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sabato 7 settembre 2024

La mia Recensione: The Endoscope - Twin Spark (Official Version)


 

The Endoscope - Twin Spark (Official Version)


La bellezza struggente di un cataclisma sonoro arriva, dopo un anno, nella sua forma perfetta, a prendere a calci le stelle in un avamposto sconosciuto, con un'attitudine deflagrante.

Chi governa questa meteorite è una formazione italiana di istanza ad Amsterdam, capace di una scrittura apocalittica, con petali nervosi addensati in un fruscio che circonda l’orecchio e la mente, con un basso criminale (istruito all’omicidio), insieme a una chitarra pelvica (sinistra, maleodorante e perfetta), per seminare tensioni cicliche, con il supporto di un drumming curvo, sincopato, elettrico, magnetico e beatamente pesante.

Ed è danza fraudolenta, con generi musicali diversi chiamati a trovare un solstizio morale e gravitazionale, per schierare, in una tesa parata, connessioni multiple al fine di affiancarsi all’incanto quasi funesto.

Il testo, lancinante e consequenziale al vapore in estasi della musica, invita a separarsi dai sentimenti e a non dimenticare ciò che con gli anni si è dimostrato, in un matrimonio lirico di notevole spessore, grazie anche a un cantato che fissa perfettamente il significato mediante  una modalità di impatto impressionante.

Una scia di danni planetari sembrano esplodere da questa corsa, dove l’affanno non si presenta, mentre, invece, una diabolica e oscura sicurezza si palesa nei solchi di questo diamante che, con lo spirito post-punk dei primi Killing Joke e le terrificanti traiettorie magnetiche del basso che ci ricorda Steve Hanley dei Fall, rende possibile l’unione con il tipico fervore noise-pop, distribuendo magneti psichedelici in abbondante quantità.

Secca, rigida, Twin Spark è capace di divenire un loop lunare, nascondendo la luce per farci sentire il profumo di una tenebra in attesa di farci rabbrividire di paura.

Le orbite raggiunte dal brano sono quelle di un luogo dove l’inchino, l’abbraccio e il grazie sudato si cibano a vicenda, per portare il Vecchio Scriba ad affermare che questo è il singolo dell’anno del 2024.

Ora non resta che cedere alla dipendenza di ripetuti ascolti, alla tentazione di scrivere domande nel petto vibrante e di abbandonare ogni perplessità: questo gioiello merita l’invasione d’amore…


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
7 Settembre 2024

lunedì 13 marzo 2023

La mia Recensione: Neon - Back In The Land Of Lost Horizons

 Neon - Back In The Land Of Lost Horizons


L’Olanda che vorresti, che immagini esista in qualche modo, si mostra con questo album strepitoso, energetico, sfavillante, cupo in una maniera adorabile e  a cui si dona un inchino e un grazie enorme.

Non può essere altrimenti se si conosce bene per davvero il movimento culturale e anche quello musicale di quel Paese ingiustamente considerato poco dalle masse che spesso rivelano ignoranza e incapacità. Ma il vecchio scriba è qui apposta: sia luce, diretta, e che sia messa bene a fuoco!

Quattro i componenti principali per dodici canzoni che sembrano girare dentro le pagine della storia, con l’abilità di chi sa spremere per ottenere un succo nel quale loro possano inserire i propri componenti per creare poesie truccate recitate davanti a delle fabbriche, attraverso un Post-Punk imbevuto di elettronica ben dosata, per far atterrare la convinzione sulla pista di una misteriosa e trattenuta Coldwave. Tutto plumbeo, fotografico, con gli ingressi del dolore aperti, ma ciò che preme notare è come ogni composizione sia un insieme di mani gonfie di idee, di spargimenti di semi nel territorio musicale per un raccolto per cui non è necessario aspettare, anzi, si raccoglie subito il loro fragore, si toccano i loro nervi e si beve dello Scotch, mentre le note del Sax mostrano una sensualità quasi aggressiva, seppur educata.

Si notano le scintille di Londra nella monumentale Heartbeat (vi ricorderanno i Clash di sicuro, ma il vecchio scriba si tiene stretta la band Olandese…), si viaggia tra le pallottole lente ma scheggiate di Liquid Cold, si visita i The Chameleons con Promised Land, si cammina nella nebbia industriale di Canta da Vito, si capisce come l’alternative si sia mescolato alla sfera gotica con la pelvica e nevrotica Standing On The Other Side, figlia dal basso martellante di una Londra cupa degli iniziali anni ’80.

Potrei suggerirvi di ascoltare Icemen con una copia di From The Lion Mouth tra le mani, e potrei cercare di descrivere tutti i brani come se le canzoni fossero figlie di altre. Sarebbe sbagliato. Ciò che lo scriba fa è solo quello di dare delle coordinate, ma poi occorre un ascolto attento, che sappia valutare il talento e scorgere la continua agilità che permette loro di variare, di essere sfuggenti e quindi non prevedibili.

Un gioiello che partendo dalle pale di un mulino a vento dovrebbe arrivare dentro di voi: quando la storia la fanno persone sconosciute tutto diventa orgoglio per chi l’ha vissuta…


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
13 Marzo 2023





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