La mia Recensione:
Pale Dian - Feral Birth
Microbi, squame, spore, cellule perdute: un insieme di travagli viaggiano muti facendo parlare molto. Creano un putiferio e un incendio continuo.
Li troviamo anche nella musica fintamente celeste di Pale Dian, la band di Austin capitanata dalla sovrana della penombra Ruth Ellen Smith, capace di creare pathos, tensione, per una radiosa propensione a illuminare ciò deve essere smosso da analisi critiche e che fa delle emozioni una piazza all’aperto, sempre disponibile all’accesso. È musica per anime torbide, affascinate da continui cambiamenti di umore, di stili musicali che cercano spazio e continuità, in abbracci al limite della stratosfera. Magnetica, intrigante, la band ha pubblicato Feral Birth, sunto e prolunga di una chiara capacità di sconquassare la pacifica intenzione di ascoltare un album accomodante.
Ed è per questo che finisce per essere strepitoso. Davvero intenso, come una sonda che scopre la realtà dei nostri atterriti attriti interiori. Scavano, solleticano con canzoni programmate per fare del nostro ventre il teatro dello smottamento.
Si è immersi nelle chitarre che sbarrano la strada alla semplicità, diamanti come figli dell’effetto di allucinazioni sensoriali, con l’intento di ferire, creando lo iato con un cantato che spesso è un cammino sulle nuvole.
Manca il fiato perché ci troviamo continuamente davanti alla vastità degli scenari che si aprono, grazie a una tristezza addomesticata, alla valanga di sogni che cadono dentro le trappole che il loro talento manovra con grande abilità. Questo disco è una distesa di streghe, unite per ridere mostrando i denti nel loro ghigno maligno. Corroborante, vibrante, sudato, questo lavoro decima le forze complicando l’ascolto: la purezza e lo sfiorare continuamente l’originalità fa compiere un’assurda, splendida fatica.
Le loro canzoni sondano questo tempo generoso di fallimenti, con una politica sempre più egoista, portando la nostra attenzione verso il caos che viene messo sotto torchio, finendo per non negarsi. Si sogna spesso per disperazione, frustrazione, solitudine e questo secondo album della band americana è capace di farlo benissimo, aggiungendo anche gocce leggere, nel gas della bellezza che cerca di uscire, riuscendoci.
Con trame Dark-Pop e il Dreampop appesantito da ali pregne di pioggia, i quattro artigiani del mistero utilizzano l’elettronica per fermare la luce in eccesso, finendo per planare decisamente nel Nightmare-Pop, perfettamente calzante nelle loro anime.
Sono capogiri immensi, sensi che entrano smarriti nel luogo del non so, un tentativo di resistere alla loro fascinazione continua, con brani vellutati ma che mostrano come la forza non stia nella ribellione dei watt, nella rudezza che miete consensi solo a chi non conosce e tantomeno apprezza il silenzio. Invece in queste undici composizioni il silenzio riusciamo a sentirlo perché invocato da atmosfere che sembrano respiri continuamente bisognosi, dove il caos è generato solo dalla loro bellezza.
Insistono spesso verso melodie sensuali interrotte da fragori, perché è nel loro DNA, lo fanno benissimo e a buon ragione: hanno la maturità necessaria per una attitudine a rendere evidenti gli squilibri e la loro metamorfosi coniuga il tutto verso una attrazione che si fa sempre più evidente con lo scorrere del tempo. Con creazioni perfettamente annodate da una produzione eccellente che mette tutte le loro doti perfettamente dentro i nostri cuori.
Non vi è bisogno alcuno di cercare nel loro background per capire quanta farina giunga dal loro sacco: ce n’è tantissima ed è croccante, morbida, energica e i loro ascolti del passato, se esistono, sono multipli e equilibratamente nascosti o, se svelati, non tolgono nulla al loro talento espressivo.
Sembra pazzesco che al giorno d’oggi esista musica di questo tipo: pensavamo di avere tutto nelle mani vuote e lo stupore delle definizioni dei generi e invece ci troviamo immersi in modo splendido in una miscela mista che non può che cedere il passo anche a qualcosa di nuovo che avanza dentro questo bellissimi solchi.
Ed è questo che fa di questo album il più interessante, a livello di originalità, di questo 2022, per la varietà e la vastità di elementi che lo rendono un disco da studiare.
Non si scende mai nella banalità, non si scende mai nei trucchi che vogliono negare un vuoto espressivo: siamo innanzi e dentro un cataclisma che crea disagio e rapimento, portando finalmente il fiato a morire, come merita.
Qui invece ci sono tonnellate di classe e buongusto, un lavoro geniale di menti che sembrano uscite dal laboratorio della follia educata a dare al senso materia di sviluppo.
Vorrei raccomandarlo a tutti, caldamente, ma non posso scherzare: un album così bello lo capirebbero in pochi, meriterebbe riconoscimenti e innamoramenti a ripetizione, in estesa forma continua. Dovrebbe trovare un passaparola costante, per arrivare in ogni dove. Perché nutre e conduce verso zone intense, dove basta ascoltare per sentirsi amati.
Tocca ora mettere gli occhi approfonditamente all’interno di questo cucciolo dalle undici zampe deliziose per perdersi…
Song by Song
1 All Anointed
Una lenta esplosione circolare avvolge l’ascolto, tra chitarre sornione e una drum machine di derivazione Coldwave, per un momento introduttivo di grande suggestione. Il cantato è una discesa nella parte sognante della 4ad ma la canzone resta vicina a qualcosa di più originale, nel mantra catodico di visioni multiple.
2 Truth or Consequence
Ed è estasi, sorpresa, incanto che smuove le ossa, in questa macchina di bellezza che tra elettronica accennata e dreampop mascherato da chitarre che sanno essere ostiche fa sì che tutto si precisi nella contemplazione sonora di un sentire onirico, inframezzato da particelle Noise Pop che rendono l’ascolto intrigante. E l’odore di Oriente nel vocalizzo di Ruth è meraviglia che avanza.
3 Melt
L’avreste mai pensato? Un flusso dub con particelle reggae sembrano la base di un tumulto preciso che può confondere. Invece bastano pochi secondi di attesa e si nuota tra nuvole dello Shoegaze più minimalista, con atomi noise a spruzzare vibrazioni e il basso che spinge su un piano armonico suggestivo. La chitarra spazia libera nelle sue peripezie e la voce è una lunga nota a circondarci, il tutto in una marea ritmica sincopata e nevrotica.
4 Misanthrope
L’inizio è nuovamente traumatico: un microcosmo Darkwave sembra tenere il nostro respiro ancorato al buio, con una chitarra che brilla nella gravidanza di una atmosfera notturna. Poi Ruth ci chiude gli occhi e si sale nel silenzio del cielo stellato, con il basso che pulsa e tiene per mano la sua voce. Sono scintillii con ingressi dreampop, ma nulla può essere definitivo: la loro barca celeste ci fa nuotare nel mare di generi, stili, per un brano magnetico…
5 Relapse
Un altro frastuono paralizza, rende la pelle vibrante: Relapse è cura armonica, con chitarre come rugiada che circonda per farci assaporare l’intensità della esistenza. Il binomio basso e voce è estasi di luce, un insieme che ci porta nella zona Dark-Pop, dove gioia e dolore trovano il punto di contatto. La chitarra diventa figlia dei migliori Bauhaus per un risultato che seduce il battito.
6 Ballad of a Girl
Le sorprese non mancano di certo: ecco la nuova candela che intenerisce e ci porta nella metà degli anni 80, con la contaminazione elettronica ed espedienti che danno vigore immenso a questa creatura nottambula, priva di coscienza, che vaga dentro la nostra conclamata gioia. Tutto si posiziona in un brano di passaggio, dove perdersi è il luogo della loro abilità e della nostra nuova identità…
7 Vacant and Naked
Tra Vapor-Wave, precipizi Cocteau Twins e una attitudine del cantato Pop della miglior tradizione, tutto si sviluppa in una scena dove il suono è il protagonista, con la capacità di scrivere un brano che odora di lacrima e abbraccio. Si è sospesi, sembrano avvertirci che i sogni a occhi aperti sono i migliori…
8 True Love
Sia dato spazio alla paura che non fa tremare bensì riflettere: la zona ritmica e quella melodica sono flussi permanenti di respiri che gelano il sangue. Poi ci pensa sempre lei, la sua voce diamantata che passa al registro alto come un volo di aquile libere, capaci di cibarsi di ossigeno. Un sogno, con note diabolicamente perfette.
9 Find Her
Il pezzo più pregiato giunge ed è il pianto dell’anima: si soffre, si gode, si entra nel synth per trovare una mano con una rosa nera bagnata. Come se fosse frutto di musica barocca dipinta da sentori elettronici, qui non si può che diventare tremanti ed esseri pensanti.
10 Emily
Quando la bellezza diventa lavanda gastrica: qui tutto viene depurato nel clima sognante miscelato al mistero, alle fiaccole della paura che entrano lentamente per defraudarci i respiri. Magnetica, possente e amata dagli dei, la canzone è il volo di ogni battito verso la dispersione con le sue chitarre dreampop.
11 Decline Regrowth Decay
Tra accenni di Cure e Pale Saints, e il cantato che ci porta ai Curve di Toni Halliday privo di effetti sulla sua voce, siamo davanti a un brano con grande nerbo psichedelico attraverso questa chitarra che sprigiona curiosità e fragore. Perfetta esibizione di classe per dare la sensazione che il loro talento non possa essere imbavagliato dai generi e stili musicali. Ecco, questa è la dimostrazione, e il cielo applaude commosso.
Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
7 Novembre 2022
https://paledian.bandcamp.com/album/feral-birth
https://open.spotify.com/album/3vPHgsWuXcJnlOelnxVlcT?si=EBl9tUW0SviN_d3oDp6VQQ
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