Visualizzazione post con etichetta Graveyard Train - Hollow. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Graveyard Train - Hollow. Mostra tutti i post

lunedì 11 settembre 2023

La mia Recensione: Graveyard Train - Hollow

Graveyard Train - Hollow


Scena: un bambino con gli occhi appiccicati al suo oceano lancia lo sguardo e insieme a esso la voce e il tempo, per ingrassare il sogno di un delirio cupo. Quella che ascoltate è una musica che scende nelle viscere per trovare un covo di vipere in manifesta attitudine di bave raccolte nei secondi precedenti un attacco. Quattro, cinque, sei corde e pelli piene di catrame, una miriade di strumenti assemblati per far correre quel gesto del bambino tramite i sei musicisti di Melbourne, che stanno dalla parte sbagliata della città. 

Le storie raccontate sono sciabolate di demoni dal ghigno metallico, gonfio, affacciate dentro il dolore di un disagio che accoglie chilometri di romanzi, dove la pazzia è forse il sorriso di Dio… Un album pieno di segreti, di tormenti, di tensione manifeste, di ossessioni con il riverbero, con il blues che accarezza la chitarra slide in procinto di confermare la commistione tra l’alt-rock, il country più maligno e il lato più oscuro di un arsenale che conosce forme, modalità, tossicità e alcol senza il tappo, nel salto carpiato verso un ventre inebetito. Capire cosa avviene nel deserto lunare e notturno di Melbourne è estremamente complesso: tra gli sbandati, le anime appese a un ago, una bottiglia, o chiuse in una desolante meditazione solitaria, a fare la differenza è il binocolo senza peli sulla lingua del gruppo australiano, che srotola la vergogna, il timore, e li inchioda tra solchi pregni di polvere e anime grattugiate.


Lo schema di scrittura prevede chitarre potenti e voci che siano rappresentanti del lato più tenebroso di quelle corde che scavano dentro il lato sud-ovest degli Usa, filtrando, dilatando, per poter mettere il timbro che non consenta insicurezze: le undici composizioni provengono dalla terra dei koala, non v'è dubbio alcuno. Inutile, dannoso, alquanto banale e stupido citare Nick Cave: siamo molto lontani da quella pazzia meravigliosa, sragionata e adolescenziale del cantante che poi si è ritrovato l’epicentro di tante nuove anime.

No, questi non sono bardi, lupi della notte, nemmeno una sfilza di crudeli nubifragi comportamentali. I Graveyard Train (con questo insieme sonoro finalmente decisi ad avere un batterista a tempo pieno) sono dal lato opposto di ogni conclamata sicurezza: descriverli è come lanciare una manciata di sabbia cruda sulle onde dell’oceano. Le coordinate sono letterarie prima di tutto, con la sfiducia nei confronti dell’essere umano, finendo per mostrare paralisi continue. La parte strumentale è un combo nocivo, una grattugia di oggetti presi a schiaffi, per produrre la schiuma e cristallizzare la sofferenza, non come richiesta di aiuto bensì come una lastra che mostra il cancro comportamentale di una umanità ormai inchiodata con i suoi libri. E allora, in questo epidermico contesto cristallino dai guaiti continui, si afferma un legame fiduciario con la depressione e il vizio conclamato, si invita a bere per ricordare come sotto il cielo di Melbourne ci sia un bambino che, ipnotizzato e imbambolato sotto l’effetto di incubi senza fine, non ha un passato e tantomeno un futuro. I cori, così dichiaratamente legati all’opzione rockabilly americana degli anni Cinquanta, fanno rimbombare versi che escono dichiaratamente da letture di libri tenuti di nascosto negli scantinati, negando loro la possibilità di offrire se stessi alla consapevolezza di un mondo disinteressato a fare ciò. Adem Johansen è un ipotetico filo spinato, con i petali di dolcezza che sanno comparire nei pochi momenti nei quali la ballad sospende la processione sonora così incline alla psichedelia tedesca, per un salto nello spazio davvero impressionante. La slide guitar in quelle poche occasioni sale in cattedra, toglie il nero e inserisce un blu malinconico ma sognante. In quelle canzoni la band perde l’impatto concentrico per nutrire il fabbisogno dell’anima di quel fanciullo…


La chiarezza del suono serve per esaltare il lato oscuro di una città sempre più vittima del progresso, sempre abile a emarginare il debole, e in tutto ciò il senso di inquietudine pare un amico in stato di grazia. Un fascio di particelle sonore per un cammino nel piacere di un vizio che tolga la dimensione della comprensione e della consapevolezza. Storie squallide, crude, pruriginose, insopportabili avevano bisogno di un cavo elettrico, di ritmi senza esitazioni, un peso uguale a quello di testi imbevuti di petrolio. La ballata da pub come la danza scatenata sui bordi di una notte sbagliata si incontrano nel luogo di queste canzoni che spesso richiamano le pellicole dei festini pieni di cocaina, per dei sogni con un incubo ricorrente…

Spaventosamente credibile, il tappeto sonoro è una terapia d’urto, nelle paludi di un futuro che qui si rivolge a dischi pieni di polvere. Spesso la voce sembra la conseguenza del diavolo che mette le dita nella presa di un egoismo: sclerata, senza ossigeno, l’ugola di Adem non offre dubbi perché la normalità esiste e non abita qui!

Un lungo fuoco fatuo attraversa il tempo, inchioda la speranza sulla croce dell’eternità con queste frammentazioni continue, nei saliscendi tenebrosi di un lavoro che consente ai sei la possibilità di essere odiati bene, quasi con amore: a loro non manca il coraggio di asfaltare le bugie, le idiozie, di schierarsi contro il mercato, figli di quella sinistra australiana che non usa il megafono ma brani come letame, per coprire le altrui incapacità.

Concludono il tutto con un tuffo nel petardo che fa terminare il mondo: dove c’è obiettività l’unica resa consta di una scrittura musicale che verrà ricordata nel prossimo bing bang…



Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

11 Settembre 2023


https://graveyardtrain.bandcamp.com/album/hollow




My Review: Graveyard Train - Hollow

Graveyard Train - Hollow


Scene: a child with his eyes glued to his ocean casts his gaze, and along with it his voice and time, to grease the dream of a dark delirium. What you hear is music that descends into the bowels to find a den of vipers in manifest attitude of burrs gathered in the seconds before an attack. Four, five, six strings and tar-filled skins, a myriad of instruments assembled to run that baby act through the six Melbourne musicians on the wrong side of town. 

The stories told are sabre-rattling demons with metallic, bloated grins, facing into the pain of a discomfort that welcomes miles of romance, where madness is perhaps God's smile... An album full of secrets, of torments, of manifest tension, of reverberating obsessions, with the blues caressing the slide guitar about to confirm the mingling of alt-rock, the most malignant country and the darkest side of an arsenal that knows forms, modes, toxicity and alcohol without the cap, and within the pike jump towards an inebriated belly.


Understanding what goes on in Melbourne's lunar, nocturnal desert is extremely complex: among the stragglers, the souls hanging from a needle, a bottle, or locked in desolate solitary meditation, it is the Australian band's unabashed binoculars that make the difference, rolling out the shame, the fear, and nailing them between dusty grooves and grated souls.

The writing scheme involves powerful guitars and vocals that are representative of the darker side of those strings that dig into the south-west side of the USA, filtering, dilating, in order to put a timbre that allows no insecurities: the eleven compositions come from the land of koalas, no doubt about it. It is useless, harmful, rather banal and stupid to quote Nick Cave: we are a long way from that marvellous, unhinged, adolescent madness of the singer who later found himself the epicentre of so many new souls.

No, these are not bards, wolves of the night, not even a parade of cruel behavioural cloudbursts. Graveyard Train (with this sonic ensemble finally determined to have a full-time drummer) are on the opposite side of any self-confessed certainty: describing them is like throwing a handful of raw sand on the ocean waves.

The coordinates are literary first and foremost, with distrust of the human being, ending up showing continuous paralysis. The instrumental part is a noxious combo, a grating of objects slapped together to produce foam and crystallise suffering, not as a plea for help but as a slab showing the behavioural cancer of a humanity now nailed to its books. And so, in this epidermic crystalline context of constant yelps, a fiduciary link to depression and overt vice is affirmed, a drink is invited to remind us how under the Melbourne sky there is a child who, hypnotised and bamboozled under the effect of endless nightmares, has no past, let alone a future. The choruses, so avowedly linked to the American rockabilly option of the 1950s, rattle out verses that avowedly come out of readings from books kept secretly in basements, denying them the chance to offer themselves to the awareness of a world uninterested in doing so. Adem Johansen is a hypothetical barbed wire, with the petals of sweetness that know how to appear in the few moments when the ballad suspends the sonic procession so prone to German psychedelia, for a truly impressive leap into space.


The slide guitar on those few occasions takes over, removing the black and inserting a melancholic but dreamy blue. In those songs, the band loses the concentric impact to nourish the soul's need for that child's soul...

The clarity of the sound serves to exalt the dark side of a city increasingly victimized by progress, always adept at marginalising the weak, and in all this the sense of unease seems a friend in a state of grace. A bundle of sound particles for a journey into the pleasure of a vice that takes away the dimension of understanding and awareness. Bleak, crude, itchy, unbearable stories needed an electric cable, rhythms without hesitation, a weight equal to that of oil-soaked lyrics. The pub ballad as well as the wild dance on the edge of a bad night meet in the place of these songs that often recall the films of cocaine-filled parties, for dreams with a recurring nightmare

Frighteningly credible, the sound carpet is shock therapy, in the swamps of a future that here turns to dust-filled records. Often the voice seems the consequence of the devil putting his fingers in the grip of a selfishness: unhinged, without oxygen, Adem's uvula offers no doubts because normality exists and does not live here!

A long fatuous fire crosses time, nails hope on the cross of eternity with these continuous fragmentations, in the tenebrous ups and downs of a work that allows the six to be hated well, almost with love: they do not lack the courage to tar lies, idiocies, to take sides against the market, sons of that Australian left that does not use the megaphone but songs like dung, to cover others' incapabilities.

They end it all with a dive into the firecracker that ends the world: where there is objectivity the only surrender consists of musical writing that will be remembered in the next bing bang...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

11th September 2023


https://graveyardtrain.bandcamp.com/album/hollow





La mia Recensione: Midas Fall - Cold Waves Divide Us

  Midas Fall - Cold Waves Divide Us La corsia dell’eleganza ha nei sogni uno spazio ragguardevole, un pullulare di frammenti integri che app...