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martedì 11 luglio 2023

La mia Recensione: Rain Tree Crow - Blackwater

Rain Tree Crow - Blackwater


Un fiume dipinto di seta scorre nell’involucro voluminoso di un genio dalla bellezza incontestabile che, una volta deciso che i Japan dovevano sostare per germogliare una nuova forza propulsiva, portò la band inglese a vivere dentro i raggi multipli di un nome nuovo, per benedire le foglie di un albero voglioso di lasciare scendere brani come cibo per la seduzione di chi avrebbe voluto seguire questa scelta. Il materiale visivo cavalca il cielo, rendendolo ancora più morbido del passato recente, per strutturare una strada in cui il pop sappia essere un vestito diversamente elegante, con annesse le radici che possono solo generare un lampione pieno di luce sottile dentro i vasi dei nostri cuori. Una canzone svetta, reclama, senza alzare la voce, avvitandosi nella calda atmosfera di note disegnate per stringerci in un abbraccio potente e lento. Un noise jazz che entra nella ethno-ambient, per silurare il rumore di una decade con i suoni saturi di idiozia ed esagerate propensioni verso l’annichilimento del puro suono. David Sylvian viveva male il rapporto con Karn: si doveva trovare un punto, nella foresta di quei due talenti, lasciando al cielo il consiglio nel suggerire melodie che guardassero al cuore dell’Europa. Via le dinamiche orientali, si torna a stabilire un approccio che mantiene viva la fiaccola della melodia che, partendo dalla Francia, sale su sino all’estremo Nord. Da questo gioiello musicale una pletora di band seguirono questo miracolo tenero per imbastire un percorso dal quale la World music potesse attingere a piene mani. Ciò che colpisce immediatamente è che, sebbene esista il meraviglioso cantato di David, il brano abbia nella musica il nucleo che sviluppa palme piene di olio tiepido, in grado di produrre luce con arrangiamenti mirati, continui, sempre in viaggio, per farci visitare la doverosa premura: cogliere la schiuma di questa produzione è alquanto faticoso ed è consigliabile munirsi di cuffie e un generoso silenzio mentale…


Sarebbe bene, e il Vecchio Scriba insiste, prestare attenzione al lavorio intenso nei confronti dei giochi degli strumenti, con la loro alternanza e la capacità di unirsi solo quando davvero è necessario farlo. La Dea vocale di Sylvian esercita un bisogno di quiete, come pacifica propensione a un deserto che lentamente si vede circondato da piume, foglie e viadotti di seducenti e amabili spinte verso il ventre. Scivola il brano nella dilatazione dei suoni, i vibrati, le scintille elettriche, i frammenti di Can e Kraftwerk che si intravedono, con una sostanziale capacità di comunicare l’impressione che il Prog qui abbia solo da imparare con l’esercito di creatività che sonda ogni possibilità per convergere in una sperimentazione che non sia mai esagerata. 

Piace in modo spudorato la frammentazione della forma canzone, nella quale il ritornello qui creerebbe solo un disagio, una perdita di tempo, un inutile eccesso di spettacolarità. Convince, quindi, la dinamica di un qualcosa di simile a una apparente monotonia, un’insistenza per trovare il petrolio che scaldi i cuori degli imbecilli. Nessun dubbio, tutto procede per essere una calamita con un polo tarato per far convergere la bellezza in questo soffio leggero che sa creare le scie di un fulmine in lento spostamento…


Concludendo: una battuta di caccia nella preda è una melodia essenziale, quasi scarna ma in grado di circondare un momento particolare, in cui chi provava disinteresse nei confronti della creazione di sacche vuote di emozioni vinceva e il premio era la gloria eterna…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

11 Luglio 2023


https://open.spotify.com/track/7niezp6Y3ArlH4yypQ6sul?si=e6362eb6b6c34008






My Review: Rain Tree Crow - Blackwater

Rain Tree Crow - Blackwater


A silk-painted river flows in the voluminous envelope of a genius of unquestionable beauty that, once it was decided that Japan had to pause to sprout a new propulsive force, led the English band to live within the multiple rays of a new name, to bless the leaves of a tree willing to let down tracks as food for the seduction of those who would follow this choice. The visual material rides the sky, making it even softer than the recent past, to structure a road in which pop knows how to be a differently elegant dress, with the roots attached that can only generate a streetlight full of subtle light inside the vessels of our hearts. A song soars, claiming, without raising its voice, screwing itself into the warm atmosphere of notes designed to hold us in a powerful and slow embrace. A noise jazz that enters the ethno-ambient, to torpedo the noise of a decade with sounds saturated with idiocy and exaggerated propensities towards the annihilation of pure sound. David Sylvian lived the relationship with Karn badly: a point had to be found, in the forest of those two talents, leaving the advice to heaven to suggest melodies that looked to the heart of Europe. Away with the eastern dynamics, we return to an approach that keeps alive the torch of melody that, starting in France, rises up to the far north. From this musical jewel, a plethora of bands followed this tender miracle to forge a path from which world music could draw heavily. What is immediately striking is that, although there is David's marvellous singing, the track has in its music the nucleus that develops palms full of warm oil, capable of producing light with targeted, continuous arrangements, always on the move, to make us visit the dutiful thoughtfulness: catching the foam of this production is rather tiring and it is advisable to equip oneself with headphones and a generous mental silence…


It would be good, and the Old Scribe insists, to pay attention to the intense workings of the instruments' interplay, with their alternation and ability to come together only when it is really necessary to do so. Sylvian's vocal Goddess exerts a need for stillness, as a peaceful propensity for a wilderness that slowly sees itself surrounded by feathers, leaves and viaducts of seductive, amiable thrusts towards the belly. It glides through the dilation of sounds, the vibratos, the electric sparks, the fragments of Can and Kraftwerk that are glimpsed, with a substantial ability to communicate the impression that Prog here has only to learn with the army of creativity that probes every possibility to converge in an experimentation that is never exaggerated. 

They unashamedly like the fragmentation of the song form, in which the refrain here would only create discomfort, a waste of time, an unnecessary excess of spectacularity. Convincing, then, is the dynamic of something akin to an apparent monotony, an insistence on finding the oil to warm the hearts of imbeciles. No doubt, everything proceeds to be a magnet with a pole calibrated to converge beauty in this light breath that can create the trails of slowly moving lightning...


In conclusion: a hunt for prey is an essential melody, almost meagre but capable of surrounding a special moment, in which the one who feels disinterest in creating empty pockets of emotion wins and the prize is eternal glory...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

11th July 2023


https://open.spotify.com/track/7niezp6Y3ArlH4yypQ6sul?si=e6362eb6b6c34008




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