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domenica 28 maggio 2023

La mia Recensione: The Smiths - The Smiths

 

The Smiths - The Smiths

L’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è.

(Paul Klee)


C’era una volta un semaforo, nel bel mezzo del cielo grigio di un agglomerato urbano ribelle ma muto, che vedeva scorrere le vite disoneste, spente, piene di allergie, e fermava tutte queste anime con l’apoteosi di musiche che accendevano entusiasmi che appassivano dopo pochi minuti: Manchester degli anni Settanta era uno strano coacervo di passi, sentieri, sbagli e ipotesi, in cerca di una esplosione, che si augurava di determinare molto in fretta. Ci avevano provato tre band, in ordine cronologico: Buzzcocks, Magazine e una che ha fatto molto di più di tutto questo, accelerando la catastrofe della città, perché dopo di loro sarebbe sorta una sterilità che non avrebbe fatto altro che metterla completamente da parte. Oggi non è più la capitale inglese della musica, e va bene così. Ma il vecchio scriba ha potuto capire quale è stato il momento del parto che ha reso quell'agglomerato urbano incapace di generare altri figli. Sono stati quattro cadaveri, quattro spavaldi intolleranti, incattiviti da metodiche che lasciavano al futuro solo sogni, velleità e illusioni. Ma Stephen, Johnny, Andy e Mike avevano le redini, il bavaglio, tele di catene con i brividi appiccicate a canzoni che sapevano divenire la bottega della miseria, nella notte arrossata di un percorso senza finestre.
L’album di esordio è uno straordinario errore, una incapacità folle di essere banali e prevedibili, un osceno affronto alla civiltà britannica ancora devota a conservare l’arroganza di poter conquistare e dominare. In fondo pure loro volevano arrivare al potere e lo hanno ottenuto, passando dalla porta sul retro di una casa senza lustrini (quelli li avevano presi i New York Dolls e il buon Marc Bolan), per rimanere nello scantinato tra giovani e immortali rughe e riff che potevano ferire il cuore di chi (vi ricordate Ian Curtis?) aveva già dichiarato il fallimento di un sistema, per prendere le distanze e crogiolarsi nella bellezza, quella atomica, quella che non lascia respirare nemmeno i sogni.
The Smiths ferisce, molesta, offre chiodi e siringhe, storie sbilenche, raccapriccianti ma vere, quindi credibili e in grado di squarciare il perimetro della città di quel canale del quale il cantante dinoccolato aveva avuto la necessità di mettere a bordo la storia. Musiche astute, perché lontane dal Post-Punk pur avendo l’odore di una ascella malata di stanchezza. Fatte di piume Pop con il timbro di una decade che per davvero aveva illuso tutti, ma avendo lasciato almeno una luce spenta: non ci sarebbe stata più tanta allegria…
Questi ragazzi avevano l’umore di una giornata in miniera pur avendo i polpastrelli lucidi e ben pettinati, ma una volta che toccavano gli strumenti ecco una ribellione improvvisa a rendere penosa ogni reazione. All’arciere Morrissey il delicato ruolo di confezionare frecce, pallottole, bombe e mine anti-stupidità: si doveva cercare il torbido e imbalsamarlo.
Ma del colore delle composizioni di questo anfiteatro inglese ne vogliamo parlare? La storia ci dice che i quattro sono riusciti a spaventare genitori, amici, gli incoscienti, gli inutili, gli spavaldi collezionisti di squallide avventure, nel momento in cui la città non riusciva più a farsi il trucco di giorno, ma solo negli appuntamenti di quella grande puttana che è la notte Mancuniana dei primi anni Ottanta. Il metallo cola dalle chitarre di uno gnomo, un puffo che, come in un bisogno anacronistico, si permette di scavalcare il tempo e di prenderlo in giro con l'atteggiamento di chi piange mentre fa sorridere la musica, nel delirio di una classe incontrollabile, effervescente, che miscela funky, rock, pop, blues, punk e la follia di chi nelle note immette passione e una dose di freddezza ordinata dal dottore dell’imprevisto, un tipo strano ma necessario.
Il basso in questa band, nel presente disco, è una carezza di piombo, lontana dai cliché di chi cercava il dominio, l’arroganza del capobanda in quanto, si sa, è lo strumento più importante di una formazione dedita al rock. Andy Rourke ha avuto il coraggio di sembrare un soldatino obbediente al servizio del Re Marr, per lasciare al suo regno la luce, la scena. Ma che inganno! Sui suoi solidali voli, tutto sembrava ordinato, pieno di polvere e in grado di incollare trame e nuvole che lo gnomo non smetteva di disegnare nella granitica Manchester. Vedremo poi cosa è riuscito a combinare. Mike, l’uomo del caso, diviene qui la vincita milionaria, il metronomo di ogni talento, il vigile e il tappeto su cui tutto poteva scivolare e frenare, collaudando uno stile poi divenuto essenziale negli anni Novanta. Un’anima silenziosa che nel disco sculaccia la prevedibilità e insegna al mondo intero che leggerezza e potenza sono solo coordinate parallele di un volo senza catene: non il genere, non la tecnica, bensì il progetto, per creare una impalcatura senza possibilità di crollare.
L’lp è frutto di una avidità eclatante, una burrascosa predisposizione a rendere la canzone un pulcino in una giornata di pioggia, nuda e disarmata, per portarla nel caldo cuore delle sue dita vellutate. Johnny Marr è il più adorabile sbaglio della città di Manchester: un Re che si lascia crescere i capelli per nascondere il suo talento è destinato a essere detronizzato in fretta, ma sono passati tanti treni, tanti regni senza che nessuno sia stato in grado di ridicolizzarlo.
Ha portato in studio novità clamorose, effetti, amplificatori, stili e la colla magnetica che può possedere solo chi con un riff non si gioca la vita bensì la schiaffeggia con la risata di un regnante senza corona. Il buon Marr ha anticipato usando il passato di chi non voleva più considerare, ha illuminato i polsi di errori chiusi a chiave da tanto tempo. Dalla sua collezione di dischi sono usciti stimoli, impulsi e tanta voglia di mare. Che ha saputo inventare e sul quale il profeta/poeta di Stretford ha fatto nuotare le parole più cupe, più arroganti e strazianti che si potessero immaginare. Ma Morrissey è andato oltre: sapete di cosa parlano i suoi capricci verbali? Quali sono i temporali mentali della sua indole pseudo ignorante? Quali sono le pallottole che ha lucidato per costruire un romanzo senza l’ultima pagina? Quest’uomo ha elevato l’arte, portandola nel Millequattrocento, buttando via la storia successiva e togliendo alla verginità dei sogni la possibilità di un ristoro, fosse pure temporale. I suoi testi rendono buia Salford, Deansgate, Bury, Oldham e le zone limitrofe, per divenire spazzatura da congelare. Sono catastrofi piene di logiche senza senso per i più, estremamente importanti per i meno, che qui, nel nord ovest inglese, sono una muta maggioranza ed è proprio quella parte della città che ha tributato subito considerazione nei confronti del poeta occhialuto, mostrando un ostinato bisogno di nutrirsene. Burrascosa la produzione, tanto da dover registrare daccapo l’album, cambiare il timoniere del suono e fare il tutto velocemente, visto che la Rough Trade non aveva soldi da perdere stupidamente…
Poi: la magia, a rendere cieche le orecchie e muti gli occhi, per incastrare il sole nella sofferente periferia Mancuniana e dare alla violenza suburbana il palco. Così come alle storie piene di sbavature, come una scialorrea inevitabile consequenziale all’approdo enigmatico di identità votate al terremoto morale. Morrissey ha saldato la verità con ironia, rendendo merce prelibata e senza prezzo il pensiero, la scelta di passeggiare con il raziocinio dentro le inquietudini, sia quelle adulte che quelle adolescenziali.
Ed eccoci, tutto è da consegnare alla lente di ingrandimento, all’ispezione anale di una volgare attitudine da parte di un quartetto che ha saputo squarciare il cielo dell’idiozia e inondarlo di gladioli.
Il dovere chiama: sia accesa la luce di uno stratagemma che comprende l’analisi di una verbosa ed esasperante capacità di cambiare per sempre la vita di chi vi scrive…

Song by song 

1 Reel Around the Fountain

Si può prendere la verginità della pelle, di un’anima e gettarla nell’indifferenziata, di una raccolta malata e malandata, e farla divenire una rovente denuncia? Se sei Morrissey sì, amaramente, con le lacrime ossidate, le chitarre arpeggianti nel letto del canale Irwell, il testimone muto di molte porcherie. La canzone è lenta, prevedibile, noiosa, sprezzante, un’atomica che guarda con cattiveria il polso di un adulto strappare il sogno di un fanciullo. Joyce martella con rispetto, e lo fa con la sua grancassa lucida. Andy si siede sulla storia e accarezza le quattro corde quasi con paura. Lo gnomo trova la chitarra chirurgica, poi si chiede l’aiuto di un noto musicista, gli si lascia il piano ed è tutta la magia nera di uno strupo che sale al cielo là dove Morrissey racconta e aspetta….

2 You’ve Got Everything Now

Si cambia decisamente ritmo, generi musicali tenuti incollati in una strofa che pare giungere da una marcia gracchiante di chitarre americane, sino all’organo che nel ritornello fa diventare tutto così selvaggiamente Sixties. Johnny comincia a marcare il territorio, come un felino, piscia la sua magia sulle dita che si contorcono, obbligando Andy a divenire un danzatore di trame funky, del sottobosco di quella parte del Merseyside così poco nota alle anime stolte. Un brano che poi, se lo si ascolta bene, sarà la base di una modalità espressiva ritenuta inspiegabile, in libri affannati di scrittori senza talento: Morrissey qui si rivela il maestro delle certezze, quelle senza luce, senza interruttori, ed è solo la trama musicale a tenere il sorriso dentro l’ipotesi…

3 Miserable Lie

La bugia più grande si nasconde nell’arpeggio intrigante e quasi triste di Johnny, una Reel Around the Fountain che ritorna: non è così, è una falsità che subito lascia sangue sul terreno di un'accelerazione Post-Punk ma con nell’anima tutta la radice del Northern Soul più antico e meno celebrato. Chitarre rockabilly, un solo che concede a Morrissey l’isteria sublime di un falsetto che o uccide o attira, o annoia o diventa il pretesto di un'emozione così intensa da essere una droga pesante. Ma i veri regnanti sono Joyce e Rourke, scheletri sublimi, artefici di ossa che fanno danzare e che consentono a Marr di divagare, divertirsi e farci perdere la bussola…

4 Pretty Girls Make Graves

Il futuro degli Smiths nasce in questi tre minuti e quarantatré secondi: la periferia del talento si dirige velocemente verso Piccadilly Gardens, nel cuore della città, nel ventricolo generoso di una melodia che pare rubata in modo irrispettoso a Sandy, la cantante scalza che poi darà un pugno alla band osando accettare l’invito di Morrissey… Ma torniamo al pezzo in questione: tutto si fa chiaro in quanto le melodie sono fumogeni, il ritmo la semplice e fuorviante messa in scena di uno spettacolo che prevede, come protagonisti, vittime che si illudono di detenere il potere. E via, tutto sembra così lontano dai synth, dai ritornelli banali e inutili, e la band Mancuniana con questa semi-ballad pop dà una frustata al circostante, all’elettrica danza  di gruppi infarciti di bruttezza e cataclismi addominali. Qui il falsetto è una fucilata, la chitarra semiacustica il bisogno di visitare da vicino il Country tanto caro a Marr, e la voce è l’Irwell ripulito e disinfettato da una propensione così vicina al richiamo, sempre sublime, di un annoiato Dean Martin capitato per caso nei paraggi. Dal finale della canzone Johnny prenderà i frutti di semi che si riveleranno ancora prelibati nel successivo Meat is Murder…

5 The Hand That Rocks the Cradle

Manchester esplode, con una ninnananna quasi torbida, un viso piangente dentro una melodia che pare imbalsamata dalla perfezione di un incrocio di chitarre e dal basso di Rourke che proviene dal garage di ogni ascolto adolescenziale. Sembra di essere nella periferia nord-est della storia del pop, là dove tutto iniziò: bastano poche note per inchiodare le lacrime al cielo e Marr lo sa bene. Una ossessione schematica, tutto ridotto, nessuna concessione ai ritornelli, tutto liofilizzato, tutto sufficiente a stringere i bisogni e polverizzarli. Gotica più dei Bauhaus, dei Cure, è una sciarpa invernale che con la sua tendenza terribilmente noiosa riesce a uccidere ogni desiderio di vita: semplicemente perfetta…

6 This Charming Man

Aladino era impegnato, Nerone giocava col fuoco, Giovanna d’Arco sarebbe arrivata poco dopo, ma c’era da riempire il vuoto consequenziale creato da una parata di errori che la storia voleva negare. Ci ha pensato Morrissey, creando l’assurdo movimento di una ipotetica intolleranza alla bellezza, devastando con parole fulminanti, allo stesso modo di Marr che, con quell’introduzione, ha spaccato la musica, gettandola nella mediocrità, perché quei pochi secondi sono lo scettro che brilla nelle lacrime solitarie di un inviperito destino designato dalla poesia scorticante di un leader che con questo brano stravolge il cielo. Un su e giù pelvico, sensoriale, che unisce voce e chitarra per lo stesso destino: dare la voce alla pianura affinché sia capace di arrivare a Dioniso…

7 Still Ill

C’è un ponte che collega la mitologia alla polvere di una piccola famiglia operaia (al tempo) che si chiama Stretford, nel passaggio peccaminoso di desideri incollati all’Inghilterra volgare e provocatrice di atti osceni. Marr impazzisce, trova binari non paralleli, per condurre la sua chitarra tra il paradiso e il purgatorio. Gli altri tre sono già all’inferno, data la cattiva condotta e il malvagio comportamento che ha fatto sì che l’umana esistenza conoscesse la perfezione: non sia mai! I sogni bussano, spingono, ma la sensazione di una mente malata non lascia il corpo di una mente che sublima il tutto pilotando la volgarità verso la saggezza…

8 Hand in Glove

Una grattugia, stimolata da un’armonica a bocca acida, sgretola la pelle della Gran Bretagna, a colpi di pagine di carta, di teorie e trame perverse, di una fantasia che ha il potere di rendere cattivo l’alito e il pulsare del cuore. Tutto si rende capace di divenire un moto carbonaro senza base e infatti Morrissey chiude a chiave l’accesso di ogni comprensione con una scrittura che prende in prestito il talento del mai deceduto Oscar Wilde. Moz scrive la storia per sotterrarla così come fanno le dinamiche del primo Novecento, qui nelle mani dei tre musicisti che agiscono con una terapia d’urto, come un TSO inevitabile. Ed è pura paura, puro scuotimento, febbricitante e furbastro, per dare catrame a ogni vascello e renderlo affondabile. La semplice risposta, ma assai profonda, che il bardo scrive per dare alla sua matita la possibilità di incidere meglio di un bisturi…

9 What Difference Does It Make?

Quante zampe ha una chitarra? Quante corde ha il nervo teso di un basso? Quante bolle vivono sulla pelle di un tamburo? Quanta poesia resiste nelle tenaglie di un dubbio? Le risposte, spavalde, respirano e muoiono in questa valanga, tra rock, psichedelia, rock and roll e follia primitiva dalla barba incolta…
Non un brano ma un altare, pagano, sulle rive del mare in burrasca, di una scoscesa perlustrazione, atta a ripulire la musica, tutta, dall’avanzamento tecnologico. Gli Smiths si rifiutano di pulire il culo alle giovani band emergenti, mettono gli artigli negli anni Sessanta e sconquassano il cielo di Manchester, senza paure…

10 I Don’t Owe You Anything

Qui nacquero gli Herman’s Hermits, la band Mancuniana per eccellenza, quella che portò le persone a conoscenza dell’esistenza di questo grigissimo posto. Fecero di tutto per renderlo allegro. Il penultimo brano di questo album di esordio sembra ricordarci la tempra, l’assoluto coraggio nel cercare una melodia che abbracci il sole. Ma Houston, abbiamo un problema, e pure grande: Morrissey canta come se fosse chiuso nel dondolio di una altalena spinta e dipinta dalla signora con la falce perché il suo è un approccio sbavato di vita, gonfio di un ventaglio gelido in grado però di appassionare, il mare in burrasca che, per contraddizione subliminale, seduce e pare una parodia più che accettabile. Lenta, grassa, spigolosa, incantevole come un giardino piovoso, la canzone è un rotolo di cartapesta che saprà ingravidare le stelle…

11 Suffer Little Children

Si va al Cinema, di mattina presto, tra scorticate idee primordiali, e la paura della gioia. La trama letteraria è da premio Nobel, ma con il sangue che finisce sul papiro, così come il basso di Rourke che sembra morire di stenti, solo la batteria di Mike sembra procedere, con semplicità, dentro una fossa che la chitarra di Johnny ha costruito ascoltando gli amati New York Dolls. Non stupisce che il brano più malinconico sembra un’atomica cinese, il fungo che sale sopra il cielo di Manchester lasciandolo spoglio di ogni alito di vita. Come un pranzo finito male, come una stretta di mano che diventa un pugno, così fa la canzone che stabilisce il punto di contatto celebrato precedentemente dentro la Cappella Sistina: l’umano e il divino si sfiorano per creare, nella immortalità, il pretesto di un sogno…

Un esordio, un inizio, e il libero arbitrio sul palmo delle vostre mani: a voi la scelta se obbedire all’orgasmica tentazione della sirena The Smiths o se rimanere fermi alla ridicola propensione di essere umani…

Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
28 Maggio 2023

https://open.spotify.com/album/6cI1XoZsOhkyrCwtuI70CN?si=c23HAts-TA6KNzTPnStnSg




giovedì 4 maggio 2023

My Review: Gintsugi - Mon Coeur

Gintsugi - Mon Coeur 


Writing through tears is sometimes a boundless thank you: it happens when magic, depth, intensity establish a strong contact between those who create and those who enjoy it.

Of her, the enchanting Luna Paese (aka Gintsugi), the Old Scribe has already spoken and he returns to do so because a spectacular song is coming out, one of those that will be part of the album (The Elephant in the Room) to be released in October.

The mouth opens wide, the shock advances in the room of amazement, with a great difficulty in feeling worthy of this vessel of medieval woodwinds running through the blood. A piano traces the course, for fingers that know well where those notes must glide: well into the stomach of Time, and they succeed in doing so because they have decided to make us lean towards the imagination, with customs and life from a few centuries ago. And, like an oil lamp, comes the Italo-French artist's vocals, which are a grassy mantle that spreads over the keyboard of her instrument and creates a story in which the pain, given by the impossibility of a love between two men, sets the conscience on fire, using a register of voice that dances between the low and high registers, to give credibility to a lily that is born in the heart while listening to this murderous delight. You can also hear her hand in the arrangements: the harmonic and melodic use is resoundingly perfect, masterfully supported by a precise electronic line that unites the distance of time and makes everything credible. Dramatic yet streamlined, soft and capable of showing rough edges, the composition is a statement of strength that makes this artist able to look her colleagues in the eye. No, let there be no juxtaposition, no wasting of energy, no seeking of escapes: Gintsugi has her own style, her own sensitivity, a pen and a strength which deserve some deep listening. A song that has in its evocative melody its magnetic wave, a triumph of salt thrown over mistakes, the conscience of a woman who takes sides and works to defend human rights, in this case those related to love. And she invents a story in which she finds solutions. One also notes the sublime work of an arrangement and production (in cohabitation with Andrea Liuzza, owner of the Beautiful Losers record company) that establish that the details of this incredible enchantment were made possible by the great initial idea. Those hands, those notes, that voice: heaven welcoming a secular prayer that respects the right to love. The song is a clear emblem of this, bringing attentions, reflections and impulses, as a profound contribution to respect.

It happens, therefore, to experience it as an act of displacement, of participation, where inequalities and differences are surrounded by the wisdom of the track, an engine that lives its moment with ease even as it creates ancient suggestions. Memorable, dense, it will only enter your awe as it happened to the Old Scribe: if contamination exists, let it at least be for something beautiful and healthy, and Mon Coeur certainly is...



Alex Dematteis

Musicshockworld

Supino

4th May 2023


Out on 5th May 2023


https://gintsugi.bandcamp.com/track/mon-coeur





La mia Recensione: Gintsugi - Mon Coeur

 Gintsugi - Mon Coeur 


Scrivere tra le lacrime a volte è un grazie senza confine: capita quando la magia, la profondità, l'intensità stabiliscono un forte contatto tra chi crea e chi gode di questo.

Di lei, l'incantevole Luna Paese (in arte Gintsugi), il Vecchio Scriba ha già parlato e torna a farlo perché sta uscendo una canzone spettacolare, una di quelle che farà parte dell’album (The Elephant in the Room) in uscita a Ottobre.

La bocca si spalanca, lo shock avanza nella stanza dello stupore, con una grande difficoltà nel sentirsi degno di questo vascello dai legni medievali che scorre nel sangue. Un pianoforte traccia la rotta, per dita che sanno bene dove quelle note debbono planare: ben dentro lo stomaco del Tempo, e ci riescono in quanto hanno deciso di farci inclinare verso l’immaginazione, con costumi e usanze di qualche secolo addietro. E, come una lampada a olio, arriva il cantato dell’artista Italo-Francese, che è un manto erboso che si stende sulla tastiera del suo strumento e crea una storia nella quale il dolore, dato dall'impossibilità di un amore tra due uomini, incendia la coscienza, utilizzando un registro di voce che danza tra i piani bassi e quelli alti, per dare credibilità a un giglio che nasce nel cuore mentre si ascolta questa delizia assassina. Si sente la sua mano anche negli arrangiamenti: l’utilizzo armonico e melodico è clamorosamente perfetto, magistralmente supportato da una precisa linea elettronica che unisce la distanza del tempo e rende tutto credibile. Drammatica ma snella, morbida e in grado di mostrare lati ruvidi, la composizione è un attestato di forza che rende questa artista capace di guardare negli occhi le sue colleghe. No, non si facciano accostamenti, non si sprechino energie, non si cerchino fughe: Gintsugi ha il suo stile, la sua sensibilità, una penna e una forza che meritano una profondità nell’ascolto. Un brano che ha nella melodia evocativa la sua onda magnetica, un trionfo di sale gettato sugli sbagli, la coscienza di una donna che si schiera e si adopera a difendere i diritti umani, in questo caso quelli connessi all’amore. E inventa una storia nella quale trova le soluzioni. Si constata anche il lavoro sublime di un arrangiamento e di una produzione (in coabitazione con Andrea Liuzza, titolare della casa discografica Beautiful Losers) che stabiliscono che i dettagli di questo incredibile incanto sono stati resi possibili dalla grande idea iniziale. Quelle mani, quelle note, quella voce: il cielo che accoglie una preghiera laica che rispetta il diritto all’amore. La canzone ne è un chiaro emblema, portando a sé attenzioni, riflessioni e slanci, come un profondo contributo al rispetto.

Accade, quindi, di viverla come un atto di spostamento, di partecipazione, dove le disuguaglianze e le differenze vengono circondate dalla saggezza del brano, un motore che vive con scioltezza il proprio momento anche se crea suggestioni antiche. Memorabile, denso, non potrà che entrare nel vostro stupore come è accaduto al Vecchio Scriba: se esiste una contaminazione, che sia almeno per qualcosa di bello e sano e Mon Coeur lo è di sicuro…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Supino

4 Maggio 2023


Uscirà domani 5 Maggio 2023


https://gintsugi.bandcamp.com/track/mon-coeur










giovedì 27 aprile 2023

La mia Recensione: Lunar Twin - Aurora

 Lunar Twin - Aurora


Riassumere il tempo e il mutamento dei luoghi in musica: credete sia una cosa semplice? Per nulla.

Eppure questo è ciò che accade ascoltando Aurora, che evidenzia l’enorme passo avanti rispetto a Ghost Moon Ritual, che già presentava momenti di intensa bellezza. Ma è davvero così, Bryce Boudreau e Chris Murphy in questo nuovo lavoro raggiungono il baricentro di una sensibilità che rivela dolcezza e la capacità di essere perfettamente in grado di connettere la sensualità. Lo scenario, l’impalcatura e le suggestioni consequenziali sono tutte dentro un’armonica flessione verso l’immensità della rifrazione della luce, mostrando come le loro canzoni siano gioielli sonori sotto i palmi di un tramonto che si ritrova inebetito per questa cura del dettaglio e per una produzione semplicemente perfetta. Loro non catturano, ma liberano le movenze dell’animo umano vestendolo di atmosfere che passeggiano con una sigaretta in bocca, attraversando la notte per sorridere all'arrivo del nuovo giorno. Frizzante, misteriosa, densa, volutamente generosa, questa creatura vive di dieci episodi nei quali tutto è un vedere più che un sentire, le note affondano nelle gocce di stupore e si è danzanti tra pellicole luminose in cerca di un abbraccio. L’elettronica diventa l’avamposto della Chillwave, in un matrimonio artistico che ristabilisce l’esigenza di ascoltare dischi provenienti dagli anni Novanta: i due compiono un servizio culturale, dove la storia torna ad avere la sua importanza e in cui permettono al presente di avere nuove soluzioni, non solo per differenziarsi, bensì per sviluppare un percorso cognitivo più che mai necessario. Avanzano, dirompenti, le sensazioni di trame oscure che non necessitano di essere negative, come anime notturne deambulanti in attesa di essere illuminate. Ascoltando Aurora ci si ritrova umidi, con le lacrime che sgorgano come soddisfazione e non come sofferenza, e asciutti al contempo perché i due ragazzi sembrano aver trovato il modo di assorbire le tensioni del vivere. I synth sono i veri protagonisti di ogni singola traccia, in quanto diventano i chirurghi della bellezza, ballerini in primis dei loro tratteggi armonici, indagatori delle possibilità, pittori di quadri umorali, con la capacità di donare, lungo i ventinove minuti, un senso di pace e positività che rende il tutto semplicemente utile e perfetto. 

Un album sicuramente utile per imparare la sinuosità dei sentimenti, per individuare la profondità della ricerca e per godere di soffi notturni in cerca di un sorriso: generosamente gravido di poesia…


Alex Dematteis
Musicshockworld
Supino
27 Aprile 2023






My Review: Lunar Twin - Aurora

Lunar Twin - Aurora


Summarising time and changing places in music: do you think this is a simple thing? Not at all.

Yet this is what happens when listening to Aurora, which highlights the enormous step forward compared to Ghost Moon Ritual, which already featured moments of intense beauty. But is it really so, Bryce Boudreau and Chris Murphy in this new work reach the centre of gravity of a sensibility that reveals sweetness and the ability to connect sensuality perfectly. The scenery, the scaffolding and the consequential suggestions are all within a harmonic bending towards the immensity of the refraction of light, showing how their songs are sonic jewels under the palms of a sunset that finds itself inebriated by this attention to detail and simply perfect production. They do not capture, but liberate the motions of the human soul by dressing it in atmospheres that walk with a cigarette in their mouths, crossing the night to smile at the arrival of the new day.

Sparkling, mysterious, dense, deliberately generous, this creature lives on in ten episodes in which everything is a seeing rather than a hearing, the notes sink into the drops of amazement and you are dancing between bright films in search of an embrace. Electronics becomes the outpost of the Chillwave, in an artistic marriage that re-establishes the need to listen to records from the Nineties: the two perform a cultural service, where history returns to its importance and in which they allow the present to have new solutions, not only to differentiate itself, but to develop a cognitive path that is more necessary than ever.

They advance, disruptive, the sensations of dark plots that do not need to be negative, like walking nocturnal souls waiting to be illuminated. Listening to Aurora one finds oneself moist, with tears flowing as satisfaction and not as suffering, and dry at the same time because the two boys seem to have found a way to absorb the tensions of living. The synths are the real protagonists of every single track, as they become the surgeons of beauty, dancers in primis of their harmonic hatching, investigators of possibilities, painters of mood pictures, with the ability to donate, along the twenty-nine minutes, a sense of peace and positivity that makes it all simply useful and perfect. 

An album certainly useful for learning the sinuosity of feelings, for identifying the depth of research and for enjoying nocturnal breaths in search of a smile: generously pregnant with poetry...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Supino

27th April 2023


https://lunartwin.bandcamp.com/album/aurora






 

My Review: Sun Shines Cold - echoes of a former life

Sun Shines Cold - echoes of a former life


Music can help us get to know places better, while not giving us absolute certainty: a necessary starting point to sweep away illusion and arrogance, to offer a mature complicity without being able to claim to really know how things are.

In his hands, the old scribe has a debut album that is absurd in its beauty, its importance, its propensity to transport the listener towards the lights, shadows, mists, races, and reflections of songs permeated with mystery and undoubtedly a bundle of intriguing suggestions. It is the work of two Scots who have painted the sky south of Edinburgh and blown strategic melodies on clouds that have enthusiastically welcomed this work, a manifesto of perfectly amalgamated sounds, with a powerful continuity, a sound film in which the images (as they should always be) remain in the mind and not in front of the eyes. What is astonishing is the undoubted ability not to create a musical genre, or a series, but to structure a path that expands the visual, auditory and sensory imagination, as if this container created a galaxy of dreams, where sweetness, bitterness, play, experimentation, doubts and impetuses can coexist in the same place. In short: a day in our existence, finished on a device through capturing waves and not in a photo album. The whole seems like a tale, chapters of the day, in which the perfect sequence of tracks certifies the passage of time.

Skilled modern minstrels, storytellers with perfect plots, Brian Jordan and Colan Miles layer the voice of the senses and feelings through a dense set of stories that make it possible to make the notes visible: this is the miracle of echoes of a former life, indisputably! A shock that makes the whole a process to be studied, in which musical genres are useless journalistic definitions.

Post-Punk, Shoegaze, Post-Rock, Alternative, Dreampop, Ambient: who cares! Would that be the reason for listening, what would make it feasible and desirable? Not at all!


One must learn to approach these compositions by denying oneself all knowledge, delirium, to give space to one's own silence to better understand the meticulousness of a painstaking work, where everything is positioned not only for enjoyment, but above all as a benefit to the soul, in a dreamlike encounter that hypnotises reality. This is not a manifestation of songs collected, summed up, thrown into a vinyl record, but rather the beginning of their greatness, the first track on a path that is made of vapours welcomed and then distributed, to penetrate into our bodies and minds, becoming a companion beat.

The record consists of a sensual use of guitars and synths, with the bass picking up the moods of the melodies and offering delicate and powerful support, depending on the situation. The drumming is mammoth: perfect for its blowing and bombastic shrieking oiled in dynamics. Now we just have to throw our silence into the charm-filled streets of this first album by the Scottish duo, to learn what beauty is...


Song by Song


1 Before


A cloud of sound opens this debut: a slow light approach, a disruptive bass, drumming that qualifies a feeling of drama that will be confirmed by a darkwave-skinned guitar, but what comes through is above all a bitter, expectant sweetness


2 tried so hard


A walk into questions, a friendly embrace, a glimpse of time upon us, and away into dreamy magnitudes in search of welcome. A slice of shoegaze, then Brian's voice renders us dutifully silent, and even the clouds are moved: clear proof that technique, design and development are capable of generating an enchantment like this...


3 floods


What is perfection? Floods...

It's hard to resist the lure of a tear dancing on the hump of a floating sensation that spans joy and sorrow like this song. Colan and Brian build up the mantle of every feeling and lead it to visit our most total rapture: from the 1980s to the present day, every toil in the world finds dutiful refreshment between these notes. The guitars raise their register, as does the singing, and the drums lead the way on this journey that will leave you with no choice but total emotion...


4 thoughts


A chat with the most ethereal Slowdive, a few beers, and then off they go: the duo has decided to beat the absence of thoughts with a sonic tale that alienates reality and invites you to create a photonic mental kennel, because you really do have the clear sensation of witnessing an invasion of light that illuminates only positivity, giving, as a result, a very rich energy to be consumed in full...


5 there came a rain


Something dies, perhaps life itself, but the old scribe instead thinks the song is a complex worship of our earthly pilgrimage, in this slow and manifest skill of peculiar attentions to progressions, leading up to the refrain that is a heart-tightening diamond of awareness


6 falling


The tempo picks up but everything seems to become more ethereal, giving the impression of a visit to eternity. The singing is a prolonged kiss, the guitar a docile hiss in search of affection, and the heavenly marriage of shoegaze and Dreampop shifts the earthly axis of our listening path...


7 gone


Dense, gloomy, capable of instilling fear as well, the song represents the most disturbing but resounding moment of this first album. After an introduction that should be in the manuals of the perfect way to start a song, a stop-and-go surprises us and then comes a circular dance full of petals given by a sensual guitar, with the voice sounding like a timbre of questions hanging in the sky...


8 sundowning


A concert of theirs should open and close with this epidermal blaze, an instrumental sparkle that closes the mouth and the lungs, a sonic apnoea that shows the greatness of their sensory exploration. A thermometer, a clock hand, a barometer of mood, a sketch on a sheet of paper made by adult hands, a story, a plot that sequesters and throws thought into the matryoshka of their art, which here finds heaven's blessing. Post-Rock seeks companionship, it finds it in the shoegaze impetus and the fertile Post-Punk wave, in a tangle that knows how to offer joy, but it is undeniable that a resounding state of tension wins out.

If you end an album with perfection, hands can only peel for thunderous applause...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Supino

27th April 2023


https://sunshinescold.bandcamp.com/album/echoes-of-a-former-life






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