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mercoledì 5 giugno 2024

La mia Recensione: The Halo Trees - Where The Deep Ends

 


The Halo Trees - Where The Deep Ends


Esistono luoghi nell’anima che sembrano deserti silenziosi, in attesa di una conversazione che possa veicolare compagnia, scambi, vibrazioni, determinare una possibile ricchezza per annichilire la fiumana di incertezza che quei posti generano. In un contesto del genere The Halo Trees potrebbe essere tutto ciò, un sostegno e una presenza per generare appigli e un senso diverso per la propria esistenza. La band proviene da Berlino e incorpora un ipotetico ponte con l’Inghilterra, l’Australia e gli Stati Uniti, in quanto il loro immaginario visivo e sonoro prevede una valigia costantemente piena di desideri, di curiosità e soprattutto di malinconia, il sentimento che risiede in ogni parte del mondo, e nel caso specifico perché le loro musiche paiono uscire da colonne sonore di film provenienti dai tre paesi citati e rendono il tutto amalgamato e perfetto. 

Il mistero, la penombra, la delicatezza, la potenza accennata e mai devastante, il porre domande facendo della curiosità un punto di partenza, sono elementi che escono come una pioggia autunnale da queste dieci composizioni, che si trasformano in semi nell’atrio del cuore e della testa, per ossigenare con realtà e sapienza le nostre smisurate esagerazioni, visto che la saggezza, l’equilibrio e la poesia sono il marchio di fabbrica del quartetto della capitale tedesca. La duttilità nel visitare diversi generi musicali è sorprendente ma ancora di più lo è il fatto che il loro stile viene confermato, e questa riconoscibilità diventa il loro passaporto, per confermare quella unicità che in questi casi spesso, invece, si perde.

L’incertezza, la confusione, la fatica del vivere, la presenza, la volontà di saper manovrare le parole, l’insicurezza dell’eccessiva informazione che destabilizza, la tridimensionalità delle cose sono alcuni degli argomenti che l’abile Sascha Blach sa affrontare, per un connubio sonoro che ipnotizza per precisione, in una danza mentale più che fisica che conquista definitivamente. Si vivono estasianti paralisi con la voce baritonale, quell’approccio che spesso ci ricorda Stuart A. Staples con i suoi Tindersticks e Liam Mckahey e i Cousteau.

Ma generare un elenco di comparazioni svilisce, non serve: in questo album siamo davanti a una profonda appartenenza alla fierezza volta a presentare unicità e differenze. Si sente spesso il bisogno di abbracciare queste composizioni perché si avverte immediatamente il debito verso la bellezza, la ricchezza e il beneficio che l’ascolto genera, per entrare in favole in cui la fine non giunge per via della loro capacità di permeare il tutto ai piedi del cielo, dove tutto inizia e nulla muore…

Si piange dal momento che in questo cilindro musicale l’atmosfera diventa un rifugio, come anche una deliziosa sporca dolcezza da mantenere segregata nell’intimo delle proprie considerazioni. La produzione riesce a rendere perfetta l’alta cifra stilistica della scrittura, un collante, uno scudo, una protezione nei confronti di queste dieci lacrime col sorriso che fanno di Where The Deep Ends uno schermo per tenere la giusta distanza da ciò che opprime. Brani che liberano l’aria da atomi inquinati e la sospendono, come in una fiaba che passa dallo stile fantasy al noir, per legittimare la loro sete di esposizione. 

Si attraversano i decenni, si bussa alla porta della memoria come a quella di un futuro che loro sanno stuzzicare, per mettere mattoni su mattoni, senza dimenticare l’obiettività dell’inganno del vivere.

La profondità e la saggia decisione di arrangiare le canzoni con una metodologia che richiama la musica classica conferisce al tutto un profumo inebriante. Ogni strumento sembra spalleggiare l’accoglienza di quello che conferisce mistero e una grande espressione evocativa: può essere il violino così come l’utilizzo di synth che stordiscono per qualità e precisione in un notevole gioco di equilibri.

Come suggerito nel testo della canzone finale, siamo ospiti, ma soprattutto testimoni di una qualità fuori dal comune e stupisce il modo in cui il gruppo, con il terzo album, conferisce un senso di continuo bisogno dell’ascolto, di divenire una carta assorbente, per stipulare un contratto con la dipendenza, una droga che non dà assuefazione bensì beneficio.  

Gli ascolti si trasformano in viaggi dove la lentezza genera l’estensione della fantasia, l’interiorizzazione e la proiezione di immagini che escono con eleganza da storie che sono scritte per divenire la nostra occasione di accoppiarci con la magia…

E allora che sia Alt-Pop, Post-Punk, Progressive, Alternative non ci interessa e non è per quello che possiamo amarli: saremo costantemente devoti al loro essere una pellicola cinematografica in bianco e nero, in grado di ridicolizzare i nostri finti colori facendo sì che questo album ci governi e ci disciplini, dando alla loro arte lo scettro del comando…

Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

5 Giugno 2024


COP International


https://thehalotrees.bandcamp.com/album/where-the-deep-ends-album-2024


My Review: The Halo Trees - Where The Deep Ends


 The Halo Trees - Where The Deep Ends


There are places in the soul that seem like silent deserts, waiting for a conversation that can convey companionship, exchange, vibration, determine a possible richness to annihilate the flood of uncertainty those places generate. In such a context The Halo Trees could be all that, a support and presence to generate footholds and a different meaning for one's existence. The band hails from Berlin and incorporates a hypothetical bridge with England, Australia and the United States, as their visual and sonic imagery involves a suitcase constantly full of longings, curiosity and above all melancholy, the feeling that resides in every part of the world, and in the specific case because their music seems to come out of movie soundtracks from the three aforementioned countries and makes the whole thing amalgamated and perfect.   The mystery, the penumbra, the delicacy, the hinted and never devastating power, the asking of questions by making curiosity a starting point, are elements that come out like an autumn rain from these ten compositions, which turn into seeds in the atrium of the heart and the head, to oxygenate with reality and wisdom our boundless exaggerations, since wisdom, balance and poetry are the trademark of the quartet from the German capital. The ductility in visiting different musical genres is amazing but even more so is the fact that their style is confirmed, and this recognizability becomes their passport, to confirm that uniqueness that is often, instead, lost in these cases.  Uncertainty, confusion, the drudgery of living, presence, the will to know how to manoeuvre words, the insecurity of excessive information that destabilizes, the three-dimensionality of things are some of the topics that the skillful Sascha Blach knows how to address, for a sonic combination that hypnotizes by precision, in a mental rather than physical dance that definitely conquers. One experiences ecstatic paralysis with the baritone voice, that approach that often reminds us of Stuart A. Staples with his Tindersticks and Liam Mckahey and the Cousteau.

But to generate a list of comparisons is debasing, unnecessary: in this album we are faced with a deep belonging to pride aimed at presenting uniqueness and difference. One often feels the need to embrace these compositions because one immediately feels the debt to the beauty, richness and benefit that listening generates, to enter fairy tales in which the end does not come because of their ability to permeate everything at the foot of heaven, where everything begins and nothing dies...  One weeps since in this musical cylinder the atmosphere becomes a refuge, as well as a delicious dirty sweetness to be kept segregated in the depths of one's considerations. The production manages to make perfect the high stylistic figure of the writing, a glue, a shield, a protection towards these ten tears with a smile that make Where The Deep Ends a screen to keep the right distance from what oppresses. Songs that clear the air of polluted atoms and suspend it, as in a fairy tale that switches from fantasy style to noir, to legitimize their thirst for exposure. 

They cross decades, knocking on the door of memory as well as that of a future they know how to tease, to lay brick upon brick, without forgetting the objectivity of the deception of living.

The depth and wise decision to arrange the songs with a methodology reminiscent of classical music gives the whole an intoxicating fragrance. Each instrument seems to shoulder the reception of that which lends mystery and a great evocative expression: it can be the violin as well as the use of synths that stun with quality and precision in a remarkable balancing act.  As suggested in the lyrics of the final song, we are guests, but more importantly, witnesses to a quality that is out of the ordinary, and it is astonishing how the group, with the third album, imparts a sense of the continuous need for listening, to become a blotting paper, to enter into a contract with addiction, a drug that is not addictive but beneficial.  

Listening turns into journeys where slowness generates the extension of imagination, the internalization and projection of images that emerge elegantly from stories that are written to become our chance to mate with magic...

So whether it's Alt-Pop, Post-Punk, Progressive, Alternative we don't care and that's not why we can love them: we will be constantly devoted to their being a black and white cinematic film, able to ridicule our fake colors by making this album govern and discipline us, giving their art the sceptre of command...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

5th June 2024


COP International


https://thehalotrees.bandcamp.com/album/where-the-deep-ends-album-2024

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