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martedì 18 giugno 2024

La mia Recensione: James - Live in Manchester 14 June 2024 Co-Op Live Arena



James - Live in Manchester

14 Giugno 2024 Co-Op Live Arena


È sempre un insieme di prospettive quelle che compongono l’unione di persone, partendo da quella fisica per arrivare a quella attitudinale e comportamentale. Se si raggruppano ventitremila e cinquecento creature per un concerto tutto si moltiplica, per raggiungere il cielo dove vengono esaminate le bolle di vapore che fuoriescono dalle anime coinvolte. Essere presenti a tutto questo, partecipare con sguardo attento e cuore aperto per essere parte di questa esperienza della band Mancuniana, confermare un amore assoluto, perdersi nella bellezza dell’evento, trovare nuove melodie interiori certifica il valore di questa moltitudine, in una serata epica ed energizzante, nella quale era difficile rimanere indifferenti.

C’è chi ha messo l’accento su alcuni limiti della nuova venue, probabilmente per il piacere malsano della polemica, dimenticando che alla fine ogni singola situazione sfugge allo sguardo e all’interesse di chi non vive quelle determinate lacune. La nuova arena ha comunque ospitato una possibilità che i James hanno onorato con una prestazione eccellente, un abbraccio collettivo continuo, un sorriso, una stretta di mano bella salda, un eco continuo di emozioni e pensieri che si inseguivano, determinati dalla loro ancora viva passione e determinazione nel fare di uno spettacolo una serata ludica, onirica, vitaminica, in cui l’encefalogramma e il battito del cuore si sono trovati sempre sulla zona del fremito, dell’esplosione gentile di una gioia che con i nove membri non conosce data di scadenza. Il tutto maggiorato dal quartetto del coro Inspirational Voices di Manchester, con il risultato di ampliare la spiritualità dei testi e la loro forza evocativa già grande per conto suo.

Ventuno momenti e la sensazione che la scaletta abbia messo a fuoco la coralità dei brani, in una successione avvolgente, ben spalmata, tenendo continuamente alta la tensione e l’attenzione. C’è chi non ama i grandi luoghi per i concerti (il Vecchio Scriba è tra questi), ma poi una situazione come questa mescola le carte e il gioco cambia, si arriva allo stupore e al beneficio, inatteso, dimenticando le proprie esigenze, vedendosi trasformati in veicoli che portano a bordo le novità e sentendosi migliori. Nove dei loro diciotto lavori hanno trovato spazio con canzoni che hanno dato al tempo il timbro della complicità, del ricordo, e l’ultimo album Yummy ha ancora una volta dimostrato la capacità della band di farci sentire tutto come nuovo, diversificato, come un’ennesima nascita che cambia le interpretazioni ormai storicizzate in questi due mesi dall’uscita, per ampliare il nostro benvenuto e il nostro grazie più sincero. I James sanno addomesticare le riluttanze, i rifiuti, dare uno scossone a chi storce il naso e consegnare alla storia del loro favoloso percorso artistico un’ulteriore medaglia al valore. 

I loro spettacoli sono gravidanze e parti naturali, nei quali intelligenza, pathos, impulsività, slanci tra il razionale e il bisogno dell’attimo vengono compattati, senza filtri, per generare nuovi figli, e le trame che fuoriescono da tutto questo sanno essere sconvolgenti, in quanto loro sanno dare alla bellezza un senso diverso, soprattutto vestendo il senso di nuovi umori, colori, odori, con il risultato di ascoltare un intero nuovo disco.

Il palco è il loro giardino, il loro tappeto, dove i corpi esercitano pratiche yoga immaginarie e la mente vola sugli orizzonti di occhi pronti a cibarsi, a ritrovarsi vestiti di incanti e vibrazioni. 

Saul Davies ha giustamente riconosciuto a Jim Glennie il merito di aver formato la band più di quattro decadi fa, una band nella quale molti sono arrivati e molti se ne sono andati, ma lui è la colonna di una intenzione e di una capacità di assemblare nel progetto la vitalità, la capacità di scrutare, il mettersi in gioco responsabilizzando, gentilmente, chi in quel momento fa parte della formazione. 

Non ci sono forme di esibizione, sterili tentativi di accattivarsi il favore del pubblico, ma il desiderio di far trasudare professionalità, di spendere le abilità, di rinnovare il repertorio delle capacità per elevare il tutto in un percorso dove la luce vera è data da tutto questo, malgrado, sia chiaro, il gioco sul palco offrisse una forma spettacolare. Il vecchio Scriba non ama molto l’incontro di arti diverse in un concerto, ma durante questo si è ricreduto e non poco, perché nulla ha tolto potere alle note musicali che, ripeto, non si vedono ma si sentono.

Tanti i momenti nei quali le lacrime si sono ritrovate sospese nello spazio della Co-Op: durante Ring The Bells, Better With You, Shadow Of A Giant, Way Over Your Head, Rogue, Sound tutto questo è accaduto, senza ritrosie.

Ma con Jam J credo si sia toccato il cielo, in quanto la forza del groove, l’estensione melodica, la danza tribale e l’esplorazione dei suoni hanno donato ai membri del gruppo un prato dove disegnare intensità, grandezza e ricerca, sia intima personale che collettiva.

Su Mobile God l’impianto visivo ha coinvolto l’attenzione, la riflessione, e la tecnologia, in questo caso, ha fatto molto bene il suo dovere, proiettando le nostre consapevolezze verso e dentro il futuro, dispensando confusione e smarrimento, paura e grande curiosità, per un risultato davvero effervescente.

Sometimes è stata ancora una volta la scintilla di un amore che abbraccia il passato confermando la verità nelle parole del ritornello, sempre più necessarie e clamorose, un fiume che raccoglie i bastoni delle nostre esistenze per portarli nell’oceano fluorescente del gruppo di Manchester. Una dichiarazione collettiva che precede il futuro, ogni volta…

Tim Booth si è concesso come sempre, ma ciò che è risultato evidente è stata la sua grande curiosità, attenzione, portando il suo spirito critico a essere un raggio di sole, tra sorrisi, strette di mano, richieste e speranze.

Il pubblico è cambiato in questi anni, credo non ci si debba vergognare nell’affermare in peggio, con alcune persone che non hanno avuto rispetto degli altri. Ma alla fine ha vinto la voglia di partecipare donando il meglio di sé, in un senso collettivo in cui la pulizia dell’anima ha avuto la meglio sugli aspetti più beceri.

Gli inni scritti negli anni hanno confermato l’empatia e la partecipazione corale, un happening evidente, ma anche le altre canzoni hanno saputo generare flussi di gioia. Beautiful Beaches ne è l’esempio più lampante.

L’encore, nella sua perfezione, ha congedato le tredici presenze sul palco, lasciando però intatta la connessione mentre si usciva dalla venue, con facce, discorsi e canti che hanno fatto sì che nulla si potesse considerare concluso. Ed è proprio lì che si determina il successo, il senso, la forza di una serata…


Alex Dematteis

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