IAMTHESHADOW - To End What Never Began
Ci sono leggende che provengono da antiche culture, disperse nell’aria ma ancora vive. Accade a volte che profonde anime contemporanee riescano a entrare in contatto con loro e facciano da tramite e da messaggeri, per espandere verità ineccepibili, per fare del buio dell’anima una spesa per la coscienza quotidiana. Dove acquistare consapevolezza significa bandire l’ignoranza e rendere il ventre un vulcano pensante.
Pedro Code è sicuramente un mago avente questo tipo di capacità e talento, colui che ai giorni nostri trascina quell’epoca e quei personaggi dentro il suo operato artistico, un sacerdote fuori da ogni ordine religioso ma in grado di trasformarci in esseri benedetti dai suoi innegabili poteri. La sua nuova opera è un simulacro incredibilmente mobile, ma nella quale il marmo freddo congela ogni fuga da parte nostra: un lavoro semplicemente pazzesco, arricchito di una modernità benevolmente falsa, perché non vi è dubbio che nelle sue mani ci sia un anelito arcano e un modo di fare in cui gli spiriti del passato risiedono. Insieme a Vitor J. Moreira mette su uno show non diplomatico di distruzione, alienazione e tormento, sino a creare una bolla di vetro che cade sulla nostra pelle.
Il Portogallo diventa una cantina che prende il volo con teatrale esuberanza e magnitudine, raggelando l’impavida fanciullezza di una realtà già morente a sua insaputa, e queste canzoni odorano di giuste bestemmie punitive, in una decadente trasfigurazione dell’intimità, attraverso una marea continua di synth per paralizzare il tempo, fatto già compreso nel titolo maestoso e graffiante, contenente un paradosso inevitabile per noi tutti.
Eccola la consapevolezza diventare una bandiera ammainata e sui cui brandelli spicca la coltre nebbiosa di un archetipo che trattiene la fuga. Il disco (una apparente distesa di coldwave tra incendi gotici e una dark electro piena di spilli) è una lenta processione di discorsi filosofici tra, appunto, le leggende e Pedro: giochi cupi di scrittura millenaria e ascolto di questi anni creano un fluido nerastro, in cui nulla potrà consolare e proprio per questo attendibile, maestoso e avvilente in modo stupendo.
La struttura compatta aiuta a cogliere la profondità di argomentazioni dalle catene piene di ruggine, dove la chiave della felicità è stata buttata in un giorno di delirio totale.
Aggressivo, disperato ma ricco di quella triste sensualità che lo rende perfetto, questo ultimo album non gioca mai con l’esistenza e, anzi, la prende a schiaffi con dolcezza. Sembra di vedere vecchie mani entrare nei cervelli e lasciare fango e muschio putrefatto: è solo la scena iniziale di questo bombardamento emotivo che fa della band della meravigliosa Cold Transmission una guida illogica davanti al silenzio. Tutto è un grido trattenuto, disperso, dilatato, imprigionato in una notte in cui le lacrime diventano il sorriso del dolore.
Il precedente, eccellente, The Wide Starlight, era ancora legato in qualche modo al passato del duo, tra abilità, mezzi efficaci e di qualità. Il nuovo capitolo non solo certifica la maturazione, ma specifica come un grande mantello sulla statua della loro intellettuale presenza generi una rottura pur conservando il dna, ed è qui, in questo incantevole contrasto, che gli IAMTHESHADOW riescono a diversificare se stessi e a integrarsi con un progetto che è una catapulta con lunga gittata.
La voce e la modalità del cantato sono davvero un delirio di luce spenta, capace di attraversare la gola e di sprofondare nel cuore, sfracellando i tessuti che incontra. La musica è vascello che accoglie cinquant’anni di tentativi, di finte convinzioni e le flagella semplificando il tutto con estrema chiarezza e sincerità: non ci sono pomposità, tratti manieristici di mestieranti incalliti, bensì un matrimonio ideale tra l’armonia, il ritmo e l’essenza, che conducono il tutto a uno scheletro stilistico davvero impressionante.
Una apologia che arriva al sacro, sublimando il respiro affannato, e, malgrado il grande uso dell’elettronica, pare solo un paravento delle composizioni degli angeli morti di due millenni fa. Le note cadono nel sentiero del silenzio, piegando la schiena degli alberi e delle foglie, delle nostre voglie di un vuoto che non ci responsabilizzi, ma la band di Lisbona ci prende per i capelli sentenziando, abiurando, solleticando gli incantesimi, trascinandoci su un altare dove non esiste perdono.
La mancanza delle chitarre, corpulente e gravitazionali, dei primi album è un atto di coraggio ma soprattutto un'astuta manovra di coscienza: non hanno più il modo di rendere credibili le peripezie delle anime tormentate. Invece questi incroci geometrici e torrenziali di synth, loop, uniti alla fedele drum machine, conferiscono il potere dello stordimento, facendoci scattare in piedi, a due centimetri dal baratro.
Adorabile è l’immediata espressione di una lava congelata che ti arriva in volto, con tastiere come lame, campionamenti destrutturati e un archivio di segreti che mostra solo la punta dei suoi capelli. È danza continua, fluida, a contatto ma non connessa con il passato: gli IAMTHESHADOW sanno come distinguersi, essere fuori dal calderone, dagli schemi e presentare un conto salato in quanto l’ascolto di questo To End What Never Start è un manifesto purificatorio, un agglomerato di novità data la sua integrità caratteriale e con lo scopo, struggente, di mettere fine all’idiozia. Come una lezione di vita tra le note, in un giorno di scuola senza intervallo, come uno di lavoro senza stipendio, dove non ci sono lasciti bensì continue pressioni…
Serve un sorso di liquore che annebbi la vista e gli altri sensi per poter resistere a questo atto di crudele bellezza, brano dopo brano…
Song by Song
1 - To End What Never Began
Il tempo, con il suo dilatarsi su colline piene di polvere, viene rappresentato da questa apertura strumentale, un insieme di umori capitalizzati da una tastiera che lo circumnaviga sapientemente, per rendere il dolore palpabile attraverso poche ma toccanti note.
2 - Bleed Dry
Il secondo singolo ad anticipare l’uscita di questo nuovo album è un tormento che, attraverso il cantato e una operazione musicale chirurgica, riversa sull’ascoltatore la connessione sempre precisa del duo, con compatta discesa nei circuiti mentali di chi ha ferite multiple. Quando la dark electro vive di scintille nel magma di una coldwave ubbidiente.
3 - This Vertigo
Si sale, di ritmo, a contatto con la drammaticità di un’anima in dissolvenza: una canzone che ci ricorda l’importanza dei Clan Of Xymox nel loro periodo più disturbante, in quanto qui assistiamo a una processione elettronica con sapiente aggregazione elettrica, per un incredibile momento in cui i synth si sposano con un fare pop nerastro.
4 - Pain Come Close
Ecco il primo singolo trovare nel contesto dell’album ancora più espressività, sacralità, nella sua danza triste, siderea e angosciante. Un meraviglioso atto di semplificazione che mette i brividi addosso, perché la tastiera è un martello che alterna durezza e dolcezza, mentre Pedro pontifica e benedice il testo con malinconica attitudine.
5 - Changing Spaces
Ci si ritrova ancorati a questo vagabondaggio dei luoghi, qui sottolineati, palesati e descritti sapientemente con il silenzio che si insinua nelle note provocando spasmo e delirio. Il sentore è Darkwave, ma su una patina Post-punk dove l’incrocio rende questa canzone un ponte da cui far tuffare la nostra anima negligli spazi che sotto di noi cambiano…
6 - Seizing Emptiness
Un riassunto, una fionda, un pamphlet pieno di fuoco dentro una zolla di ghiaccio riassume un'intera carriera ma, in questo album, traduce e trasporta lo smarrimento dell’esistenza in un circuito dark electro di notevole intensità, attraverso una linearità indiscutibile e incredibilmente calda…
7 - Hell Is Where Your Heart Is
Il duo portoghese sa come coniugare melodia e drammaticità: un pilota viene assunto per guidare i sogni all’interno di una sfera arrossata e ricoperta di combustibile. Echi di anni Ottanta nelle cantine piene di lacrime saltano nel cielo, con la parte strumentale battente e vigorosa, mediante un synth strategico e malefico.
8 - All That You Might See
Basterebbe l’introduzione, quei pochi secondi gonfi di sale in putrefazione, per fare di questa traccia il nascondiglio delle nostre paure. Note presidiate da un sentore cosmico, avallate da una voce che pulisce il cielo, e la percezione che esista una cecità palpabile in queste flagranti attività sensoriali…
9 - Next Belief
Una tavolozza plumbea controlla il battito del cuore: una canzone che è teatro antico, una slavina di condensati marini, come alghe in libera uscita, avanza su note piene di vapore, in sospensione continua…
10 - Ties To The Lost
Uno stato febbrile si deposita in questo amalgama danzante, un tormento che definisce l’assoluta esplosività della perdita, con una trama che avanza dilatandosi quel poco che le serve per divenire un Dio in cerca di rassegnazione. Triste, impietosa, rovente, una pallottola lavica che affonda inesorabilmente…
11 - A New World
L’inizio ci fa immaginare i Front 242 in trasferta a Lisbona, ma poi è tutta opera del gruppo portoghese quella che si manifesta in questa esplorazione territoriale, attraverso una schematica incursione nelle secche pozze di strade senza più anima…
12 - As The Infinite Drowns
L’atto conclusivo è un sogno che si materializza, in modo chiaro, sottile, delicato, nel suo momento iniziale, per poi cercare ritmo e drammi in torsione: il cantato produce quella dose di brividi necessari per chiudere il cappotto e iniziare un cammino nei sentieri di un futuro incerto. Il ritmo è il trono su cui la melodia, secca e piena di lacrime, crea un connubio che provoca commozione…