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giovedì 2 marzo 2023

La mia Recensione: Cult Strange - Conjuring Feral Angels

 

Cult Strange - Conjuring Feral Angels


Le lame più taglienti dell’anima sono tornate per infettare, stordire, condannare, separare, infliggere punizioni, con il loro suono che è il castigo degli Dèi del male che si sono stancati di tutta questa ipocrisia.

I Cult Strange esordirono nel 2020 con un EP di quattro lucide rappresaglie sonore che si intitolava Rites of Passage, una discarica tiepida i cui vapori ancora oggi fuoriescono dalle cantine delle nostre paure.

Il quartetto capitanato da Aleph Omega compie un percorso bellico, tra la pelle conosciuta del Deathrock, massima espressione di contatto con le cellule morte dei nostri capricci vitali, e le scintille del Gothic Rock sapientemente tenute sotto controllo, per non interferire con i messaggi, perché ad ogni genere musicale tocca un lavoro e un rispetto delle regole. L’album è aggressivo, corale, una massa di acciaio che ci butta nella dancefloor umida, grondante di sale e peccati. Le chitarre sono le schiave del dolore, portatrici malefiche del dubbio che muore in fretta, che non cerca ascolto ma ottiene riverenza e lo fa giocoforza, visto che la penna di Aleph è giustamente votata a portare le volgarità e le ingiustizie dentro le nostre vene. 

Non sono però solo legate all’impianto del Deathrock: sono chitarre che, malgrado le tonnellate di liquidi languidi, si muovono con destrezza, tra effetti e modalità che spaziano e che hanno la peculiarità di generare una attitudine totalmente americana all’interno del polmone del mondo. Le ritmiche sono pesanti, boomerang di veleno che fendono l’aria per colpirci, tramortirci, finirci. 

Il basso è il Re dell’amianto, uscito da Oakland, per andare a urtare duramente le anime così troppo legate agli anni ’80: qui nulla è banale e quelle dita sanno essere diamanti sanguigni che sporcano non solo il manico dello strumento ma soprattutto i nostri ascolti. Come rabdomante, trova la poesia cattiva, da educare al peggioramento, come vendetta, come soddisfazione pulsante senza intenzione di fermarsi.

Con il miglior batterista a disposizione di cosa volete parli il vecchio scriba? Il gioco, il connubio dei quattro musicisti tende a fare del ritmo la sorella gemella di melodie strazianti e il drumming è ciò che risalta di più perché è proprio la complessità della modalità con cui si esprime che fa emergere, oltre a doti tecniche ineccepibili, un mare nero inquinante, avendo il movimento di quelle onde cupe, piene di grazia maligna. A volte entra nell’Hardcore, nel Metal, in un crossover continuo che ammalia, spiazza, incuriosisce, di certo stordisce. Come se una pulsione interiore si impadronisse di quelle braccia e di quei piedi per creare una tribalità a cui non ci si può opporre.

Le illusioni, le velleità e i capricci vengono elencati per essere congedati con veemenza, e i desideri sono messi sotto la lente di ingrandimento per poter essere derisi e uccisi, amen.

La produzione è in grado di sintetizzare la passione, lo studio di brani complessi ma dalla abilità anche di generare una spavalda immediatezza, corrosiva e spesso disarmante, finendo per produrre incanto e timore, in un range stilistico in cui il suono è il governatore dello spazio e le parole fedeli sudditi capaci di materializzare concetti e propensioni con la bava alla bocca.

C’è una intenzione evidente di disintegrare, di colpire il vuoto culturale, di essere semi radioattivi in opposizione, di dare sprangate alla terra per eliminare l’equilibrio del nostro sterile cammino, di raccontare sì delle storie, ma all’interno di precise elucubrazioni che vogliono asserire, dividere, espletare il percorso della individuazione di una realtà incapace e votata alla più becera decadenza.

Un album che non rappresenta una città, un genere musicale, ma la meticolosa intenzione di prendere delle posizioni, di creare decisioni comportamentali, dove il buio della notte è quello di un mondo che ha perso la bussola, l’identità e la predisposizione a essere gioia. Ma, vi sembrerà strano in questo contesto, questo lavoro ne produce in quanto esistono piani di consapevolezza, ci sono distacchi che sono stati decisi e il vero benessere che comporta è quello di indossare l’intelligenza e di essere anime che escono dalla cripta del vizio per dare un senso più maturo all’esistenza.

Canzoni come un crepitio ineludibile, l’appuntamento con l’impianto magmatico di un processo che non concede favoritismi, ma alza l’indice per sparare giudizi precisi, tra le ombre dei vapori di musiche collegate direttamente al fallimento umano.

Ci ritroviamo così, inevitabilmente, con un rosario, una testimonianza dello sfacelo che i Cult Strange rappresentano come figli designati di Sua Maestà Rozz Williams. Con lui esistono sicuramente delle differenze, ma in comune hanno il potere di regalare smarrimento e una ragionevole preoccupazione per la nostra esistenza. 

Sul piano della scrittura, l’analisi dei testi induce a credere che ogni fascinazione nei confronti della paura e dei desideri abbia trovato il perfetto luogo di appartenenza, regalando agilità e convinzione, per un risultato che è all’interno del nostro ascolto: parole come lapidi, lapidi come parole mute.

Alla fine siamo anime piene di terra, sfocate, come la splendida copertina, che descrive perfettamente come le nostre identità siano appannate, sfumate, dai contorni incerti, con il corpo infangato e destinato all'essiccamento, come l’appuntamento con la perdita di ogni ragione. Non rimane davvero che invocare, senza tentennamenti, gli angeli feroci perché loro per primi non sono riusciti a sfuggire al destino, il figlio maledetto dal ghigno diabolico…

La band ha compiuto un notevole lavoro di amalgama e di continuità per stabilire e determinare una posizione di forza, magicamente intrisa di esplosioni sonore, drammi quotidiani musicati, visioni che contorcono le budella e rendono il cervello un groviglio graffiante di pensieri. Concludendo: se niente è indispensabile è bene saperlo, conoscerlo, e questo disco aiuta a visualizzare le discariche mentali che conserviamo inconsapevolmente, perché schiavi del vizio e del mercato, di attitudini che i Cult Strange ci sputano saggiamente sul volto. Non vi resta che strozzare la stupidità con Conjuring Feral Angels: sarete ripuliti, disinfettati e leggeri, con le piume di petrolio libere di alzarsi in volo.

Deathrock album del 2023 per il vecchio scriba: penso possa bastarvi…


Song by Song


1 Prologue


Spetta a una donna dal crooning diabolico dare il benvenuto e avvisarci che stiamo per incontrare degli angeli feroci, con echi e riverberi e uno scenario che evoca spiriti in combutta.


2 Slave To The Algorithm 


L’inizio del brano è micidiale: chitarra tesa a cacciare le ombre in un brutto guaio perché lei non ha paura di sicuro. 

Esiste una quota di malvagità che sconvolge, con il cantato che è una processione, supportata dagli altri tre musicisti: prendi i New York Dolls dal lato senza sole e gettali nel basso rotolante e nelle chitarre sontuose e perverse e tutto sarà chiaro.

Alla batteria resta solo il compito di frustare quelle povere ombre che muoiono senza aver creduto possibile tutto questo. Come opener track è perfetta: se l’inizio può essere di derivazione glam rock, ti rendi presto conto che tutto dilaga in splendide divagazioni dissonanti.


3 A rose Of Chaos


Un drumming spavaldo, uscito da una cantina piena di polvere degli anni 70, apre la danza sbilenca e accattivante.

Poi la voce e la chitarra sposano un’idea di rito grondante Deathrock di purissima classe.

Puoi udire echi di Germs e Consumers a dare ispirazione involontaria a questa corsa a pestare le rose nel chaos: aleggia continuamente l’idea che anche i Virgin Prunes soffino qui tutta la loro follia, specialmente nella modalità del cantato. E che un fare macabro - esoterico sia il sovrano di questa chicca assoluta.


4 De Auro Rubeo


Uno schiaffo Gothic Rock iniziale, quindi si entra nella zona Deathrock con un ritornello dalla voce baritonale/sepolcrale di grande suggestione, con la sensuale accelerazione del ritmo. Poi è nebbia, lenta, e il recitativo di Aleph, la chitarra maligna di Rodney Horihata, il basso atomico di Buz Deadwax e il drumming sanguigno di Andrej Pavarotten stravolgono l’atmosfera per rendere gelida la città degli angeli. Il ritmo ritorna ad accelerare e il delirio è completo. 



5 Hungry Skin


Lo sciamano sobilla i coraggiosi nei primi secondi del brano, il basso e la chitarra guardano ai maligni semi dei Black Sabbath e tutto si fa concentrico, una melodia tenebrosa si affaccia nel ritornello tra fiammate siderurgiche delle chitarre, che con note tremanti soffocano l’ascolto. Che la sensualità abbia il vestito della Dea Eris e punisca le violazioni di domicilio dei pensieri più puri. Il cantato verso il finale, ripetuto, dona piacevolezza ai nervi vibranti.


6 New World Ordeal


Buz si allea agli angeli feroci con un basso micidiale ad aprire il brano, una cavalcata gotica che annette il drumming tribale di Andrej. Le chitarre vibrano dentro cerimoniali Deathrock e sono sciabolate metalliche nel tempio della dispersione, il mondo svela il suo calvario e si torna, felicemente, nella Los Angeles degli anni ’80 con l'eyeliner nei pensieri. Il chaos si mette il vestito più bello, correndo dentro questi minuti di tenaglie arrugginite.


7 Blood Seed Sister


La chitarra sparge veleno, contorce l’aria e lascia al cantato il modus operandi che è un recitativo che concede spazio alla musica, tra altalene di registri vocali che arrivano al gutturale. Come per tutto l’album, anche qui assistiamo a cambiamenti ritmici, di scenari, a ferite continue. I desideri diventano reclami, invocazioni, riti da completare.


8 Restraints


Il ritmo torna veloce, ma una insospettabile linea melodica morbida ospita il torbido del testo che viene cantato come una cometa in cerca di una carezza. Il basso e la chitarra danzano però con ferocia, mentre le chitarre si incrociano come serpenti dalla testa doppia. Tra Gothic e Darkwave che fanno capolino, la canzone mostra un lato nuovo ed interessante dei Cult Strange.


9 Sages Of Djiin 


Abbiamo nel nono brano l’impressione che il basso e la chitarra siano i semi lanciati in aria dai Red Lorry Yellow Lorry, elaborati e sacrificati ma comunque presenti. 

Ma è solo una piccola frazione: esistono quote di purezza e unicità nel fare di questa canzone un manifesto di un genere musicale in evoluzione. È un feticcio di estremo valore che è a disposizione di chi non trema innanzi alle idee di dissotterrare spoglie mortali.


10 Torn Desire


Il tempo del delirio totale è giunto, il momento del desiderio più grottesco che spinge le menti verso le porte dell’inferno è qui, in queste voluminose varianti, dove tutto è ossigeno che brucia nel basso che ricorda i Virgin Prunes.

 Le rullate della batteria devono tanto al Post-Punk, e poi c’è lei, la maligna forma Deathrock a rendere epocale il brano.


11 Hex/Pox/Vex


Un basso melodico più che mai è pronto ad ingannarci: tutto diventa stridore, lame a scendere nei polmoni, le voci raddoppiate e i Sex Gang Children a benedire il tutto.

E Aleph a rendere Peter Murphy un sacerdote malvagio.

Lo shock è dato da un brutale atteggiamento nel creare una cavalcata spavalda e menefreghista per uccidere ogni bagliore di luce.

Maestosa, offre elementi di eleganza nella sua attitudine a divenire l’apoteosi che esalta i residenti delle tenebre.


12 Epilogue


Questa volta tocca a voci maschili a concludere l’album, tra liquami elettronici e voci imbalsamate e spettrali. Sono vapori di addio, il saluto senza replica che chiude un disco di esordio semplicemente perfetto.


13 New World Ordeal (Smoke And Mirror Remix)


Questa versione offre ai Cult Strange la possibilità di tornare alle dinamiche dei Remix degli anni ’80, per giocare con l'alternanza degli strumenti,  per rendere il brano una piacevole lunga agonia.


14 Sages Of Djinn (War Engine Remix)


Il remix di Sages Of Djinn è un sudario, un calvario, un gioco mefistofelico di voci piene di echi, il drumming e il basso che lavorano duro e le chitarre che quando arrivano danno un senso diverso rispetto all’originale. I Killing Joke possono essere felici: dall'altra parte dell’oceano c’è chi, come loro, sa tagliare in due il cielo.


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
3 Marzo 2023





My Review: Cult Strange - Conjuring Feral Angels

 

Cult Strange - Conjuring Feral Angels


The sharpest blades of the soul are back to infect, stun, condemn, separate, inflict punishment, with their sound which is the punishment of the gods of evil who have grown tired of all this hypocrisy.

Cult Strange made their debut in 2020 with an EP of four lucid sonic reprisals entitled Rites of Passage, a lukewarm dump whose vapours still rise from the cellars of our fears.

The quartet led by Aleph Omega take a warlike path, among the known skin of Deathrock, the ultimate expression of contact with the dead cells of our vital whims, and the sparks of Gothic Rock wisely kept under control, so as not to interfere with the messages, because every musical genre has its work and respect for the rules. The album is aggressive, choral, a mass of steel that throws us on the wet dancefloor, dripping with salt and sin. The guitars are the slaves of pain, evil bearers of the doubt that dies fast, that does not seek to be heard but obtains reverence, and it does so inevitably, given that Aleph's pen is rightly devoted to bringing vulgarity and injustice into our veins.

However, they are not only related to the Deathrock system: they are guitars that, despite the tons of languid liquids, move with dexterity, amongst effects and modes which range and have the peculiarity of generating a totally American attitude within the lungs of the world. The rhythms are heavy, boomerangs of venom that cleave the air to hit us, knock us down, finish us off. 

The bass is the king of asbestos, coming out of Oakland to irritate all souls who are way too attached to the 80s: here nothing is trivial and those fingers know how to be blood diamonds which dirty not only the handle of the instrument but above all our listening. As a diviner, he finds the bad poetry, that has to be educated to deterioration, as revenge, as pulsating satisfaction with no intention of stopping.

With the best available drummer, what do you want the old scribe to talk about? The game, the union of the four musicians tends to make rhythm the twin sister of harrowing melodies, and the drumming is what stands out the most because it is precisely the complexity of the way he expresses himself that brings out, in addition to impeccable technical skills, a polluting black sea, having the movement of those dark waves, full of malignant grace. At times he enters Hardcore, Metal, in a continuous crossover that bewitches, displaces, intrigues, certainly stuns. As if an inner drive takes over those arms and feet to create a tribality you cannot oppose.

Illusions, velleities and whims are listed to be vehemently dismissed, and desires are put under the magnifying glass to be mocked and killed, amen.

The production is able to summarise passion, the study of complex tracks but also the ability to generate a swaggering, corrosive and often disarming immediacy, ending up producing enchantment and awe, in a stylistic range where sound is the governor of space and words faithful subjects capable of materialising concepts and propensities with froth at the mouth.

There is an evident intention to disintegrate, to hit the cultural void, to be radioactive seeds in opposition, to beat up the earth to eliminate the balance of our sterile path, to tell stories, yes, but within precise lucubrations that want to assert, to divide, to carry out the process of the identification of a reality incapable and devoted to the most boorish decadence.

An album that does not represent a city, a genre of music, but the meticulous intention to take positions, to create behavioural decisions, where the darkness of the night is that of a world that has lost its compass, its identity and its predisposition to be joy. But, it may seem strange to you in this context, this work produces happiness since there are planes of awareness, there are detachments that have been decided, and the true well-being involved is that of putting on intelligence and being souls that come out of the crypt of vice to give a more mature meaning to existence.

Songs like an inescapable crackling, the appointment with the magmatic implant of a process that does not concede favouritism, but raises the level to make precise judgments, amidst the shadows of the vapours of music directly connected to human failure.

We thus find ourselves, inevitably, with a rosary, a testimony to the debacle that Cult Strange represent as the designated sons of His Majesty Rozz Williams. There are certainly differences with him, but in common they have the power to offer bewilderment and reasonable concern for our existence. 

In terms of writing, the analysis of the lyrics leads us to believe that any fascination with fear and desires has found the perfect home, giving agility and conviction, for a result that is within our listening: words as tombstones, tombstones as mute words.

In the end, we are souls filled with earth, blurred, like the splendid cover, which perfectly describes how our identities are tarnished, faded, with uncertain contours, our bodies muddy and destined to dry up, like the appointment with the loss of all reason. There is really nothing left but to invoke, without hesitation, the fierce angels because they themselves have failed to escape destiny, the cursed son with a devilish grin…

The band has done a remarkable job of amalgamation and continuity to establish and determine a position of strength, magically imbued with sonic explosions, daily dramas set to music, visions that twist the guts and make the brain a scratchy tangle of thoughts. In conclusion: if nothing is indispensable, it is good to know it, and this record helps visualise the mental dumps we keep unconsciously, because we are slaves to vice and the market, to attitudes that Cult Strange wisely launch against our faces. All you have to do is suffocate stupidity with Conjuring Feral Angels: you will be cleansed, disinfected and light, with your oil-stained feathers free to take flight.

Deathrock album of 2023 for the old scribe: I think that might be enough for you....


Song by Song


1 Prologue


It is up to a devilishly crooning woman to welcome and warn us that we are about to encounter fierce angels, with echoes and reverberations and a scenario evoking spirits in cahoots.


2 Slave To The Algorithm 


The beginning of the song is deadly: with a guitar intended to get the shadows in big trouble because it is not afraid for sure. 

There's a share of wickedness that shocks, with vocals which are a procession, supported by the other three musicians: take the New York Dolls from the sunless side and throw them in the rolling bass and in the sumptuous, perverse guitars and all will be clear.

All that's left for the drums to do is to whip those poor shadows that die without having believed any of this was possible. As an opener track it's perfect: if the beginning can be of glam rock derivation, you soon realize that everything spreads in wonderful dissonant digressions.



3 A Rose Of Chaos


A swaggering drumming, straight out of a dusty 70s cellar, opens the lopsided and catchy dance.

Then the voice and the guitar marry an idea of ritual dripping with Deathrock of pure class.

You can hear echoes of Germs and Consumers giving unintentional inspiration to this race to step on roses in chaos: the idea that Virgin Prunes also blow all their madness here, especially in the way of singing, constantly hovers. And that a macabre-esoteric attitude is the sovereign of this absolute gem.


4 De Auro Rubeo


An opening Gothic Rock slap, then we enter the Deathrock zone with a chorus of very suggestive baritone/sepulchral vocals, with the sensual acceleration of the rhythm. Then it is a slow fog, and Aleph's recitative, Rodney Horihata's malignant guitar, Buz Deadwax's atomic bass and Andrej Pavarotten's sanguine drumming turn the atmosphere upside down to make the city of angels icy. The pace speeds up again and the delirium is complete. 


5 Hungry Skin


The shaman incites the brave in the first seconds of the song, the bass and guitar look to the malignant seeds of Black Sabbath and everything becomes concentric, a gloomy melody appears in the refrain among the steel flames of the guitars, which with trembling notes suffocate our listening. Let sensuality have the dress of the Goddess Eris and punish the violations of the purest thoughts. Vocals towards the end, repeated, give pleasantness to the vibrating nerves.


6 New World Ordeal


Buz allies himself to the fierce angels with a killer bass to open the track, a gothic ride that annexes Andrej's tribal drumming. The guitars vibrate within deathrock ceremonials and are metal sabres in the temple of dispersion, the world unveils its ordeal and we return, happily, to 1980s Los Angeles with eyeliner in our thoughts. Chaos puts on its best suit, running into these minutes of rusty tongs.


7 Blood Seed Sister


The guitar spreads venom, twisting the air and leaving the singing a modus operandi that is a recitative which allows space to music, among swings of vocal registers that reach the guttural. As throughout the album, here too we see changes of rhythm, of scenery, continuous wounds. Desires become complaints, invocations, rituals to be completed.


8 Restraints


The rhythm becomes fast again, but an unsuspected soft melodic line accommodates the murkiness of the lyrics, which are sung like a comet in search of a caress. The bass and guitar dance ferociously  as the guitars cross like double-headed snakes. Between Gothic and Darkwave peeping through, the song shows a new and interesting side of Cult Strange.


9 Sages Of Djinn


We have in the ninth track the impression that bass and guitar are the seeds thrown in the air by Red Lorry Yellow Lorry, elaborated and sacrificed but still present. 

It's, however, only a small portion: there are parts of purity and uniqueness in making this song a manifesto of an evolving musical genre. It is an extremely valuable fetish that is available to those who do not tremble at the idea of digging up mortal remains.

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10 Torn Desire


The time for total delirium has come, the moment of the most grotesque desire that drives minds to the gates of hell is here, in these voluminous variants, where everything is oxygen burning in the bass reminiscent of Virgin Prunes.

 The drum rolls owe so much to Post-Punk, and then there is the malignant Deathrock form that makes the track epochal.


11 Hex/Pox/Vex


A melodic bass more than ever is ready to deceive us: everything becomes screeching, blades that go down into the lungs, doubled voices, and Sex Gang Children who bless it all.

And Aleph who makes Peter Murphy an evil priest.

The shock is given by a brutal attitude in creating a swaggering, mindless ride to kill any glimmer of light.

Majestic, it offers elements of elegance in its attitude to become the apotheosis that exalts the residents of darkness.


12 Epilogue


This time it is the turn of male vocals to conclude the record, amidst electronic sewage and ghostly, embalmed voices. These are farewell vapours, the farewell without reply that closes a simply perfect debut album.


13 New World Ordeal (Smoke And Mirror Remix)


This version offers Cult Strange the chance to return to the dynamics of the 80s Remixes, to play with the alternation of instruments, to make the track a pleasant long agony.


14 Sages Of Djinn (War Engine Remix)


The remix of Sages Of Djinn is a shroud, an ordeal, a mephistophelian play of vocals full of echoes, the drumming and bass working hard and the guitars making a different sense when they come in compared with the original one. Killing Joke can be happy: on the other side of the ocean there are those who, like them, can cut in two the sky.


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
3rd March 2023





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