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lunedì 14 marzo 2022

La mia Recensione: Esses - Bloodletting for the Lonely

 La mia Recensione 


Esses - Bloodletting for the Lonely


Non sai se fa più male il coltello infilato nella schiena, o il vuoto che lascia quando lo togli.
(Anonimo)


C’è una comunità di anime affaticate da una serie di frustrazioni, di offese, di identità personali non riconosciute, di lotte che feriscono i battiti, che vive nonostante tutta questa dilagante tossicità.

E a Oakland esistono persone che gravitano dentro dei progetti in cui credono, senza preoccuparsi (giustamente) se sia sbagliato far parte di diverse realtà contemporaneamente: uno scambio che invece produce linfa e genera forze per poter dimostrare dei diritti e la bellezza di questi incroci.

E se parliamo di musica allora un esempio perfetto è il progetto Esses, meravigliosa libellula incantevole, che vola per la calda e coinvolgente città Americana per procurarsi cibo. E lo fa tempestando l’aria di spilli plumbei, pesanti, passionali.

Questa libellula ha cinque anime che vivono nel corpo effervescente, allucinato e che si espande di meravigliosa sostanza liquida.

Gli Esses arrivano al secondo atto del loro spettacolo pirotecnico, un laboratorio di analisi e di pause, fatto di ricerca e di contemplazione avendo un calice pieno di sangue al centro del palco.

Sono scocciato nel vedere nei loro confronti termini di paragone che si specificano in somiglianze con Siouxsie and the Banshees e i Bauhaus: io non spreco tempo con la superficialità, preferisco cogliere la bellezza che ha una propria identità e va difesa. Basterebbe ascoltare bene per accorgersi che la modalità del canto di Miss Kel nulla ha a che vedere con la “Principessa del Goth” e nemmeno la musica.

Sono passati 41 anni da Juju, ultimo grande album dei Banshees, ma non vedo presenze di quelle composizioni che possano essere comparate agli Esses. Lo stesso discorso vale per i Bauhaus.

Siamo seri: andiamo avanti.

Un secondo atto che presenta nuovi petali, una decadenza che si sposta tra la genesi Deathrock per completare il proprio bisogno di arricchimento portando a sé chili di Darkwave, coriandoli di Postpunk, come una distesa di cibo di cui poter lasciare la propria bocca vogliosa.

Ci si muove ancora soprattutto di notte, sono però cambiati gli spazi di questo volo, con traiettorie sonore più complesse e dove i ritmi conoscono maggiormente la lentezza, regalando il beneficio di cogliere la tensione che sanno esprimere anche quando non pestano il piede sull’acceleratore.

Perché le chitarre che si lamentano in lentezza forse fanno ancora più male.

È una gravidanza questo album: si trascorre il tempo in attesa di un bimbo in arrivo mentre il ventre si gonfia di liquidi, crea spostamenti, e la schiena arretra, perché è innegabile che esistano pesi che aumentano.

Non è che ci sia solo la gioia nel concepimento.

Allora gli Esses regalano sincerità, svelando la fatica ed il dolore, usando il microscopio per individuare le zone buie, per mettere in dubbio la luce.

Esiste l’impressione che la band sia diventata una famiglia, una libellula compatta per pulire la terra da insetti pericolosi.

E si rimane estasiati dall’ondata magnetica, dallo sguardo ipnotico che le canzoni sanno provocare. Ci si inebetisce. Ed è una sensazione che dilata la sicurezza sino ad ucciderla.

Un ascolto che ci porta in giro per Oakland, ciò comporta il non vederla come una meta turistica ma come un luogo dove le ferite si presentano e i dettagli, così precisi, ci possono far preoccupare, creando un avamposto di tensione.

Un album che offre traumi, fascine di menti spappolate e che corrono senza cibo. 

Le melodie non creano fantasie bensì prigioni in cantine e garage disabitati, dove la desolazione non è un problema ma un generoso conforto, un ristoro sicuro, non discutibile.

Il senso claustrofobico di cui è composto è gioia pura: nella autentica espressione di ciò che sentono noi veniamo a conoscere la verità e la realtà. Che sia un atto artistico non toglie valore, anzi.

La loro pazzia ci coinvolge come atto di fede, crea una dipendenza che ci fa appartare per poter fruire di questi frammenti di cervello che ritroviamo dentro il nostro petto.

La voce di Miss Kel è cruda, tremante e schizzata, come un raggio di luna senza paura. Lei ha il dono di non esagerare con la voce piena di scintillii, ma sa usarla con precisione sino a renderla un incubo che ammalia.

Le due chitarre, quelle di Skot Brown e di Dawn Hillis, sono tempeste di fuoco al polo nord: non lasciano possibilità a noi di poter resistere ai loro intrecci complessi e perfetti. E sembrano missili pieni di gas nero asfissiante e letale.

Scout Leight vive il basso come terremoto mentale, franando sui respiri con i suoi poderosi giri, picchiando con classe sulle corde insanguinate.

Dal canto suo, Kevin Brown suona la sua batteria avendo tutto l’impeto e il tumulto di un esercito Deathrock che per vincere la guerra ha rubato le armi al nemico portando nel suo arsenale materiale Postpunk e Gothic Rock.

Il suono è un miscuglio velenoso e accattivante, una seduzione che si mostra con immediatezza e abbondanza.

Credo sia bene ora indossare il mantello, spegnere la luce delle distrazioni e andare a toccare le novi stalagmiti, per capire meglio la sensazione che può dare il ghiaccio che si fonde nelle mani…




Song by song


The Source


Sono chitarre come ali malate che sbattono, sostenute da un drumming secco e dalla voce che vola per rubare il fiato: l’ingresso al Polo Nord è lento con le fiammate del cantato di Miss Kel a rischiarare la notte.



Pierce the Feeling

La prima mitragliata ha lo stampo Deathrock, basso e chitarra e batteria sono crateri con le gambe che scivolano sul ghiaccio ferendolo. Tutto diventa isteria magmatica e solida. È una graticola che ferisce e le bende arrivano, colanti.


Four Corners


L’atmosfera ci porta alla Dea DIAMANDA GALAS: è il richiamo del ventre gravido che preme sul drumming ossessivo e malato, il basso spazza via il vento e la voce sibila il tutto. La chitarra iniziale ci riporta alla Batcave di Londra come se il tempo fosse un inganno possibile.


Infinite Void


La bufera agguanta le creature notturne, si ride come progressione dolorosa, tutto vibra nella chitarra che squarta il ghiaccio e tutto corre dentro il vuoto che reclama attenzione.


Before the Blight


Tutta la scena musicale recente di Oakland applaude questo brano che sintetizza la propensione di quegli artisti a non concedere spazi ai dubbi: è un turbinio metallico e melmoso che invade le corsie emotive. E ciò che è stata la storia di un’attitudine musicale che ormai ha quarant’anni in questi minuti trova ossigeno miracoloso per poter ancora generare commozione.


Little Mouse


Ferraglia, oggetti che preoccupano, tensione elettrica, tutto trova nel ritornello l’estasi nevrotica che stabilisce il punto di contatto tra il suono più duro, quasi heavy, per generare estasi di stupore in ebollizione.



Faceless Past


La tregua, il ritmo che si fa più guardingo, mentre le due chitarre creano polvere drammatica, il Postpunk che si affaccia e dove l’atmosfera si prende il tempo per far entrare questa voce piangente ma che vede le brecce del cielo. Ipnotica.



Caged Beast


Ovattata e tremante, quasi come se il 1981 concedesse la grazia di potersi risvegliare, la canzone è un ponte ipotetico tra il dramma, l’insoddisfazione e la sfiducia che hanno l’intenzione di fuggire. Cupa, emblema della crescita artistica della band, offre nuove modalità per incantare.


Schism 


Siamo allo scioglimento del Polo Nord: il suo funerale è il congedo della band che si veste di lutto e volti pieni di fragilità, con la canzone che chiude l’album.

È emblematico che il ritmo sia lento, quasi ovattata è l’atmosfera che alza la polvere del ghiaccio. Visioni, supposizioni, con la Darkwave che ruba la scena sorridendo atrocemente, ma le chitarre riescono a vibrare senza corruzioni, dando al canto l’ultima possibilità di mettere a tacere anche il silenzio. E questa libellula finisce il suo pasto in gloria.


Alex Dematteis

Musicshockworld 

Salford

14 Marzo 2022


https://open.spotify.com/track/5WL1a33nA8Iz0KHt0DyHBq?si=6VTsVEPyS2Kv3nLhS2JHaA


https://music.apple.com/gb/album/bloodletting-for-the-lonely/1580692357




My Review: Esses - Bloodletting for the Lonely

 My Review 


Esses - Bloodletting for the Lonely


You don't know if the knife in your back is more painful, or the emptiness it leaves when you take it out.

(Anonymous)


There is a community of souls fatigued by a series of frustrations, offenses, unrecognized personal identities, of fights that hurt beats, that lives on despite all this rampant toxicity.

And in Oakland there are people who gravitate inside projects in which they believe, without worrying (rightly) about whether it is wrong to be part of different realities at the same time: an exchange that instead produces lifeblood and generates strength to be able to demonstrate the rights and beauty of these intersections.

And if we're talking about music, then a perfect example is the project called Esses, an enchanting dragonfly that flies around the warm and captivating American city to get food. And it does so by adorning the air with leaden, heavy, passionate pins.

This dragonfly has five souls living in its effervescent, hallucinated, expanding body of wonderful liquid substance.

Esses reach the second act of their pyrotechnic show, a laboratory of analysis and pauses, made of research and contemplation, with a chalice full of blood at the centre of their stage.

I am annoyed to see them being compared in terms that specify similarities with Siouxsie and the Banshees and Bauhaus: I do not waste time with superficiality, I prefer to capture the beauty that has its own identity and must be defended. You only have to listen carefully to realise that the way Miss Kel sings has nothing to do with the 'Goth Princess' and neither does the music.

It's been 41 years since Juju, Siouxsie and the Banshees' last great album, but I don't see any presence of those compositions that can be compared to Esses. The same goes for Bauhaus.

Let's be serious: let's move on.

A second act that shows new petals, a decadence that moves through the genesis of Deathrock to complete its need of enrichment bringing to itself kilos of Darkwave, confetti of Postpunk, like an expanse of food of which you can leave your mouth eager.

We still move mainly at night, but the spaces of this flight have changed, with more complex sound trajectories and where the rhythms know more about slowness, giving the benefit of grasping the tension they can express even when they don't push on the accelerator.

Because guitars that whine in slowness perhaps hurt even more.

It's a pregnancy this album: you spend time waiting for a baby coming while your belly swells with liquids, creates displacements, and your back recedes, because it's undeniable that there are weights that increase.

There is not only joy in conception.

So Esses give sincerity, revealing fatigue and pain, using the microscope to identify the dark areas, to question the light.

There is the impression that the band has become a family, a compact dragonfly cleaning the earth of dangerous insects.

And one is enraptured by the magnetic wave, the hypnotic gaze that the songs can provoke. You become inebriated. And it's a sensation that dilates security to the point of killing it.

A listening that takes us around Oakland, showing it not as a tourist destination but as a place where wounds present themselves and the details, so precise, can make us worry, creating an outpost of tension.

An album that offers trauma, bundles of broken minds running without food. 

The melodies don't create fantasies but prisons in cellars and uninhabited garages, where desolation is not a problem but a generous comfort, a safe, unquestionable refreshment.

The claustrophobic sense of which it is composed is pure joy: in the authentic expression of what they feel we come to know truth and reality. That it is an artistic act does not remove value, quite the contrary.

Their madness involves us as an act of faith, it creates an addiction that makes us withdraw to enjoy these fragments of brain that we find inside our chests.

Miss Kel's voice is coarse, trembling and crazy, like a fearless moonbeam. She has the gift of not exaggerating with a voice full of sparkles, but she knows how to use it with precision until it becomes a charming nightmare.

The two guitars, those of Skot Brown and Dawn Hillis, are firestorms at the North Pole: they leave no chance for us to resist their complex and perfect interweaving. And they sound like missiles filled with deadly, asphyxiating black gas.

Scout Leight lives the bass as a mental earthquake, crashing down on the breaths with his powerful notes, beating with class on the bloody strings.

For his part, Kevin Brown plays his drums with all the impetus and turmoil of a Deathrock army that to win the war has stolen weapons from the enemy, bringing in its arsenal Postpunk and Gothic Rock material.

The sound is a poisonous and captivating mixture, a seduction that shows itself with immediacy and abundance.

I think it's good to put on the cloak now, turn off the light of distractions and go touch the new stalagmites, to better understand the sensation of ice melting in your hands...




Song by song


The Source


They are guitars like sick wings flapping, supported by a sharp drumming and by the voice that flies to steal the breath: the entrance to the North Pole is slow with the flames of Miss Kel's vocals to light up the night.



Pierce the Feeling

The first machine-gun fire has the Deathrock mould, bass, guitar and drums are craters with legs sliding on the ice, hurting it. Everything becomes magmatic and solid hysteria. It's a gridiron that wounds and the bandages arrive, dripping.


Four Corners


The atmosphere takes us to the Goddess DIAMANDA GALAS: it is the call of the pregnant belly that presses on the obsessive and sick drumming, the bass sweeps away the wind and the voice hisses everything. The opening guitar takes us back to London's Batcave as if time were a possible deception.


Infinite Void


The blizzard grabs the nocturnal creatures, it laughs as a painful progression, everything vibrates in the guitar that rips the ice and everything runs inside the void that claims attention.


Before the Blight


The entire recent Oakland music scene applauds this track, which sums up those artists' propensity to leave no room for doubt: it's a metallic, muddy swirl that invades the emotional corridors. And what has been the history of a musical attitude that is now forty years old finds miraculous oxygen in these minutes in order to still be able to generate emotion.


Little Mouse


Iron, worrying objects, electric tension, everything finds in the refrain the neurotic ecstasy that establishes the point of contact between the hardest, almost heavy sound to generate ecstasy of boiling amazement.



Faceless Past


The truce, the rhythm that becomes more cautious, while the two guitars create dramatic dust, the Postpunk that appears and where the atmosphere takes its time to let in this weeping voice but which sees the breaches in the sky. Hypnotic.



Caged Beast


Muffled and trembling, almost as if 1981 granted the grace to awaken, the song is a hypothetical bridge between tragedy, dissatisfaction and distrust that have the intention to escape. Gloomy, emblematic of the band's artistic growth, it offers new ways to enchant.


Schism 


We are at the dissolution of North Pole: its funeral is the band's farewell, dressed in mourning and faces full of fragility, with the song that closes the album.

It is emblematic that the rhythm is slow, the atmosphere that raises the dust of the ice is almost muffled. Visions, suppositions, with Darkwave stealing the scene smiling atrociously, but the guitars manage to vibrate without corruptions, giving the song the last chance to hush up even the silence. And this dragonfly ends its meal in glory.


Alex Dematteis

Musicshockworld 

Salford

14th March 2022


https://music.apple.com/gb/album/bloodletting-for-the-lonely/1580692357


https://open.spotify.com/track/5WL1a33nA8Iz0KHt0DyHBq?si=6VTsVEPyS2Kv3nLhS2JHaA




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