Visualizzazione post con etichetta Salford. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Salford. Mostra tutti i post

sabato 30 novembre 2024

La mia Recensione: At Swim Two Birds - Quigley’s Point


At Swim Two Birds - Quigley’s Point


Vini Reilly è un mago che affitta scene celesti, Johnny Marr le trasforma in vento, Roger Quigley mette entrambi sui suoi polpastrelli dorati e affitta camere piccole in cui rendere solidi i sogni. 

Potrebbe bastare questo incipit per dire dove alberga la cifra stilistica di un pittore che ha scritto un album sulla sua relazione di coppia con una ragazza dolcissima: la musica riproduce i suoi lineamenti, la sua risata accomodante, le polveri di fumo di pipe perennemente accese e la voglia di adoperare la sei corde come un tam tam amoroso sempre a disposizione dei suoi fulmini.

Non esiste il passato al momento della scrittura di queste lettere che cercano nella memoria una sospensione dal dolore, un urlo reso ubbidiente alla natura di una mente votata all’abbraccio.

Nutrire le lacrime di anestesie continue è una gran fatica. Lui lo sa e decide di pubblicare la sua delusione affiancandole granelli di gioia, con un cantautorato più sottile rispetto ai The Montgolfier Brothers che, con Mark Tranmer, avevano fatto scoprire come Nick Drake e Tim Buckley, con meno enfasi e maggior predisposizione al racconto, potevano sembrare dei bravi ragazzi, oltre che belli.

Poi la fine (Roger ne ha conosciute molte…) ha determinato il ritorno a Salford, lui che ci era nato, lasciando a Manchester solo alcune puntate mensili.

In una stanza annoiata e in attesa di un terremoto, il biondo autore riempie i posaceneri e gli spartiti, con arpeggi che passano dal folk americano al fado portoghese, al dream pop più intimo, per poi scrivere parole capaci di accarezzare i capelli dei suoi ricordi.

Il suo cantato è rispettoso, senza acredini, lasciando ai lunghi assoli arpeggiati la modalità della disintegrazione del dialogo.

Utilizza, per il suo primo vero episodio solista, registrazioni di strada, le sue camminate nei parchi, gli uccelli, i lavori in corso, sequestrando la nebbia di Weaste e Langworthy per poi circondarli di elettronica e primordiali software al fine di raggelare il suo respiro triste.

Sussurra al microfono, prende fiato tra nuvole di fumo e poi si getta nella scrittura di atmosfere che sembrano nate per un film in cui i volti e le storie sono intrisi di incertezza e desolazione ma, credete al Vecchio Scriba, sono state molte le risate sul pentagramma e la certezza che un disco non sia una collezione, bensì una semina importante e decisiva.

Anticipando parte del New Acoustic Movement, che utilizzava pattern, midi, elettronica tenera e mai invasiva, il buon Roger stabiliva un nuovo confine tra la divulgazione e il mistero.

Per capirlo basta prestare attenzione alle lunghe suite musicali dove un fraseggio viene ripetuto ma mai con l’intenzione di divenire un loop, dati gli inserti tipicizzanti degli arrangiatori degli anni Sessanta.

In quel preciso momento tutto si fa buio, scompaiono le storie e la musica diventa una bocca muta in grado di far oscillare le emozioni.

Sul manico della sua Takamine scivolano dita nervose, lucide, con il diploma della beatificazione, vista la perfetta tecnica e l’abilità di raddoppiare spesso la sei corde con compiti precisi di lavoro, come gemelle che parlano lingue diverse, senza far mancare l’intesa.

Il suo background qui non trova posizione: i suoi ascolti erano rivolti alla musica della città, mentre in questo esordio solista siamo in giro per il globo terrestre e nel tempo, come se la libertà vera fosse il distanziamento dalla realtà.

E infatti i testi sono inganni, torture, come le musiche: pare un collettivo magico che cerca di addentrarsi nel creato per abbracciare gli ascoltatori.

Invece Dante e il suo Inferno sono proprio in questi solchi, in passeggiate con abiti finti e tanto vero dolore a setacciare la speranza.

Il Brasile, il Portogallo, la Swinging London, Parigi e lo scrittore da cui ha preso il nome il suo progetto con un romanzo favoloso sono i protagonisti principali, seguiti da una pletora di sogni ingarbugliati.

La Sarah Records riconobbe a Quigley il fatto di conoscere a memoria la modalità di incespicare con pura sanezza nei contorti esercizi chitarristici di cui Reilly e Marr sono stati maestri assoluti.

Gli archi, i ritmi spesso volutamente dispari e la produzione che ha cercato di anestetizzare l’abbondanza dei suoni sono i momenti di maggior intensità di questo vascello Salfordiano che si ricorda bene del porto e delle lotte con Liverpool.

A quest’ultima città Roger dà molto spazio: nelle introduzioni di diverse canzoni la magica atmosfera del Merseyside del 1975 e 1976 sembrano spuntare fuori come raggi lunari in libera uscita.

Credo, però, che l’aspetto più difficile da sostenere sia l’inclinazione del defunto talento a congedare il tutto, tra goodbye e farewell che si abbracciano facendo sì che l’ascolto diventi una ferita, esattamente come la scrittura di questi versi ipnotici, ma capaci di essere anche deliziose ostinazioni piene di sorrisi e charme.

Colpiscono alcune assenze, certe decisioni che hanno portato alla scelta di rendere poco gonfio lo strato interpretativo se non nell’episodio I Need Him, nel quale la sua devastazione viene trasformata in una accomodante forma gentile nei confronti di parole rubate a una realtà che stabiliva la fine di una relazione.

Due lati diversi, con strutture e dinamiche che ruotano dentro una progettualità che prevede un cammino longitudinale, in grado, cioè, di trasmettere la muta della pelle della sua anima, come un forcone che affitta baci dal fieno. 

La prima parte è un resoconto fedele di antiche felicità, la seconda un’amara constatazione del precipizio e infatti gli scenari stilistici cambiano.

Notevolissima è la tinteggiatura nell’ultimo brano fatto di coriandoli dream pop, da cui poi Tom McRae e i Radiohead hanno rubato a piene mani.

Sistematica modalità di una libertà pagata a caro prezzo, l’evoluzione del suo stile lo riporterà tra le braccia di Tranmer, anche se solo per un attimo. Ma questo album è un esercizio senza paragoni, vuoi per il romanticismo col cappotto nero e gli occhi che ancora cercano una bocca da sfiorare, che per canzoni che fanno riflettere su come la felicità sia solo l’avamposto della bomba atomica…

Un disco che ha generato orgasmi mentali e applausi da parte della critica: non si erano mai udite frammentazioni creare connessioni con la morbidezza, con l’educata propensione a grattugiare il lato meno duro di una decade che sembrava preferire i frastuoni ai sussurri.

Infatti certe esperienze toccano maggiormente quando si deve acuire l’ascolto.

E dopo più di vent’anni sembra che i segreti di questo gioiello continuino a emergere, facendo del volto delle sue composizioni uno splendido anfiteatro greco dove la poesia è un’arte inferiore: i versi di Roger sono immediati e riflessivi, non cercano la memoria, bensì il modo di dare a ogni attimo una rapida fuoriuscita… 


Alex Demattteis

Musicshockworld

Salford

1 Dicembre 2024


https://open.spotify.com/album/4r8D9GORVR1xg7sMUS7hjl?si=eLO0-msNTnWai3rhVB-aEA


 






My Review: At Swim Two Birds - Quigley’s Point


 At Swim Two Birds - Quigley's Point


Vini Reilly is a magician who rents heavenly scenes, Johnny Marr turns them into wind, Roger Quigley puts both on his golden fingertips and rents small rooms in which to make dreams solid. 

This incipit might be enough to say where the stylistic figure of a painter who has written an album about his relationship with a very sweet girl dwells: the music reproduces her features, her accommodating laugh, the smoke dust of perpetually lit pipes and the desire to use the six-string as a loving tam tam always at the disposal of his lightning bolts.

There is no past at the time of writing these letters, which seek in memory a suspension from pain, a scream made obedient to the nature of a mind devoted to embrace.

Nourishing the tears of continuous anaesthesia is a great effort. He knows this and decides to publish his disappointment side by side with grains of joy, with a more subtle songwriting than that of The Montgolfier Brothers who, with Mark Tranmer, had made us discover how Nick Drake and Tim Buckley, with less emphasis and more flair for storytelling, could sound like good guys, as well as beautiful.


Then the end (Roger has known many...) brought about a return to Salford, he who had been born there, leaving Manchester with only a few monthly episodes.

In a bored room waiting for an earthquake, the blond songwriter fills his ashtrays and sheet music, with arpeggios that move from American folk to Portuguese fado, to the most intimate dream pop, and then writes words capable of caressing the hair of his memories.

His singing is respectful, without bitterness, leaving the disintegration of dialogue to the long arpeggiated solos.

He uses, for his first real solo episode, street recordings, his walks in the parks, birds, work in progress, sequestering the fog of Weaste and Langworthy and then surrounding them with electronics and primordial software to chill his sad breathing.

He whispers into the microphone, catches his breath amidst clouds of smoke and then throws himself into writing atmospheres that seem to have been born for a film in which faces and stories are imbued with uncertainty and desolation but, believe the Old Scribe, there have been many laughs on the stave and the certainty that a record is not a collection, but an important and decisive seeding.

Anticipating part of the New Acoustic Movement, which used patterns, midi, soft and never invasive electronics, the good Roger established a new boundary between disclosure and mystery.


To understand this, one only has to pay attention to the long musical suites where a phrasing is repeated but never with the intention of becoming a loop, given the typical inserts of the 1960s arrangers.

At that precise moment, everything goes dark, the stories disappear and the music becomes a mute mouth capable of swinging emotions.

Nervous, polished fingers glide over the neck of his Takamine, with the diploma of beatification, given the perfect technique and the ability to often double the six-string with precise work assignments, like twins speaking different languages, without lacking in understanding.

His background has no place here: his listenings were aimed at the music of the city, whereas in this solo debut we are wandering around the globe and through time, as if true freedom were the distancing from reality.

And indeed the lyrics are deceptions, torture, like the music: it sounds like a magical collective trying to reach into creation to embrace listeners.

Instead Dante and his Inferno are right in these grooves, in walks with fake clothes and so much real pain to sift through hope.


Brazil, Portugal, Swinging London, Paris and the writer after whom his project was named with a fabulous novel are the main protagonists, followed by a plethora of tangled dreams.

Sarah Records credited Quigley with knowing by heart how to stumble with pure sanity through the convoluted guitar exercises of which Reilly and Marr were absolute masters.

The strings, the often deliberately odd rhythms and the production that tried to anaesthetise the abundance of sounds are the most intense moments of this Salfordian vessel that remembers well the harbour and the struggles with Liverpool.

To the latter city Roger gives a lot of space: in the introductions of several songs the magical atmosphere of Merseyside in 1975 and 1976 seem to pop up like free-flowing moonbeams.

I think, however, that the most difficult aspect to sustain is the inclination of the late talent to say goodbye, between goodbyes and farewells that embrace each other, making listening a wound, just like the writing of these hypnotic verses, but also capable of being delightful obstinacies full of smiles and charm.                                 Certain absences are striking, certain decisions that have led to the choice of making the interpretative layer uninflated except in the episode I Need Him, in which his devastation is transformed into an accommodating gentle form of words stolen from a reality that established the end of a relationship.

Two different sides, with structures and dynamics that revolve within a projectuality that provides a longitudinal path, capable, that is to say, of transmitting the moulting of the skin of his soul, like a pitchfork renting kisses from hay. 

The first part is a faithful account of ancient happiness, the second a bitter realisation of the precipice, and indeed the stylistic scenarios change.

Remarkable is the hue in the last track made of dream pop confetti, from which Tom McRae and Radiohead then stole profusely.

A systematic mode of freedom paid dearly, the evolution of his style will bring him back into the arms of Tranmer, if only for a moment.                                 But this album is an unparalleled exercise, whether in romance with the black coat and the eyes still searching for a mouth to touch, or in songs that make you reflect on how happiness is only the outpost of the atomic bomb...

A record that generated mental orgasms and applause from critics: never before had fragmentations been heard to create connections with softness, with the polite propensity to grate the less hard side of a decade that seemed to prefer noises to whispers.

Indeed, certain experiences touch more when one has to sharpen one's listening.

And after more than twenty years it seems that the secrets of this jewel continue to emerge, making the face of his compositions a splendid Greek amphitheatre where poetry is an inferior art: Roger's verses are immediate and reflective, not seeking memory, but rather a way of giving each moment a quick escape…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

1st December 2024


https://open.spotify.com/album/4r8D9GORVR1xg7sMUS7hjl?si=QSgE7qCjRmaOU7nBRsQBvA

domenica 6 marzo 2022

My review: The Maitlands - Live in Salford, March 2022

My review


The Maitlands live in Salford

5 March 2022


Every city has its own delays to deal with, because there are traumas and difficulties to pay attention to.

Manchester is no exception.

And about an aspect of music interest and sharing, the issue increases given its importance.

Life goes on and music comes back to show its face, its muscles, its passion, its ardour, its need, its pride, its need to legitimise itself.

Among them are The Maitlands, a splendid reality that does not want excessive visibility, nor does it seek approval whatever: it exists for the pleasure of it, without ambitions or exaggerated dreams.

Their joy lies in writing songs and playing whenever possible.

At a time when the line-up is changing, some of the new members were not in time to play with the band tonight.

In a four-piece line-up, but with a sound that seemed to be the product of more musicians, they showed all their class with a nine-song set at the Eagle Inn on the Salford/Manchester border, playing in front of an attentive and amused audience.

Having appeared as a Special Guest for a couple of songs at Academy 3 in August 2020, Heavy Salad guitarist Rob Glennie is now a permanent member of The Maitlands and his contribution strengthens the sound of the quartet, whose set shook, moved and led attendees to an articulate thought, given the depth of Carl's lyrics.

The three members of the line-up, Carl L. Ingram, Saul Padraig Gerrard and Matt Byrne, for their part, were totally at ease and able to express their talent, having found in Rob the best ally.

A perfect setlist that combined singles and lesser known songs with extreme fluidity and the ability to keep the tension and beauty of their compositions constant.

Mention must be made of the opener "Dead Slow", which after 4 years seems even fresher and able to show the band's endless musical roots, and of the always clamorous "When it Rains, it Pours", an atomic ride which, thanks to Matt's granitic bass, Rob's twisted and sensual guitar and Saul's acid drumming, allows Carl's singing to bring out his powerful and catchy melodic line.

All the songs demonstrate their total disregard for the need of other bands to feel part of a hypothetical Manchester music scene.

They wisely go in a different direction, drawing from the globe and different decades to make their music something compact and not morbidly tied to the Mancunian city.

That’s the sort of concerts that brings good cheer, a predisposition towards unquestionable artistic skill and joy, because their ability to be on stage is a robust smile capable of taking root in the heart.

Welcome back!


Alex Dematteis 

Musicshockworld 

Salford

March 6th, 2022





La mia recensione: The Maitlands - Live in Salford March 2022

 La mia recensione


The Maitlands live in Salford

5 Marzo 2022


Ogni città ha le sue lentezze da gestire, perché vi sono traumi e difficoltà cui prestare attenzioni.

Quella di Manchester non fa eccezione.

E su un aspetto di interesse e condivisione della musica la problematica aumenta vista la sua importanza.

La vita continua e la musica torna a mostrare il suo viso, i suoi muscoli, i suoi impeti, l’ardore, il bisogno, la fierezza, la necessità di legittimarsi.

Tra questi vi sono The Maitlands, una splendida realtà che non desidera eccessiva visibilità, né cerca consensi a prescindere: esiste per il piacere di farlo, senza velleità o sogni esagerati.

La loro gioia sta nello scrivere canzoni e suonare quando è possibile.

In un momento nel quale la line-up sta mutando, alcuni dei nuovi membri non hanno fatto in tempo a suonare con la band stasera.

In una formazione a quattro, ma con un suono che sembrava essere il frutto di più musicisti, hanno dimostrato tutta la loro classe con un set di nove canzoni all’Eagle Inn, al confine tra Salford e Manchester, suonando per una platea di persone attente e divertite.

Dopo aver partecipato come Special Guest per un paio di canzoni all’Accademy 3 nell’agosto del 2020, Rob Glennie, chitarrista dei Heavy Salad, fa ormai parte in pianta stabile dei Maitlands ed il suo contributo irrobustisce il suono del quartetto che nel loro set ha scosso, emozionato e condotto i partecipanti ad un pensiero articolato, visto lo spessore dei testi di Carl.

I tre componenti della formazione, Carl L. Ingram, Saul  Padraig Gerrard e Matt Byrne, da parte loro, sono totalmente a loro agio e capaci di esprimere il loro talento avendo trovato in Rob il migliore alleato.

Una scaletta perfetta che ha saputo unire i singoli e canzoni meno note con estrema fluidità e capacità di tenere costante la tensione e la bellezza delle loro composizioni.

Citazione d’obbligo per la opener “Dead Slow”, che dopo 4 anni sembra ancora più fresca e capace di mostrare le infinite radici musicali della band, e per la sempre clamorosa “When it Rains, it Pours”, cavalcata atomica che grazie al basso granitico di Matt, alla chitarra sghemba e sensuale di Rob e al drumming acido di Saul permette al cantato di Carl di esibire la sua linea melodica potente e accattivante.

Tutte le canzoni palesano il totale disinteresse della band verso il bisogno che invece dimostrano altri gruppi nei confronti del sentirsi parte di una ipotetica scena musicale di Manchester.

Loro, saggiamente, vanno in una diversa direzione, pescando nel globo terrestre e in decadi diverse per fare della loro musica qualcosa di compatto e non legato in modo morboso alla città Mancuniana.

Sono concerti come questi che portano buonumore, la predisposizione all’accoglienza verso abilità artistiche indiscutibili e la gioia, perché la loro capacità di stare sul palco è un sorriso robusto che sa come mettere le radici nel cuore.

Bentornati!


Alex Dematteis 

Musicshockworld 

Salford

6 Marzo 2022




La mia Recensione: Midas Fall - Cold Waves Divide Us

  Midas Fall - Cold Waves Divide Us La corsia dell’eleganza ha nei sogni uno spazio ragguardevole, un pullulare di frammenti integri che app...