive che alla fine si riveleranno essere qualcosa di molto più importante. Aspetto da non denigrare risulta quello di un bacino denso di lacrime pronte a invadere i pensieri ma capaci, al contempo, di creare ruscelli nel cielo: la vitalità della scrittura, del cantato sognante (seppur malinconico) diventa una scopa su cui salire per visitare le nuvole. Gli anni Ottanta e gli anni Novanta trovano una spirale dove il succo, il nettare, il buono e il vero di quelle due decadi viene visitato e reintrodotto nella mente come una dialisi che ci permette di non perdere la memoria. Non è dunque un revival di comodo bensì una precisa tecnica per riportare la nostra attenzione in un luogo in cui si rischia la nostalgia e il giudizio. E allora questa giovane band compie un salto degno di un canguro, portando nel suo grembo i semi del futuro… Le chitarre sono lampi neri, il basso un cratere in movimento e la batteria un fuoco al centro di un bosco, per dare, come risultato, una pellicola con la quale ricoprire la nostra fragilità. Canzoni che rincuorano, devastano, riscoprono il piacere della vita senza rinunciare a erigere un muro contro la facile propensione alla stupidità. Ecco allora che sembra di ritrovarci in un'aula universitaria nella quale si studia come rendere credibile il futuro: Astrolabium è il miglior professore possibile e sarebbe un peccato perdere questa chance…


Song by Song


1 - Hearsee


Una marea plana nel cielo con le chitarre che creano spazi e poi una voce incantevole, una linea di basso semplice e ricca portano l’insieme dentro un ritornello che bacia la tristezza e rivela significati da trovare sotto la pelle di note baciate da un lampo sotterraneo…


2 - Dogma


Esplosioni calamitate nei nervi di questo brano che eccelle per fattura e densità, in quanto sono lamiere che si sgretolano lentamente trovando il palco adatto nel ritornello solo apparentemente catchy: le parole sono dinamite e prigione che soffocano, come un bene necessario da consegnare al futuro, mentre il post punk primordiale sferra l’abbraccio di un alternative rock che chiude il cerchio perfettamente…


3 - Abigäil


Il ricordo del secondo album degli Adorable si fa concreto: questo brano ha le stesse piume nere della band inglese, stando non molto lontano dai Catherine Wheel, per poi trovare un’autonomia piena di nubi nordiche in un paesaggio sonoro che crea  un congedo melodico da questa esistenza…


4 - Noughts and Crosses


Rimaniamo in un’atmosfera intima, un sussurro del basso, il cinguettio baritonale del cantato e poi un volo struggente, con chitarre e drumming che ricordano i Radiohead più tristi, per un risultato che pare essere quello dell’attesa che una finestra cada nell’acqua…


5 - Miss Deverell


Il basso di Brent van Rij ci riporta alla Celebrate dei Fields of the Nephilim, ma con una struttura completamente diversa: una chitarra graziosa permea il canto di Gijs Stuivenberg, per poi accogliere una orchestrazione minimalista che salda il tutto in modo incantevole…


6 - Mother


Psichedelia in volo: dagli anni Novanta (quelli inglesi) a quelli attuali per un dialogo che sembra avvertire una elettrica propensione a schermaglie shoegaze messe leggermente da una parte. Ma esiste una vibrazione, uno scatto che porta questa canzone nello spazio di un brivido compiuto…


7 - Bauta


David Helbig (il batterista), si muove come un robot su una sedia elettrica, come figlio di un indie rock degli anni Ottanta che attende i suoi due compagni di viaggio per poter rendere nevrotico il suono e l’agitata l’atmosfera sino al caos che racchiude tutta la potenza della band…


8 - Death of Romance


Nervi sott’acqua implodono ed è una gioia triste in ascesa, in un quasi libero volo, con una lentezza che permette alle vibrazioni di trovare la perfetta locazione, con un arpeggio accompagnato da scariche elettriche brevi ma incisive…




9 - Burn it Down


Si finisce per correre, con l’ultima composizione, tra pallottole sonore e scivolate estreme, con in mente i Déjà Vega più abrasivi e una rabbia controllata tra i watt che nella fuga si compattano e diventano puma notturni…



     Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

6 Aprile 2025


https://helenjewett.bandcamp.com/album/astrolabium

My Review: Helen Jewitt - Astrolabium


 

Helen Jewitt - Astrolabium


Who knows whether there is a direct reference in the band's name to a girl who was murdered in the early 1800s. In any case, the feeling remains, given the themes and mode of expression, that the three musicians have tension in their DNA as a reaction to existential malaise, eviscerating, acclaiming, presenting stories in which romanticism always has a crown of thorns in its sonic circuits. Their debut album is an atomic bomb, circular, stalking the listening souls, unleashing broadsides, screams, electric cables directly into the nerves and veins. A continuous explosion that takes the liveliness of post-punk and the emotional twist of shoegaze, for a disorienting result in which emotions, observations, cues and a large row of paralysis follow one another as these compositions intoxicate (pleasantly), leading to an impossible negative reaction: one finds oneself inseminated by their richness. 


In some moments, the less neurotic ones (and deliciously desperate), one has the impression that the trio visits the possibility of a future in which to immerse themselves to explore the richness of calm waves on the skin of a wad of tamed anxiety. The result is a sublime hypnosis, a prosthesis, an invention that expands their present, to generate a future in which writing can be a bullet that goes around the globe. It is surprising how this energy is not linked to youthful boldness but to a conceptual maturity that brings these creations to an outpost yet to be understood: they are gestations, fetuses, hypotheses and flashes in search of a place to grow and only careful listening can give them the pretext of a suitable cradle. The themes addressed in the lyrics highlight the overall view, total involvement, a sense of frustration and a strong bond with the passage of time, the obstinate search to marry fantasy and the search for truth. They also plan a hypothesis of the future and the theatrical system proves capable, of large proportions, uniting the whole with the sound range that leaves no escape. 


The sense of abandonment, given by the long notes (those so deep into the Shoegaze style), shifts towards that of struggle and determination, typical of post punk, all in the same songs, without having to wait for the next ones, for an effervescent duo that releases sparks of connections to a remote past that tends to be dead for the vast majority of the audience. This formation, instead, arouses feelings of redemption, compacting, regenerating the time that was, as a dutiful and magnificently successful commitment. Astrolabium thus transforms into an effervescent, warm laboratory, with dark colours in search of oxygen, a reservoir of the soul where the sleeping conscience is not expelled but infected, feeding the future with a hope that passes through nine compositional strategies that in the end will reveal themselves to be something much more important. An aspect not to be denigrated is that of a basin full of tears ready to invade thoughts but capable, at the same time, of creating streams in the sky: the vitality of the writing, of the dreamy (albeit melancholic) singing becomes a broom to climb on to visit the clouds.  The Eighties and Nineties find a spiral where the juice, the nectar, the good and the true of those two decades is visited and reintroduced into the mind like a dialysis that allows us not to lose our memory. It is therefore not a convenient revival but a precise technique to bring our attention back to a place where nostalgia and judgment are at risk. And then this young band makes a leap worthy of a kangaroo, carrying in its womb the seeds of the future... The guitars are black flashes, the bass a moving crater and the drums a fire in the middle of a forest, to give, as a result, a film with which to cover our fragility. Songs that hearten, devastate, rediscover the pleasure of life without giving up on erecting a wall against the easy propensity to stupidity. Here then it seems like we find ourselves in a university classroom in which they study how to make the future credible: Astrolabium is the best possible professor and it would be a shame to miss this chance...



Song by Song


1 - Hearsee


A tide glides in the sky with guitars that create spaces and then an enchanting voice, a simple and rich bass line bring the whole into a chorus that kisses sadness and reveals meanings to be found under the skin of notes kissed by an underground flash…


2 - Dogma


Explosions magnetized in the nerves of this song that excels in workmanship and density, as they are sheets that slowly crumble finding the right stage in the apparently catchy chorus: the words are dynamite and prison that suffocate, like a necessary good to be delivered to the future, while the primordial post punk strikes the embrace of an alternative rock that closes the circle perfectly…


3 - Abigäil


The memory of the second album of Adorable becomes concrete: this song has the same black feathers of the English band, staying not far from Catherine Wheel, to then find an autonomy full of Nordic clouds in a soundscape that creates a farewell melodic from this existence…


4 - Noughts and Crosses


We remain in an intimate atmosphere, a whisper of the bass, the baritone chirping of the singing and then a heartbreaking flight, with guitars and drumming that recall the saddest Radiohead, for a result that seems to be that of waiting for a window to fall into the water…


5 - Miss Deverell


Brent van Rij's bass takes us back to Fields of the Nephilim's Celebrate, but with a completely different structure: a graceful guitar permeates Gijs Stuivenberg's singing, to then welcome a minimalist orchestration that ties everything together in an enchanting way...


6 - Mother


Psychedelia in flight: from the Nineties (the English ones) to the present ones for a dialogue that seems to sense an electric propensity for shoegaze skirmishes slightly put to one side. But there is a vibration, a snap that brings this song into the space of a complete thrill...


7 - Bauta


David Helbig (the drummer), moves like a robot on an electric chair, like the son of an Eighties indie rock who waits for his two travelling companions to be able to make the sound neurotic and the atmosphere agitated to the point of chaos that contains all the power of the band...


8 - Death of Romance


Nerves under water implode and it is a sad joy on the rise, in an almost free flight, with a slowness that allows the vibrations to find the perfect location, with an arpeggio accompanied by short but incisive electrical discharges…


9 - Burn it Down


We end up running, with the last composition, between sound bullets and extreme slides, with the most abrasive Déjà Vega in mind and a controlled anger in watts that become the flight of menacing pumas in the night…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

6th April 2025


https://helenjewett.bandcamp.com/album/astrolabium

giovedì 27 marzo 2025

La mia Recensione: Loom - a new kind of SADNESS


 

Loom - a new kind of SADNESS


“All things fade

all things die

no more temptation

no more fascination”


Un viaggio con le lancette piene di incertezza non consente alcun tipo di beneficio, che è invece l’obiettivo di questa esperienza.

Constatare come questo periodo dell’esistenza umana formi solitudini in avanzamento costante può dare all’arte spunti davvero interessanti. Ed ecco che la band svedese riesce in questo compito con un nuovo brano (il primo di tre di questa primavera), colmo di malinconia, di parole che circondano la consapevolezza così come l’ignoranza, i luoghi così come il tempo, per approcciarsi alla verità e farla sprofondare in una tristezza sensata e non discutibile. Alla voce questa volta abbiamo Fredrik Axelsson, supportato dalla sorella Monika e da Roland Klein, in una stratosfera umorale che circonda la pelle di ogni pensiero, con una barriera corallina composta da una chitarra cavalcante, un basso postpunk in odore di santità e l’eco degli Adorable più melanconici a disinfettare la paura di poter essere felici…

Un clamoroso ritorno, in cui si constata l’abilità di rimanere nella propria cifra stilistica (storicizzata da 32 anni di splendida carriera), con l’apertura verso un pop triste sfiorato molte volte, ma qui espresso in modo sublime. E l’assolo di chitarra (nel finale), essenziale e ben incastrato con un drumming potente e fantasioso al punto giusto, regala lacrime corrotte dalle parole vere, concrete e potenti scritte da Fredrik, per un fadeout inesorabile.

La canzone dimostra il solito approccio verso uno Shoegaze gentile, mai esagerato, quasi anomalo, sempre a braccetto di un Alternative che si prefigge il ruolo di suggerire strategie e molteplici possibilità.

Il ritornello, vero termometro del gruppo di Ålem, procura uno scialle di lacrime compatte, con il cuore che si inchina a constatazioni in cui la vita sembra perdere forza, rivelando inutilità e il fascino ormai lasciato alle spalle, in un passato che con il tempo rimane un ricordo da abbandonare. La modalità baritonale di Fredrik viene messa a fianco di quella da mezzosoprano di Monika, per un risultato davvero impeccabile. Tra le composizioni più cupe mai scritte da questo combo, sempre pregno di poesia e in grado di provocare riflessioni importanti, qui l’ensemble svedese raggiunge la vetta, dalla quale lancia queste note che hanno grandi possibilità di essere accolte e coccolate.

Ed è una sorpresa a lunga gittata constatare che di questa nuova tristezza siamo in molti ad avere bisogno…


In uscita Venerdì 28 Marzo 2025

Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

27 Marzo 2025


https://loom2.bandcamp.com/track/a-new-kind-of-sadness

My Review: Loom - a new kind of SADNESS


 

Loom - a new kind of SADNESS


‘All things fade

all things die

no more temptation

no more fascination’


A journey with hands full of uncertainty does not allow for any kind of benefit, which is the goal of this experience.

Seeing how this period of human existence forms constantly advancing solitudes can give art really interesting insights. And here the Swedish band succeeds in this task with a new track (the first of three this spring), full of melancholy, of words that surround awareness as well as ignorance, places as well as time, to approach the truth and plunge it into a sensible, non-debatable sadness. On vocals this time we have Fredrik Axelsson, supported by his sister Monika and Roland Klein, in a moody stratosphere that surrounds the skin of every thought, with a coral reef composed of a riding guitar, a postpunk bass in the odour of sanctity and the echo of the most melancholic side of the band Adorable to disinfect the fear of being able to be happy.

A resounding comeback, in which one notes the ability to remain within one's own stylistic code (historicised by 32 years of splendid career), with an opening towards a sad pop touched upon many times, but here expressed in a sublime way.  And the guitar solo (in the finale), essential and well interlocked with powerful and imaginative drumming to the right point, offers tears corrupted by the true, concrete and powerful words written by Fredrik, for an inexorable fadeout.

The song demonstrates the usual approach towards a gentle shoegaze, never exaggerated, almost anomalous, always at the arm's length of an alternative that sets itself the role of suggesting strategies and multiple possibilities.

The refrain, a true thermometer of Ålem's band, provides a shawl of compact tears, with the heart bowing to realisations in which life seems to lose strength, revealing futility and charm now left behind, in a past that with time remains a memory to be abandoned. Fredrik's baritone mode is set alongside Monika's mezzo-soprano one, for a truly impeccable result. Among the darkest compositions ever written by this combo, always imbued with poetry and capable of provoking important reflections, here the Swedish ensemble reaches the summit, from which it launches these notes that have a great chance of being welcomed and cuddled.

And it is a long-range surprise to realise that there are many of us who need this new sadness...


Out on Friday 28 March 2025


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

27 March 2025


https://loom2.bandcamp.com/track/a-new-kind-of-sadness

La mia Recensione: David Middle - A Goth, A Piano & Songs of Sorrow


 

David Middle - A Goth, A Piano & Songs of Sorrow


Un’ombra umorale sale dal cielo di Cambridge (lo fa da tanti anni), in costante dilatazione, usando forme artistiche diverse, prendendo il coraggio, il lavoro, il talento e la sfortuna sotto l’ala della sua splendida e ostinata necessità di non lasciare il mondo senza le sue ossessioni, dolcezze, integrità, volontà di fare del proprio mantello lo sguardo della sua purezza.

Questa espressione della natura ha un nome: David Middle, un corsaro gotico, cinematografico, a tratti un mimo della vita, altre volte un cabarettista che sfida il nero trasformandosi anch’egli come il più vorace dei colori. Per avanzare, fermare il tempo, costruire barriere coralline con la sua filosofia diretta, le sue corde vocali acute, spigolose, saggiamente tremende e implacabili, in ebollizione, una polveriera che saccheggia la calma e la conduce verso un atto di fede agnostica…

Un album da solista, mentre la sua anima non ha mai mancato di collaborare con band e progetti paralleli, è una scelta che rende più specifico il suo flusso cosciente, in una modalità che gli permette un focus indiscutibilmente forte e circostanziato ai suoi testi così potenti e in grado di trasformare la realtà, le paure, il silenzio e la memoria come i piloti di un palazzo mentale che mostra in modo ineccepibile.

Usa strategie note in modo inusuale, colora le trame sonore con il vento di una ispirazione continua, spaziando da Klaus Nomi, ai Virgin Prunes, a Rozz Williams, al più cupo Alice Cooper, arrivando a sfiorare la spalla di Genesis P-Orridge e il mento di Marc Almond. Ma è solo l’inizio, una falsa pista, in quanto David ha praterie proprie, come le sementi del suo pensiero così autonomo e originale.

La vita e le sue pene non sono raccontate bensì vissute in contemporanea, come se tutto accadesse mentre ascoltiamo e questa sensazione, divina e massiccia, lascia petali neri sul nostro respiro, rendendoci consapevoli di una dipendenza a cui in fondo non si sperava di avere la fortuna di assistere…

Si può, in questo modo, riflettere su come la pochezza degli strumenti usati in realtà aprano le porte della percezione, dando alle nostri menti lo spazio per allargare la necessità di far fluidificare questo pentagramma che invece di essere povero è ricco di grandi suggestioni. Tasti in bianco e nero e una sequenza teatrante di movimenti che accolgono archi sintetici e handclapping che suggeriscono il silenzio attorno a essi: Middle è un mago fuori da questo tempo, scevro dai condizionamenti, così barocco nella sua fertilità che non accetta forzature da parte delle forme espressive del presente.


Costruisce sentenze che, voraci, danzano nella sua ugola graffiando la volta celeste, l’unico vero paradiso che vede il suo laboratorio essere una cascata di pensieri imbottiti di incantevoli giochi di luce, dove il chiaroscuro è solo lo start dei suoi bisogni artistici, poderosi e olfattivi, sensoriali in quanto l’orchestra dei suoi battiti finisce per invadere tutto, con calma e una disperata intelligenza.

Un album per anime abili nel farsi avvolgere, coinvolgere, per sospendere la parte che si rifiuta di capire l’intensità, il dovere della coscienza, divenendo un distributore di scintille razionali che abbracciano la purezza di sentimenti caduti nella solitudine non voluta. Il connubio tra la musica e le parole risulta così essere un perfetto mantra con il quale cadere nella piacevolezza del dolore.

La ricerca armonica mostra integrità, conoscenza delle modalità espressive e un grande rispetto per quella parte della storia musicale che l’odierno non conosce e non rispetta. David si rivela così un combattente con note come pallottole gentili, mentre le parole sono sciabolate a salve, in grado di centrare lo spazio che sta perfettamente a metà tra la mente e il cuore.

L’artista rivolge l’attenzione verso la natura, misurando distanze e similitudini, coinvolgendo la strada della descrizione armonizzando il proprio spirito complice, maturando con la musica un legame intenso, quasi muto, per poter vivere liberamente una connessione con entità sicuramente più buone. 

Si ha sempre l’impressione di una maturità che induce David a cullare le rughe della propria mente spingendolo verso una forma quasi segreta in cui essere custode e rabdomante, alla ricerca di verità, seppur scomode, ma gestite con autorevolezza.

Quando si ha l’impressione che voglia seminare petali neofolk si avverte una sacralità pagana forse anacronistica, che però offre la misura della sua estensione culturale, e la sua lingua sa essere un dolce veleno che rovesciandosi diventa amaro: miracoli come infissi nel buio…

Accade poi di sentirlo congedarsi dalla vita (nella maestosa Ode to Jacqueline) si avvertono brividi, come se un amico se ne andasse, ed è uno dei momenti più toccanti con i quali si deve fare i conti. La sapiente volontà di donare melodie che si fissano nella mente comporta il fatto che pure le parole facciano lo stesso, finendo per dilatare i centimetri del nostro ascolto.

Le orchestrazioni, minimaliste e mai pompose, danno anche la misura di una produzione curata, in grado di farci avere l’impressione di un racconto in musica che va riletto e riletto ancora: nemmeno una sillaba di bellezza va persa in questa opera meritevole della migliore accoglienza…


Song by Song


1 - No One Hears Me

“Pull me out from the drowning mud”


Una danza appare, nella notte, per essere un racconto tra ansia e sogni mancati. La musica è un gesto balsamico attraverso tasti battenti con morbida propensione verso il registro basso…


2 - Climbing Stairs

“Every fall is a lesson, every climb is a spell”


La contrapposizione tra le note grevi e lente del pianoforte e il cantato di David creano un lampo notturno nel quale cadere con dignità. Un brano che pare arrivare dalla tensione teatrale e cabarettistica del miglior Marc Almond. Ed è apoteosi in ripetizione…


3 - Help Me Please

“I, see faces, but memories still fade”


La memoria qui trova una clamorosa centralità e la cavalcata del basso e il contrappunto del piano ci riducono in brandelli. E poi quella invocazione, che si trasforma in un mantra da tenere nel circuito segreto delle nostre colpe. Un capolavoro senza tempo…


4 - The Whispering Wings

“Underneath the whispering trees”


Il teatro francese sale sul palcoscenico, si cambia l’abito e diviene un eco inglese del Millesettecento, con un’apertura alare del ritornello che pare essere un monito, in cui il terrore afferra i sogni e li uccide…


5 - Final Witness

“Scared to last you 

never rest”


Si danza e senza il drumming è pure meglio: sulle punte, come ballerini classici, mentre il testo compie una panoramica sostenuta da una voce che si fa ago piangente…


6 - Ode to Jacqueline

“My time has come, and now i know I said goodbye”


Il ritmo rallenta e i tasti sentenziano, per poi aprire le braccia dentro un circolo di luci amorose piene di tensioni, inviti, sino al finale con un addio che traduce perfettamente uno spartito così volenteroso di essere riconoscente alla musica classica, che qui si fa ancora più evidente e necessaria…


7 - Gothic Candles (Midnight Mix)

“Through the darkness, we journey hand in hand”


David ci porta costantemente nella notte, nel buio, per attraversare le illusioni dei sogni e le più evidenti e reali forme dolorose, con un’ambientazione musicale gotica, come se Rozz Williams lo incitasse a non perdere la teatralità perfetta del suo cantato… 


8 - Walking with the Dead

“In my heart, the dead will stay”


Una prodezza, un nuovo tuono nel cuore e nella testa, per questa ouverture che diventa una piacevole tortura, che cerca di trasformare un volo libero in un doveroso schianto. Tutto qui odora di definitivo, come se davvero la convivenza con la morte potesse essere l’unica gioia. 


9 - Our Broken World

“Our innocence lost in the hands of fools”


Il cantato iniziale ci riporta ad Hallelujah di Leonard Cohen, ma poi tutto si sposta e si entra in una drammaticità solare, in un contrasto giocoforza ragionevole, e la musica rende il tutto perfettamente coeso e intatto…


10 - A Hollow Heart

“But through the tears, I’ll find my way”


La disperazione è obbligatoriamente un processo lento. E invece David la rende quasi una fase allegra, veloce, dalla voce leggera, e la musica che pare fare il solletico all’inverno…


11 - Dark Love

Il brano più raffinato, più teso e drammatico giunge quasi alla fine dell’album, lasciando petali dandy nel testo e spunti musicali che attraversano le epoche e gli stili per poi farci sentire il gusto amaro di un amore pieno di tenebre…


“A symphony of lust, makes your heartbeat tight”


12 - Mood Swings

“I laugh until I cry”


Una voce filtrata, come mai prima, fa da apripista all’ultima canzone, che è come un epitaffio nascosto, sepolto da una musica angelica con sfumature, in modo emblematico, drammatico. Ed è un soffio dolce che spegne la candela, che subito però riaccendiamo per riascoltare questo album così delizioso e significativo che è un peccato madornale trascurare…



Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

27 Marzo 2025


https://batcaveproductions.bandcamp.com/album/a-goth-a-piano-songs-of-sorrow

La mia Recensione: Helen Jewitt - Astrolabium

  Helen Jewitt - Astrolabium Chissà se nel nome della band esiste un riferimento diretto a una ragazza che venne uccisa all’inizio del 180...