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giovedì 29 settembre 2022

La mia Recensione: Marlene Kuntz - Karma Clima

 La mia Recensione:


Marlene Kuntz - Karma Clima


Non c’è più tempo per l’approfondimento, per dare spazio alle Opere che necessitano volontà, interesse, passione, coinvolgimento.

Con questi presupposti scrivere del dodicesimo lavoro dei Marlene Kuntz rende la penna pesante per uno scriba indeciso sul da farsi.

Ma è giunto alla conclusione che occorre definire le cose, pur sapendo che la pigrizia e la volontà di giudicare negativamente potrebbero annullare l’intero senso di questo lungo scritto.

Scrivere un concept album su argomenti drammatici, reali, innegabili sarà già motivo di una forte contrapposizione, a prescindere, perché la massa ormai è votata alla velocità, al disinteresse, alla scarsa partecipazione laddove, invece, necessiterebbe una presenza conscia.

Quello che si ascolta tra queste nove tracce sarà contestato, verrà conclamato il definitivo abbandono nei confronti della band da parte di molti, nessun dubbio a proposito, perché l’ignoranza, il mancato rispetto e una profonda metodica verso la conoscenza di ciò che davvero può fare l’arte per resocontare la fallibilità umana sono ormai comportamenti definitivi.

Eppure i Cuneesi hanno scritto un’opera straordinaria, densa di riflessioni, immagini, evocazioni, preghiere laiche e inviti al cambiamento di marcia.

Occorre dimenticare il fanatismo, anche l’amore per la band, e addentrarsi nel senso umano e artistico di un vero Progetto, che annette modalità di approccio e di espressione totalmente diversi rispetto al passato.

Spiazzante, crudele, intenso, votato all’analisi del momento e di futuribili proiezioni, l’album è il capolavoro della band, e aggiungerei purtroppo, viste le tematiche affrontate.

Ma la modalità suscita emozione, commozione, uno smottamento dei pensieri verso la volontà di adoperarsi a rendere l’ascolto l’inizio di un nuovo percorso.

A scanso di equivoci, per non farvi leggere tutto ciò inutilmente: non è un disco di chitarre, di schizzi elettrici dentro lo stomaco, ma lo stesso organo viene preso a calci, viene accarezzato come non si potrebbe fare con alcuna chitarra. La sua presenza fa parte di un’onda sonora che trova il territorio di sviluppo attraverso un senso collettivo dove synth, orchestrazioni, un drumming di ispirazione elettronica, sono i cardini di riferimento e dove le chitarre si adagiano per saldare il tutto, in una compattezza assoluta, gradita, di valore estremo, indiscutibile.

Le canzoni entrano nell’oscurità dei comportamenti, facendoci vibrare, terrorizzandoci, dandoci la consapevolezza che ciò che muoveva l’arte dei Marlene ora ha trovato sviluppo e maturità, uomini Veri, Responsabili, realmente Attivi.

Un concept album che ruota dentro parole gravide di lacrime, lamenti, potenziali scosse da programmare con intelligenza. 

Si viaggia con sguardi dal pianeta verso il cielo, dal cielo, dentro, nella profondità di questa Terra, esaminata e portata a una comprensione precisa, per far sì che ci appartenga una consapevolezza reale, con dinamiche poetiche e totalmente connesse alla introspezione. E allora la propensione elettronica sa stupirci, condurci alle lacrime, scaldando prima il cuore e poi la testa, consapevole che per molti occorrerà molto tempo prima di comprenderlo: la speranza è che almeno si impari ad amarlo in fretta, perché non c’è tempo da perdere, la Signora Marlene vi vuole tutti gentlemen. È un album d’amore per l’amore, dove gli sprechi, i rifiuti attitudinali verso la responsabilità di ognuno di noi debbono essere eliminati e non più prodotti.

Perché le voci e i silenzi di questa esistenza ai bordi del dirupo siano campanella d’allarme, la capacità di determinare azioni salvifiche.

Tutto è un velo, una finestra che concede comprensione e partecipazione, attraverso suoni e melodie che pur descrivendo le brutture lo fanno in modo incantevole, bellissimo, regalando aria pura e disinfettata, che è un’impresa mastodontica, soprattutto ai giorni nostri.

Dimenticare il passato di questa band per conoscerne una nuova: questo occorre fare per non perdere l’occasione di una nostra crescita perché loro, come sempre, ci hanno preceduti compiendola per primi.

Ci sono brividi in arrivo, copiosi, e vi sono anche fiaccole di stupore, l’incredulità del trovarsi dentro un fiume dove vivono sentimenti pieni di rughe, dove i sogni appartengono solo agli sciocchi.

Tutto in Karma Clima comporta la sudorazione della mente, in cui lo sconforto viene a trovarsi nella splendida situazione di essere uno stimolo. Non c’è da danzare, forse nemmeno da cantare, perché queste canzoni hanno una direzione diversa da raggiungere e solo una alleanza con loro ci farà visitare la concreta capacità che hanno avuto di trovare quella bellezza che cercavano ovunque.

Le atmosfere sviluppano la traiettoria celeste, un senso effettivamente in grado di non farci sentire il peso, perché la musica è un raggio di luce notturna su cui sono le parole a fare da contraltare, regalandoci, quasi come una poesia spaesata, chilometri di zavorre.

Il mondo viene visto dall’alto, avendo premura poi di camminarci dentro, per avere una visione globale precisa, dove il dettaglio non solo fa la differenza, ma rivela il senso di disumana indifferenza nei confronti di ciò che accade. 

Tutto è storia, geografia, dove la morale viaggia al loro interno, scuotendo l’anima che, smarrita, cerca una mano, trovandola proprio in questi canzoni disagevoli ma pregne di verità.

Davide Arneodo rivela tutte le abilità tecniche che dovevamo prima o poi veder confluire in un disco: tutti gli altri sono architetti che non prendono ordini da lui, ma sostengono con la loro classe infinita queste creazioni che hanno la modalità del suono attuale per essere più credibili. E allora giunge la compattezza della band, a definire artigli elettronici sposati con melodie barocche, dove tutto è innovativo, facendo indossare alla Signora Marlene un abito mai visto prima: solo dando agli occhi atomi di profonda osservazione li condurranno all’innamoramento, che se accadrà sarà immenso, data la capacità di questo tessuto di avvolgere e sussurrare emozioni e pensieri come un infarto necessario.

Avere bisogno di questi brani deve essere una esigenza che bisogna decidere aprioristicamente, il fiato va congelato, come ghiacciaio necessario, da aggiungere a un mondo surriscaldato che non dà più importanza al freddo.

Le canzoni però scaldano, eccome se lo fanno: sono proiettili sottili, polveri letali per accoppiarsi, in grado di bucare il superfluo che regna sovrano dentro menti assenti e che devono riscoprire il senso del dovere e non solo di quella libertà che sta distruggendo tutto.

Marlene salvifica, saggia, con quella pesantezza che non fa a meno di linee morbide e sensuali, di chiome da guardare e da accarezzare. E, come nucleo di un cuneo pesante, partono da Cuneo per coinvolgerci, per non perdere la leggerezza che si raggiungerà solo quando ogni cosa avrà ritrovato l’equilibrio che rispetta tutti.

Non servono le farfalle nello stomaco ascoltando Karma Clima: quelle devono poter vivere nella natura, come tante emozioni che non debbono essere una questione privata, bensì zone mentali contro la meschinità dell’interesse, e allora quest’opera diventerà un prodigio dentro di voi, anche nella pancia, non dubitatene, però prima deve entrare in circuiti a molti dei quali non siete abituati né interessati.

Cos’è in fondo questo lavoro? Una nuvola dallo sguardo acceso verso la clemenza, verso una necessaria pausa egoistica, una propensione melodica al futuro. Sono proprio i movimenti di accordi e le loro successioni ad essere un mistero che necessita di quel tempo di cui parlavo all’inizio: bisogna formarlo, viverlo, per non arrivare alla disperazione di quel “tutto tace,” che è il simbolo del disastro.

Ora vi porto nei sentieri che non sono sonici, schizzati, pieni di frastuono, perché dentro questo album tutto è maggiorato rispetto a questi tre elementi, tutto è elevato al quadrato con classe immensa, in un delirio che sarà vostro quando sarete voi ad andare verso i Marlene e non il contrario…



Song by song


1 - La fuga

Testo e musica compatti, determinati a fare del messaggio qualcosa di chiaro e ineccepibile, nel tempo della confusione e dello smarrimento. È arte allo stato puro questo perfetto connubio: non ci rende liberi di fuggire da un eventuale tentativo di nascondere lo sguardo e diventa un vento dalle sbarre pesanti capaci di raggiungerci dall’alto, precipitando sulla nostra meschinità. Il pianoforte rende drammatico il tutto, come lo fa il drumming, tra beat e pelli vere a rimbombare dentro le parole. Le chitarre sono nascoste, la melodia rivolge il pensiero verso il cielo e gli chiede il proprio silenzio… Imponente.


2 - Tutto tace

Il cantato sorprendente di Cristiano, sull’accoppiata piano-tastiera, è uno shock rigenerante, sino al grigio maestoso di un ritornello che conduce al pianto, intenso, e il tutto accade su una linea melodica stretta ma che accoglie potenti suggestioni. Perfetto esempio di ciò che dicevo prima: non conta se non arrivano le farfalle qui, in quanto questo brano vale di più di ogni pregiudizio, perché è un volo che appartiene alla saggezza, quella più clamorosamente dotata di classe. Quando la Luna ti entra nel cuore.  Clamorosa.


3 - Lacrima

Incalzante, vibrazioni elettroniche a rapire l’orecchio, con un ritornello che scioglie ogni resistenza, per dare la sensazione di come certe parole possano essere sostenute solo da una musica precisa, ed è un miracolo questo combo, che conduce a una lacrima “così tenera”. LACRIMA è la fotografia di un impeto desideroso di mantenere il contatto con il passato, ma con i passi dentro un presente che cerca di garantirsi un futuro.  Straziante.


4 - Bastasse

L’Olimpo Marlenico mostra il dolore e si trasforma in una ballata moderna, di ispirazione folk, con gli accessori di una perfetta miscela World ed Elettronica, il tutto con una  leggerezza che scatena commozione. Le chitarre lavorano in cantina, ma salgono le scale avendo un pianoforte come migliore amico. Come se il disco solista di Cristiano avesse trovato una proiezione umorale tra le pieghe del vestito della Signora Marlene. Intensa.


5 - Laica preghiera

Struggente, lenta, ampia come una vallata di alta montagna, dove poter sentire meglio gli Dei, questo brano contiene tutta la cura dell’intimità che viene portata agli altri. Per farlo sceglie tre fasi distinte, perfettamente collegate, con la partecipazione di Elisa, che stupisce per il perfetto mood attitudinale, per il fatto di dare alla sua voce la grandezza della musica.  Poi il finale vede lei e Cristiano fisicizzare il testo con un cantato commovente, mentre Davide Arneodo dipinge le traiettorie melodiche. Necessaria. 


6 - Acqua e fuoco

Dopo un attacco che evoca i Bad Seeds, si entra in una sezione di richiami elettronici in continuo movimento con uno splendido lavoro di archi; il basso di Luca quasi dub seduce e spiazza, con piacevolezza e incanto. E se esiste una musica che entra in un testo è proprio questa, per trasformare una melodia in una montagna russa. Intrigante.


7 - Scusami

Forse il momento più alto dell’album, dove l’emozione dell’ascolto fa tornare la canzone dentro di noi per appropriarsene, con la miscelanza di chitarre e tastiera che sono i motori di un groove che potrebbero farci danzare a testa bassa. Ed è un volo che contiene parole mature, che creano feritoie e ferite, sino al recitato finale, nello stile personale di un crooning che abbiamo imparato a conoscere in questi anni. Corrosiva.


8 - Vita su Marte

Una radura di dimensione apocalittica entra nella progressione stilistica musicale che offre il peso specifico di una band completamente dentro processi creativi studiati, e in modo perfetto. Nessuna concessione: anche il ritornello, che potrebbe subire attacchi da parte dei critichini, in realtà è la legittima conseguenza dell’impianto che lo precede. Maliziosa e sensuale.


9 - L’aria e l’anima

Ed è un racconto dalle piume piene di ricordi quello che conclude l’album, il teatro che entra nelle immagini create dalla penna accalorata di Cristiano, su una base musicale struggente, che sospende ogni pensiero obbligando all’ascolto approfondito. La tristezza diventa il giudizio conclusivo sulla crudeltà umana. La chitarra finale è il bacio di addio, dove se esiste una speranza è in quelle note… E il sorprendente coro di chiusura, oltre a intenerirci, sa anche essere uno schiaffo al mondo adulto. Uno zigzagare nel caos sensoriale.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

30 Settembre 2022


Karma Clima
https://open.spotify.com/album/23RMGstKGwXFnA5SOygDho





mercoledì 25 maggio 2022

La mia Recensione: Marlene Kuntz - La fuga

 La mia Recensione:


Marlene Kuntz - La fuga


Condizione umana attuale? Un diluvio incontrastato di elementi sparsi, senza direzione, senso, dove la disciplina cade dal vocabolario, in una condanna legittimata da incompetenza, disinteressi e incuria; dove il meschino ha lo scettro sul volto scavato dal ghigno come atto liberatorio e cosciente del nulla che porge.

Sul fare del mondo si può discutere, prendere posizione con opinioni che sanno di muffa scadente, senza luce né intensità. Se le cose devono andare così, la resa totale, il consegnarsi diventa l’unico cambiamento che possa generare miglioria.

Marlene visita il mondo dalla natura, da montagne capaci di regalare pensieri dentro silenzi urlanti, vogliosi di creare il presupposto della fuga, come primi testimoni dell'ambiente circostante che suggerisce, prima, e che urla poi come stanno le cose, nella sua suggestiva e roboante realtà.

Arriva una sberla che affascina: ci si deve chiedere che fine farà questa considerazione, se sarà il custode di un nuovo impeto. Costruttivo.

Intanto si ascolta una dolorosa meraviglia artistica, un’impronta lucida che conferma che l’abito sensoriale dell’ormai Signora Marlene è sempre la congiunzione perfetta tra la finzione e la realtà. Un groppo in gola consegna anche un fremito, lo spavento consapevole che tutto sia andato perso: la situazione non è come quella che il più ottimista potrebbe affermare dicendo “dai che abbiamo speranza”.

Chi fugge vuole cambiare scenario: il proprio gli sta stretto, lo considera un carceriere al quale togliere la licenza del comando. Un imbroglio continuo che semina la morte della libertà, della soddisfazione, del senso delle cose.

I Marlene Kuntz abbassano lo sguardo, ancora una volta perché necessario, sulla Terra, parlando del suolo da calpestare senza più spazio per quelle cose che un tempo erano site dentro di noi. Una canzone come la necessità di mostrare la nostra attuale condizione, la carta d’identità di un fallimento che vuole farci arrivare il messaggio di una fuga come ultimo atto, estremo. Un brano che circonda il pensiero umano annichilendolo, dimostrando come nessun territorio sia la capanna nella quale vivere i sogni, progettando il futuro, vestirli perché liberi di poterlo fare, in quanto si è deciso alla fine di dare in pasto a una collettività priva di capacità il nulla. Senza soffi di intelligenza le cellule si perdono davanti al chiacchiericcio sterile, i pensieri si piegano e muoiono.

Canzone drammatica, severa, sconvolgente, più che giustificata e purtroppo, per questi motivi, clamorosamente bellissima.

Ma morirà presto perché vera. 

E la Natura, la Dea del tempo che governava le nostre vite, si ritrova senza poter dialogare con noi, tornerà a vincere e stavolta lo farà per sempre, sconfiggendo il nostro inquinamento fisico e morale. Le colpe avanzano per prendere il sopravvento: è questo il torto più grande che l’uomo compie. E a pagare sono tutti.

La tristezza e lo sgomento aumentano dopo ogni ascolto, non potrebbe essere diversamente, la città dei pensieri è un agglomerato di vomito e rovina che uccide se stessa. 

Persa una certa libertà, da chi ce l’ha sottratta, tentiamo la fuga, sperando in uno spazio libero che la Signora Marlene non accenna a rivelarci: non era il suo compito. Doveva invece farci vedere i nostri passi cercare di essere capaci di avere dignità e forma, un tentativo, riuscito, di spalancare i nostri occhi. Testo e musica compatti, determinati a fare del messaggio qualcosa di chiaro e ineccepibile, nel tempo della confusione e dello smarrimento. È arte allo stato puro questo perfetto connubio: non ci rende liberi di fuggire da un eventuale tentativo di nascondere lo sguardo e diventa un vento dalle sbarre pesanti capaci di raggiungerci dall’alto, precipitando sulla nostra meschinità. Il pianoforte rende drammatico il tutto, come lo fa il drumming, tra beat e pelli vere a rimbombare dentro le parole. Le chitarre sono nascoste, la melodia rivolge il pensiero verso il cielo e gli chiede il proprio silenzio…

Sorprende quanto la band di Cuneo sappia sempre essere capace di comporre musiche che già da sole fanno intendere il percorso della penna di Cristiano. Conferendo in questo caso specifico alla composizione la libertà di sfuggire a un cliché di definizione stilistica.

Non si può che svenire all’ascolto, senza forze, senza occhi che possano vedere il guaio in cui ci siamo messi. La nuvola sopra le montagne scende verso i nostri sensi corrotti, senza che niente possa correggere la postura dei nostri pensieri.

La direzione della musica è quella di una coralità, estrema e perversa nella sua crudele capacità di essere autentica come lo sa essere il testo: inquina ciò che non vogliamo essere capaci di vedere inquinato. Si vola verso l’assoluzione, per convenienza, mentre il pulsare del cuore del brano vorrebbe accendere un barlume di consapevolezza. Fallirà solo perché i falliti siamo noi, semplicemente è così.

Il senso caotico del finale del brano non è altro che il premio alla prepotenza del menefreghismo davanti a ciò che non conosce intenzione di arresto, cioè la propensione all’indifferenza di quello che è il dna umano. Come premio abbiamo questo dono, che ci piacerà, senza minimamente pensare di usarlo, per capire la fuga o addirittura creare il presupposto di un cambiamento radicale senza doverla compiere. Non hanno mai scherzato i Marlene Kuntz con la vita: circondata, scandagliata, vivisezionata, amplificata, hanno sempre tracciato un percorso cosciente di malefatte, intuizioni, spinte, impulsi, dettagliando e determinando la loro qualità di sguardi intensi.

Ora sono feroci, aggressivi e arrabbiati: altro che Sonica, Il Vile, Cara è la fine, 111: niente di più fragoroso è mai uscito dalle loro vene salienti e capienti.

Ora si sta davvero rovinando tutto.

E questo brano/verità certifica, marchia la pelle di un cervello ormai nebuloso e inconcludente, villano, schifoso.

La cura prestata a questa esplosione morale ha coinvolto la musica.

Il cantato è una ferita senza fine, con il fiato raccolto tra le spine. 

Negli occhi di Cristiano, che dai monti fa rotolare il suo pensiero insieme ai suoi compagni, tutto sembra divenire un ambasciatore di liquidi nerastri e contaminanti come virus subdoli. È un crescendo inquietante, ingombrante, fastidioso, ma prezioso, una camera iperbarica per recuperare energie dalle fatiche delle nostre idiozie infinite. E non ci restano che le campane di mucche al pascolo, con sibili tetri e l’atmosfera pesante della fine che arriva con quella della canzone. Il mondo visto coscientemente è più piccolo, più brutto e spaventoso.

Ecco.

I Marlene Kuntz spezzano la fuga con il loro ridimensionarci, non presentano una cura bensì il conto. Non vi è estraneità, tantomeno bugia in questa impietosa analisi che forse sarà creduta meno perché viaggia su note (splendidamente pesanti e conturbanti) che sembrano poter far apparire il tutto una favola, una esagerazione per la cosiddetta licenza poetica che si annette alla libertà.

Ma quale libertà?

Da questo brano risulta evidente che siamo tutti, nella vita, lucidamente prigionieri. 

Senza via di fuga…


Alex Dematteis

Musicshockworld 

Salford

25 Maggio 2022


https://open.spotify.com/track/550Vv0MsdKOSgOEkTiSDJK?si=Jie0qqXVQKSUjU9ZT7lkyQ



https://music.apple.com/gb/album/la-fuga/1623243644?i=1623243647









 


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