Noktva - Icarus
C’è tutto, tutto.
Tutto quello che segna sulla pelle dell’intelligenza il senso di appartenenza a un miracolo sonoro di cui appropriarsi come si fa con le chiavi di casa, per poter entrare e fruire di ciò che si desidera.
Il cielo per essere perfetto ha creato le rondini, per portare freschezza e verità ai nostri occhi.
Questi ultimi si cibano di anime per affiancare a quel volo il proprio.
E allora qui che succede?
Siamo all’interno di una vicenda musicale che, insieme alle liriche, regala l’impressione che la crescita della formazione siciliana sia già un dato di fatto, ci ritroviamo immersi indubbiamente nei loro nuovi capogiri, finalmente felici della loro sofferenza ragionata e tradotta in un cataclisma scenico semplicemente perfetto.
Dopo aver compreso il mitologema di Icaro, possiamo districarci meglio nel racconto extrasensoriale di questo groviglio di immagini che rendono sublimi le cognizioni concernenti l’amore e il tempo, i sogni e dei limiti quotidiani.
Una gioia che non è solo rappresentazione bensì perlustrazione, in un movimento che allunga il cielo e mortifica l’egoismo.
Icaro è un antieroe, qui innalzato a coscienza parlante, comunicatore attraverso un frastuono permeato di nubi che attraversa indenne.
I NOKTVA gli tolgono il paracudute e lo rendono edotto di un percorso, a tratti privo di accelerazione di gravità, presentandogli il conto del suo destino. In un latente e chiaramente sibaritico presente, la band mostra invece forza e ricchezza, decisione e impianto per un risultato che ci fa turnicare dalla parte della bellezza. Perché quando la musica riesce a comunicare il superfluo si vive liberi, con l’unica ossessione di un grazie a forma di inchino. Ma in questo agglomerato di suoni le cinque rondini mostrano anche i semi pruriginosi di istinti con redini in attesa di comando. La fluente crescita sposta il bisogno di definire i generi presenti in questa opera musicale: se proprio vogliamo, il nero attuale li ha resi ancora più neri nell’animo, influenzando il cantato di Kurten e di Miriam verso modalità Deathrock, mentre la struttura crescente del brano contempla situazioni Post-Punk dipinte di una duttilità e volontà di portare a sé macrocosmi di Darkwave.
Ma serve tutto questo? Ce lo farebbe intendere meglio?
Per nulla.
Non una introduzione, bensì lo spettacolo teatrale di una vicenda omicida che trova nelle note il giusto groviglio e ripostiglio.
Un atto comunicativo percorre le strade di riti preparatori, come questa voce che con il suo vocalizzo alza lo sguardo dal basso, da una intimità che qui è chiusa sino all’urlo straziante che scuote la luna.
Poi il basso, lieve subito e dissacrante poi, il synth e la chitarra, che è un volo d’api pieno d’ansia, si alzano e attendono il postulato di Kurten, nipote di un deathrock dalle croci ancora insanguinate, che concede a Miriam di penetrare il testo dove, sin dall’inizio, è chiara l’intenzione di pensare e di rivolgersi a un altro tempo, quello del tempio dei sogni.
Incroci continui di lame e tamburi, spettinano la serenità di chi non si cura degli accadimenti, dei flussi mitologici che ancora si prestano a essere elementi di induzioni senza retorica.
Non sono strumenti ma perlustrazioni mentali che cercano di presenziare al fallimento di un uomo non uomo, di un volo non volo, nel suo precipitare non solo nel vuoto ma soprattutto nello scorrere dei millenni.
Qua è il suo posto? Il suo ruolo?
I Noktva mortificano la bruttezza di chi non si cura di Icaro e la incidono sulla propria pelle, prima ancora che in un brano che riesce a rendere torbido il battito.
Una realtà internazionale senza passaporto per le illusioni, esattamente come per il protagonista di questa storia, emblema di una purificazione senza strategie se non il metterlo in salvo.
La crescita del lavoro canoro di Miriam e Kurten è una miccia diabolica, sorprendente, magnifica manifestazione di un connubio senza segni di frustrazione.
Ma per essere tale la sincronia delle anime dalle ali bagnate di petrolio è frutto di tutte e cinque, mangiando la stessa vitaminica propensione ad allungare il cielo dei loro sogni, dei loro aneliti e dei loro sospiri, sempre tesi ad annullare ogni visita verso la superficie della gioia, così poco utile per questi ragazzi ormai adulti e coscienti.
Tracce di un sorpasso temporale, rispetto ad altre band italiane, vengono evidenziate dalla struttura che non prevede la forma canzone come stratagemma di approdo alla piacevolezza dell’ascolto, ma vuole giungerci attraverso una trama, come un racconto che si sviluppa nel terremoto del disordine di una vita morta prima di desiderare il volo.
Perché, se state attenti, Icarus è un sogno, quindi un luogo mentale, una questione e struttura privata. Per essere portato alla luce la band siciliana ha visitato il cielo, lassù, oltre la stratosfera, dove la luce è un urlo senza finestra. Ecco allora che si intuisce il viaggio a ritroso (quella chitarra e quel basso sono i magneti che mettono ordine, mentre i synth sono le ali piene di piombo che cedono, cadendo nel centro dell’addome, per dare alla morbidezza della felicità l’incubo della realtà), per poi compiere il balzo in avanti…
Tutto è teso, perverso, in fuga, sottolineando come la musica sia la scrittura dell’anima, che, in questo caso, parte sin dalla Mitologia.
Un clamoroso album aveva sentenziato le qualità (indubbie) di un grande lavoro, ma qui sono andati oltre: epici, onirici, drammatici, sensuali, pur nei confronti di un morto predestinato al raggiro della storia umana. I cinque si occupano di lui, gli danno un senso nuovo, gli regalano una linea armonica pregna di quella tristezza che consola e che ci fa sentire nel nostro domicilio. Ci mettono in condizione di visitare l’ignoto, di semplificarlo, di rovesciare tonnellate di malinconia in versi semplici ma con il peso specifico di un cielo in caduta libera.
Icaro non sa se avanzare nelle scie del volto celeste, e Miriam e Kurten inventano uno straordinario stratagemma: iniettare i versi di fumo e cecità, per rendere assiderato ogni tentativo di fuga, per consolidare il labirinto emotivo che permea ogni centimetro di questa composizione.
Le mura si ritrovano a essere quadri di cera ma molto lontani da quelli dei Litfiba: qui la fattura non è di ordinanza geometrica, piuttosto un trattato che entra nelle vene musicanti di minuti deliziosamente pieni di una nebbia che ristora il sacrificio di Icaro, messo dal gruppo in grado di interrogare la nostra mente.
Il drumming di Jack è il sigillo che inchioda tutta la musica nell’essere un imbuto, dentro il quale Icaro cerca di risalire, non volendo conoscere l’immensità del vuoto alle sue spalle.
Un brano del genere non nasce in sala prove, da una jam, bensì dalla persuasione di un cammino che necessita delle lancette del tempo e pazienza. Una cucitura, dopo un imbastimento perfetto, ci regala l’immensa costruzione che non si divide in fasi ma in crescita, esattamente come per la carriera di questo gruppo al quale cediamo ogni nostro sogno: vederli sul tetto del mondo volare, senza paura, insieme a Icaro, beneficiando del nostro abbraccio eterno.
Il Maestro Alessandro Calovolo diceva “Ed è la gioia”.
Io, con paura e modestia, aggiungerei:
“Con Icarus è gioia stramba che cade dalle nostre piume”...
Concludendo: si prenda il vizio di lasciarla in un play continuo, perché è solo dalla dipendenza totale non di un miracolo ma di un duro e serio lavoro che si impara quanto poco conti ascoltare tante sciocchezze.
Prendete la residenza a casa Noktva e avrete una tristezza sensata, fluidificante, onirica, in volo libero…
Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
26 Settembre 2023
https://noktva.bandcamp.com/track/icarus