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sabato 2 dicembre 2023

La mia Recensione: The Slow Readers Club with Joe Duddell & No. 7 Ensemble - Live at Canvas Manchester / 1-12-2023





The Slow Readers Club with Joe Duddell & No. 7 Ensemble
Live at Canvas
Manchester


Una bolla può riempirsi di emozioni volute, improvvise, e poi anche sospendere il respiro, vagabondare nello stupore? Se partecipi all’evento musicale dell’anno certamente sì, ed è esattamente ciò che è accaduto nell’elegante Canvas di Manchester, dove sul palco si è assistito a un miracolo generoso: l’unione di modalità, ruoli e approcci diversi alla musica, per un risultato che fa, questa volta, dello shock un beneficio multiplo. L’ipnosi ha toccato le spalle di ognuno dei partecipanti, tranne che di quelle poche persone che hanno preferito chiacchierare, pagando, finendo per disturbare pure Aaron. Ma è innegabile che il risultato sia penetrato negli animi sensibili e votati all’attenzione. Le canzoni scelte dai fan ed elaborate da Joe Duddell in pochissimo tempo hanno modificato l’interpretazione nei confronti di quelle originali: tutto si è trasferito su un altro piano emotivo e sensoriale, con la piacevole sensazione di una nascita notturna dentro i cuori. Struggevolezza, malinconia, tristezza, che sono spesso l’habitat naturale di queste composizioni, hanno spiccato il volo fasciate da un foulard di lino, per poter arrivare, indenni, all’interno dei raggi lunari. Pazzia, tremore, tensione ma mai senso di perdita hanno governato i sedici flussi pieni di magia per ritrovarsi in un’entrata diversa: una catapulta infinita di brividi ha stabilito che questa esperienza potesse creare con la memoria uno strumento infinito colmo di forza e vitalità. I cambiamenti, i ritocchi, la verve di un direttore davvero capace di intuire prima e di portare poi il tutto in uno status intoccabile fa di questa serata la rappresentazione di unioni che sono parti naturali, e di cui si può solo sperare in una continua proliferazione. 

Gli archi, come già avvenne nel 2017, spingono sia verso l’addome che verso la volta celeste consapevolezze nuove, diramando nei sentieri dei pensieri nuovi luccichii. E si è fragili, avvolti da segreti interpretativi che esaltano l’individualità, mentre a pochi centimetri dalla propria persona altre sembrano essere riempite di scuotimenti simili. Su un piccolo palco undici persone hanno avuto la capacità di avvicinare il pop alla musica classica, di annullare eventuali distanze per esaltare il calore, il colore delle note e sintonizzare la passione all’interno di un circuito visitato densamente, e non per caso. La voce di Aaron, molto più attenta rispetto alla settimana scorsa, ha graffiato, fatto conoscere tumulti, spaccando vene e vertebre grazie a una intensità micidiale: come se si fosse accovacciato nella propria intimità e avesse deciso di lasciarla cadere nel microfono. Accordato ai toni grevi di sette musicisti perennemente in uno stato di grazia, di serietà, e pure di responsabilità, il frontman ha fatto scivolare la sua ugola sul tappeto di vibrazioni talmente appiccicate tra loro da far nascere un unico groppo in gola per tutta la durata del concerto. Il via libera al pianto, allo struggimento è stato semplicemente impressionante e devastante: tutte le parole che conoscevamo già a memoria, e che forse avevamo la presunzione di aver capito, questa sera sono state in grado di insegnarci nuovi elementi, sbattendoci per terra, nel caos, nella gioia, nell’abbraccio tra il bianco e il nero di un cielo stellato all’interno del Canvas. Il drumming questa sera, grazie a lunghe pause, ha messo in mostra un'efficacia notevole, perfetta, esaltando anche il basso, per un insieme che ha reso illuminante l’interpretazione: è stato così per ogni brano suonato insieme. Poi, a un tratto, Aaron è rimasto da solo con l’ensemble, ed è stato come prendersi un pugno caldo nel gelido della notte Mancuniana. La lentezza, la densità, l’energia fosforescente è uscita dagli amplificatori per baciare la nostra inerzia, l’immobilità, per produrre un diverso schianto nelle nostre percezioni. Le catene, quelle menzionate in Know The Day Will Come, sono cadute sulla nostra pelle, come un generoso atto liberatorio: a volte nelle contraddizioni si stabiliscono patti di saggezza infinita…


Nella nuova prigione, le ali della agognata libertà si sono trovate ridimensionate, insegnando, sprigionando l'entusiasmo mentre le lacrime bagnavano il pavimento. Quattro delle sei canzoni, che erano state pubblicate sei anni fa, dopo il primo contatto tra la band e l’ensemble, sono state riproposte ma anch’esse modificate, accarezzate e baciate da una nuova idea, attraverso una “vivacità” espressiva che ha donato loro ancora più l’impressione di una drammaticità in estensione.

Le luci hanno veicolato la rara capacità di connessione con le note: fatto che ha impressionato il Vecchio Scriba, che non ha rinunciato a chiudere gli occhi per volare, con precisione, in uno stato di assorbimento più che mai necessario. Il tempo è sembrato uno speleologo lanciato nel cratere dei brani per mettere in luce frammenti di meraviglia continua, con lo stupore in grado di correre nelle vene senza volontà di fermarsi. Il pubblico, entusiasta e inebetito, ha potuto ancora una volta legittimare il proprio amore e portarlo nello spazio di un ricordo dove poter bussare spesso: serate come queste non capitano spesso.
Un’esperienza che mette in risalto anche la fiducia della band di Manchester nel lasciare che qualcuno, esternamente, metta una lampada nel ventre di questi gioielli: se esiste una perfezione questa va cercata negli altri e i quattro lo hanno ampiamente dimostrato. La lotta, l’abnegazione, il limite e il suo opposto hanno stabilito una pioggia di lacrime e riflessioni che hanno generato paralisi e al contempo una “strana” gioia: parole come messaggi francobollate a note che hanno cambiato d’abito sono riuscite a spalancare il raggio d’azione delle nostre antenne consegnandoci la mappa di nuove verità. I sorrisi non sono mancati: durante l’esecuzione di Grace of God Aaron è caduto nell’esitazione, con il sostegno dell’adorante pubblico, per concludersi in un applauso ritmato che ha veicolato un’emozione incandescente: laddove esiste un errore, esiste anche un supporto…
Everything I Own, Sacred Song, Grace of God, Afterlife e All the Idols sono stati i momenti più spettacolari della serata, con Block Out The Sun a guardarle dall’alto. Ma innegabile è la qualità dell’intero concerto, un ammasso denso e generoso che ha spaziato nella discografia esaltandone ancora di più la bellezza, la forza, l'intensità per rendere preciso il senso di devota appartenenza alla band. Il lavoro di Joe è da premio Nobel per la letteratura emozionale, per aver consegnato ad Aaron lo scettro di angelo indiavolato ma rispettoso, e per aver consentito ai suoi ragazzi di lasciare un incredibile tatuaggio raffigurante l’arte al massimo livello su quel palco: la storia ha una data, una direzione e un incanto che renderà per sempre quelle catene libere di essere sentite come ali dei nostri sogni migliori…

Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
2 Dicembre 2023

My Review: The Slow Readers Club with Joe Duddell & No. 7 Ensemble - Live at Canvas Manchester / 1-12-2023





The Slow Readers Club with Joe Duddell & No. 7 Ensemble
Live at Canvas
Manchester

Can a bubble fill with deliberate, sudden emotions, and then also suspend your breath, wander off in wonder? If you attend the musical event of the year, certainly yes, and that is exactly what happened at the elegant Canvas in Manchester, where a generous miracle took place on stage: the union of different modes, roles and approaches to music, for a result that makes, this time, shock a multiple benefit. The hypnosis touched the shoulders of each of the participants, except for those few people who preferred to chat, paying for it, and even ended up disturbing Aaron. But it is undeniable that the result penetrated sensitive and attentive souls. The songs chosen by the fans and processed by Joe Duddell in a very short time altered the interpretation of the original ones: everything moved to another emotional and sensory plane, with the pleasant feeling of a nocturnal birth within the hearts. Wistfulness, melancholy, sadness, which are often the natural habitat of these compositions, took flight wrapped in a linen scarf, in order to arrive, unharmed, within the moonbeams.
Madness, trembling, tension but never a sense of loss governed the sixteen magic-filled streams to find themselves in a different entrance: an infinite catapult of thrills established that this experience could create with memory an infinite instrument full of strength and vitality. The changes, the retouches, the verve of a conductor truly capable of first intuiting and then bringing it all to an untouchable status makes this evening the representation of unions that are natural parts, and of which one can only hope for a continuous proliferation. The strings, as they did in 2017, push both towards the abdomen and the vault of heaven new consciousnesses, branching out into the paths of thoughts new shimmers. And one is fragile, shrouded in interpretative secrets that enhance individuality, while a few centimetres from one's own person others seem to be filled with similar tremors. On a small stage, eleven people had the ability to bring pop closer to classical music, to annul any distances to enhance the warmth, the colour of the notes and tune the passion within a densely visited circuit, and not by chance. Aaron's voice, much more attentive than last week's, scratched, made tumult known, splitting veins and vertebrae thanks to a deadly intensity: as if he had crouched down in his own intimacy and decided to let it drop into the microphone. Tuned to the gravelly tones of seven musicians perennially in a state of grace, seriousness, and even responsibility, the frontman slid his uvula across the carpet of vibrations so strung together that there was a single lump in his throat for the duration of the concert.

The release to weeping, to yearning was simply impressive and devastating: all the words that we already knew by heart, and that perhaps we had the presumption of having understood, this evening were able to teach us new elements, knocking us to the ground, into chaos, into joy, into the embrace between the black and white of a starry sky inside the Canvas. The drumming this evening, thanks to long pauses, was remarkably effective, perfect, even enhancing the bass, for an ensemble that made the interpretation illuminating: it was like this for every song played together. Then, all of a sudden, Aaron was alone with the ensemble, and it was like taking a warm punch in the chill of the Mancunian night. The slow, dense, phosphorescent energy came out of the amplifiers to kiss our inertia, our stillness, to produce a different crash in our perceptions. The chains, those mentioned in Know The Day Will Come, have fallen on our skin, like a generous liberating act: sometimes in contradictions pacts of infinite wisdom are established... In the new prison, the wings of coveted freedom found themselves resized, teaching, releasing enthusiasm as tears wet the floor. Four of the six songs, which had been released six years ago, after the first contact between the band and the ensemble, were re-proposed but also modified, caressed and kissed by a new idea, through an expressive 'liveliness' that gave them even more of an impression of extended drama.
The lights conveyed the rare ability to connect with the notes: a fact that impressed the Old Scribe, who did not give up closing his eyes to fly, with precision, into a state of absorption that was more necessary than ever. Time seemed like a speleologist launched into the crater of the pieces to bring out fragments of continuous wonder, with amazement running through his veins with no will to stop. The audience, enthusiastic and inebriated, was once again able to legitimise their love and bring it into the space of a memory where they can knock often: evenings like these don't happen often. An experience that also highlights the Manchester band's confidence in letting someone, externally, put a lamp in the belly of these jewels: if perfection exists, it should be sought in others and the four have amply demonstrated this. Struggle, self-denial, the limit and its opposite have established a rain of tears and reflections that have generated paralysis and at the same time a 'strange' joy: words like messages frankly glued to notes that have changed clothes have managed to open wide the range of our antennae, giving us the map of new truths. There was no shortage of smiles: during the performance of Grace of God Aaron fell into hesitation, with the support of the adoring audience, ending in a rhythmic applause that conveyed an incandescent emotion: where there is error, there is also support...

Everything I Own, Sacred Song, Grace of God, Afterlife and All the Idols were the most spectacular moments of the evening, with Block Out The Sun watching from above. But undeniable was the quality of the entire concert, a dense and generous heap that spanned the discography, bringing out even more of its beauty, its strength, its intensity to make precise the sense of devoted belonging to the band. Joe's work is worthy of a Nobel Prize for emotional literature, for handing Aaron the sceptre of an unbridled but respectful angel, and for allowing his boys to leave an incredible tattoo depicting art at its highest level on that stage: history has a date, a direction and an enchantment that will forever make those chains free to be felt as the wings of our best dreams...

Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford, England
2 December 2023



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