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mercoledì 4 settembre 2024

La mia Recensione: Kodaclips - Gone is the day


 

Kodaclips - Gone is the day


Ci sono tracce di avventure e altre di ricerca che stabiliscono flussi cognitivi in espansione continua, una energica volontà di accaparrarsi i favori di suoni che mettano in isolamento ogni incompiuta dannazione emotiva.

Da Cesena, piccola città del centro Italia, una band scrive il secondo album contrattando micidiali flussi linguistici, creando vagabondi segnali sonori sanguigni, ipnotizzando gli albori dello shoegaze della metà degli anni Ottanta, iniettando uno stile che si è raffinato e che tocca marginalmente la rovente fila di nuovi gruppi italiani.

Ma sono evidenti in queste canzoni gli abbracci solari, la ricerca melodica più da parte del cantante Alessandro Mazzoni che non da parte delle sue chitarre e di quelle di Lorenzo Ricci, che sono tenaglie e congelatori al contempo di soluzioni spesso nelle vicinanze di un noise purificato e disinfettato.

La propensione è quella a un combo deciso a stabilire confini, attitudini, a darsi regole affinché questa marea di watt conosca il senso di appagamento e di naturale propensione a vivacizzare il percorso di idee sempre più imbevute di quei crismi che lo shoegaze americano negli ultimi anni ha precisato.

Composizioni fresche, piene di quella malinconia che pare  nascondersi ma che non desidera l’anonimato completo: un gioco di luci e riflessi mediante la classica formazione a quattro, decisa a fare del rumore un rifugio, del suono un sodalizio e della poetica forma del canto un armistizio che funziona perfettamente. L’indole selvaggia è quella di un feedback controllato seppur generoso, ma l’ottima produzione di questo secondo lavoro mette in risalto nuove gemme, due sorprendenti brani che probabilmente potrebbero essere l’avamposto di un futuro che considererà possibile l’intuizione di un approfondimento che passi attraverso la psichedelia e un industrial elaborato.

Le melodie sono un fiore contemporaneo che si fa avvolgere da antiche traversie, da cliché abbondanti e famelici nello stringere un patto di serenità con questi ragazzi che, grazie a una notevole spavalderia e ostinazione, sembrano disinteressati al copia e incolla di questo genere che, è bene dirlo, soffre di colpevoli disattenzioni da parte della massa.

C’è chi ha rilevato un insieme di scintillii post-punk, ma il Vecchio Scriba dissente: la band non ha quella arrendevolezza o quella attitudine prepotente di spegnere la vita, piuttosto usa uno spray emotivo per accelerare una forma di contatto che viva in un cuneo ipnotico tipico del dream-pop senza averne le caratteristiche musicali specifiche, finendo per divenire un dolcissimo miracolo.

Gone is the day è un patto volontario con i segreti, le movenze cerebrali di quattro individui che seminano flagranti detonazioni, in un sali e scendi di note che scartavetrano spesso la pelle e il cuore. Tutto è compatto, una forma espressiva tipica del concept: non il tema, non una storia, bensì suoni radicati in un percorso che racconta la genesi di una serie di incontri, rifiutando il caso, per generare infine poco più di trenta minuti, in cui il tempo scivola tra le nebbie di istantanee che si raccolgono in un abbraccio.

Un lavoro che non avrà il plauso del pubblico italiano, istupidito da inutili rincorse volte a una ridicola omologazione. Ed è un bene: non ci sono in queste composizioni elementi di precarietà e di superficiali teorie che portino l’ascoltatore a sentirsi inutile…

Troverà, invece, considerazione negli individui che sanno studiare, toccare il baricentro di queste effervescenti creazioni. 

Se non bastasse, le domande nascono tiepide, perché è proprio il mistero di questo lavoro a permettere alla nostra mente di creare recinti in cui confinare stupore e dolcezza.

Il caos viene controllato e spinto all’introspezione attraverso un lavorio analitico davvero impressionante.


È giunto il tempo di andare a definire queste dieci tracce e di porre nell’avamposto della nostra intelligenza un fascio di curiosità…


Song by Song


1 - Glaze Over


Un impatto ritmico, l’incrocio lunare di un basso grigio e caldo con chitarre votate a voli armonici fa da apripista a questo lavoro ed è subito incanto: dove l’irruenza cerca di offendere, Glaze Over chiama a raccolta il tempo in una danza sognante…



2 - Viola


Il ritmo si mantiene elevato, la voce di Alessandro Mazzoni visita la Sarah Records e il drumming di Francesco Casadei Lelli si insinua nei muscoli con stacchi, stop and go che permettono alle due chitarre di scaldare le nuvole dei primi anni Novanta…




3 - Gone is the day


La frustata melodica dei Catherine Wheel di Ferment trova dei nipoti perfetti: è catarsi lunare, è una primitiva forza animalesca che passa attraverso queste chitarre oblique e questo basso che sembra far cadere il suono… Una poesia può avere un ritmo sincopato e la buona intenzione di chitarre che esplorano il ventre di un tempo ormai immalinconito…




4 - Interlude


Poco più di un minuto, ma un cratere trova il modo di lasciare una lava priva di luce: un misterioso intermezzo che crea suspense, visitando una forma che si allinea con la ricerca di suoni minimalisti…



5 - Failure


Eccola la ballad ipnotica che sposa la dolcezza di trame cospicue, di incursioni vocali attente a precisare uno splendido fraseggio chitarristico sino a dare al duo basso-batteria la voce che copre questo gioiello. E poi è fragore che fuoriesce dai pedali e da idee che baciano il buongusto…



6 - Deadlock 


Pixies, Nirvana, Melvins: potrebbero essere loro i nonni di questa splendida introduzione, ma non si commetta mai l’errore di essere sanguigni in quanto, dopo pochi secondi, l’emisfero di questa volta sonora va molto più lontano e in luoghi ben diversi. E così si  ritrova nella dolce custodia di una prigionia che, quando desidera espandersi, diventa un vulcano notturno…



7 - Fall Apart


Eccola qui, rapida e sexy, una cometa che accoglie intuizioni, che ruba il fiato e ci porta verso i tappeti sonori cari a una pletora sconosciuta di band di Bristol e di Brighton, quando le due città erano delle vere e proprie industrie di variazioni di scoppiettii sonori. Aggressiva, funambolica, con le due chitarre che come streghe si portano via le sicurezze per regalarci una gioia, finendo per danzare tra le onde del cielo…



8 - Number 87


Canzone perfetta per sottolineare la maturità compositiva della band di Cesena: tutto sembra ruotare attorno a un riff che matura e coinvolge, facendo tesoro di un’alchemia evidente con il periodo di una effervescenza tipica dell’adolescenza, ma il suono maturo e la direzione di queste meccaniche suggeriscono una precisa attenzione, perché nella coda fumosa del suono si nasconde un abbraccio sensoriale notevole…



9 - Surface 


Bolle di sangue creano vapori umorali, una frenetica modalità prossima all’antico industrial distribuisce mistero e vocazioni suggestive, in un horror lento e cacofonico, dove viene distrutta, saggiamente, la forma canzone, e si adopera il sistema del sondaggio, attraverso suoni espliciti che raccontano più di mille parole.

Ed è confusione tribale, disagio che conosce saggezza e che tritura ogni dipinto musicale precedentemente espresso nell’album. Se esiste l’Everest in questo disco, eccolo: da qui si vede tutta la capacità della band di andare oltre se stessa..



10 - Sleep, Doom, Shelter 


Come concludere un percorso come questo? Con una ninnananna atipica, fuorviante, ma generosa, al contempo, nei confronti del suono di questi gentiluomini che spaziano nei jack, imbevuti di tristezza, con un cantato che esprime una commovente propensione a parole esibite con orgoglio, mentre piccole esplosioni di chitarra proseguono il contagio di questa malinconica veste sonora…


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
4 Settembre 2024

My Review: Kodaclips - Gone is the day


 

Kodaclips - Gone is the day


There are traces of adventure and others of research that establish ever-expanding cognitive flows, an energetic will to curry favour with sounds that isolate any unfinished emotional damnation.

From Cesena, a small town in the centre of Italy, a band writes its second album by negotiating deadly linguistic flows, creating bloodcurdling sonic signals, hypnotising the dawn of shoegaze in the mid-eighties, injecting a style that has refined itself and marginally touches the red-hot ranks of new Italian bands.


But evident in these songs are the sunny embraces, the melodic research more on the part of singer Alessandro Mazzoni than on the part of his guitars and those of Lorenzo Ricci, who are at once pincers and freezers of solutions often in the vicinity of a purified and disinfected noise.

The propensity is that of a combo determined to establish boundaries, attitudes, to give itself rules so that this tide of watts knows the sense of fulfilment and natural propensity to enliven the path of ideas increasingly imbued with those methods that American shoegaze in recent years has specified.

Fresh compositions, full of that melancholy that seems to be hiding but does not desire complete anonymity: a play of light and reflection through the classic four-piece line-up, determined to make noise a refuge, sound a partnership and the poetic form of song an armistice that works perfectly. The wild character is that of a controlled if generous feedback, but the excellent production of this second work brings out new gems, two surprising tracks that could probably be the outpost of a future that will consider the intuition of a deepening through psychedelia and an elaborate industrial.


The melodies are a contemporary flower that gets wrapped up in ancient traverses, in abundant and ravenous clichés in making a pact of serenity with these guys who, thanks to a remarkable bravado and obstinacy, seem uninterested in the copy-and-paste of this genre that, it must be said, suffers from guilty mass disregard.

There are those who have detected a set of post-punk sparkles, but Old Scribe disagrees: the band does not have that surrender or that overbearing attitude to extinguish life, rather they use an emotional spray to accelerate a form of contact that lives in a hypnotic wedge typical of dream-pop without having its specific musical characteristics, ending up as a sweet miracle.

Gone is the day is a voluntary pact with secrets, the cerebral movements of four individuals who sow flagrant detonations, in an ups and downs of notes that often scratch the skin and the heart. Everything is compact, an expressive form typical of the concept: not the theme, not a story, but sounds rooted in a path that tells the genesis of a series of encounters, rejecting chance, to finally generate just over thirty minutes, in which time slips through the mists of snapshots that gather in an embrace.


It is a work that will not meet with the approval of the Italian public, stupefied by useless chasing after ridiculous homologation. And this is a good thing: there are no elements of precariousness or superficial theories in these compositions that would make the listener feel useless...

Instead, he will find consideration in those who know how to study, to touch the centre of gravity of these effervescent creations. 

If this were not enough, questions arise tepidly, because it is precisely the mystery of this work that allows our minds to create enclosures in which to confine astonishment and sweetness.

Chaos is controlled and pushed to introspection through a truly impressive analytical work.


The time has come to go and define these ten tracks and place in the outpost of our intelligence a bundle of curiosity...



Song by Song


1 - Glaze Over


A rhythmic impact, the lunar crossover of a warm, grey bass with guitars devoted to harmonic flights opens this work and it is immediately enchanting: where impetuosity tries to offend, Glaze Over summons time in a dreamy dance...



2 - Violet


The rhythm is kept high, Alessandro Mazzoni's voice visits Sarah Records and Francesco Casadei Lelli's drumming insinuates itself into the muscles with staccato, stop-and-go sessions that allow the two guitars to warm up the clouds of the early nineties...




3 - Gone is the day


Catherine Wheel's melodic lash of Ferment finds perfect grandchildren: it's lunar catharsis, it's a primitive animalistic force that passes through these slanting guitars and this bass that seems to make the sound fall... A poem can have a syncopated rhythm and the good intention of guitars that explore the belly of a time now full of melancholy


4 - Interlude


Just over a minute, but a crater finds a way to leave a lava without light: a mysterious interlude that creates suspense, visiting a form that aligns with the search for minimalist sounds...



5 - Failure


Here it is the hypnotic ballad that marries the sweetness of conspicuous textures, of careful vocal incursions that specify a splendid guitar phrasing to the point of giving the bass-drums duo the voice that covers this jewel. And then it's roar emanating from pedals and ideas that kiss good taste...



6 - Deadlock 


Pixies, Nirvana, Melvins: they could be the grandfathers of this splendid introduction, but never make the mistake of being sanguine as, after a few seconds, the hemisphere of this sound vault goes much further and to very different places. And so it finds itself in the sweet custody of a captivity that, when it wishes to expand, becomes a nocturnal volcano...



7 - Fall Apart


Here it is, swift and sexy, a comet that welcomes insights, stealing our breath and taking us towards the sound carpets dear to an unknown plethora of bands from Bristol and Brighton, back when the two cities were veritable industries of sonic outburst variations. Aggressive, tightrope walking, with the two guitars taking away safeties like witches to give us joy, ending up dancing in the waves of the sky...


8 - Number 87


A perfect song to underline the compositional maturity of the band from Cesena: everything seems to revolve around a riff that matures and engages, treasuring an alchemy evident with the period of an effervescence typical of adolescence, but the mature sound and the direction of these mechanics suggest a precise attention, because in the smoky tail of the sound hides a remarkable sensory embrace



9 - Surface 


Blood bubbles create moody vapours, a frenetic mode close to ancient industrial distributes mystery and suggestive vocations, in a slow and cacophonous horror, where the song form is destroyed, wisely, and the system of probing is used, through explicit sounds that tell more than a thousand words.

And it is tribal confusion, unease that knows wisdom and that shreds every musical painting previously expressed on the album. If there is an Everest in this record, here it is: from here one can see the band's capacity to go beyond itself..



10 - Sleep, Doom, Shelter 


How to end a track like this? With an atypical lullaby, misleading, but generous, at the same time, towards the sound of these gentlemen who range in jacks, imbued with sadness, with a vocal that expresses a moving propensity for words proudly displayed, while small explosions of guitar continue the contagion of this melancholic sound...


Alessandro Dematteis

Musicshockworld

Salford

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