The Halo Trees - Where The Deep Ends
Esistono luoghi nell’anima che sembrano deserti silenziosi, in attesa di una conversazione che possa veicolare compagnia, scambi, vibrazioni, determinare una possibile ricchezza per annichilire la fiumana di incertezza che quei posti generano. In un contesto del genere The Halo Trees potrebbe essere tutto ciò, un sostegno e una presenza per generare appigli e un senso diverso per la propria esistenza. La band proviene da Berlino e incorpora un ipotetico ponte con l’Inghilterra, l’Australia e gli Stati Uniti, in quanto il loro immaginario visivo e sonoro prevede una valigia costantemente piena di desideri, di curiosità e soprattutto di malinconia, il sentimento che risiede in ogni parte del mondo, e nel caso specifico perché le loro musiche paiono uscire da colonne sonore di film provenienti dai tre paesi citati e rendono il tutto amalgamato e perfetto.
Il mistero, la penombra, la delicatezza, la potenza accennata e mai devastante, il porre domande facendo della curiosità un punto di partenza, sono elementi che escono come una pioggia autunnale da queste dieci composizioni, che si trasformano in semi nell’atrio del cuore e della testa, per ossigenare con realtà e sapienza le nostre smisurate esagerazioni, visto che la saggezza, l’equilibrio e la poesia sono il marchio di fabbrica del quartetto della capitale tedesca. La duttilità nel visitare diversi generi musicali è sorprendente ma ancora di più lo è il fatto che il loro stile viene confermato, e questa riconoscibilità diventa il loro passaporto, per confermare quella unicità che in questi casi spesso, invece, si perde.
L’incertezza, la confusione, la fatica del vivere, la presenza, la volontà di saper manovrare le parole, l’insicurezza dell’eccessiva informazione che destabilizza, la tridimensionalità delle cose sono alcuni degli argomenti che l’abile Sascha Blach sa affrontare, per un connubio sonoro che ipnotizza per precisione, in una danza mentale più che fisica che conquista definitivamente. Si vivono estasianti paralisi con la voce baritonale, quell’approccio che spesso ci ricorda Stuart A. Staples con i suoi Tindersticks e Liam Mckahey e i Cousteau.
Ma generare un elenco di comparazioni svilisce, non serve: in questo album siamo davanti a una profonda appartenenza alla fierezza volta a presentare unicità e differenze. Si sente spesso il bisogno di abbracciare queste composizioni perché si avverte immediatamente il debito verso la bellezza, la ricchezza e il beneficio che l’ascolto genera, per entrare in favole in cui la fine non giunge per via della loro capacità di permeare il tutto ai piedi del cielo, dove tutto inizia e nulla muore…
Si piange dal momento che in questo cilindro musicale l’atmosfera diventa un rifugio, come anche una deliziosa sporca dolcezza da mantenere segregata nell’intimo delle proprie considerazioni. La produzione riesce a rendere perfetta l’alta cifra stilistica della scrittura, un collante, uno scudo, una protezione nei confronti di queste dieci lacrime col sorriso che fanno di Where The Deep Ends uno schermo per tenere la giusta distanza da ciò che opprime. Brani che liberano l’aria da atomi inquinati e la sospendono, come in una fiaba che passa dallo stile fantasy al noir, per legittimare la loro sete di esposizione.
Si attraversano i decenni, si bussa alla porta della memoria come a quella di un futuro che loro sanno stuzzicare, per mettere mattoni su mattoni, senza dimenticare l’obiettività dell’inganno del vivere.
La profondità e la saggia decisione di arrangiare le canzoni con una metodologia che richiama la musica classica conferisce al tutto un profumo inebriante. Ogni strumento sembra spalleggiare l’accoglienza di quello che conferisce mistero e una grande espressione evocativa: può essere il violino così come l’utilizzo di synth che stordiscono per qualità e precisione in un notevole gioco di equilibri.
Come suggerito nel testo della canzone finale, siamo ospiti, ma soprattutto testimoni di una qualità fuori dal comune e stupisce il modo in cui il gruppo, con il terzo album, conferisce un senso di continuo bisogno dell’ascolto, di divenire una carta assorbente, per stipulare un contratto con la dipendenza, una droga che non dà assuefazione bensì beneficio.
Gli ascolti si trasformano in viaggi dove la lentezza genera l’estensione della fantasia, l’interiorizzazione e la proiezione di immagini che escono con eleganza da storie che sono scritte per divenire la nostra occasione di accoppiarci con la magia…
E allora che sia Alt-Pop, Post-Punk, Progressive, Alternative non ci interessa e non è per quello che possiamo amarli: saremo costantemente devoti al loro essere una pellicola cinematografica in bianco e nero, in grado di ridicolizzare i nostri finti colori facendo sì che questo album ci governi e ci disciplini, dando alla loro arte lo scettro del comando…
Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
5 Giugno 2024
COP International
https://thehalotrees.bandcamp.com/album/where-the-deep-ends-album-2024