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domenica 15 ottobre 2023

La mia Recensione: White Rose Transmission - 700 Miles of Desert

White Rose Transmission - 700 Miles of Desert


Foglie, sterpaglie, avvisaglie, schermaglie.

La radura è folta, un fascio ombroso illumina l’emisfero del pensiero.

La musica permette di annullare la morte, di lasciare in vita le persone, con quello che hanno fatto. 

Il secondo album del duo Adrian Borland e Carlo van Putten allarga i confini, accoglie musicisti in grado di aumentare le possibilità artistiche di questi illuminati pensatori e creatori di nuove stelle da ascoltare e ammirare. Un lavoro che fa male a posteriori, se si valuta cosa è accaduto al regista dei Sound, ma, se adoperiamo ciò che si è letto nelle righe precedenti, anche un benessere, un senso di quiete e di pace ci avvolge, attraverso la dolcezza di un apparato creativo in grado di seminare novità, modalità e grandi battiti pieni di luce.

Quattordici momenti colmi di fascino, in una sfera sad pop che non deprime bensì regala un viaggio all’interno di un testamento scritto con un sorriso e una pacca sulla spalla da parte di Adrian: Carlo raccoglie (ignaro, al tempo) quella confidenza che affermava che nel terzo disco i testi li avrebbe scritti l’ex leader dei Convent. Nel fitto progetto di ciò che ascoltiamo ci rendiamo conto che ascoltiamo musica e non canzoni: nulla è lasciato con l’intenzione di raccogliere consensi, in un piano di ruffianeria estrema, ma incontriamo piuttosto un allargare l’amore, la necessità e la progettualità per tastare il polso ai propri nervi, nella foresta di misteri avvolti e protetti dallo stile, dalla curiosità e dalla volontà di rendere infinito il piacere di veder colorare il tutto con una tinta lucida. Il fatto che si rende maggiormente evidente è quello di essere storditi, confusi, mai certi di quale sia stato il carico di sofferenza di Borland: si teme che sia stato un lascito come un testamento, e in questo caso le lacrime scendono senza arresto. Se invece si immagina questo secondo appuntamento discografico a nome White Rose Transmission come la maniera di trovare conforto, leggerezza, sfogo, distrazione o quant’altro, allora ci potrebbe scappare un sorriso e un abbraccio di ringraziamento.

Certamente, per tutti i sessantaquattro minuti rimane fissa nella mente che la direzione dei generi sia più ampia ma con la volontà di far rimanere il tutto come un profondo respiro, quasi silenzioso. 

Il contributo di Rolf Kirschbaum, quello di Mark Burgess, come quello di David Maria Grams e la voce di Claudia Uman regalano la gioia di sentire una band di amici in una sala prove, mentre tutto scivola dentro il pentagramma. Compatto, dilatato, aperto, lasciando  l’ingresso aperto ad alcuni timori, 700 Miles of Desert è un gioiello che non usa maniere forti per mostrarsi, perché pare entrare quasi di nascosto nell’impianto stereo con l’intenzione di rimanerci a lungo. 

Getti psichedelici mascherati, schegge di Post-Punk ammaestrate, il brivido dato da un intenso palazzo acustico celato dalle orchestrazioni, confluiscono nella gloria e nella magnificenza di note senza bavagli, in una giornata nella quale la pioggia bacia la nebbia. 

I testi (dodici su quattordici) di Adrian, sono apparentemente i più malinconici di sempre, come se quelle parole avessero abbandonato la bombola dell’ossigeno, in un lungo commiato. Non esistono congedi, moti di rabbia, forme esplosive che possono paralizzare, ma un soffio dolce-amaro per renderci tutti più consapevoli e in grado, con l’ascolto, di non fargli mancare il nostro amore. Profondo, intenso, l’album spazia dentro sorprese continue e il violino di David Maria Grams è un distributore di singhiozzi, nell’assoluta capacità di affiancare l’approccio della musica classica a quella pop.

In Wild Rain il duetto con Claudia Uman è uno schiaffo al rallentatore, un addio della natura nei confronti dell’uomo. Tutto schizza nella direzione del cielo dove i suoni perdono peso.

Pare di vedere la vita entrare nelle trame espressive per tatuarsi nell’indifferenza di chi non ha saputo riconoscere il valore di un percorso artistico iniziato nella seconda metà degli anni settanta: non seminando rancori e tantomeno accuse. Una penna sia limpida che misteriosa, con la solita incredibile voce a suscitare immense suggestioni. Carlo, per tutto l’album, sembra il miglior amico che sa ascoltare, consigliare, ma facendolo sottovoce, senza smanie di protagonismo. Canzoni come garze di velluto che si inchiodano sui tessuti della nostra riflessione, per riparare il dolore da altri disperati atti osceni: tutta la discografia di Adrian e di Carlo ha subito indifferenza da parte della massa, discografica, di critica e del pubblico. 

E poi lei: InBetween Dreams, che da sola riesce ad andare oltre i suoi sette minuti perché il suo mantra è una sinusite, un colpo di tosse che ci tiene costantemente avvinghiati alla sua brutale bellezza. Pare proprio che i pezzi precedenti e quelli successivi siano l’anticipo e il posticipo di un clamoroso miracolo, umano ancor prima che artistico…

Vive per tutta la durata dell’ascolto il battito di una chitarra che sembra morire con l’ultimo brano, ma non è così. 

Non si può negare che il concetto iniziale di queste composizioni fosse quello di un dipinto sulle superfici dei contrasti, dei dolori, ma con il tentativo, l’ultimo, di non negare chilometri di gioia che sono presenti, eccome se lo sono…

La produzione è un altro attestato di classe, in quanto avvolge gli stili e i generi musicali all’interno di un suono, di accordi, di propulsioni perfettamente assemblati, come un coro d’anime che con un’unica vocale ci inchiodano all’ascolto e alla devozione.

Gli scheletri dell’anima, perfettamente messi davanti al nostro sentire, durante Desert Bones, sembrano uscire da un viaggio psichedelico dei Doors con il supporto di Ennio Morricone, per un brano che scalcia via ogni gioia.

Con The Swimmer, testo di Carlo e musica di Florian Bratmann, siamo nei pressi di una danza elettronica che si intinge nella musica classica, con echi dei Church e dei Psychedelic Furs: un’ulteriore chicca che si stampa dentro il nostro stupore.

La canzone preferita del Vecchio Scriba, di cui è già stata descritta la grandezza, si presenta qui non in versione acustica ma in quella elettrica: Walking In The Opposite Direction è semplicemente la summa di tutto il pulsare emotivo e intellettuale dell’artista nativo di Hampstead, uno strappo carnale tra le ali di angeli che proteggono la sua aura vitale. Un capolavoro che bagna tutte le piume del mondo con il suo respiro lacrimevole…

Stando attenti ci si accorge che c’è un molto che si palesa, un poco che si nasconde, un mix perfetto di equilibri e squilibri che nella strada dell’estate di questo gruppo riesce a camminare nella direzione giusta: consentire a ciò che è contrario alla vita di essere dentro, di partecipare a quella che oggi è la celebrazione dell’ultimo lavoro in vita di Adrian.

Lasciate ogni modalità per poter ascoltare musica su questo album e date all’infinito la possibilità e il dovere di rimanere su queste quattordici ali: il volo perfetto abbisogna della perfetta colonna sonora ed è proprio qui…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

15 Ottobre 2023


https://spotify.link/AnW7u9U3UDb




 

My Review: White Rose Transmission - 700 Miles of Desert

White Rose Transmission - 700 Miles of Desert


Leaves, brushwood, sightings, skirmishes.

The clearing is thick, a shadowy beam illuminates the hemisphere of thought.

Music makes it possible to undo death, to leave people alive with what they have done. 

The second album by the duo Adrian Borland and Carlo van Putten expands boundaries, welcomes musicians who can increase the artistic possibilities of these enlightened thinkers and creators of new stars to listen to and admire. A work that hurts in retrospect, if we evaluate what happened to the director of the Sound, but, if we adopt what has been read in the previous lines, also a well-being, a sense of quiet and peace envelops us, through the sweetness of a creative apparatus capable of sowing novelties, modes and great light-filled beats.

Fourteen moments filled with charm, in a sad pop sphere that does not depress but rather gives a journey inside a will written with a smile and a pat on the back by Adrian: Carlo picks up (unaware, at the time) that confidence that stated that in the third disc the lyrics would be written by the former Convent leader.

In the dense design of what we listen to, we realize that we are listening to music and not songs: nothing is left with the intention of garnering acclaim, in a plan of extreme pandering, but rather we encounter a broadening of love, necessity and planning to test the pulse of one's nerves, in the forest of mysteries shrouded and protected by style, curiosity and the will to make infinite pleasure of seeing everything coloured with a glossy hue. The fact that becomes most apparent is that of being stunned, confused, never sure what Borland's burden of suffering was: one fears that it was a bequest like a will, and in this case the tears flow without stopping. If, on the other hand, one imagines this second discographic appointment in the name of White Rose Transmission as the way to find solace, lightness, venting, distraction or whatever, then there might escape a smile and a hug of thanks.

Certainly, for the entire sixty-four minutes it remains fixed in the mind that the direction of genres is broader but with a willingness to make the whole thing remain as a deep, almost silent breath. 

Rolf Kirschbaum's contribution, Mark Burgess's, as well as David Maria Grams's and Claudia Uman's vocals give the joy of hearing a band of friends in a rehearsal room as everything slides into the stave. Compact, dilated, open-ended, leaving the entrance open to some apprehension, 700 Miles of Desert is a gem that uses no strong manners to show itself, as it seems to almost sneak into the stereo system with the intention of staying there for a long time. 

Masked psychedelic jets, splinters of trained Post-Punk, the thrill given by an intense acoustic palace concealed by orchestrations, converge in the glory and magnificence of gagless notes, on a day in which rain kisses fog.

Adrian's lyrics (twelve out of fourteen), are apparently the most melancholy ever, as if those words had left the oxygen tank, in a long farewell. There are no leave-behinds, no angry outbursts, no explosive forms that can paralyse, but a bittersweet breath to make us all more aware and able, with listening, not to let them miss our love. Deep, intense, the album ranges within continuous surprises, and David Maria Grams' violin is a distributor of sobs, in the absolute ability to place side by side the approach of classical and pop music.

In Wild Rain the duet with Claudia Uman is a slow-motion slap in the face, a farewell of nature to man. Everything splashes in the direction of the sky where sounds lose weight.

It seems to see life enter the expressive textures to tattoo itself in the indifference of those who have failed to recognize the value of an artistic journey that began in the second half of the 1970s: not sowing grudges, much less accusations. A pen both limpid and mysterious, with the usual incredible voice to arouse immense suggestions.

Carlo, throughout the album, seems like the best friend who knows how to listen, how to advise, but doing it in a whisper, without any craving for the limelight. Songs like velvet gauzes that nail themselves to the tissues of our reflection, to mend the pain from other desperate acts of obscenity: all of Adrian's and Carlo's discography has suffered indifference from the masses, record, critics and the public. 

And then her: InBetween Dreams, which alone manages to go beyond its seven minutes because its mantra is a sinusitis, a coughing fit that keeps us constantly clinging to its brutal beauty. It really seems that the preceding and following pieces are the anticipation and postponement of a resounding miracle, human even before it is artistic....

It lives for the duration of listening the beat of a guitar that seems to die with the last track, but it does not.

There is no denying that the initial concept of these compositions was that of a painting on the surfaces of contrasts, of sorrows, but with an attempt, the last one, not to deny miles of joy that are present, and how very present they are...

The production is another attestation of class, as it wraps musical styles and genres within a perfectly assembled sound, chords, propulsions, like a chorus of souls that with a single voice nail us to listening and devotion.

The skeletons of the soul, perfectly placed before our hearing, during Desert Bones, seem to come out of a Doors psychedelic trip with Ennio Morricone backing, for a song that kicks away all joy.

With The Swimmer, lyrics by Carlo and music by Florian Bratmann, we are in the vicinity of an electronic dance that dips into classical music, with echoes of Church and the Psychedelic Furs: yet another gem that prints itself inside our awe.

The Old Scribe's favorite song, whose greatness has already been described, is presented here not in an acoustic version but in an electric one: Walking In The Opposite Direction is simply the summa of all the Hampstead artist's emotional and intellectual pulse, a carnal tear between the wings of angels protecting his vital aura. A masterpiece that wets all the feathers of the world with its tearful breath...

Being careful one realises that there is a lot that is apparent, a little that is hidden, a perfect mix of balances and imbalances that in this group's summer road manages to walk in the right direction: to allow what is contrary to life to be inside, to participate in what is now the celebration of Adrian's last living work.

Leave every mode to be able to listen to music on this album and give infinity the chance and the duty to stay on these fourteen wings: perfect flight needs the perfect soundtrack and it is right here...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

15th October 2023


https://spotify.link/YVWa19Q3UDb










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