Rain Tree Crow - Blackwater
Un fiume dipinto di seta scorre nell’involucro voluminoso di un genio dalla bellezza incontestabile che, una volta deciso che i Japan dovevano sostare per germogliare una nuova forza propulsiva, portò la band inglese a vivere dentro i raggi multipli di un nome nuovo, per benedire le foglie di un albero voglioso di lasciare scendere brani come cibo per la seduzione di chi avrebbe voluto seguire questa scelta. Il materiale visivo cavalca il cielo, rendendolo ancora più morbido del passato recente, per strutturare una strada in cui il pop sappia essere un vestito diversamente elegante, con annesse le radici che possono solo generare un lampione pieno di luce sottile dentro i vasi dei nostri cuori. Una canzone svetta, reclama, senza alzare la voce, avvitandosi nella calda atmosfera di note disegnate per stringerci in un abbraccio potente e lento. Un noise jazz che entra nella ethno-ambient, per silurare il rumore di una decade con i suoni saturi di idiozia ed esagerate propensioni verso l’annichilimento del puro suono. David Sylvian viveva male il rapporto con Karn: si doveva trovare un punto, nella foresta di quei due talenti, lasciando al cielo il consiglio nel suggerire melodie che guardassero al cuore dell’Europa. Via le dinamiche orientali, si torna a stabilire un approccio che mantiene viva la fiaccola della melodia che, partendo dalla Francia, sale su sino all’estremo Nord. Da questo gioiello musicale una pletora di band seguirono questo miracolo tenero per imbastire un percorso dal quale la World music potesse attingere a piene mani. Ciò che colpisce immediatamente è che, sebbene esista il meraviglioso cantato di David, il brano abbia nella musica il nucleo che sviluppa palme piene di olio tiepido, in grado di produrre luce con arrangiamenti mirati, continui, sempre in viaggio, per farci visitare la doverosa premura: cogliere la schiuma di questa produzione è alquanto faticoso ed è consigliabile munirsi di cuffie e un generoso silenzio mentale…
Sarebbe bene, e il Vecchio Scriba insiste, prestare attenzione al lavorio intenso nei confronti dei giochi degli strumenti, con la loro alternanza e la capacità di unirsi solo quando davvero è necessario farlo. La Dea vocale di Sylvian esercita un bisogno di quiete, come pacifica propensione a un deserto che lentamente si vede circondato da piume, foglie e viadotti di seducenti e amabili spinte verso il ventre. Scivola il brano nella dilatazione dei suoni, i vibrati, le scintille elettriche, i frammenti di Can e Kraftwerk che si intravedono, con una sostanziale capacità di comunicare l’impressione che il Prog qui abbia solo da imparare con l’esercito di creatività che sonda ogni possibilità per convergere in una sperimentazione che non sia mai esagerata.
Piace in modo spudorato la frammentazione della forma canzone, nella quale il ritornello qui creerebbe solo un disagio, una perdita di tempo, un inutile eccesso di spettacolarità. Convince, quindi, la dinamica di un qualcosa di simile a una apparente monotonia, un’insistenza per trovare il petrolio che scaldi i cuori degli imbecilli. Nessun dubbio, tutto procede per essere una calamita con un polo tarato per far convergere la bellezza in questo soffio leggero che sa creare le scie di un fulmine in lento spostamento…
Concludendo: una battuta di caccia nella preda è una melodia essenziale, quasi scarna ma in grado di circondare un momento particolare, in cui chi provava disinteresse nei confronti della creazione di sacche vuote di emozioni vinceva e il premio era la gloria eterna…
Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
11 Luglio 2023
https://open.spotify.com/track/7niezp6Y3ArlH4yypQ6sul?si=e6362eb6b6c34008