La mia Recensione
Puressence - Puressence
1996
Manchester, Inghilterra
Produttore: Cliff Martin
Label: Island Records Ltd
Nella metà degli anni 90 a Manchester esistevano due schieramenti musicali dirompenti: quello post-punk e quello legato all’elettronica con brutti ceffi dediti alle droghe e comportamenti spesso violenti.
Il Brit-pop stava già scemando come interesse forse proprio perché non definiva un preciso genere musicale bensì un agglomerato confuso che era destinato, proprio per questo motivo, a cedere e a morire.
Le realtà più interessanti arrivavano spesso dalla periferia della città, da dei borghi, da piccoli paesi dove esistevano motivazioni diverse.
Ma esisteva un controllo da quei pochi che avevano il potere di decretare il successo delle band. L’abbondante offerta ricca di qualità era sinonimo di un parziale problema, che veniva risolto in fretta supportando quelle formazioni che avevano contatti “importanti”.
Da qui inizia la lunga lista di gruppi sconosciuti o semi-sconosciuti che, pur avendo quasi sempre uno stuolo di fedeli ammiratori, non aveva accesso ad una dimensione di conoscibilità: a Manchester la meritocrazia, la gavetta non sono mai stati il motivo del successo. Poche eccezioni, questo bisogna considerarlo: The Smiths e James su tutti.
Ecco allora che da Failsworth, cittadina a sei chilometri dal centro di Manchester, Anthony Szuminski, Neil Mc Donald, Kevin Matthews e James Mudriczki, quattro ragazzi vispi, profondi, tutt’altro che spensierati, decidono di tentare il percorso musicale. Sin dal primo singolo (Siamese, 1992), tutto era chiaro: la qualità era immensa e bisognava farle posto, nel momento in cui la città viveva già del delirio dei meno abili e interessanti, dal punto di vista musicale, Oasis.
E prima dell’album di esordio, omonimo (29 aprile 1996), avevano già pubblicato 5 singoli. Ma niente da fare, per loro non c’era posto.
Lo spazio toccava ad altri.
Ma è proprio la capacità dei Mancuniani di capire la loro qualità che non ha impedito di innamorarsene e di creare una appassionata devozione nei loro confronti.
Non hanno colpe: avrebbero voluto che la band di Failsworth mettesse le ali e volasse per tutto il mondo.
Non è andata così e questi ragazzi sono rimasti, ahimè, un segreto che non ha potuto abbandonare lo scrigno nel quale erano stati relegati da persone non legate alla propagazione di una classe indiscutibile.
L’album di esordio è una adunata che partendo dal Post-punk circumnaviga l’elettronica minimalista, convogliando spruzzi Shoegaze con quella psichedelia leggera che non disturba chi non la ama ma che rende felici i puristi, sino a inserire nelle composizioni semi di quella Soul music che li ha ispirati parecchio in alcuni passaggi.
Il tutto sempre con una maschera per rendere il tutto una tela opaca, comunque splendente.
E poi lei: la malinconia che come sorella siamese vive nella voce unica, riconoscibile e pazza di James.
Tutto ruota intorno a questo miracolo: per alcune band avere una voce simile è sinonimo di successo, per altre invece ne decreta l’impossibilità di dare spazio alla musica.
Quanto alcuni limiti nell’ascolto siano stupidi e dannosi lo si può comprendere ascoltando le 10 canzoni di questo esordio scoppiettante.
Un delirio infinito di esplorazioni, con testi cupi e descrittivi delle condizioni di disagio esistenziale e della solitudine, dei desideri, messi sempre di più in discussione.
Ascoltando questo lavoro si ha la percezione della fatica, dei nervi che graffiano le mani, di occhi sempre più vicini al desiderio di conoscere la fine. Le chitarre sono carezze, come pugni devastanti, alla ricerca di quella zona che possa condurre James a trovare una linea melodica spesso spiazzante e dolorosa.
Il momento per scrutare come spie affamate dentro allo scrigno è arrivato: le dieci canzoni che sto per descrivere potrebbero trovare posto dentro la vostra sensibilità regalando, postuma, una notorietà che meritano ancora…
Song by Song
Near Distance
Con un inizio che ricorda i migliori The Chameleons e gli ombrosi U2 di October, si arriva presto a sentire James cantare e l’emozione esplode ben prima che le cupe chitarre salgano di intensità.
Un lento rintocco di chitarre come campane funeree con echi calibrati creano un’atmosfera quasi drammatica. Poi è un crescendo Post-punk che giunge alla completa esaltazione senza necessitare delle deflagrazioni.
I Suppose
Sono i The Sound ad apparire nei primi secondi, poi una cupa rasoiata di chitarra e la grancassa creano la possibilità di un suono cresciuto dove lo struggente cantato ci commuove. Le chitarre si fanno più grevi ed il cantato sale di intensità. Ed è un delirio di voci raddoppiate, un drumming intenso e ci si concede uno stordente mutamento dell’umore.
Mr. Brown
Eccole, addensate, infreddolite sul bordo del canale Irwell: sono le lacrime che si sono radunate dopo l’ascolto di questo flusso malinconico che genera fulmini, tuoni e laghi di gocce che nascono da occhi tristi. Tra Shoegaze e Post-punk, il brano riserva cambiamenti, sorprese, con una parte chitarristica, poco dopo la metà, a rivelare traiettorie di lacrime cupe che tentano la fuga.
Understanding
Arriva la tenerezza, un piano ed è subito incanto: il cuore trova un abbraccio nei saliscendi di una voce con le piume dense di poesia.
Si respira Manchester in questo brano: una certa lentezza, una fiacchezza che diventa un merito, un pregio, perché la storia del testo offre una intimità che fa aprire la testa ed il cuore, per una ballad moderna, intensa.
Fire
Una nuvola scende cambiando abito: diventa una pioggia di notte e arriva prima leggera e poi come tumulto del cielo desideroso di renderci fradici e senza forze. Una delle qualità più grandi dei Puressence è di creare tensione emotiva con i brani lenti. Ma arriva sempre il fragore che scuote!
Traffic Jam In Memory Lane
Una chitarra iniziale che ricorda Painted Black e poi via: è un treno il brano, viaggia spedito ed è un post-punk vellutato, si nasconde, ma il basso e la chitarra qui dimostrano di aver imparato la lezione. Soltanto il canto può separarsi da ogni condizionamento per generare un combo perfetto.
Casting Lazy Shadows
Anche quando si concedono a melodie e modi più abbordabili, come in questa sensuale canzone, i Puressence sanno stupire: gli 80’s sono qui, tra riferimenti afferrabili, verso quel pop su basi alternative che attira attenzioni.
You’re Only Trying to Twist My Arm
La chitarra iniziale inganna: parrebbe di trovarsi in una zona quasi glam ma poi il brano offre cristalli di cambiamento in divenire, come trappola che sa accattivarsi le simpatie. E gira su se stessa: è la chitarra che guida tutti verso la sua fame di potenza lenta.
Every House On Every Street
Quanto i Radiohead e i Puressence abbiano in comune lo rivela solo questo brano ma ci sono punti in contatto, minimi però ci sono. Da questa canzone negli anni 2000 molte band hanno tratto beneficio e spunto. Un elenco enorme.
Conquista per essere delicata senza cercare un ritornello semplice e banale. Come sommessa, nascosta, mostra la testa quel poco per farsi adorare.
India
Della serie: quando il capolavoro arriva con l’ultimo brano di un album.
Avevamo avuto già i The Psychedelic Furs con una canzone dallo stesso titolo che ci aveva stregato.
Qui, Dio volendo, è forse addirittura meglio.
La struttura è una piovra, nervosa, ficcante, contorta, che flirta con la stessa modalità dei serpenti: il fato ci strega e cadremo nella sua bocca.
Uno dei momenti di maggior classe della loro intera carriera, insegna cosa è Manchester al mondo: un cielo aperto a dare ad ogni secondo una intensità che accoglie e sviluppa modi e sensazioni per definire il tutto come un laboratorio di attriti e melodie che senza affanno conducono allo smarrimento. Un groviglio che stabilisce le loro capacità, scappando dai cliché per trovare nei loro impeti linfa e solitudine.
Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
15 Marzo 2022
https://music.apple.com/gb/album/puressence/1444055244
https://open.spotify.com/album/1PaFjTRJkrxfviZ1TzRHpV?si=3aYhGITDTSqcyMM3d4-GgQ