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domenica 30 aprile 2023

My Review: rvptur4 - Malegría

 rvptur4 - Malegría


Put on an after-dinner dance party, with red wine rushing through your veins, and an irresistible urge for a song that condenses your thoughts into leisure, in a disjointed, almost impractical idyll. What succeeds is this Chilean band, with the tingling guitar, the bass that seems to come out of the Rockabilly school, within a Post-Punk branched out to the feet of a neurotic Synth-Punk root. 

The Spanish language, combined with the double vocals in the refrain, gives the whole a beautiful suggestion, opening the fields of imagination to the beauty of a little over three minutes of healthy madness full of grace and anarchy...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Supino

30th April 2023


https://rvptur4.bandcamp.com/track/malegr-a?from=search&search_item_id=2191909961&search_item_type=t&search_match_part=%3F&search_page_id=2573140790&search_page_no=0&search_rank=1&logged_in_menubar=true




martedì 18 aprile 2023

My Review: Holograma - Holograma

 Holograma - Holograma


Nothing is more valid than reading, to get in and out of one's own selfish eccentricity. Sometimes it happens that the same effect can arise from listening to an EP, like an exaltation that gets us drunk, discovering that we need to keep in touch amidst a thousand references and the feeling that this band has a mystery on its hands that makes it give it its own merits, that it has plots that are entirely its own.

With Nostalgia we go to Germany, between initial Dark Electro impulses, then it becomes a Synthwave diamond that sweeps us away, inexorably, and it is love at first listen, immediate, generous.

Comunicación is the whole epic of The Sound period, The Chameleons, The Cure and the electronic Ultravox all trying to fit together, and the result is a seismic dance, sublime.

The EP ends with Siento Libertad and it is the trump card: the best track put as the last reveals great tactical intelligence. A few synth notes, a drum machine that shakes, a guitar that arrives slowly but then paralyses, like a romantic gesture with the possibility of killing. And the voice, distant, like a fat, muffled hiss, to complete the enchantment...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Supino

18th April 2023

https://hologramacold.bandcamp.com/album/s-t




giovedì 13 aprile 2023

My Review: Dalias - Heridas

 Dalias - Heridas


The old scribe takes you back to Chile, to the capital, to bring you the smell of bloody lumps of these five songs, which are nothing less than proof that South American post-punk is remarkably the best at this time. Determined, they launch attacks feeding on the Death-Rock soul, delivering funereal services on a lightning-filled day. Fast, they take up space with guitar playing that is clearly cold and twisted on the bank of a conquering nihilism. Rhythm changes, inside an instrumental effects careful not to vary too much to consolidate the sound, make it eternal, with the awareness that these blades will only be heard by those who already know suffering.

Extraordinary demonstration of talent: welcome to the full moon! 


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

13th April 2023


https://dalias.bandcamp.com/album/heridas






domenica 7 agosto 2022

La mia Recensione: Binzantina - Anestesia

 La mia Recensione:


Binzatina - Anestesia


È il tempo del miracolo non più atteso perché non c’è verso che i desideri diventino materia condivisibile.

Forse no, un attimo: la musica sa ancora esplorare apparizioni, presenze, sogni dentro un involucro chiamato album. Occorre sgomberare il superfluo, denigrare convinzioni sbagliate che sono solo frutto del gusto. Chi è ancora in grado di capire ciò che è davvero valido? Altro miracolo sempre più raro.

Ma io sono qui, scriba dissociato dalla arrendevolezza, rabdomante musicale integerrimo, per parlarvi di un miracolo vero, per raccontarvi il personale gaudio e stupore, l’allegria, la leggerezza compensativa che dopo 5 anni ancora vegeta di brillii e guizzi.

Due anime, provenienti dal Cile che si distanzia dalle fascinazioni totalmente funeree del gothic, lanciano sprizzi di soluzioni sofisticate, non prive (quasi un obbligo, visto il luogo) di grigie nuvole, ma accatastate su livelli sonori che contemplano ricchezza di luce nutriente, tra vapori elettronici con contorni post-punk selezionati, ridotti ai minimi termini ma altamente volenterosi di irrorare tutte le ipotesi provenienti da menti davvero capaci di fare della musica uno spazio in cui i colori non sono arcobaleni, bensì finestre emotive.

Lya Godoy è il frammento di vetro con la voce come cascata di zucchero filato insieme a gocce di sale nella sua ugola capace di ospitare la bellezza di lacrime sorridenti, una fata anomala, un’anima votata al tormento senza la pesantezza: è tutto perfettamente situato nelle corde vocali che sono sicuramente figlie  della Dèa Euterpe, che l’avrà indubbiamente abbracciata sin dalla nascita.

Dal canto suo José Ramorino è un detonatore di alchimie verticali, manovratore di voli che scavalcano il cielo con i suoi trattati elettronici che baciano le chitarre per trasportare le percezioni nel circo della bocca spalancata, dove trip-hop, Darkwave, Post-punk e compulsioni moderne liberano il galoppo di un cavallo di razza purissima. Capace di dare ai suoi istinti la volontà di ipnotizzare le stesse note verso un bagno di luce facendo l’occhiolino alle tenebre, ma senza calcare troppo la mano, José stabilisce come sensata l’affermazione che ci troviamo davanti a un polo strumentista con le stigmate del fuoriclasse.

Insieme, i due spostano il baricentro emozionale per elevare quello mentale/attitudinale verso incroci di spazi famelici di vibrazioni cupe senza per questo esplorare la sacra grotta gotica. Ma ne hanno il polso, potrebbero facilmente diventare inquilini di miglia e miglia di tristezza senza briglie.

Il cantato dona a tutti i brani brividi e capitomboli: ci fa sprofondare nel fango, umile e leggera arteria del vento.

Tutto è omogeneo, frutto di una produzione eccelsa dello stesso José, per canzoni che si tengono per mano, uniti come diamanti in una scatola dove tutto brilla e a nessun brano è concesso il lusso di primeggiare, come una goccia d’acqua che non può essere migliore di altre. Le composizioni rivelano premure nelle strutture, nei suoni, nella capacità di assoli brevi e minimalisti, come una piccola missione esplorativa per sondare le nostre reazioni, che sono votate all’applauso più pieno e caloroso possibile.

Perfettamente equilibrato di suggestioni e vettore di sorprese strette e brevi come i respiri, il tracciato sonoro corrisponde alle intenzioni per poter farci viaggiare tra morbidezza e sperimentazione continua, tra abbracci e baci di meravigliose ombre umide, perché ci si commuove all’ascolto, si esplorano le emozioni e non ci si ferma se non con l’ultimo brano. Si traversano i corridoi del primo trip-pop senza aver copiato nulla se non l’umore, capace di essere una altalena vibrante e non intenzionato a dare spazio alla lentezza perché tutto deve continuare ad essere in movimento.

Se fossimo al cinema avremmo mondi da scoprire su immagini esplosive ma lente, come un rallenty che vuole farci vedere minuscoli particolari, con un megafono sonoro che diventa un imbuto in cui stringere le nostre percezioni. Tutto suona come una giornata da venerare senza gioia superficiale, per precisare la serietà che non vuole ingannare i nostri sogni. 

I testi viaggiano sui binari dove ironia e dolore condividono la stessa sorte, con una mano davvero matura nell’essere bilanciata, per dare anche alle parole quella pelle equilibrata senza righe come avviene con la musica. E allora le nostre orecchie possono sentire tutta la fantasia obbligata che abita in quella difficile parte del mondo dove solo il coraggio di certi pensieri possono tramutarsi in azioni concrete, come può essere ad esempio questa collezione di venti senza prigioni che preferiamo definire canzoni.

Si può avvertire fortemente il desiderio di stabilire un contatto tra le pillole sonore mostrate ed una base spirituale che attraversa il cantato e le peripezie tecniche che, pur sembrando devote ad un recente passato musicale, sa costruire uno slancio verso un futuro che saprà dimostrare quanta freschezza questo lavoro suggerisce. Il disco è di una bellezza fragorosa, disarmante, capace di esplorare, immettere zucchero e veleno nelle note che paiono sempre girovagare tra la pazzia e la timidezza, in un movimento che conosce spigoli e ricami di luce. Purtroppo è passato inosservato: la colpevolezza mostra sempre la sua faccia sporca e dovremmo imparare tutti a pentirci e a dare a questa coppia il giusto tributo. La sensualità di queste composizioni rasenta lo sconcerto, non sembra vero poter essere dentro queste rapine dei sensi che non smettono mai di presentarsi. In questo vortice di sequestri rimane la certezza che la musica sia ancora un oceano da esplorare, un’isola nella quale perdere i vizi per cibarsi solo di questo beneficio, tutto. 

Se si trovasse il coraggio di riscoprirlo e di proiettare su queste canzoni la nostra devozione, ciò porterebbe raggi di luce multipla sui nostri chiaroscuri irrazionali.

E ora la parte migliore: poter mettere ognuna di queste perle sotto il microscopio, perché non c’è nulla di più rilevante di uno smarrimento davanti alla comprensione di così tanta bellezza…



Song by Song 


REM


Come dentro una bottiglia di vetro, tutto si muove tra atomi di suoni vibranti e tetri, alleggeriti dal vocalizzo sensuale/singhiozzante di Lya, mentre José, partendo da una elettronica sospesa, dà spazio a gocce di note di chitarra che allargano la capacità del recipiente che vivrà di bellezza.



Midnight


I Morcheeba con i calici notturni: è una danza che ci riporta dentro le lame smussate della band di Londra, con spiragli elettronici che sospendono la tensione teatrale della voce di Lya, che, come se volesse vivere su un palco pieno di luce pop del ritornello, non desidera altro  che giocare con il synth per dare a se stessa un momento di serenità. 



Bloody Clay


Lo splendore che attraversa la notte si chiama Bloody Clay, pietra sulfurea dalla coda di ghiaccio che, con una drum machine di derivazione dub e la chitarra Darkwave, dà modo alla voce di ricordarci Alison Shaw dei Cranes nei giorni di sole cupo, con la capacità di evocare sogni pieni di grumi sanguigni. Spettacolare e avvolgente.



Anesthesia 


Chitarre dense aprono questa danza ipnotica su cui Lya trova una filastrocca moderna e i cori minimalisti, come una spugna piena di petrolio, anneriscono l’atmosfera musicale che pare propensa alla luce. Melodia pop incastrata dentro  un trip-pop che cerca collaborazioni per non rimanere puro: altro gioiello, un lampo a illuminare il dolore.



Between


Il momento più spettacolare dell’intero lavoro: si entra nella tristezza, tra echi di dolore e gocce di rugiada per tenere compattati i brividi. La tastiera scende sotto la pelle, compatta i sensi sino a quando la chitarra immalinconisce il tutto e la voce getta fascine di nero vestite per far convogliare il tutto in un respiro che pare soffocare dentro queste note costruite per un pianto a dirotto.



Fear


La psichedelia che suggerisce al trip-pop una camminata insieme. Tutto sembra lontano, come se la canzone volesse rimanere sola, senza dover scambiare i suoi liquidi magnetici. La fantasia porta braccia pitturate di giallo e nero dentro il cantato che, quando segue la drum machine, sembra correre dentro la bava della pioggia di cui è composta questa musica in bilico tra il paradiso e il purgatorio.


Fury


La parte iniziale della canzone sembra il respiro morbido dei Prodigy a cena con i Massive Attack. Poi Josè rende tetro l’ascolto e ci porta nella sua giungla mentale piena di ossido di carbonio, mentre Lya decide di dare alla sua voce trame piene di giochi ambigui e mistero.



Moth


Spettacolare connubio di tre generi musicali ad aprire il tutto: come connettere i sentieri delle possibilità  per far fluire nell’arcobaleno nuovi colori. Anche la chitarra acustica entra nel quadro ipnotico, per non parlare del loop di un synth incandescente  che con il cantato porta il tutto alla perfezione. Il vibrato di Lya è una carezza singhiozzante e tutto ruota intorno a una musica angelica nel giorno dell’inquietudine.



Bird


Volare dentro la paura, perdere i freni e vibrare per l’eternità: questo fa l’ultimo pezzo di quest’album, ennesima dimostrazione di contagi musicai per cui non vogliamo l’antidoto. José è un mago dai molti cilindri: riesce sempre ad assembrare suggestioni e accorparle dentro atmosfere che sintetizzano il suono e i suoi bisogni. E l’ultima dimostrazione di classe di Lya è  quella di consegnarci la voce di una bambina che gioca a fare l’adulta dentro l’orchestra di un circo che celebra la vibrazione dei trapezisti e dei loro voli. E la sorpresa del controcanto di José è meraviglia liturgica. E il crooning finale della cantante cilena è pura poesia oscura. 


Alex Dematteis

Musicshockworld

Supino

7 Agosto 2022


https://open.spotify.com/album/3YY5MSFRfoWiNw8fMQjGJA?si=IVy_I85tRXO0nOvA-QQHdw


https://binzatina.bandcamp.com/album/anestesia






sabato 9 luglio 2022

My Review: Diavol Sträin * Elegía del Olvido - Elegía del Horror

 My Review:


Diavol Sträin * Elegía del Olvido - Elegía del Horror


The Chilean city overlooking the harbour has enchanted the Italians so much that they have named it Valley of Paradise: where there is a conquest there is always a foolish kindness. It cannot be denied that those places are fascinating, but let the citizens decide on the name. It is from here that I start: from the name, the beginning of a life with so much of its destiny already determined right from the outset. 


Here we are talking about the dark beauty, the one that does not deny the high expressive capacities of a combo devoted to splendour inside a cave where mysteries and intertwined affairs live on.


The two gothic corsairs create a more complex work than the previous Todi El Caos Abita Aquí, producing a magnetic box full of innovations and contaminations: they surprise themselves and make all this an achievement on our part.

Energy comes out of garages full of symbols and sacred dust, blessed by the God of pain, to give the dark sound a remarkable strength. Energy and melody become a necessity that explains events capable of producing shivers and bitter but wise observations. The bass sound is muffled, fraught with molecular fates capable of producing power and suggestions.  The guitar is an intense den of hard-working mosquitoes, with the propensity to be enveloping, looking to the sky and the world's piles of rubble. 

Compact songs, with marks of mental viruses out of control, with Deathrock stigmata that refuse to let themselves be imprisoned and know how to visit the range of possibilities they need. Intelligent, with an innate propensity to expand their feeling, they are Priestesses of the human mystery that elevates to the utmost power the sacred temple of the fragility of places, of seemingly joyless stories: real, concrete, we can only bless their aptitude for discovering the intercourses of fragility. Ethereal dreams for our ears to convert into precious files for our reasoning: each song on this album defines a loss from which to learn about reality.

With these gems, we experience a sonic menace which is made graceful by music that allows bows and prayers, like long days on the books of world history. On the curtain embalmed lights of the most seductive blackness contemplate ideas of aggregation with grey flashes, like crystals corrupted by a necessary and splendid carousel of complicity. A continuous outburst into pugnacious moors, with decisive steps, where nothing is shaky but where the dream sometimes leads to atmospheres layered and corrupted by the beauty of their ever-expanding feeling.

One is impressed by tracks that can reveal a dynamic propensity for non-violent but politely rude wickedness, just enough, in swinging games of austere and multifaceted seeds. They are attractive grains of wheat, lost in their own beauty, masters of versatility and candour. With the capacity for a sound derivative of Post-Punk and the Californian Deathrock zone, the band writes songs to give their vocals a chance to be flames of lethal gas, with the gothic redundancies of the 80s, evident but sweetened.

A visceral and magmatic sea, sonic paths that make beauty precise, a poem on the skin made steep by human events full of multiple incandescences. There is the life of stray souls, but not meaningless: the lungs, listening to these mental robberies, wriggle dreamily, with black confetti smiles, for a cathartic process with a light cap on the surface. One is compelled to pleasurable suffering, one senses and then understands that the two are enchanters of rituals that perform a beautifully crafted analytical process, one feeds on crumbs of shuttered happiness.

Mortality is applauded, despair and anxiety are companions of obligatory breaths and they know how to coexist, giving the impression that the night extinguishes the fear that is invited to emerge. They are steel songs, fragile sheets that have ghosts protecting them, to become rituals of perfect neurotic dances.

One lives in a necropolis that is more confused than ever, in a collapse of happiness that is no longer necessary: all this does not, however, make the album exclusive for black souls because it grants access to all those eager to investigate the irregular flows of difficulty, of the world in constant abandonment of the capacity to create serenity. Listening should be enforced by law: black coats to be worn, univocal, to wisely decree the reality of existences now close to the fall of hope.

We come out of the tombs not as zombies but as living beings who try to live again differently, noting the inevitable repetition of errors by which we are subjugated. Diavol Strâin is a real flame, a skein of spastic nerves necessary for the conscience that tries deception but fails with them.

They are witches with poisonous hands, quick, slow, succulent, conjugated to their hieroglyphic writing, emotional storms that sweep through to separate the fog from the fake rays that invade the streets. Chile here finds precise apostles in wanting their expressive autonomy, where elegance marries anger with crooked, decadent, sublime smiles.

They are black-clad gangsters, ancient, groping, but not devoid of consciences that stir the limbs of the mind, like violently suspended peristalsis: to listen to this beam of darkness is to become aware of the traffic of pain that spreads in the strings of their hearts.

They are vampires facing the moon, scorching souls who penetrate with an album that grates the wind and sweeps away confusions: methodical, precise, alienating, abundant in their sonic mantras, queens of the realm of dissatisfaction, they make their songs like loaves of bread without crumb. The taste is bitter, like certain dreams, opening the funereal skies of the night zone in search of peace, finding damnation instead.


There are darkwave dregs between the fingers of the two musicians: Ignacia and Lau do not seem afraid to surround their emotional burden with foams clinging to that musical genre that has managed to arrive even in that land generous in hospitality. And so here they are plunging towards boundaries that can enhance and better specify an undeniable ductility, that openness granted only to those who make knowledge a point of departure and not of arrival. 

Warriors of enigmas, in a world filled with news but not with information, these coupled turbulence know how to generate questions, offer doubts, with melancholic propensity, even to the point of making us cry bubbles of despair, understandably. A wild band that starts with Edgar Alan Poe, because of a writing that faces the terror of existence with kilometres of nightmares lined up, of a horror that becomes literary lymph, until it meets the religious belonging of one's own identity, annexing insecurities that convey a preparatory enthusiasm. One can surrender to difficulties, but with this band one learns to love them, rejecting whining in order to shake ourselves and begin the journey into darkness.

They seem to throw acid, heavy stones and then retreat into their intimacy, without delay. Magical, almost naive, very powerful tracks that live on the outskirts of our dreams with the tide, when the water seems to leave our lungs. They can be trusted. Because they are necessary, companions of solitudes that improve our breaths. They put eye-liner on our energy-deprived flows to encourage us, like an apparent deception. Digging into these forty-seven minutes, however, we have the certainty of their authenticity. Which becomes the altar where we lay down our mediocrity and hand them a papyrus of ancient velleities, burning them before their eyes with devotion.

Often the guitars are shrieks that move with bass lines (daughters of the spirits of Araucania), to dance full of impeccable solicitations towards the place of perdition. Like a hill of sins in search of forgiveness, the songs are often splinters that flee from hope, as rivals of nonsense, to breathe in all reality as proof of abilities that are applauded by the sacred fire of the sun.

The distorted arpeggios create metaphors, lamps of oblique wind, the bass instead serious and obscure melodies, pulsing with sick oxygen: necessary incandescences to understand what we are in the days of deception.

Music like quality whiskey, to stun, inebriate, corrupt every temptation. Music that clears the past of all misunderstandings: there is also something new that lives in the breaths of timeless songs, valid for eternity. It is hypnotic fluid that knows how to fill the flasks of our gothic need, like an effervescent cascade of healthy desire.

I guess it’s time, in order to better understand this album full of seaweed and sharp flights of consciousness, for a complete incursion through its tracks, arming ourselves with an open mind and a black lipstick in our hands…



Song by Song 


Caida Libre


Tenebrous, fast, an attack on our heart with its limpid connection between Darkwave and Post-punk kissing in the rush of a flash.


Destiny Destrucción


With a stylistic approach reminiscent of many bands from the Oakland scene, the track lives on the explosive connection between the distorted bass and the guitar full of gothic fog.


Lilith


It shows all the duo's ability to make their music magnetic: the rhythm decreases and the suggestions increase, a slow ascent to the sky with a melancholic flight.


El Reflejo de Mi Muerte


The syncopated drum machine, the bass pressing on our belly and then off: the guitars bring all the sadness and vitality of awareness, with the voice magnificently capable of being hysterical and malignant.


Herz Der Niemand 


Deathrock shows itself with light footprints, on vocals that explode with magnets stuck in the fog. An almost hidden electronic inlay presents itself in this track, which ultimately turns out to be the most elaborate and mysterious song on the album.


Ruinas


Hell is dressed for a moment of sweetness, almost shoegaze, with the guitar cradling the dream of being a black caress for a few minutes.


Nacidas del Fuego


Pins of moss-filled caves, the gothic belly pulses bloody liquids for a track that creates a tense, soft, hypnotic atmosphere.


Cotard 


Surprising and astounding, all the duo's imaginative talent sows its seeds in a breath that touches the corals of poetry.


El Ansia


Between Xmal Deutschland and Esses, Diavol Strâin launches into an anxious dance, grating all the Darkwave scenery that looks towards Deathrock with religious devotion. The bass and guitar seem at times to take turns to seduce the satanically laughing ghost.


Ylak 


Queen of clouds filled with pathos, the song declares all the creative possibilities of the Chilean band. A gentle howl, the guitar scratching respectfully and the vocals seducing like honey does with a bear's nails.


Inferno


After a beginning that leaves seeds of The Banshees, here is the jerk and the rush in the Los Angeles that welcomes anyone with the need for deathrock urges in their veins. 


Uroboros


Everything comes to a close in the best way: still something new, amazing, with echoes of Hannett's work with Joy Division. Something shatters while keyboards take the stage for a magnetic track, full of continuous loops. A stratified song, with cleverly connected zones that convey pleasant connections to Anja Huwe's band and the dark Germany of the 80s. Vocals disappear and an enveloping and sensual atmosphere sings.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

10th July 2022


https://open.spotify.com/album/2izATdFOO5hG5deyCyUt4a?si=ossBb4YlSSuxHIKl9fDyug










La mia Recensione: Diavol Strâin * Elegía del Olvido - Elegía del Horror

 La mia Recensione:


Diavol Strâin * Elegía del Olvido - Elegía del Horror


La città cilena affacciata sul porto ha incantato gli italiani così tanto che l’hanno denominata Valle del Paradiso: dove c’è una conquista esiste sempre una gentilezza stupida. Che poi quei luoghi siano incantevoli non lo si può negare, ma lasciamo che siano i cittadini a deciderne il nome. È da qui che parto: dal nome, l’inizio di una vita con tanto del suo destino già determinato sin da subito. 


Qui stiamo parlando della bellezza cupa, quella che non nega le altissime capacità espressive di un combo votato allo splendore dentro una grotta dove vivono misteri e faccende legate tra di loro.


Le due corsare gotiche creano un lavoro più complesso rispetto al precedente Todi El Caos Abita Aquí, confezionando una scatola magnetica colma di innovazioni e contaminazioni: si sorprendono e fanno diventare tutto questo una nostra conquista.

L’energia esce da garage pieni di simboli e polvere sacra, benedetta dal Dio del dolore, per conferire al suono cupo una forza notevole. Energia e melodia diventano una necessità che spiega vicende capaci di produrre brividi e constatazioni amare ma sagge. Il suono del basso è ovattato, gravido di destini molecolari capaci di produrre potenza e suggestioni.  La chitarra è un covo di zanzare laboriose, intenso, con la propensione ad essere avvolgente, guardando al cielo e ai cumuli di macerie del mondo. 

Canzoni compatte, con impronte di virus mentali fuori controllo, con le stigmate Deathrock che non si fanno imprigionare e sanno visitare la gamma di possibilità di cui abbisognano. Intelligenti, dalla propensione innata a espandere il loro sentire, sono Sacerdotesse del mistero umano che eleva alla massima potenza il sacro tempio della fragilità dei luoghi, di storie apparentemente senza gioia: reali, concrete, possiamo solo benedire la loro attitudine a scovare gli amplessi della fragilità. Sogni eterei per le nostre orecchie da convertire in file preziosi per i nostri ragionamenti: ogni canzone di questo album definisce una perdita da cui apprendere la realtà.

Con queste gemme si vive l’esperienza di una minaccia sonora aggraziata da musiche che consentono inchini e preghiere, come lunghe giornate sui libri della storia del mondo. Sul sipario luci imbalsamate dal nero più seducente contemplano idee di aggregazione con lampi grigi, come cristalli corrotti da una necessaria e splendida giostra di complicità. Uno sfociare continuo in lande combattive, con passi decisi, dove nulla è malfermo ma dove il sogno a volte conduce ad atmosfere stratificate e corrotte dalla bellezza del loro sentire in espansione continua.

Si rimane impressionati da tracce che sanno rivelare una dinamica propensione alla malvagità non violenta ma educatamente rude, giusto  il necessario, in giochi altalenanti di semi austeri e poliedrici. Sono chicchi di grano attraenti, smarriti per la loro stessa bellezza, maestri di versatilità e candore. Con la capacità di un suono derivativo dal Post-Punk e dalla zona californiana del Deathrock, la band scrive canzoni per dare alle voci la possibilità di essere fiamme di gas letali, dalle ridondanze gotiche degli anni 80, evidenti, ma edulcorate.

Un mare viscerale e magmatico, percorsi sonori che rendono precisa la bellezza, una poesia sulla pelle divenuta ripida da vicende umane pregne di incandescenze multiple. C’è la vita delle anime sbandate ma non per questo prive di senso: i polmoni, all’ascolto di queste rapine mentali, si contorcono sognanti, con sorrisi dai coriandoli neri, per un processo catartico con il tappo leggero in superficie. Si è costretti a una sofferenza piacevole, si intuisce e poi si capisce che le due sono incantatrici di riti che espletano un percorso analitico di grande fattura, ci si ciba di briciole di felicità otturate.

Alla mortalità si applaude, la disperazione e l’ansia sono compagne di respiri obbligatorie e loro sanno convivere, dando l’impressione che la notte spenga la paura che viene invitata ad emergere. Sono canzoni siderurgiche, lamiere fragili che hanno fantasmi che le proteggono, per divenire riti di  danze nevrotiche perfette.

Si vive in una necropoli più che mai confusa, in un collasso della felicità non più necessaria: tutto questo non rende però l’album una esclusiva delle anime nere perché concede accesso a tutte quelle desiderose di indagare sui flussi irregolari della difficoltà, del mondo in costante abbandono della capacità di creare serenità. L’ascolto dovrebbe essere imposto per legge: camici neri da indossare, univoci, per decretare sapientemente la realtà di esistenze ormai prossime alla caduta delle speranze.

Si esce dalle tombe non come zombie ma come essere viventi che riprovano a vivere diversamente constatando l’inevitabile ripetersi di errori da cui siamo soggiogati. Diavol Strâin è fiamma reale, una matassa di nervi spastici necessari per la coscienza che prova l’inganno ma che con loro fallisce.

Sono streghe con le mani velenose, rapide, lente, succulente, coniugate alla loro scrittura geroglifica, tempeste emotive che travolgono per separare la nebbia dai finti raggi che invadono le strade. Il Cile qui trova apostole precise nel volere la loro autonomia espressiva, dove l’eleganza si sposa alla rabbia dai sorrisi storti, decadenti, sublimi.

Sono gangsters dagli abiti neri, antichi, brancolanti, ma non scevri di coscienze che smuovono gli arti della mente, come peristalsi violentemente sospesa: ascoltare questo fascio di tenebra significa divenire consapevoli del traffico di dolore che si sparge nelle corde del loro cuore.

Sono vampire affacciate sulla luna, anime roventi che penetrano con un album che grattugia il vento e spazza via le confusioni: metodiche, precise, alienanti, abbondanti nei loro mantra sonori, regine del regno della insoddisfazione, fanno in modo che le loro canzoni siano pagnotte di pane senza mollica. Il gusto è amaro, come certi sogni, che aprono il cielo funesto della zona notturna in cerca di pace, trovando invece dannazione.


Ci sono scorie Darkwave che stanno nelle dita delle due musiciste: Ignacia e Lau non sembrano impaurite nel circondare il loro carico emotivo con schiume aggrappate a quel genere musicale che ha saputo arrivare anche in quella terra generosa nell’accoglienza. E allora eccole immergersi verso confini che sanno esaltare e meglio specificare una innegabile duttilità, quell’apertura concessa solo a chi fa della conoscenza un punto di partenza e non di arrivo. 

Guerriere degli enigmi, in un mondo colmo di notizie ma non di informazione, queste turbolenze accoppiate sanno generare domande, offrire dubbi, con malinconica propensione, sino a farci piangere bolle di disperazione, comprensibile. Una band selvaggia che parte da Edgar Alan Poe, per via di una scrittura che affronta il terrore dell’esistenza con chilometri di incubi messi in fila, di un orrore che diventa linfa letteraria, sino a incontrare la religiosa appartenenza della propria identità, annettendo insicurezze che veicolano impeti propedeutici. Ci si può arrendere alle difficoltà, ma con questa band si impara ad amarle, rifiutando i piagnistei per darsi una scrollata e iniziare il percorso dentro le tenebre.

Sembrano lanciare pietre acide, pesanti, per poi ritirarsi dentro la loro intimità, senza indugi. Brani magici, quasi ingenui, molto potenti, che vivono nella periferia dei nostri sogni con la marea, quando l’acqua sembra congedare i polmoni. Di loro ci si può fidare. Perché sono necessarie, compagne di solitudini che migliorano i nostri respiri. Mettono l’eye-liner ai nostri flussi privi di energie per rincuorarci, come un apparente inganno. Scavando in questi quarantasette minuti abbiamo però la certezza della loro autenticità. Che diventa l’altare dove posare la nostra mediocrità e consegnare loro un papiro di antiche velleità, bruciandole innanzi ai loro occhi, con devozione.

Spesso le chitarre sono degli strilli che si muovono con giri di note di basso (figlie degli spiriti dell’Araucania), per danzare piene di sollecitazioni irreprensibili verso il luogo della perdizione. Come una collina dei peccati in cerca di perdono, i brani sono spesso schegge che fuggono dalla speranza, come rivali delle sciocchezze, per respirare ogni realtà come prova di capacità che trovano l’applauso del sacro fuoco del sole.

Gli arpeggi distorti creano metafore, lampade di vento obliquo, il basso invece melodie gravi e oscure, pulsanti di ossigeno malato: incandescenze necessarie per capire cosa siamo nei giorni dell’inganno.

Musica come whiskey di qualità, a stordire, inebriare, corrompere ogni tentazione. Musica che sgombra il passato da ogni equivoco: c’è anche del nuovo che vive nei respiri di canzoni senza tempo, valide per l’eternità. È fluido ipnotico che sa riempire le borracce del nostro bisogno gotico, come una cascata effervescente di salutare bramosia.

Direi che è venuto il momento, per  meglio intendere questo album pieno di alghe e acuti voli di coscienza, di una completa scorribanda tra le sue tracce, armandoci di apertura mentale e di un rossetto nero tra le mani…


Song by Song 


Caida Libre


Tenebrosa, veloce, un attacco al cuore con la sua limpida connessione tra Darkwave e Post-punk che si baciano nella corsa di un lampo.


Destino Destrucción


Con un approccio stilistico che ricorda molte band della scena di Oakland, il brano vive dell’esplosiva connessione tra il basso distorto e la chitarra piena di nebbia gotica.


Lilith


Mostra tutta l’abilità del duo di rendere magnetica la loro musica: il ritmo diminuisce e aumentano le suggestioni, lenta ascesa al cielo con un volo malinconico.


El Reflejo de Mi Muerte


La drum machine sincopata, il basso che preme sulla pancia e poi via: le chitarre portano tutta la tristezza e la vitalità della consapevolezza, con la voce magnificamente capace di essere isterica e maligna.


Herz Der Niemand 


Il Deathrock si mostra con impronte leggere, sulla voce che esplode di magneti conficcati nella nebbia. Un intarsio elettronico quasi nascosto si presenta, in questa che alla fine risulta essere la canzone più elaborata e misteriosa dell’album.


Ruinas


L’inferno si veste per un attimo di dolcezza, quasi Shoegaze, con la chitarra che culla il sogno di essere per pochi minuti una carezza nera.


Nacidas del Fuego


Spilli di grotte piene di muschio, il ventre gotico pulsa liquidi sanguinolenti per un brano che crea un’atmosfera tesa, morbida, ipnotica.


Cotard 


Sorprendente e stupefacente, tutto il talento fantasioso del duo getta i propri semi in un fiato che sfiora i coralli della poesia.


El Ansia


Tra Xmal Deutschland ed Esses, Diavol Strâin si lancia in una danza ansiosa, grattugiando tutto lo scenario Darkwave che si affaccia sul Deathrock con religiosa devozione. Il basso e la chitarra sembrano a volte alternarsi per sedurre il fantasma che ride mefistofelicamente.


Ylak 


Regina delle nuvole dense di pathos, la canzone dichiara tutte le possibilità creative della band cilena. Un ululato gentile, la chitarra che graffia rispettosamente e le voci che seducono come il miele fa con le unghie dell’orso.


Inferno


Dopo un inizio che lascia semi di Banshees, ecco lo scatto e la corsa nella Los Angeles che accoglie chiunque abbia nelle proprie vene la necessità di pulsioni Deathrock. 


Uroboros


Tutto approda verso il congedo nel modo migliore: ancora qualcosa di nuovo, stupefacente, con echi del lavoro di Hannett con i Joy Division. Qualcosa si frantuma mentre la tastiera prende il palcoscenico per un brano magnetico, pieno di loop continui. Canzone stratificata, con zone sapientemente collegate che regalano piacevoli connessioni con la band di Anja Huwe e la Germania scura degli anni 80. Le voci spariscono e a cantare è un’atmosfera avvolgente e sensuale.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

10 Luglio 2022












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