SixTurnsNine - Borders
Prendiamo un aereo e voliamo a Düsseldorf, nella Germania Occidentale, per respirare tutto il profumo artistico che quella città emana da sempre.
Molto attiva, capace, importante, ha tra le sue braccia anche una spiccata propensione a proporre continuamente band in grado di affascinare, attirare, dando al suo porto la possibilità di smerciare musica veramente interessante.
L’orecchio dello scriba cade nell’ascolto dell’album di esordio del combo tedesco che ritiene il più strutturato nel generare clamore, intensità, ricchezza per la volontà di non rimanere legato solo alla storia del luogo di appartenenza, bensì di avere in dote la capacità di un respiro internazionale che gioca totalmente a suo favore.
Dopo cinque anni spesi a conoscersi, sperimentare e creare proprie canzoni, i tre cavalieri della fascinazione pura hanno deciso di fare il grande passo pubblicando Borders, che, senza perdere tempo, è un gioiello che si attacca ai tessuti della mente, arriva al pericardio e invade le vene, tutte, per coccolarle attraverso melodie e soluzioni tramite un uso sapiente dell’elettronica.
Il tutto potrebbe essere banalizzato da un “È Trip hop”: nulla di più incompleto, parziale e lontano dalla verità.
Innegabili sono l’attitudine e l’abito, ma immergendosi in un vero ascolto si colgono non solo sfumature, bensì anche costruzioni non necessariamente legate a quel genere.
Riusciamo invece a scorgere fiammate Post-Punk, dentro flussi di detriti di musica Industrial tenuta sapientemente come contorno, per dare spazio a nuvole di Proto-Goth, creando un insieme suggestivo e originale.
Lutz Bauer è il genio, il pilota dei suoni, l’uomo che scolpisce le composizioni fornendo suggestioni spettacolari, fresche, moderne, senza dimenticare decadi che sembrano lontane.
Il bassista si chiama Philip Akoto, il poeta della ricchezza, dal talento sopraffino e con la capacità di avvolgere le architetture di Lutz in modo perfetto.
Poi lei, Anja Valpiani, la voce straordinaria dal canto vellutato, romantico, sensuale, una rugiada dai cristalli nell’ugola. Lei ha il merito di non vedere la sua lingua di origine come un ostacolo: canta perfettamente in inglese e la sua tecnica non è per nulla penalizzata, come pure i testi che paiono scritti da una madrelingua.
Le luci, la penombra, il buio sono territori emotivi che vengono vivisezionati e portati dentro una contemplazione che non lascia nulla al caso.
Musica come parole che incantano, parole come musica che nutrono l’ascolto e lo gettano verso la leggerezza, malgrado la luce buia della notte, perché i tre ci portano in ogni caso raggi di sole.
Occorre metodo nell’ascolto, per poter individuare la miriade di elementi (non solo influenze) che rendono compatto e intenso questo debutto, occorre cercare, solamente in questo modo si potrà essere travolti dolcemente da una cascata sensoriale che creerà beneficio senza limiti. L’ascolto allora diventa un imbuto che ci condurrà nel canale intuitivo, programmato, sviluppato dai tre alberi tedeschi, sì, proprio così, perché loro sono individualmente capaci di donare forza e una bella visione. Ma la loro unione fa schizzare alle stelle le loro singole qualità: Borders è una tavolozza di odori resi corporei, un miracolo in grado di sortire slanci di intimità con destinazione l’estasi e la catarsi.
C’è una tensione blues che permea tutta l’opera, soprattutto per via di alcuni passaggi vocali di Anja che riesce a variare le sue incredibili interpretazioni seguendo il flusso della musica, come se fosse ipnotizzata e sedotta da stimoli che arrivano dal corredo delle note, per poter volare liberamente con la sua tensione interiore.
È fluorescenza articolata che giunge inavvertitamente, come ulteriore conferma di una potenza che da tutte le parti confluisce nel centro dei nostri sensi percettivi.
Si è circondati dalla dolcezza, dalla sensibilità, dalla leggerezza che dalle nuvole scende dentro il nostro sistema nervoso centrale, che è desideroso di sconvolgimenti delicati.
Doveroso è anche rendere merito a testi che spaziano moltissimo, dall’amore che si sente, che cerca protezione, che vuole condivisione, a una romantica e positiva attitudine anche nello scrivere del dolore, della fatica dell’esistenza, il tutto con pennellate di fantasia perfettamente cucita sulla realtà.
Con annessa la descrizione di volontà che mettano nei nostri ascolti e successive interpretazioni emisferi perfettamente ramificati.
L’impatto delle connessioni tra l’esterno e l’interno vengono specificate attraverso liriche potenti e convincenti.
È consolante, carezzevole constatare come le atmosfere e le modalità scelte per esprimere flussi magnetici di magia intensa abbiano nel suo DNA anche un fare che consuma l’esperienza Trip hop per cogliere un succo in un frutto che sembrava ormai spolpato del tutto. Questi impareggiabili tedeschi invece lo ripresentano, ma con la volontà di mostrarne il valore con la purezza di mescolanze che ne aumentano il prestigio.
Moments, Fatigue, Ginger: canzoni nelle quali viviamo tutti una scossa elettrica elegante dentro atmosfere cupe ma piene di grazia.
Flames è la perfetta miscela tra una sensazione che i Cure potevano indirizzarsi verso questo pianeta musicale e il Trip hop.
Love Map offre una voce che si arrotola dentro i battiti, ed è vapore che si scioglie nel crooning e pennellate di incanto.
Ma tutte le composizioni hanno un’immensità da sfiorare con la magia di trucchi che sapranno lasciarvi a bocca aperta…