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giovedì 20 giugno 2024

La mia Recensione: The Dharma Chain -Nowhere


 

The Dharma Chain -Nowhere


La musica continua a volare, a spostarsi, a infischiarsene dei confini, dei trattati, e corre, passeggia e assaggia brividi di connessione ininterrotti.

È il caso di questa band Australiana che dal paese natio è emigrata a Berlino e che presenta l’album di debutto. Esattamente come la vita reale, anche quella artistica dimostra la volontà e l’abilità di spostarsi in zone diverse, di addentrarsi con intelligenza e muscoli perfettamente oliati nella psichedelia più acerba, con le vampate poderose del garage rock e una lieve predisposizione ad affacciarsi allo shoegaze, il tutto con eleganza e sensualità.

Ma si assiste anche un impeto vigoroso, quasi aggressivo, calmato da una maturità davvero notevole, favorita da una produzione che esalta gli spigoli e li smussa perfettamente. Le composizioni creano un ampio stato emotivo, visivo, suggellando l’amalgama tra la danza e l'introspezione, con momenti di dolcezza come nel caso di Her Head, un vascello mentale che ondeggia tra un arpeggio di chitarra e una poderosa distorsione, sino ad accelerare mantenendo uno status onirico.

Quando giunge Clockwork si prova una strana gioia: sarà data dalla tensione di un feedback quasi allucinante, dal basso torbido e da una chitarra che sembra un sitar in cerca di un abbraccio, oppure dalle due voci che si abbracciano. 

YSHK (You Should Have Known) è un mitra gentile, che conduce alla consapevolezza grazie a inevitabili bordate chitarristiche che potrebbero provenire dalla zona di Bristol dei primi anni Settanta, con il supporto di un synth paradisiaco.

Più visiti queste canzoni e maggiore è il coinvolgimento, l’esperienza che trascina l’ascolto a divenire una identità ben precisa, con in regalo una temperatura corporea in aumento, provocando quasi un piacevole stato febbrile.

Quando la ninna nanna elettrica di Somewhere arriva, tutto diviene poesia con pennellate che rendono le nuvole azzurre, in uno spazio onirico che decisamente mostra la dimensione shoegaze del gruppo, facendoci immergere in bisogni nuovi, emergenti, con il fazzoletto che si gonfia di tenere lacrime.

L’apoteosi giunge con Greenlight, il momento più intenso ed elaborato, una collana di coralli che sequestrano la luce e si regalano la profondità del buio, in uno stato di tensione palpabile e avvolgente. Il caos viene ammaestrato, condotto alla riflessione, prima pulito e poi intossicato da una chitarra lancinante e dal connubio del basso e della batteria che sembrano proteggere le parole, consegnando un gioiello incontestabile.

Un debutto clamoroso, intenso, una notevole propensione a rendere la musica nomade, conflittuale ma anche serena, meravigliando e scuotendo la mente di chi l’ascolta. 

Si viene trasportati nella zona della curiosità, dove tutto si amplia e non ha fretta di definirsi. Un grandissimo abbraccio alla band e un grazie immenso: sono lavori come questo che fanno dell’ascoltatore un privilegiato e un clamoroso beneficiario di splendide “torture accennate”, definendo in modo nuovo la parola delizia…



Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

20 Giugno 2024


https://anomicrecords.bandcamp.com/album/the-dharma-chain-nowhere


My Review: The Dharma Chain -Nowhere


 

The Dharma Chain -Nowhere


Music continues to fly, to move, to disregard boundaries, treaties, and to run, walk and taste uninterrupted thrills of connection.

Such is the case with this Australian band who emigrated from their home country to Berlin and present their debut album. Exactly like their real life, their artistic life also demonstrates a willingness and ability to move into different zones, to delve with intelligence and perfectly oiled muscles into the most acerbic psychedelia, with the mighty flushes of garage rock and a slight inclination towards shoegaze, all with elegance and sensuality.

But there is also a vigorous, almost aggressive impetus, calmed by a truly remarkable maturity, aided by a production that enhances the edges and smooths them out perfectly. The compositions create a wide emotional, visual state, sealing the amalgam between dance and introspection, with moments of sweetness as in the case of Her Head, a mental vessel that sways between a guitar arpeggio and a powerful distortion, until accelerating while maintaining a dreamlike status.

When Clockwork arrives, one feels a strange joy: it will be given by the tension of an almost hallucinatory feedback, the murky bass and a guitar that sounds like a sitar in search of an embrace, or the two voices embracing. 

YSHK (You Should Have Known) is a gentle miter, leading to awareness thanks to unavoidable guitar on fire that could have come from the Bristol area of the early seventies, backed by heavenly synths.

The more you visit these songs, the greater the involvement, the more the experience drags the listener into becoming a distinct identity, with a rising body temperature as a gift, almost causing a pleasant feverish state.

When the electric lullaby of Somewhere arrives, everything becomes poetry with brushstrokes that make the clouds blue, in a dreamlike space that decisively shows the shoegaze dimension of the group, plunging us into new, emerging needs, with the handkerchief swelling with tender tears.

The apotheosis comes with Greenlight, the most intense and elaborate moment, a necklace of corals that seize the light and give themselves the depth of darkness, in a state of palpable and enveloping tension. Chaos is trained, led to reflection, first clean and then intoxicated by an excruciating guitar and the combination of bass and drums that seem to protect the words, delivering an undeniable jewel.  A resounding, intense debut, a remarkable propensity to make music that is nomadic, confrontational but also serene, marvelling and shaking the listener's mind. 

One is transported to the zone of curiosity, where everything expands and is in no hurry to define itself. A big hug to the band and an immense thank you: it is works like this that make the listener a privileged and resounding beneficiary of splendid ‘mild torture', defining the word delight in a new way…



Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

20 Giugno 2024


https://anomicrecords.bandcamp.com/album/the-dharma-chain-nowhere




lunedì 11 settembre 2023

La mia Recensione: Graveyard Train - Hollow

Graveyard Train - Hollow


Scena: un bambino con gli occhi appiccicati al suo oceano lancia lo sguardo e insieme a esso la voce e il tempo, per ingrassare il sogno di un delirio cupo. Quella che ascoltate è una musica che scende nelle viscere per trovare un covo di vipere in manifesta attitudine di bave raccolte nei secondi precedenti un attacco. Quattro, cinque, sei corde e pelli piene di catrame, una miriade di strumenti assemblati per far correre quel gesto del bambino tramite i sei musicisti di Melbourne, che stanno dalla parte sbagliata della città. 

Le storie raccontate sono sciabolate di demoni dal ghigno metallico, gonfio, affacciate dentro il dolore di un disagio che accoglie chilometri di romanzi, dove la pazzia è forse il sorriso di Dio… Un album pieno di segreti, di tormenti, di tensione manifeste, di ossessioni con il riverbero, con il blues che accarezza la chitarra slide in procinto di confermare la commistione tra l’alt-rock, il country più maligno e il lato più oscuro di un arsenale che conosce forme, modalità, tossicità e alcol senza il tappo, nel salto carpiato verso un ventre inebetito. Capire cosa avviene nel deserto lunare e notturno di Melbourne è estremamente complesso: tra gli sbandati, le anime appese a un ago, una bottiglia, o chiuse in una desolante meditazione solitaria, a fare la differenza è il binocolo senza peli sulla lingua del gruppo australiano, che srotola la vergogna, il timore, e li inchioda tra solchi pregni di polvere e anime grattugiate.


Lo schema di scrittura prevede chitarre potenti e voci che siano rappresentanti del lato più tenebroso di quelle corde che scavano dentro il lato sud-ovest degli Usa, filtrando, dilatando, per poter mettere il timbro che non consenta insicurezze: le undici composizioni provengono dalla terra dei koala, non v'è dubbio alcuno. Inutile, dannoso, alquanto banale e stupido citare Nick Cave: siamo molto lontani da quella pazzia meravigliosa, sragionata e adolescenziale del cantante che poi si è ritrovato l’epicentro di tante nuove anime.

No, questi non sono bardi, lupi della notte, nemmeno una sfilza di crudeli nubifragi comportamentali. I Graveyard Train (con questo insieme sonoro finalmente decisi ad avere un batterista a tempo pieno) sono dal lato opposto di ogni conclamata sicurezza: descriverli è come lanciare una manciata di sabbia cruda sulle onde dell’oceano. Le coordinate sono letterarie prima di tutto, con la sfiducia nei confronti dell’essere umano, finendo per mostrare paralisi continue. La parte strumentale è un combo nocivo, una grattugia di oggetti presi a schiaffi, per produrre la schiuma e cristallizzare la sofferenza, non come richiesta di aiuto bensì come una lastra che mostra il cancro comportamentale di una umanità ormai inchiodata con i suoi libri. E allora, in questo epidermico contesto cristallino dai guaiti continui, si afferma un legame fiduciario con la depressione e il vizio conclamato, si invita a bere per ricordare come sotto il cielo di Melbourne ci sia un bambino che, ipnotizzato e imbambolato sotto l’effetto di incubi senza fine, non ha un passato e tantomeno un futuro. I cori, così dichiaratamente legati all’opzione rockabilly americana degli anni Cinquanta, fanno rimbombare versi che escono dichiaratamente da letture di libri tenuti di nascosto negli scantinati, negando loro la possibilità di offrire se stessi alla consapevolezza di un mondo disinteressato a fare ciò. Adem Johansen è un ipotetico filo spinato, con i petali di dolcezza che sanno comparire nei pochi momenti nei quali la ballad sospende la processione sonora così incline alla psichedelia tedesca, per un salto nello spazio davvero impressionante. La slide guitar in quelle poche occasioni sale in cattedra, toglie il nero e inserisce un blu malinconico ma sognante. In quelle canzoni la band perde l’impatto concentrico per nutrire il fabbisogno dell’anima di quel fanciullo…


La chiarezza del suono serve per esaltare il lato oscuro di una città sempre più vittima del progresso, sempre abile a emarginare il debole, e in tutto ciò il senso di inquietudine pare un amico in stato di grazia. Un fascio di particelle sonore per un cammino nel piacere di un vizio che tolga la dimensione della comprensione e della consapevolezza. Storie squallide, crude, pruriginose, insopportabili avevano bisogno di un cavo elettrico, di ritmi senza esitazioni, un peso uguale a quello di testi imbevuti di petrolio. La ballata da pub come la danza scatenata sui bordi di una notte sbagliata si incontrano nel luogo di queste canzoni che spesso richiamano le pellicole dei festini pieni di cocaina, per dei sogni con un incubo ricorrente…

Spaventosamente credibile, il tappeto sonoro è una terapia d’urto, nelle paludi di un futuro che qui si rivolge a dischi pieni di polvere. Spesso la voce sembra la conseguenza del diavolo che mette le dita nella presa di un egoismo: sclerata, senza ossigeno, l’ugola di Adem non offre dubbi perché la normalità esiste e non abita qui!

Un lungo fuoco fatuo attraversa il tempo, inchioda la speranza sulla croce dell’eternità con queste frammentazioni continue, nei saliscendi tenebrosi di un lavoro che consente ai sei la possibilità di essere odiati bene, quasi con amore: a loro non manca il coraggio di asfaltare le bugie, le idiozie, di schierarsi contro il mercato, figli di quella sinistra australiana che non usa il megafono ma brani come letame, per coprire le altrui incapacità.

Concludono il tutto con un tuffo nel petardo che fa terminare il mondo: dove c’è obiettività l’unica resa consta di una scrittura musicale che verrà ricordata nel prossimo bing bang…



Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

11 Settembre 2023


https://graveyardtrain.bandcamp.com/album/hollow




My Review: Graveyard Train - Hollow

Graveyard Train - Hollow


Scene: a child with his eyes glued to his ocean casts his gaze, and along with it his voice and time, to grease the dream of a dark delirium. What you hear is music that descends into the bowels to find a den of vipers in manifest attitude of burrs gathered in the seconds before an attack. Four, five, six strings and tar-filled skins, a myriad of instruments assembled to run that baby act through the six Melbourne musicians on the wrong side of town. 

The stories told are sabre-rattling demons with metallic, bloated grins, facing into the pain of a discomfort that welcomes miles of romance, where madness is perhaps God's smile... An album full of secrets, of torments, of manifest tension, of reverberating obsessions, with the blues caressing the slide guitar about to confirm the mingling of alt-rock, the most malignant country and the darkest side of an arsenal that knows forms, modes, toxicity and alcohol without the cap, and within the pike jump towards an inebriated belly.


Understanding what goes on in Melbourne's lunar, nocturnal desert is extremely complex: among the stragglers, the souls hanging from a needle, a bottle, or locked in desolate solitary meditation, it is the Australian band's unabashed binoculars that make the difference, rolling out the shame, the fear, and nailing them between dusty grooves and grated souls.

The writing scheme involves powerful guitars and vocals that are representative of the darker side of those strings that dig into the south-west side of the USA, filtering, dilating, in order to put a timbre that allows no insecurities: the eleven compositions come from the land of koalas, no doubt about it. It is useless, harmful, rather banal and stupid to quote Nick Cave: we are a long way from that marvellous, unhinged, adolescent madness of the singer who later found himself the epicentre of so many new souls.

No, these are not bards, wolves of the night, not even a parade of cruel behavioural cloudbursts. Graveyard Train (with this sonic ensemble finally determined to have a full-time drummer) are on the opposite side of any self-confessed certainty: describing them is like throwing a handful of raw sand on the ocean waves.

The coordinates are literary first and foremost, with distrust of the human being, ending up showing continuous paralysis. The instrumental part is a noxious combo, a grating of objects slapped together to produce foam and crystallise suffering, not as a plea for help but as a slab showing the behavioural cancer of a humanity now nailed to its books. And so, in this epidermic crystalline context of constant yelps, a fiduciary link to depression and overt vice is affirmed, a drink is invited to remind us how under the Melbourne sky there is a child who, hypnotised and bamboozled under the effect of endless nightmares, has no past, let alone a future. The choruses, so avowedly linked to the American rockabilly option of the 1950s, rattle out verses that avowedly come out of readings from books kept secretly in basements, denying them the chance to offer themselves to the awareness of a world uninterested in doing so. Adem Johansen is a hypothetical barbed wire, with the petals of sweetness that know how to appear in the few moments when the ballad suspends the sonic procession so prone to German psychedelia, for a truly impressive leap into space.


The slide guitar on those few occasions takes over, removing the black and inserting a melancholic but dreamy blue. In those songs, the band loses the concentric impact to nourish the soul's need for that child's soul...

The clarity of the sound serves to exalt the dark side of a city increasingly victimized by progress, always adept at marginalising the weak, and in all this the sense of unease seems a friend in a state of grace. A bundle of sound particles for a journey into the pleasure of a vice that takes away the dimension of understanding and awareness. Bleak, crude, itchy, unbearable stories needed an electric cable, rhythms without hesitation, a weight equal to that of oil-soaked lyrics. The pub ballad as well as the wild dance on the edge of a bad night meet in the place of these songs that often recall the films of cocaine-filled parties, for dreams with a recurring nightmare

Frighteningly credible, the sound carpet is shock therapy, in the swamps of a future that here turns to dust-filled records. Often the voice seems the consequence of the devil putting his fingers in the grip of a selfishness: unhinged, without oxygen, Adem's uvula offers no doubts because normality exists and does not live here!

A long fatuous fire crosses time, nails hope on the cross of eternity with these continuous fragmentations, in the tenebrous ups and downs of a work that allows the six to be hated well, almost with love: they do not lack the courage to tar lies, idiocies, to take sides against the market, sons of that Australian left that does not use the megaphone but songs like dung, to cover others' incapabilities.

They end it all with a dive into the firecracker that ends the world: where there is objectivity the only surrender consists of musical writing that will be remembered in the next bing bang...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

11th September 2023


https://graveyardtrain.bandcamp.com/album/hollow





mercoledì 10 maggio 2023

My Review: Hackitt - Formless

Hackitt - Formless


Melbourne reveals the bastard, dirty, acidly predisposed side to a spectacular war of Synthpunk bullets that go precise to pierce the heart, while being accompanied by Darkwave friends with a plastic bag over their face. The Hackitt's song is the poetry of the burden of living, its immutable emblem. Vigorous, heartbreaking, enchanting, Formless is the dark enthusiasm that rules the sky and offers itself as a gift through these notes that have Belgium in their veins, sprinkled with Germany and the desire to come to life only through a dense network of electronic bacilli held between the fingers on the dripping keyboard. A nail, rusty, full of dust, that comes down on our heads to enter and become a murderous loop: wonderful!


Alex Dematteis

Musicshockworld

Supino

10th May 2023


https://hackittmelbourne.bandcamp.com/track/formless-single?from=search&search_item_id=1668103126&search_item_type=t&search_match_part=%3F&search_page_id=2592441222&search_page_no=0&search_rank=1&logged_in_menubar=true




La mia Recensione: Hackitt - Formless

 Hackitt - Formless


Melbourne rivela il lato bastardo, sporco, acidamente predisposto a una guerra spettacolare di proiettili Synthpunk che vanno precisi a perforare il cuore, mentre vengono accompagnati dagli amici Darkwave con un sacchetto di plastica sul volto. La canzone degli Hackitt è la poesia del peso di vivere, il suo emblema immutabile. Vigorosa, straziante, incantevole, Formless è l’entusiasmo cupo che governa il cielo e che gli si offre in dono attraverso queste note che hanno il Belgio nelle vene, spruzzate di Germania e il desiderio di prendere vita solo attraverso una fitta rete di bacilli elettronici tenuti tra le dita sulla tastiera colante. Un chiodo, arrugginito, pieno di polvere, che si abbassa sulla nostra testa per entrare e divenire un loop omicida: meraviglioso!


Alex Dematteis

Musicshockworld

Supino

10 Maggio 2023


https://hackittmelbourne.bandcamp.com/track/formless-single?from=search&search_item_id=1668103126&search_item_type=t&search_match_part=%3F&search_page_id=2592441222&search_page_no=0&search_rank=1&logged_in_menubar=true






martedì 4 aprile 2023

My Review: Adalita - Inland

Adalita - Inland


Australia's best rocker returns after nine years with her third album and nothing to say: chapeau!

Her songwriting has become more intimate, the smoothness of the songs has gained, her adult soul has convinced her to think more, and here is the magic and strength that, combined with her voice that, like a feather, knows how to get dirty in black, gives the compositions as a whole a complete demonstration of how the girl from Melbourne knows how to offer rock a new and more complete vision. Everything becomes more musical, complete, it sweeps over the moors of experience with warmth, and the waves of the Pacific Ocean seem to embrace these sonic butterflies that are perfect to be accompanied by an alcoholic beverage. You often get teary-eyed and run happy listening to this work: I would say that even the emotional range proves that Inland is really good. Come on: suitcase and hat and off to Australia once again, happily!


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
4th April 2023




La mia Recensione: Adalita - Inland

 Adalita - Inland


La miglior rocker Australiana torna dopo nove anni con il suo terzo album e niente da dire: chapeau!

La sua scrittura si è fatta più intimista, ne guadagna la scorrevolezza delle canzoni, l'anima adulta l'ha convinta a ragionare di più ed ecco uscire dal suo cilindro la magia e la forza che, unite alla sua voce che come una piuma sa sporcarsi di nero, dà all’insieme delle composizioni una completa dimostrazione di come la ragazza di Melbourne sappia offrire al rock una visione nuova e più completa. Tutto si fa più musicale, completo, si spazia nelle lande dell'esperienza con calore, e le onde dell'oceano Pacifico sembrano abbracciare queste farfalle sonore che sono perfette per essere accompagnate da una bevanda alcolica. Si arriva spesso a lacrimare e a correre felici ascoltando questo lavoro: direi che anche il range emotivo dimostri che Inland è davvero valido. Forza: valigia e cappello e si va in Australia ancora una volta, felicemente!


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
4 Aprile 2023




mercoledì 22 marzo 2023

La mia Recensione: Oceans - Dreamers in Dark Cities

 Oceans - Dreamers in Dark Cities 


Quante volte si viaggia nella stessa località? E se si ritorna è perché ci è piaciuta davvero molto.

Ora ripetere un viaggio a Melbourne significa prendere residenza lì,  in quanto ci si vuole inebriare delle strade dove si immagina vivano le presenze sottili e incantevoli che hanno generato l’album di esordio degli Oceans, ambasciatori di un verbo solo: nutrimento all’insegna di una bellezza che ha radici nella consapevolezza esplorativa delle coscienze. Si rimane impressionati, stregati da una maturità che è sparsa in tutte le tracce, con le polveri dei sogni che vengono scodellate una ad una nella nostra intimità.

Quando un sogno trova il suono bussa sicuramente alla porta della nostra coscienza con la leggerezza degli Oceans, in una passeggiata con un saggio uso di modalità che hanno come strumenti il gambo solido dello Shoegaze, il Gineceo e l’Androceo (la parte femminile e maschile del fiore) all’interno del Dreampop, nel gioco incantevole di colori vivaci, tenui, sempre comunque splendenti. Un album coraggioso, vero, che sonda la realtà e annienta la crudeltà con incantevoli voli melodici, facendo di questi due principali generi musicali un viaggio psichedelico, con corpose dosi di alveari pieni di nettare per un ascolto che diventa un pasto completo per la nostra anima. Certo, siamo in presenza di riverberi, di distorsioni e di feedback, ma tutto incredibilmente miscelato per donare prima di tutto la fisicità del sogno e non solo una dimensione musicale. Ci troviamo a vivere il pathos in un ascolto che produce vibrazioni e dipendenze affettive, uno slancio verso il vuoto senza aver paura. Tutto si svolge senza forzature, con rispetto per i timpani ma con la capacità di suscitare dosi di emozioni elevate. Arpeggi e ritmiche si dividono il palco di questo sogno che dura molto più dei suoi trentacinque minuti: gli effetti rimangono intatti per il resto della giornata, perché prendono residenza nel desiderio di non vederlo morire. Che siano in grado di evolvere o meno la musica è una domanda errata: questi australiani vanno oltre la musica, non separano, non uniscono, lo possono fare perché la bacchetta magica si è appoggiata sul nucleo delle loro canzoni rendendole speciali, magnetiche, distanziandole da quelle delle altre band. È un continuo crescendo che pare essere eseguito da un’orchestra di angeli diretti dal Dio della Musica che ha sicuramente benedetto la formazione e consegnato loro il segreto per far sì che questo album avvolga i nostri cuori. Quando le nuvole non sono cariche di pioggia ma di note che conoscono il modo di essere messaggeri di trame, di storie dove i sentimenti negativi vengono coccolati e abbracciati, ecco che si compie il miracolo di un mondo migliore perché è proprio così: Dreamers in Dark City è la manifesta possibilità di sentire musica diversa. E siamo tutti più belli…


Song by Song


1 - Feels Like You


Ci si affida a una apertura che ci mostra la delicatezza di una chitarra che sembra giocare nell’acqua. Poi la canzone presenta una struttura sognante con oscillazioni Shoegaze, in una carezza sulla pelle che restituisce la sua poesia con un cantato sussurrato che affascina. 



2 - Mike Tysong 


Una corsa che lascia impronte Darkwave iniziali e poi è una ondata Alternative che ammalia, il cantato è un sequestro dei sensi, mentre la chitarra fa sentire a poco a poco di più la sua voce. Il basso e la batteria invece sono compagni di merenda, mangiano il ritmo e fanno da contraltare al cantato che sembra uscito da un lavaggio perfetto in quanto la sua anima, prima timida e poi più risoluta, riempie il cuore.

Davanti alla magia che strega, la dipendenza di un ascolto ripetuto più volte è la garanzia per questo gioiello.


3 - Soft


Può un colpo di vento piangere facendo intenerire? Sì, decisamente. Il synth crea la corrente giusta, le voci e il controcanto sono cellule Shoegaze, mentre la musica viaggia tra la miglior attitudine pop degli anni '80, con la chitarra che è una cantilena dentro il Dreampop gioioso. 


4 - Look Into My Eyes


Una lama circolare apre la canzone: è la chitarra solista che esce da quella ritmica ed eleva il suono verso le nuvole, con la voce che fa l'opposto (almeno inizialmente), volando a quote basse, e poi è un impatto che ci avvolge, in una stratificazione Shoegaze misurata e poi aggressiva, quasi Post-Rock. I vari Stop and Go, la chitarra che rimane protagonista, l'impasto finale a scemare la rendono un altro gioiello di questo album.


5 - Breathless


 Si piange, si sogna, tra controllata irruenza e una delicatezza commovente, per un brano che esercita un potere emozionale enorme, finendo per portarci ad occhi chiusi dentro l'impeto della batteria, i tocchi sapienti del basso, le due voci angeliche e le chitarre, dee delle dinamiche, per un Dreampop lento e accogliente. I sogni possono dormire sicuri...


6 - Pure


La prima canzone dell'album ad essere stata rivelata prima dell'uscita, è la prova che la melodia può viaggiare a una buona velocità non perdendo nulla della sua identità. Lo stato di grazia e le capacità della band continuano a disegnare la lora traiettoria. Prendiamo Pure: come resistere alla tentazione di voler abbracciare la vita? Basta seguire il lavoro del basso che è un canto di per sé e le chitarre che costantemente ribadiscono come le radici del Dreampop rimangono valide. Qui si aggiunge un suono fresco e dinamico.


7 - Apart


Anche gli angeli corrono, senza sudare, lasciando il profumo a volte di una malinconia sostenibile. Accade in questo brano, dove tutto è delicato e irruente, in un sodalizio che comporta grande emozioni. Il drumming, di impostazione Indie, alterna le sue dinamiche sostenuto da un basso locomotiva a vapore, con gli accenni di chitarra prima e poi più presenti per fare di questa canzone un cuscino ritmato, al fine di poter riposare su ogni nuvola.


8  - Lost In The Dark


Note delicate escono dai tasti di un piano, la voce trova le parole per trasmettere i suoi pensieri, mentre la chitarra arriva e si prende singoli suoni per poter trasportare i sogni dentro un Alternative magico: si è in zona anni ’90, sponda Inglese, e quando si arriva al ritornello si può sentire un eco di Slowdive che unisce le due band, sorvolando l'oceano.


9 - Exodus


Si è dentro il vento che bacia la montagna, il clima è autunnale, il pianoforte viene avvolto da attitudini Ambient, la chitarra semiacustica pone la sua voce per pochi attimi e in questa breve traccia vi è tutta l'intensità degli Australiani: gioiello purissimo.


10 - Ashes


Si fugge da una situazione dolorosa con questo ultimo brano, la magia si fa lenta, sognante e rauca, quasi piangente, ma poi tutto entra nel rock australiano che invita lo Shoegaze a fare due passi ed è puro delirio dei sensi, in un traffico emotivo che ci fa piangere ed è il modo perfetto per chiudere questo album, con un grazie fragoroso che uscendo dalle chitarre arriva alla nostra voce...


L'album uscirà il 24 Marzo 2023


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

23rd March 2023


https://oceansmusicaus.bandcamp.com/album/dreamers-in-dark-cities









My Review: Oceans - Dreamers in Dark Cities

 Oceans - Dreamers in Dark Cities  


How many times do you travel to the same location? And if you return it is because you really liked it.

Now repeating a trip to Melbourne means taking up residence there, since you want to inebriate yourself with the streets where you imagine the subtle, enchanting presences that generated Oceans' debut album live, ambassadors of a single verb: nourishment in the name of a beauty rooted in the exploratory awareness of consciousness. One is impressed, bewitched by a maturity that is scattered throughout the tracks, with the dust of dreams being served one by one in our intimacy.

When a dream finds sound, it surely knocks at the door of our consciousness with the lightness of Oceans, in a walk with a wise use of modalities that have as instruments the solid stem of Shoegaze, the Gynecium and the Androecium (the feminine and masculine part of the flower) within Dreampop, in the enchanting play of bright, subdued, always shining colours. A brave, true album that explores reality and annihilates cruelty with charming melodic flights, turning these two main musical genres into a psychedelic journey, with full-bodied doses of nectar-filled hives for a listening experience that becomes a full meal for our soul. Of course, we are in the presence of reverberations, distortions and feedback, but all incredibly mixed to give us first of all the physicality of the dream and not only a musical dimension. We find ourselves experiencing pathos in a listening that produces vibrations and affective dependencies, a rush towards the void without fear. Everything unfolds without forcing, with respect for the eardrums but with the capacity to arouse high doses of emotion. Arpeggios and rhythms share the stage in this dream that lasts much longer than its thirty-five minutes: the effects remain intact for the rest of the day, as they take up residence in the desire not to see it die. Whether or not they are able to evolve music is a wrong question: these Australians go beyond music, they do not separate, they do not unite, they can do it because the magic wand has rested on the core of their songs making them special, magnetic, distancing them from those of other bands. It is a continuous crescendo that seems to be performed by an orchestra of angels directed by the God of Music who has surely blessed the group and given them the secret to making this album envelop our hearts. When the clouds are not laden with rain, but with notes that know how to be messengers of textures, of stories where negative feelings are cuddled and embraced, then the miracle of a better world takes place because that's just how it is: Dreamers in Dark City is the manifest possibility of listening to different music. And we are all more beautiful...


Song by Song


1 - Feels Like You


One relies on an opening that shows us the delicacy of a guitar that seems to play in the water. Then the song presents a dreamy structure with Shoegaze oscillations, in a caress on the skin which gives back its poetry with whispered vocals that fascinate. 



2 - Mike Tysong 


A ride that leaves initial Darkwave imprints and then an Alternative wave that bewitches, vocals are a seizure of the senses, while the guitar gradually makes its voice heard more. The bass and drums, on the other hand, are friends, eating up the rhythm and acting as a counterbalance to singing, which seems to have come out of a perfect wash as its soul, at first shy and then more resolute, fills the heart. 

In the face of bewitching magic, the addiction of repeated listening is the guarantee for this gem.


3 - Soft


Can a gust of wind cry, touching you? Yes, definitely. The synth creates the right current, vocals and backing vocals are Shoegaze cells, while the music travels through the best pop attitude of the 80s, with the guitar being a chant within joyful Dreampop. 


4 - Look Into My Eyes


A circular blade opens the song: it's the lead guitar coming out of the rhythmic one and elevating the sound towards the clouds, with vocals doing the opposite (at least initially), flying at low altitudes, and then it's an impact that envelops us, in a Shoegaze stratification which is measured and then aggressive, almost Post-Rock. The various Stop and Go, the guitar that remains the protagonist, the final fade-out make it another gem of this album.


5 - Breathless


 One cries, one dreams, between controlled impetuosity and a moving delicacy, for a track that exerts an enormous emotional power, ending up taking us eyes closed into the rush of the drums, the skillful touches of the bass, the two angelic voices and the guitars, goddesses of dynamics, for a slow and welcoming Dreampop. Dreams can sleep safely...


6 - Pure


The first song to be revealed before the release of the album, it is proof that melody can travel at a good speed without losing any of its identity. The band's state of grace and skills continue to draw their trajectory. Take Pure: how to resist the temptation to want to embrace life? Just follow the bass work that is a chant in itself and the guitars that constantly reiterate how the roots of Dreampop remain valid. A fresh and dynamic sound is added here.


7 - Apart


Even angels run, without breaking a sweat, leaving the scent of a sustainable melancholy at times. It happens in this track, where everything is delicate and impetuous, in a partnership that brings great emotion. The drumming, in an Indie setting, alternates its dynamics supported by a bass that seems a steam locomotive, with the hints of guitar which later become more present to make this song a rhythmic cushion, in order to rest on every cloud.


8 - Lost In The Dark


Delicate notes come out from the keys of a piano, the voice finds the words to convey its thoughts, while the guitar comes in and takes single sounds to transport dreams into a magical alternative: you are in the 90s zone, in England, and when you get to the refrain you can hear an echo of Slowdive uniting the two bands, flying over the ocean.


9 - Exodus


You are inside the wind that kisses the mountain, the weather is autumnal, the piano is enveloped by Ambient attitudes, the semi-acoustic guitar sets its voice for a few moments and in this short track there is all the intensity of the Australians: pure jewel.


10 - Ashes


We escape from a painful situation with this last song, the magic becomes slow, dreamy and raucous, almost weeping, but then everything enters the Australian rock that invites Shoegaze to take a walk and it is pure delirium of the senses, in an emotional traffic that makes us cry and is the perfect way to close this album, with a thunderous thank you that, coming out of the guitars, reaches our voice…


Album out on 24th March 2023


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

23rd March 2023


https://oceansmusicaus.bandcamp.com/album/dreamers-in-dark-cities








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