La mia Recensione
Stella Diana - Nothing to Expect
“Nocturnal point of view”
New Hope - Stella Diana
Per raccontare un’onda di infinita bellezza, cupa e leggera, potremmo partire proprio da queste parole, come lo sparo di una corsa che dura all’incirca 36 minuti.
È un brivido notturno, un respiro trattenuto, questo quarto album, proprio come una doverosa apnea che garantisce la sopravvivenza.
Questo e altro accade nel nuovo lavoro del trio Napoletano, che, imbevuto di sostanziali novità, ci offre il modo di conoscere un’emozione continua, il tremore che libera dalla noia e dal prevedibile per scaturire moti inarrestabili di gemme impreviste che acclamano giustamente attenzione.
Una propensione ad arricchire le dinamiche e le strutture di musiche sempre più sparse dentro i luoghi sui quali lo sguardo dei tre pone attenzione.
Tutto confluisce nella ricchezza che non è il terminale di una stazione ferroviaria bensì una passeggiata tra rovi, spine, fango e asperità varie. Il tutto ricoperto da quella dolcezza atipica di cui sono stati sempre pregni.
È la maturità che si toglie il velo, un mostrare canzoni come si mostrano le ferite ad un amico: con decisione ferma e senza balbettamenti.
Ed è cinema d’autore, ed è un dipinto divino, ed è anche arte visiva che distribuisce i suoi fotogrammi alle note in un sodalizio vistoso ed efficace.
Quest’album arriva e riesce a cambiare i segni particolari della carta d’identità dei tre: si aggiungono la cura del dettaglio verso colori che sorridono alle comete, una spiccata propensione a riverberi ed echi gestiti diversamente e in modo più efficace, la volontà di fregarsene della strofa e del ritornello banale per dare solidarietà alle strutture del post-rock, senza esserlo totalmente, finendo per risultare perfettamente connessi con la maestosità e la ricchezza.
Liberati dalla definizione di essere una band Shoegaze-Dreampop, tutto il loro grande talento ha
preso strade diverse, arricchendosi e arricchendoci, seminando nei loro dipinti sonori nuove ambizioni perfettamente raggiunte. Ecco che semi di Psichedelia, spruzzate di Darkwave e di Postpunk si aggiungono al loro repertorio a cui ho accennato. Non sono più solo ragazzi in grado di emozionare, bensì adulti che crescendo stanno dimostrando che si può qualificare maggiormente il tutto con un progetto artistico. E loro ci sono decisamente riusciti.
Prendo ora questo fascio luminoso per navigarci dentro, in ognuno dei suoi raggi, perché la bellezza non deve mai rimanere chiusa sulla pelle del proprio battito…
Canzone per canzone
Matthew
Tutto inizia con una fiaba che sembra raccontata in parte dagli Svizzeri Leech, una band Post-Rock, e da una attitudine quasi Prog dall’altra, ma poi Dario, Giacomo e Giulio riescono a creare un impercettibile cambiamento nel quale la voce di Vanessa Billi vola tra le nostre pupille. Inizio strategico, imprevedibile, spettacolare.
La quiete prima di una intossicazione da bellezza acuta…
Sleepless Girl
Ho già scritto di questa canzone che ha preceduto l’uscita dell’album. Però acquisisce maggior valore venendo subito dopo Matthew: il suo incedere così grigio spezza la fiaba stabilendo la distanza dai sentimenti spettinando ogni illusione.
DZM
La linea della continuità per gli Stella Diana è importante, lo sappiamo, ed in questo brano lo constatiamo ancora, ma la linea del basso di Giacomo scavalca il gioco della memoria e delle certezze veicolandoci stupore. E Dario, con il suo cantato, non è da meno. La batteria sembra coperta di ruggine opaca ed è un nuovo incanto. Ed ecco che fissando i ricordi i tre compiono un poderoso scatto in avanti esercitando su se stessi l’esercizio della diversificazione. Sembrano quasi salutare il loro passato e gettare semi di crateri gioiosi sui solchi della nostra confusione.
Fresca e contagiosa.
A New Hope
Come se all’inizio del brano The Chameleons fossero messi sotto una campana di vetro, Stella Diana esce allo scoperto con un getto psichedelico camuffato da semenze di Dreampop, in un esercizio di quasi allegria che plana sulla luna per mantenere salvi i respiri di chi non vorrebbe un cambiamento netto nel loro stile. Ma questo avviene ed è poesia ritmica, dove la loro libertà artistica trova ali che profumano di serenità.
Deliziosa.
In Abeyance
Eccoli, ingordi nei loro flussi amniotici, partorire un gioiello di seduzione e piacevole imbarazzo: tutta la loro crescita si evidenzia qui, tra la danza semi-morbida del basso, un drumming strategico, archi a tagliare la tensione e a sorprenderci, la voce che si appoggia come un’amica sul nostro dolore e la chitarra che si eleva nel cielo per divenire angelica e tracciare una nuova linea di confine tra le vecchie movenze sonore di Vini Reilly e quelle del sognante Jeff Buckley.
Un guizzo lento che ipnotizza, finendo per galvanizzare la nostra sete di stupore.
Beleth
La scossa dei sensi parte dalla ruvidezza e dal ritmo incalzante iniziale di Beleth, la Dea del groppo in gola. Giulio comanda le bacchette per un drumming che va dall’Indie anni 90 alle rullate psichedeliche della scena di Canterbury (Soft Machine in primis), e poi Dario e Giacomo si sintonizzano sul canale della complicità donando rivoli di sabbia destinazione Nuvole.
Assolutamente in grado di rassodare l’amore più devoto.
Distance
Il brano con il maggior numero di parole sa concedere spazio alla musica, sottile e bagnata dallo stato di grazia, per avere l’intenzione di adoperare bugie finendo per dimostrare la sincerità di una crescita che permette ad ognuno dei tre Napoletani spazi dove potersi esprimere, continuando al contempo a rendere compatta la band. E sia allora la chitarra tremante di Dario a dare il via a pianti vibranti, mentre al basso di Giulio viene dato il ruolo di finire questo viaggio con le nostre ginocchia che si piegano davanti alle sue dita decise come uno schiaffo dolce.
Quando la psichedelia si mette il cerone per non farsi riconoscere, sublime.
Regulus
Robert Smith, quello malinconico, esiste ancora. Lasciata la sua Inghilterra, ha raggiunto il talento di Dario dandogli la sua benedizione. E un po’ l’avrà anche invidiato.
Poi il cantato di Dario sospende ogni possibile connessione con i The Cure e si affittano nuove suggestioni, senza paragoni, e finalmente Stella Diana, scevra da quello che avrebbe potuto condannarla, sorride e se ne va via felice e capace di essere unica.
Abbiamo bisogno di nutrirci di questo magnificare.
Marianne
Scorretti sino all’inverosimile, i tre, dopo otto tracce prelibate e intense, esagerano, cattivi e disonesti, terribili, perché sono sicuramente colpevoli di donarci come ultimo brano dell’album la loro canzone più bella di sempre. Non si fa così, proprio no!
Ma che succede quindi? Un delirio fatto di grida assenti, di lacerazioni sonore assenti, di grida assenti.
Cosa c’è allora al suo interno?
La luce della vita che smuore, la schiena si curva verso la terra e tutto si fa lacrima in volo, partendo dal basso assassino, cupo, ai rullanti con fare agrodolce e la chitarra allucinata che si vuole staccare dal fare umano per divenire divina.
L’apoteosi necessita di cinque minuti e cinquantadue secondi.
Poteva prendersi anche due ore: avremmo continuato ad adorarla. Senza resistenze.
Tutto sembra crollare dal Vesuvio: note come lava rimbalzante, il silenzio che ammette la sua debacle davanti a questo incedere nebuloso e articolato, dove la semplicità della maestosità non si può fermare.
E per il riascolto dell’album si parte dalla sua fine e ci si rimane, per un sempre che probabilmente finirà solo con un nuovo gioiello del loro prossimo album…
Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
23 Febbraio 2022
https://stelladiana.bandcamp.com/album/nothing-to-expect-2