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martedì 5 luglio 2022

La mia Recensione: S.M.S. - Da qui a domani

 La mia Recensione:


S.M.S. - Da qui a domani


Ci sono distanze che si subiscono, che si creano, per necessità, per volontà, per un’attitudine spesso ingovernabile. Vi è chi le coglie, spesso guardando il tutto da un albero, osservando la caduta di foglie perplesse e stanche, mettendo all’erta i propri sensi. 

Monica Matticoli, una piuma Molisana che con la sua sensibilità vive le approssimazioni di questo mondo, ha raccolto le sue grazie mettendole su fogli gravidi di precise e acute osservazioni, permettendo a Miro Sassolini di divenire una voce che vola dentro le nostre disattenzioni.

I due artisti hanno preso le distanze e le hanno infagottate, cucite nei loro respiri e portate su scintille dolci di suoni elettronici e sensuali.

Quello che si ascolta è una coperta che avvolge il silenzio, per bluffare le paure e i vuoti.

Con le mani sapienti di Cristiano Santini e Federico Bologna, i quattro incantatori fatati hanno scritto sul cielo melodie e parole fradicie di bellezza, generando stupore nel cuore dello scriba, dove la fragilità del genere umano diventa un luogo di lavoro, una risorsa, un arcobaleno poetico su cui poter ancora scommettere sulle possibilità di un tempo favorevole. La parola, attraverso Monica, diventa gazzella leggera e la voce baritonale di Miro incredibilmente non fa abbassare la quota su cui vive. È il primo miracolo di un disco sorprendente. Una stanza che esce lenta di casa per visitare il vulcano del mondo: non c’è affanno, tensione o tristezza tra queste pareti, bensì un senso di tranquillità che sa come opporsi al tutto e sa porgere la propria guancia sulla quale sono dipinte scie di saggezza, stancando il buio. Miro protegge, incanta, traduce con maestria il cammino vorticoso di Monica, in una unione artistica che consente a Federico Bologna di far spaziare le sue linee melodiche dentro un palcoscenico fatto di suoni equilibrati, con l’abilità di tastiere e sintetizzatori come seducenti ancore sulle quali trovare un equilibrio.

Dal canto suo Cristiano Santini è un mago nel dare alle canzoni la forza e l’identità di essere parte di una vera e propria band, abile nella sua sottile presenza per compattare questo flusso di luce che rende le composizioni moderne senza rinunciare a evocare un tempo che sembra ormai troppo lontano. Si sente che l’esperienza con i Disciplinatha gli ha donato l’intuito di avere la mano leggera, di sapersi coniugare con Federico per un combo in grado di fluttuare con eleganza tra note leggere.

Dodici sogni, dodici albe, dodici segreti a portata di ascolto, dodici bussole del cuore per poterci dare una direzione nella quale raggiungere il sentiero del conforto.

Quanto splendore in tutto ciò che si può constatare: i quattro non cercano il brano pop, la forma canzone né provano di planare nell’apparato di ascolto con ruffiane manovre per strappare l’applauso. Non si concedono alla banalità e la loro sostanza è un vocabolario moderno, capace di perlustrare movimenti nuovi, per spegnere l’impeto di ritornelli scontati. Si discostano. Trovano l’autenticità che spavalda li sostiene, diventando corsari in delicato assalto, portando sogni e fantasie molto più che consolatorie: ci sono idee da scoprire, da interiorizzare. 

L’infinito dello spazio accoglie i quattro, li abbraccia e tutti insieme sembrano essere un romanzo ottocentesco, dove le nostre orecchie diventano occhi per leggere queste pagine, per vagare e trovare segni precisi dove indirizzare le proprie necessità.

La sensualità dei testi di Monica si bagna di umida propensione verso immagini libere di sorvolare i confini del mondo e della mente. E la voce di Miro magicamente smista i flussi percettivi della poetessa verso la coda di arcobaleni applaudenti.

Le riflessioni, le propensioni verso la captazione di Monica rendono evidente la sua connessione con il reale, il moderno che lei tende a volere esente dalla stupidità. Tutto, conseguentemente, si fa serio e preciso, in un viaggio in cui Miro semina forza, magnetismo e una inossidabile propensione a scavare le parole. I due musicisti sono i comandanti supremi di forme espressive che permettono una rotta che conduce al raggiungimento della vita notturna delle comete, visitando l’universo come necessità vitale.

L’amore nell’album è una distanza, un palo della luce che vorrebbe muoversi, che trova comunque nell’attesa una forma, un motivo, un senso attraverso i respiri della scrittura che Monica sa vestire di luce mentre Miro li salda per l’eternità, con il tempo che si astiene dal giudicare e mostra, altresì, la sua collaborazione per rendere tutto meno complicato. Sono canzoni che non abbisognano di scintille di ritmo, di fare piroette artistiche per poter arrivare al cuore: hanno nel loro nucleo la potenza minimalista che sa conquistare senza artefici, curandosi dei messaggi e privandosi, felicemente, di sovrastrutture. Non sono nate per essere uno spettacolo del circo pop, ma piuttosto pillole di saggezza musicali per condurre alla salvezza.

Fa estremamente piacere vedere associata la figura di Miro agli altri tre artisti: più libero, più vero, più a suo agio con la musicalità della sua voce, riesce a penetrare l’anima con il suo tono potente ma alleato alla dolcezza, allineato perfettamente alle vibrazioni che il suo passato non sempre gli ha concesso. Sa diventare ipnotico, sinuoso come un’onda del cielo che nuota nel suo petto, architetto e muratore di una casa melodica che lo rende snello, anche pungente, meno sacro ma più crepuscolare e in questo aspetto le musiche sono alleate perfette. 

Notevole è pensare che questi flussi musicali sanno essere magnetici perché passano attraverso le parole come fossero loro stessi vocaboli, in un incrocio che lascia in dotazione una morbidezza totale che trasporta il tutto lontano da una dimensione già nota. Le dosi di novità e di amalgama col già sentito elettrizza l’ascolto, come brina autunnale su montagne che attendono il vento e la neve. Tutto sembra sospeso, come una poesia di Ungaretti, con la sensazione che chi ascolta legga il presente dentro una matrioska smussata da una elettronica che la riveste di luce sinuosa. Vince la sensazione di un ripostiglio all’interno di una grotta dove la musica ha trovato la sua temperatura ideale: non più l’elettronica come forma gelida di espressione, bensì un vestito di cotone miscelato alla lana. 

Se deve essere Pop allora è di alta montagna: si muovono agili gli echi di David Sylvian, Brian Eno, Mark Hollis, Massive Attack, e l’idea che Miro sia stato affascinato come Ferretti da sonorità distanti dal Postpunk, guardando dentro il vascello del Nord dove la linfa è ancora abbastanza vergine.

La clessidra lascia passare la sensazione di una sabbia lenta nei versi di Monica che, essendo alleata della calma, veste deliziosamente trame che, erette e fiere, si muovono dentro pennellate che sgombrano il nero per svelare segreti sussurrati. 

L’ascolto migliore nasce dalla predisposizione a guardare le fotografie del booklet e sognare di incastri di mare e di cielo infinito. Perché poi si arriverà proprio lì, grazie ai flussi lucenti di Cristiano e Federico, i custodi di questa meraviglia che conquista ascolto dopo ascolto, sino a diventare occhi sordi per orecchie sognanti.

Ora possiamo entrare dentro questi dodici luccichii per trovare compatta la gioia di un tuffo nel cielo della poesia.



Song by Song



Sul limite


L’album incomincia con una suggestione strumentale che sembra condurre al Digiridoo, anche se non lo è. Ma da qui, da questa tribale danza addomesticata che Monica Matticoli ci porta fiori di forme e distanze che il canto di Miro specifica su una tavolozza elettronica baciata dalla dolcezza del pianoforte.



Leonard 


Il silenzio e il tempo entrano dentro un vetro, il drumming ci fa danzare mentre dovremmo andare via. Monica scrive parole come unghie che accarezzano la saggezza, con Cristiano e Federico a lasciare a un minimalismo elettronico l’indispensabile che seduce.



In quiete


Onde di world music e sinfonia mediterranea sembrano coniugarsi a un trip-hop atipico, come un salto nello sconfinamento di generi musicali, per dare al cantato di Miro la possibilità di essere libellula che alza e abbassa il registro della  voce con grande maestria. 



Disvelo


È un miracolo che abita le zone di Garbo, per ipotetica similitudine, ma riservandosi il diritto di esaltare un testo amoroso come se ne scrivono pochi: la poesia trova la voce in parole vere e piene di rugiada. E la notte vola sulla tastiera che seduce quasi come se fosse anch’essa muta.



Rimane addosso la veste lacerata del risveglio


Uno dei titoli di canzoni più bello di sempre genera un capolavoro di morbidezza e un groppo in gola ci fa risvegliare emozioni limpide, veloci, su una chitarra che sussurra alla tastiera che farà del suo meglio per sembrare quasi muta. La musica è un loop che strega, la voce di Miro, che viene raddoppiata, per meglio conquistare la sorte di un brano che rimane addosso tutta la notte, diventa un abbandono di luce. 



Semel heres 


Ipnotica, quasi Ferrettiana nel canto, magnifico esempio di teatralità sonora con la parte finale affidata a un pianto dal sapore tetro.



Idea dell’alba 


Spettacolare esibizione di classe da parte di tutti e quattro i pittori di fiabe: brano che vede una parte cantata breve ma suggestiva e poi una  strumentale che visita l’alba e mostra gli odori di un giorno che attende di trovare energia. Un fine lavoro di elettronica che ammalia e suggestiona consegna un pathos notevole.


A nudo


Su un testo intimo, sensuale, potente, David Sylvian sembra visitare i quattro con una base musicale magica invitando gli angeli a benedire la voce di Miro, con una modalità di canto sorprendente, calato perfettamente nel perimetro di parole che sono  dentro il contatto più crudo, in attesa della forza della resa…



Petit mort


La dolcezza che veste la malinconia, un piano sonoro che ricorda i Madreblu come capacità di fare delle note un fine trattato di melodia affidato ad una veste elettronica ermetica e calorosa, armoniosa e seduttiva.



Da vetro allo specchio


Sospeso, sognante, essenziale, brano capace nella sua limitata espansione di trasmettere la sensazione di viaggio nel tempo, passando attraverso uno specchio che conta le rughe.



Mai troppo chiuso il tempo


Monica Matticoli rivela ancora una volta una penna spaventosamente capace di intimità e profondità, un microscopio di vicinanza alla realtà di ogni molecola di verità. E su queste parole la musica è un formicolio elettronico di bagliori sul quale la voce di Sassolini trova una dimensione di grande commozione, sottile e delicata, quasi vicina al cielo, volante e sognante.



Oltremodo 


Si chiude questo viaggio tra le albe del mondo con un brano quasi orchestrale elettronico da una parte, quasi ambient House dall’altra, per conferire al tutto una verace sensazione di essere una fionda che sa colpire il Tempo, delicatamente.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

5 Luglio 2022


https://open.spotify.com/album/2LDu7tRMjFPNSqaKecJsom?si=iPvZCwb0SMikwLYy22mS6g








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