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mercoledì 5 aprile 2023

La mia Recensione: The Sound - All Fall Down

 The Sound - All Fall Down


“Viene sempre il momento in cui bisogna scegliere fra la contemplazione e l'azione. Ciò si chiama diventare un uomo.” —  Albert Camus, libro Il mito di Sisifo


Il tempo è un confine spesso pieno di miseria, di esagerazioni, di insoluti che schiacciano la ragione e quindi la regione del nostro io, quello votato all’intuizione e alla capacità di essere chiarezza in divenire. Si giunge alle scelte, si spostano i limiti, si sotterra la fiducia e ci si concede allo schianto: Adrian Borland conosce tutto questo e si precipita nei pressi del dolore ormai triturato e lo seduce, lo porta all’interno di un complesso circo di note e parole, come naufragio del sospiro, del respiro, di un volo dentro l’acqua del suo fremito. 

Il risultato è una serie di pillole ingerite, una cura per una tossicità insostenibile: la sua purezza d’animo. Che va distrutta, annientata, condotta per mano verso il baratro. Musica allora, di quella con gli specchi in ogni settore dell’anima, viatico maldestro per una sincerità non addomesticabile, che non corre di certo il rischio di essere contagiosa. Arriva l'arcobaleno della lucidità, con colori onesti, senza olio, senza macchia, gravidi di lucenti verità in fila, come un mantello che vola nell’aria meglio di un tappeto, come terribile scelta di una intelligenza non programmata, trovata, e non per caso, all’interno di un percorso artistico che aveva avuto due palazzi costruiti nello scenario musicale di un momento storico impreparato alla qualità della sua sonda, termometro incivile per molti, che invece portava alla luce il petrolio della vergogna. Non potendo fuggire da se stesso aveva posto fiducia nella altrui accoglienza: un fallimento totale, di cui la sua colpa non è ancora oggi certa…

Con il terzo album inizia la sua depressione. È da questo episodio che divenne chiaro quanto  le cose, così come stavano, fossero per lui insostenibili. Questo lavoro partì da una parolaccia, verbalizzata all’interno della loro sala prove: FUCK OFF!

Rabbia e frustrazione, impotenza e remissione, dolore e convinzione che fosse iniziata la fine della loro fase sognante, della loro giovinezza. 


Era stato individuato il nemico, ciò che non era funzionale alla loro vitalità, innegabile, e nacquero canzoni come rivalsa, vendetta, dimostrazione, un amor proprio con gli occhi segnati da rughe, lacrime copiose e odiose, da lasciar affondare dentro liquidi sonori.

La caduta, già presente sin dal titolo, è in realtà il punto di partenza per una ironia necessaria, dovuta, istruita per ammaestrare le anime: tutte le pillole qui presenti (ben dieci, al limite di una vera e propria dipendenza) sono frutto del laboratorio mentale di Adrian, connesso con l’esercizio di chi affronta il suo nemico più grande, che ancora non è il suo io martoriato, quello che accadrà più avanti, quando le tenebre spegneranno i suoi dolcissimi occhi, perché la sua esistenza non sarà più in grado di vedere la maestosità e l'intensità delle gradazioni dei colori. Ascolti questo lavoro ed entri in una sala di attesa, infinita e lenta, dove le voci non necessitano di esasperazioni urlanti, bensì di un faro che renda sorda la rabbia più cruda, nella quale specialmente il Post-Punk aveva deciso di prendere residenza. Ti ritrovi, così, e non per caso, a dare in affitto il tuo tempo all’ascolto di tracce che seminano sospetto, sfiducia, abbandono e nelle quali ciò che si evidenzia maggiormente è il culto di appartarsi, da soli, nella mappa della fatica quotidiana, una tendina sempre più faticosamente tenuta aperta.

Sono in quattro a produrre, a suonare, a essere membri attivi di un bidone pieno di melma lanciato verso la prepotenza del mercato, di una casa discografica, della stampa, di un Premier avvezzo alla guerra, di una distanza sociale che offre luccichii ma non luci. Un disco di opposizione, dove la chiave di lettura sta nella continuità di una musica come musa della riflessione, delle verità che fuoriescono e prendono aria sul balcone. Sperimentazione, jam sessions, analisi di piccole parti da dover incastrare in un suono votato alla cupezza, a un umore impaurito e che cerca disperatamente il congedo dall’ipotesi del successo perché, ed è evidente, questo album è una bandiera bianca nel nero della volgarità, sventolata con poche forze. Intenso, nudo, crudo, suda e fa sudare i pensieri, portandoli alla deriva di una consequenziale scelta: “con noi o senza di noi, ci ami o lasciaci stare da soli”.


Pesante (chili di glicerina e catrame al suo interno), seducente (grammi sottili di dolcezza lo rendono unico), magnetico (la calamita delle composizioni può condurci al delirio), fa di tutti questi elementi il punto più alto della loro carriera: come è bello tuffarsi nel vuoto con dieci splendide creature e perdere una parte di se stessi.

Il vecchio scriba vi invita a cercare cosa usciva a livello discografico in quei mesi, a pensare a come tutto si fosse allineato verso il concedersi al nulla, il negarsi per poter arrivare al successo. Dimenticata la dignità, tutto accadeva, per la gioia degli stolti. Adrian e soci non si perdevano in queste sciocchezze, perché concentrati a cercare la sanezza della verità, a distinguerla e offrirla. È un dato di fatto che questo All Fall Down sia una bugia, uno schifo totale, un atto vergognoso, una profonda ingiustizia per chi non poteva fare spazio dentro di sé, non obliterando la quotidianità con spruzzi di impavida follia, nel bagno turco delle volgarità, espulse senza ritegno. Quì tutto ferisce, sporca, per la costruzione meccanica dei ritmi, la melodia spolpata, arricchita con sospensioni continue, con i lumi di una ciminiera che lavora senza sosta. Non sono mai stati così attenti alle cellule i The Sound: te ne accorgi dalla forma canzone che per la prima volta viene disturbata da inserti, da arrangiamenti e tentativi di mettere a disagio se stessa per prima, un laboratorio con l’obiettivo di farne l’autopsia mentre nasce…


Si noti come il lato Pop sia volutamente volgare e perennemente bersagliato da pressioni estetiche e morali, con il Post-Punk a fare da inatteso maestro, calmo, riflessivo, per educare il brano a essere “meno semplice”. La formula della composizione si fa volutamente ampia, non è il genere ma il messaggio a essere messo al centro della sala prova, e non quello della scrittura, che mai come in questo disco vive di necessità che coinvolgono l’ascoltatore verso quella devastante situazione che è il prendere coscienza della verità, dove nulla è a contatto con la realtà. Canzoni spugne, lente, alcune invece capaci di trascinarci dentro il sistema collaudato della danza, nella quale le parole disturbano la gioia del movimento, nella quale la serenità non viene chiamata all’appello, per poterci trovare nello spazio di continui stop and go, fisici ma soprattutto mentali. Echi di Ultravox attraverso la spina dorsale di diversi episodi dell’album, mentre tutti cercano e trovano (sarà un caso? Non credo) collegamenti ai Joy Division, perché ci si ferma sempre davanti a ciò che è più vicino, che costa meno fatica. Ma i The Sound giocano in casa, guardano a John Foxx e alla sua magnifica band, e commettono l’imperdonabile errore di voler dare alle creazioni la possibilità di fuggire dalla complicità che offre la banalità. Tutto ciò è motivo di ricchezze non quantificabili, tantomeno intuibili, in quanto la genialità, se lavora a braccetto di una progettualità che vuole stordire l’infame potere del mercato, può solo far planare nel territorio di una ricchezza individuale, senza certezza di corruzione. Questo fa l’album: separa il vizio, e la conseguente perdita di equilibrio, dalla magnificenza di un pensiero sganciato e quindi libero, dove però non sono evidenti felicità da rappresentare. 


L’unico a essere conscio che si era dentro il circuito della resa fu proprio Adrian, in quello che si può sicuramente definire il suo primo album solista. L’atmosfera dei luoghi è in continuo contatto con la luce di un’alba malinconica, presso la quale ogni esplosione di colori diventa sofferenza e motivo di disturbo. Qui si chiude il sogno, si spegne la voglia di creare musica come atto di gioia e di conquista, la si porta invece nel salone dell’anima dove ciò che nasce è già motivo di dolore, per una genialità che lavora su come anestetizzare tutto questo. Proprio per questo motivo il vecchio scriba non esita a definire l’insieme delle canzoni come il più nutriente per chi vuole abbandonare la mediocrità della velocità, dell’egoismo che non contempla il sudore sulla fronte della propria anima. All Fall Down era una missione per Adrian: dare in pasto ai leoni l’inganno, per farglielo masticare, e così avvenne, per una atroce felicità che rese i The Sound la band più coraggiosa degli anni Ottanta. Cosa c’entra poi questa con l’esistenza lo spiegano benissimo le dieci tracce presenti: state lontano dai pruriti e nutritevi del volo, quello cosciente, che vi porterà a fare di questa esperienza la necessità autentica di avere bisogno non di amici, ma di sani pugni in faccia perché dove vive un livido spesso si trova il miglior alleato che poi ti accarezza il cuore…

Ci sono giochi sonori di cui molti perderebbero tempo a cercare la radice. Ma che diavolo: riusciamo a renderci conto che quello che qui ti porta a sorridere in fondo è un urlo, gentile, che rimane tale? Non è Post-Punk, non è Darkwave, non è nulla che possa cadere nelle fauci di un avvoltoio sapiente della provocazione: ciò che ascoltate è l’avanguardia di un futuro che di lì a poco sarebbe accaduto, e Adrian lo aveva previsto e messo agli atti, in tempi non sospettabili…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford 

5 Aprile 2023


https://open.spotify.com/album/3NoUegvQ2S8fUtLK6bPbUl?si=zgoGykb6R8-Wix_Yny2a7g




My Review: The Sound - All Fall Down

 The Sound - All Fall Down


"There always comes a time when you have to choose between contemplation and action. That is called becoming a man." - Albert Camus, book The Myth of Sisyphus


Time is a boundary often full of misery, of exaggerations, of un resolvable notions that crush reason and thus the region of our ego, the one devoted to intuition and the capacity for clarity in becoming. Choices are made, limits are shifted, trust is buried and we give ourselves over to the crash: Adrian Borland knows all this and rushes into the vicinity of the now shredded pain and seduces it, takes it inside a complex circus of notes and words, as a shipwreck of the sigh, of the breath, of a flight into the water of its quiver. 

The result is a series of ingested pills, a cure for an unbearable toxicity: his purity of soul. Which must be destroyed, annihilated, led by the hand towards the abyss. Music then, the kind with mirrors in every sector of the soul, a clumsy viaticum for a sincerity that cannot be tamed, that certainly does not run the risk of being contagious. Here comes the rainbow of lucidity, with honest colours, without oil, without stain, pregnant with shining truths in a row, like a cloak that flies through the air better than a carpet, like a terrible choice of an unplanned intelligence, found, and not by chance, within an artistic path that had had two palaces built in the musical scenario of a historical moment unprepared for the quality of its probe, an uncivil thermometer for many, which instead brought to light the oil of shame. Unable to escape from himself, he had placed his trust in the acceptance of others: a total failure, for which his guilt is still not certain today

With the third album his depression began. It was from this episode that it became clear how unbearable things, as they were, were for him. This work started with a swear word, verbalised inside their rehearsal room: FUCK OFF!

Anger and frustration, helplessness and remission, pain and conviction that the end of their dreaming phase, of their youth, had begun. 


The enemy had been identified, that which was not functional to their vitality, undeniable, and songs were born as revenge, revenge, demonstration, a self-love with eyes marked by wrinkles, copious and hateful tears, to be sunk into sonorous liquids.

The fall, already present in the title, is in fact the starting point for a necessary, due, educated irony to teach souls: all the pills present here (as many as ten, bordering on a veritable addiction) are the fruit of Adrian's mental laboratory, connected with the exercise of one who faces his greatest enemy, which is not yet his tortured self, what will happen later, when darkness will extinguish his sweet eyes, because his existence will no longer be able to see the majesty and intensity of colour gradations. You listen to this work and enter a waiting room, endless and slow, where voices do not need screaming exasperations, but rather a beacon that deafens the rawest anger, in which especially Post-Punk had decided to take up residence. You find yourself, thus, and not by chance, renting your time to listen to tracks that sow suspicion, mistrust, abandonment and in which what stands out most is the cult of secluding oneself, alone, in the map of daily toil, a curtain ever so laboriously kept open.

There are four of them, producing, playing, being active members of a sludge-filled bin thrown towards the arrogance of the market, of a record company, of the press, of a war-mongering Premier, of a social distance that offers glitter but no light. An album of opposition, where the key lies in the continuity of music as the muse of reflection, of truths that come out and take the air on the balcony. Experimentation, jam sessions, analysis of small parts to be jammed into a sound devoted to gloom, to a frightened mood that desperately seeks leave from the hypothesis of success because, and this is evident, this album is a white flag in the black of vulgarity, waved with little strength. Intense, naked, raw, it sweats and makes thoughts drift to a consequential choice: 'with us or without us, love us or leave us alone'.

Heavy (kilos of glycerine and tar inside), seductive (thin grams of sweetness make it unique), magnetic (the magnetism of the compositions can lead us to delirium), it makes all these elements the high point of their career: how beautiful it is to dive into the void with ten beautiful creatures and lose a part of oneself.

The old scribe invites you to look up what was coming out at record level in those months, to think about how everything had lined up towards indulging in nothingness, denying oneself in order to achieve success. Forget dignity, everything was happening, to the delight of the foolish. Adrian and co. were not lost in this nonsense, because they were focused on seeking the sanctity of the truth, on distinguishing and offering it. It is a fact that this All Fall Down is a lie, a total crap, a shameful act, a profound injustice for those who could not make room within themselves, not obliterating everyday life with splashes of fearless madness, in the Turkish bath of vulgarities, expelled without restraint. Here everything hurts, it dirties, for the mechanical construction of the rhythms, the stripped-down melody, enriched with continuous suspensions, with the lights of a chimney that works ceaselessly. The Sound have never been so attentive to the cells: you can tell by the song form, which for the first time is disturbed by inserts, arrangements and attempts to make itself uncomfortable first, a laboratory with the aim of doing an autopsy as it is born...


Notice how the Pop side is deliberately vulgar and perpetually targeted by aesthetic and moral pressures, with Post-Punk acting as an unexpected master, calm, reflective, to educate the song to be 'less simple'. The formula of the composition becomes deliberately broad, it is not the genre but the message that is put at the centre of the rehearsal room, and not the writing, which never as in this record lives on necessities that draw the listener towards that devastating situation that is becoming aware of the truth, where nothing is in contact with reality. Songs that are sponges, slow, some instead capable of drawing us into the tried and tested system of dance, in which words disturb the joy of movement, in which serenity is not called upon, in order to find ourselves in the space of continuous stop-and-go, physical but above all mental. Echoes of Ultravox run through the backbone of several episodes of the album, while everyone searches for and finds (is it a coincidence? I don't think so) links to Joy Division, because one always stops at what is closest, what costs the least effort. But The Sound play at home, look to John Foxx and his magnificent band, and make the unforgivable mistake of wanting to give creations the chance to escape from the complicity that banality offers. All of this is cause for unquantifiable, let alone intuitable, riches, since genius, if it works hand in hand with a projectuality that wants to stun the infamous power of the market, can only glide into the territory of individual wealth, without the certainty of corruption. This is what the album does: it separates vice, and the consequent loss of equilibrium, from the magnificence of an unhinged and therefore free thought, where, however, no happiness is evident to represent.

The only one who was aware that he was inside the circuit of surrender was Adrian himself, in what can definitely be called his first solo album. The atmosphere of the places is in constant contact with the light of a melancholic dawn, at which every explosion of colour becomes suffering and a source of disturbance. Here the dream comes to an end, the desire to create music as an act of joy and conquest is extinguished, it is instead taken to the salon of the soul where what is born is already cause for pain, for a genius working on how to anaesthetise all this. It is precisely for this reason that the old scribe does not hesitate to define the set of songs as the most nourishing for those who want to abandon the mediocrity of speed, of selfishness that does not contemplate the sweat on the brow of one's soul. All Fall Down was a mission for Adrian: to feed deception to the lions, to make them chew on it, and so it did, to an excruciating delight that made The Sound the bravest band of the eighties. What this has to do with existence is well explained by the ten tracks present: stay away from the itches and feed on the flight, the conscious one, which will lead you to make of this experience the authentic need not of friends, but of healthy punches in the face because where a bruise lives you often find the best ally who then caresses your heart…


There are sound games that many would waste time searching for the root of. But what the hell: can we realise that what brings a smile to your face here is, after all, a scream, a gentle one, that remains so? It's not Post-Punk, it's not Darkwave, it's not anything that could fall into the jaws of a vulture skilled in provocation: what you're listening to is the avant-garde of a future that was soon to come, and Adrian had foreseen it and put it on record, in times not to be suspected…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

5th April 2023


https://open.spotify.com/album/3NoUegvQ2S8fUtLK6bPbUl?si=zgoGykb6R8-Wix_Yny2a7g




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