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sabato 11 giugno 2022

La mia Recensione: Einsturzende Neubauten - Halber Mensch

La mia Recensione:


Einsturzende Neubauten - Halber Mensch


Luogo di collocazione emotivo: pozzanghera elettrica.


Epoca: attorno alla perdizione sensoriale, circa.


Elementi necessari all’ascolto: fulmini addominali, senza pause né disturbi.


La disgrazia delle preferenze giunge alla punizione onesta, nessuna possibilità di sfuggire, si sono rotti gli argini dell’inferno, per accogliere in un tripudio di ferite lancinanti chi osa stare lontano da questo orgasmo bellico.

Üntergang è il luogo del precipizio, la casa di un fuoco fatuo che ha generato un’onda che copre l’inconsapevole mondo. Da Berlino, dove tutto geme e urla, dove si progettano impalcature di bellezze siderali, dove non c’è uscita di sicurezza, nasce la follia delle forme più astruse e caotiche, l’orgasmo nero che annichilisce.

Necessità di terrorizzare la banalità, la comfort zone, le genuflessioni deprimenti e senza nerbo, il dovere di educare l’ignoto verso uno scontro fatto di scintille e detriti sonori. Ecco che gli edifici devono crollare e provocare fastidio, dolore, confusione, su polvere di fumo benedetto da anime sconvolte e disobbedienti ad una sistemazione esistenziale priva di contenuto, concetto e perdizione.

Non ci sono palchi, le transenne vengono gettate sotto lame senza perdono, si tritura il presente, nel delirio del “tutto serve” per rendere martire ogni cosa.

Dopo due collezioni di lava sanguinante e corrosiva, i Berlinesi decidono di infangare il suono e cercare una collocazione diversa per dare l’impressione di un cedimento, di un inganno: siamo illusi, ignoranti, gli EN utilizzano la volgarità per smascherare le nostre stupide conclusioni.

Alber Mensch è omicidio culturale, valanghe che puzzano di cupidigia disastrata e perfetta.

Al suo interno troviamo molto più della morte. Questa, a confronto della distruzione che ci viene mostrata, diventa un incubo tollerabile. Concessioni e negazioni, sferzate concettuali su territori sconosciuti e armati di torbido orrore, di silenzi sverginati con fruste nere, piene di borchie: alla pace è tolta ogni accessibilità, non ne troverete e sarete prigionieri dell’esaltazione traumatica.

Se il terrore, il disagio, la fuga senza più ossigeno nei nervi potete chiamarli musica, accomodatevi pure e rilassatevi, è pronto il rito dello sconvolgimento a segare la presunzione.

Gli EN non concedono respiro, oltre gli inferi c’è solo la constatazione di un dolore e della perdizione che, uniti, massacrano tutto quello che è convenzionale. 

A morte l’abitudine, allora.

Loro danno spazio a ciò che non ha grazia, una disgrazia che contagia sino all’irrigidimento del tutto, come unico, spaventoso godimento.

Berlino come Nagasaki: morte del futuro, conclamata e impossibile da seppellire, tra le lamiere e le spinte allucinogene di massacri continui a ogni forma di bellezza.

Lo stato dello cose (Wim Wenders lui sa) conosce l’ultimo passo tra i lacci attorno ai nostri pensieri, l’attesa della fine dell’incubo dura cinquantacinque minuti e cinquantacinque secondi: troppi, vero?

Berlino inchiodata alla sua croce, forse “tradita” dai suoi stessi concittadini, la purga più intollerabile da subire, nei liquidi amniotici come in quelli gastrici, urla di rabbia contro queste creature uscite dal sorriso dei vermi. La violenza abita, conquista, entra in aghi sorridenti di tossicità varie, acquisite e conquistate per liberarsi della noia e del vuoto. Freddo oltre i Poli, ossidata la temperatura, si può concedere al delirio la polverizzazione degli schemi, un massacro pianificato, dove il baricentro di ogni follia sorride alla devastazione mai contemplata prima.

Sono strategici, furbi, maliziosi gli EN: dopo avere per davvero distrutto i timpani con Kollaps e Zeichnungen des Patienten O. T., mitragliate furiose al di là di ogni immaginazione, creano il teatro della illusione intossicando con finta musica, dove sembrano esistere le condizioni di parvenze sonore vicino alla forma canzone.

Certo, è così, ma a quale prezzo, in quale modo, chi può davvero sentirsi salvo davanti a questa concessione?

Petali di litanie ossessive gravitano nei canali uditivi per infiammare ogni desiderio melodico, una precipitazione continua di malumore, di dissolvenza emotiva necessaria per i cinque distributori di dinamite al fine di non concedere il respiro di un sogno che porti l’ascoltatore in un bunker. Tutto inutile.

Qualcosa doveva crollare, sono partiti dal basamento di una cultura corrotta, storta, complice, venduta al consumismo e dove l’ideale politico incominciava a stare stretto ad una piccola “tribù indegna”: gli EN ne erano i più feroci rappresentanti e l’arte era vista come un’apoteosi che poteva fornire gli elementi e gli argomenti giusti. Giù tutto allora, ruspe e martelli pneumatici a sfracellare quel cemento, quell’acciaio buono solo per essere visto stravolto e abbattuto. 

Il cantato di Blixa proveniente dalle catacombe ben si allineava agli attacchi perversi degli altri quattro, come uno scudo lanciato a bomba sulle armonie, le frivolezze, le giocosità di canzoni non più tollerabili. Bisognava cancellare un passato scomodo esercitando una violenza diversa, distruggere se stessi per nascere puri, con la polvere di cemento sulla pelle, in stato perenne. Ed ecco l’occasione per eliminare l’ego di un mondo ormai già sordo ma non consapevole: Halber Mensch dunque come viatico necessario per scoprire responsabilità, colpe, disarmonie, e conoscere l’annullamento del diritto al “sempre avanti comunque”; gli EN dichiarano la guerra e procedono, senza ostaggi. La pelle dell’uomo andava scorticata, incenerita, presa a colpi di pistola, ferita da scosse elettriche primordiali, buttata nel vuoto da scorribande di fresatrici semoventi, bisognava capitalizzare il materiale bellico infinito a disposizione: l’amica Pazzia, dagli occhi pieni di vene nere, saldata a stagno, senza esitazioni, giungeva come unico aiuto. Una distruzione creativa che deve divenire una sirena d’allarme per ogni coscienza in fase di opposizione: gli EN sparano, costruiscono armi chimiche nei sepolcri sacri dei loro eccessi, come prigionia liberatoria, assoluta.

Come vedremo più avanti, la band berlinese non dimentica nemmeno l’amore: lo butta nel fuoco di attacchi implacabili, non risparmia accuse, lo circonda di velenose polemiche e gli strappa la maschera.

Per assurdo gli EN si mostrano più raffinati e addirittura eleganti rispetto agli esordi ma è un’illusione mirata, usata con le armi di chi crede al loro processo di caduta. Rimane, invece, un assalto davvero implacabile, post moderno. Sotto i detriti che lasciano ben in vista, ci sono i commenti terribili nei confronti della società, della politica, con i polsi legati che poi vengono tagliati, senza esitazione. Entrano nel teatro mondiale della rappresentazione del finto come se dappertutto esistessero Charlottenburg e il Deutsche Oper Berlin, per un balletto dove la realtà viene fatta danzare consapevole della morte imminente.

Un lavoro che evidenzia tracce di minimalismo già presente nella capitale tedesca ben da prima dei cinque metallurgici impazziti. Un cammino verso un dandismo sonoro, una pseudo complicità organica per sistemare bene i loro ordigni, come se fossero stati puliti prima dell’esplosione dei nostri ascolti. 

Ma tutto ciò che ho scritto potrebbe far pensare a un album accessibile rispetto al loro stesso passato e accessibile al contempo per chi ha dimestichezza con certe “sonorità”. Nulla di più falso, perché non ci si deve soffermare sulla struttura del suono ma occorre includere quella dei testi, forse addirittura molto più ostili di ogni distruzione più o meno alleggerita rispetto ai primi due fuochi, datati 1981 e 1983. 

Occorre però specificare: mentre i primi vagiti di musica industriale si concentravano sulla produzione di rumori casuali, disturbando quel poco che conducesse ad una sterile soddisfazione, gli Einsturzende Neubauten erano desiderosi, sin dall’inizio, di costruire temi, argomenti, per poi creare un’opera di unificazione di strutture che si ponevano decisamente al di fuori di quella che era considerata la musica classica accademica del ventesimo secolo, cioè il volgare Pop.

Halber Mensche diventa così un’evoluzione colta, spiazzante, determinata da una consapevolezza di ulteriori necessità, non un vero cambiamento bensì una saldatura composta di nuovi elettrodi fusibili, per poi causare il piegamento di leghe di Nichel e leghe di Titanio per un osceno divertimento bellico. Distruggere per togliere il puzzo umano incosciente, sedato da millenni di comodità e abitudini volgari. Ci pensano gli EN, portandoci nella scuola del rumore dedita alla ricerca sonora, alla contemplazione fuori da ogni logica, dando chiaramente l’impressione di voler creare una generazione violenta, sintetica e anticipatrice di un nichilismo senza possibilità di arresto. Tutto viene facilitato dal punto di partenza: distruggere Berlino usando la fertile cultura che vive nei sotterranei, quella degli anni 70 che osava, creava avanguardie e progettava una vita parallela. Ascoltare questo lavoro è vivere di respiri, infiniti sussurri maniacali che viaggiano nell’addome invocando urla strazianti, coralità come base di risate isteriche e grottesche, per essere liberi di creare lo sterminio di atmosfere surreali, alla ricerca dell’apocalisse. Che verrà.

Abbiamo la sicurezza di essere stati divisi in due e che la metà ancora in vita sia quella cattiva, pesante, devastante e devastata. L’altra metà è rimasta uccisa dalle presse, dallo stress e dai lampi. Il sarcasmo e la dura critica sociale della band le ha chiuso le vene, insieme alla loquacità metodica e capace di spezzarle il fiato. 

Blixa nell’album diventa più devastante, col suo cantato, rispetto ai suoi compagni di avventura, dando alla sua continuità espressiva il ruolo di ricercatore di ossessioni, di limitatore della libertà, come l’antico greco Caronte, trasportando i morti e la morte entro le tracce di questo disco, come se l’appuntamento fosse all’interno del cimitero di Dorotheenstadt.

Che si taccia ora! È tempo di dare senso a questa fiumana di parole, andiamo a spaccare gli  otto pilastri, per guardare i lori interni e avvolgerci nello stordimento.



Canzone per canzone



Halber Mensch


Tutto inizia con un coro femminile a cappella, in una modalità che fa pensare a qualcosa di poco umano, desideroso di creare qualcosa di terrificante, sino a quando Blixa libera tutta la sua intensità e forza evocativa mentre parla della morte dell’intelligenza e di un pensiero che deve conoscere uno spazio maggiormente libero. Vistosa dimostrazione che gli “strumenti” musicali della band potevano conoscere un pò di riposo, offrire una pausa prima di rendere evidente, nell’album, una natura meno incline alla pura distruzione dei lavori precedenti ma non per questo meno “disturbanti”.




Yü-Gung (Fütter Mein Ego)


Ci troviamo davanti a una sorpresa nella loro carriera: ritmo isterico, priva di melodia, un treno che accelera e frena, il cantato che da solo graffia sino al finale claustrofobico. Percussioni sotto forma di loop con inserti synth, nel labirinto di una corsa che sembra uno schianto continuo, consente al combo tedesco la prima vera, e riuscita, canzone che precederà l’ingresso della band verso soluzioni dinamiche diverse e anche di interesse nei confronti di quell’elettronica che sperimenteranno maggiormente in futuro.




Trinklied


Soldati camminano in una marcia ipnotica, tutto ridotto nella strumentazione per affacciarsi a tratti, brevemente, creando poi continuità in un cantato isterico: quando dalla sintesi nasce la base del terrore, un degrado certificato, preludio della successiva Z.N.S.

Un racconto sonoro, sintetico, suggestivo, teso, nevrotico, dove l’attore Blixa mangia il palco con la sua voce, risucchiando ogni atomo di polvere dentro il suo cantato e lo squallore cantato perfettamente.




Z.N.S


La nostra vita viene dichiarata come sfacelo inevitabile, in una nube folle di percussioni che cadono dal cielo, urla scomposte e vibrazioni di pseudo feedback, in una ossessione resa praticabile. Tutto è governato da un continuo schiocco delle dita, una trave viene percossa ossessivamente, un senso di oppressione governa l'ascolto mentre Blixa racconta perfettamente, con enfasi, di una crisi di astinenza da sostanze stupefacenti per rendere definitive tutte le nevrosi e i deliri umani. Incantevole la mancata continuità musicale, che arriva a sprazzi, incendiata da soluzioni nuove, negando di fatto che abbia tutti i crismi della canzone. Diabolica.




Seele Brennt


La forza di una allucinazione governa la potentissima Seele Brennt, manifesto della loro insurrezione, di piani dinamici discontinui e per questo spaventosi, dove l’urlo agghiacciante di Blixa terrorizza appoggiato ad una carica tellurica tenuta quasi nascosta, e poi un colpo di frusta, il via dentro un pianoforte imbastardito. Con un finale che toglie il fiato all’interno di detriti che creano una tensione devastante. La suspense regna dentro dinamiche fatte di pause e riprese del ritmo per convogliare in un caos ragionato. E l’anima brucia in un giorno infuocato dalle schegge insensibili.




Sehnsucht


Abrasiva, maniacale, terrifica e allucinata, un ibrido perfetto tra il post-punk primordiale e l’urgenza distruttiva fuori ogni schema per generare un caos educato alla dipendenza immaginifica, chitarre sghembe e ritmiche (con accordi blues/psichedelici per brevi istanti), contornate da scuotimenti nevrotici sulla voce alienante di Blixa. Presenta una sensualità malata, dalla quale si viene risucchiati, dentro un nucleo teso a sparpagliare minuscoli atomi di melodia, subito abortiti. Una ragnatela sonora dalla quale è un piacere provare dipendenza.




Der Tod Ist Ein Dandy


Il momento più devastante dell'album, ipnotico e necessario per le anime viandanti, una ciminiera al lavoro, dove tutto viene buttato al suo interno.

Si viene soffocati da questa fabbrica che si impegna per schiacciarti, annullarti in un lavorio incessante, nessun riposo, turni continui sino allo sfinimento. Gli assordanti rumori sono alla fine salvifici: meglio morire con questa musica che non inganna come la vita, perché alla fine è celestiale essere triturati dentro la bellezza. Come in una produzione lavorativa dove viene annullato il pensiero, ecco che il brano ci butta in un tornio circondato da frese e altre macchine, dove l’inferno al confronto sembra calmo…




Letztes Biest (Am Himmel)


Dopo la morte causata con intensità, ecco che per l’ultimo brano la band si sente libera di sperimentare un funerale quasi melodico, sul palco di un teatro dadaista, dando modo di anticipare le nuove direzioni artistiche future. Brevi accordi recitati come se fossero un rosario, mentre il cantato si appoggia a un basso scordato e a uno scuotimento frammentato.


Alex Dematteis

Musicshockworld

11 Giugno 2022



Einsturzende Neubauten:


Blixa Bargeld

Mark Chung

Alexander Hacke

N.U. Unruh

F.M. Einheit


Produttore: Gareth Jones


https://open.spotify.com/album/5T06pEavfCaLWxhnq8eNdw?si=lnEGInCyRm6rfBn9PU-hVg








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