The Pogues - Fairytale of New York
Ci sono ricorrenze che avanzano, si mostrano, hanno dei desideri e già tutto questo farebbe pensare alla fortuna…
Poi vi sono cuori più profondi, attenti, che passano, in silenziosa parata, a perlustrare quei lati dell’esistenza senza fari. Non sono favole, poesie e tantomeno dei bei sogni, bensì il pavimento di rapporti in difficoltà, in cui la precarietà fa bruciare la pelle del cuore, e non solo.
In quei luoghi gli stenti, le lacrime, i disagi e le ambasce sono un abbraccio poco voluto ma esistente. E chi ci mette lo sguardo ha la saggezza dell’intimità giudiziosa, in generosa empatia e solidarietà. Il Natale è ormai una festività corrotta e va corretta con canzoni come questa, che per il Vecchio Scriba è l’unica che mostra davvero interesse per vicende che sono terremoti e che vengono, disgraziatamente, nascoste sotto gli addobbi, le luci e il chiasso di gente senza rispetto nei confronti di chi invece ha un autobus pieno di strazianti e complesse tragedie.
Ma anche da un litigio può nascere un arcobaleno a irradiare la corteccia cerebrale di nuove panoramiche visive.
Sia benedetta la modalità del duetto narrativo, di una melodia folk irlandese, della valigia e della visione di strade strette, senza cielo, a New York. Un pianoforte e una tastiera sono i semi di un prato immaginifico che pian piano copre la storia di dolcezza e malinconia, in un teatro punk dentro una pellicola cinematografica, mentre perlustra lati umani che paiono banditi in cerca di una resa…
L’epica e la nostalgia compiono passi di valzer mentre la band prende Shane e Kirsty e li mette uno di fronte all’altro sul ring, in un match di pugilato nel quale nessuno getta la spugna sino a quando il clima non conosce la ragione per modificare il tutto.
Il brano ha un’alternanza micidiale, su piani emotivi e razionali, e pure musicali, che induce alle riflessioni ma solo come successione a lacrime, emozioni e urla lanciate tutte sul vento di un dramma che illumina anche chi è avaro di tutto ciò: eccovi il vero miracolo di Natale…
I contrasti trovano spazio nei nuovi sogni e nelle delusioni che il testo riassume ma con garbata gentilezza, pur non mancando anche espressioni volgari, tuttavia necessarie.
La sincerità in musica non può avere il bavaglio e FONY lo dimostra pienamente, senza indugi.
Tutto parte da una prigione, con l’alcol a segnare il respiro del protagonista (MacGowan), qui con l’unica voce che sembra far apparire davanti ai nostri occhi ettolitri di amarezze e sogni.
E, mentre ascolta un vecchio brano (The Rare Old Mountain), la tristezza della memoria si condensa, straziandolo, con l’amore per una donna che ricompare, scatenando l’ardore di un sentimento mai sopito. I due battagliano, lottano, mettono barriere sino a quando la resa arriva grazie ai sogni di lui, mai pronto a rinunziare a chi gli fa battere forte il cuore e che dimentica i problemi e va oltre.
Nell’autodistruzione amorosa vi sono petali e raggi che si muovono tra bestemmie e insulti, ma con il progetto di silenziare il tutto.
Ecco che la disillusione del sogno americano trova i suoi confini, i limiti e il pressappochismo di una democrazia che ha causato nuove povertà. Per risolvere questo problema non rimane che l’amore, che unisce.
Nei ricordi l’Irlanda diventa un balcone, un bisogno di panorami mai inquinati, dove ogni cosa scorre senza gli inganni della modernità. Non è un caso che molti suoi cittadini negli anni Ottanta siano andati negli States sbagliando il momento: Reagan stava distruggendo senza impedimenti e la profonda umanità di questi nuovi emigranti trovava, improvvisamente, un semaforo rosso, un calcio ai sogni, subendo una serie di mortificazioni tremende, finendo in una gabbia inimmaginabile.
In tutto questo la composizione riesce a far compiere alla nostra visione dei fatti raccontati un’analisi dettagliata di chi, in una guerra non vista e mai evidenziata, si trova tra alcol, rabbia e la consolazione di amori impossibili…
La voce rauca e alienata, piena di nebbia e brividi di Shane, ci porta nei canali di una mente sensibile e quindi vulnerabile, con ampie falcate nelle pareti di desideri a cui a fatica riesce a obiettare. In questa stupefacente credibilità, lo affianca una fata con le gote arrossate (come la sua ugola) che scalcia e dichiara guerra al suo amato. Un duetto/duello che esplora la fiumana di differenze tra il cantante nato a Pembury e poi divenuto irlandese e la ragazza di Croydon, trasportati come per non magia in un luogo distante dalle loro radici. La canzone assembla tutto con meticolosità, puntando i fari dell’energetica pulsione Celtic Rock di una formazione che, partendo da basi storiche conclamate, sa aggiungere novità a un matrimonio che si rivela perfetto. Si danza, lentamente prima (abbracciati) e poi velocemente, come in uno scalmanato rituale fisico che contempla lo spostamento e la distribuzione di un sudore vero.
Ed ecco l’evidente opposizione al Natale, come un libro di saggistica non contemplato, ma ritenuto dagli artisti in questione assolutamente necessario. Apparentemente leggera, la composizione è una delicata operazione chirurgica, un valore aggiunto inaspettato, un insieme di linguaggi da strada, di chi nel niente ha un tutto da improvvisare e un nulla da perdere…
I Pogues offrono la mano, una coperta per fare della speranza e dello scambio dei doni una possibilità di arricchimento, che non passa attraverso la mediocrità di regali, i quali sono possibili solo per chi ha avuto fortune e capacità che non gravitano di certo nella strada di coloro che la povertà la vivono con tutti i suoi shock.
Fairytale of New York è una ciminiera, un porto del cuore, un sussulto, con la capacità innegabile di fare della canzone un riscatto, un progetto, un ricordo, un bacio, una bevuta infinita con chilometri di battiti piovigginosi, un delirio silente nella dinamica di armonie musicali che, tra muscoli e carezze, riesce a far planare un racconto che fa del mondo tenuto segregato un paradiso dove la dignità non viene misurata con la ricchezza, la posizione sociale e l’arroganza del dominio, e in cui l’unica, discutibile, sete, è quella del potere e non quella di una sana Guinness…
Il testo fa sentire la schiuma di un’escoriazione causata da una caduta (fisica e morale), per poi disinfettare il tutto e ristabilire equilibrio e forza. Molto più di una metafora, questo episodio passa attraverso realtà, mitologia, tradizioni antiche per dare al cuore irlandese una bandiera che sventola e che sempre lo farà con una fierezza indiscutibile. Quando offre al passato la possibilità di consolare, non smette di creare il presente e nuovi ricordi, confezionando perfettamente la vera identità della terra del trifoglio.
E, quando allude al gioco d’azzardo (per poter cambiare le sorti dei protagonisti) si nota che nel baratro avanzano ancora scelte criticabili ma necessarie. Ed è apoteosi: passa attraverso una ingenuità che diventa poesia, una forma altissima di ironia, con petali amari che cadono nel cuore della vicenda…
Quando la città della mela si mostra inospitale e crudele con chi non ha la fortuna sulle spalle, ecco che il testo sfodera un’amara constatazione che diviene, però, motivo di forza e di distinzione di un’identità che non teme di evidenziare le differenze.
Viene voglia di spogliarsi, di andare a Dublino e dintorni, di avere un sacco di iuta vuoto e la propensione a metterci dentro i visi e le storie di chi, in questo brano, ci ha fatto piangere e sentire orgogliosi di voler raggiungere una nuova meta…
Alex Dematteis (Vecchio Scriba)
Musicshockworld
Salford
24 12 2025