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martedì 20 dicembre 2022

La mia Recensione: Left for Pleasure - Human Contract


 La mia Recensione:


Left For Pleasure - Human Contract


Germania 


Synthwave - Darkwave - Postpunk 


C’era una volta l’abbondanza di generi musicali, un via vai continuo di nuove scoperte, che creavano come conseguenza stupore, assimilazione e gioia, per poi tramutarsi in genitori capaci di generare parti plurigemellari.

Ma ciò che fa più male al vecchio scriba è la mancanza della ricerca del suono, il suo sviluppo e una precisa collocazione stilistica.

Tutto è appiattito, uguale e noioso: il digitale, l’ignoranza musicale e il disinteresse nei confronti di un approccio serio e professionale hanno un fatto il resto.

Ci sono eccezioni e una di queste è rappresentata da questa band tedesca (toh, guarda caso, che casualità vero?), che arriva dopo quattro singoli all’esordio sulla lunga distanza.

Ed è alba, primavera, gioia, seduzione circolare, all’interno di atmosfere cariche di tristezza, agitazione controllata, spargimenti di lacrime a presa rapida.

Questi suoni poi: sia data alla felicità una porzione di cielo e a noi il compito di un rispettoso inchino. 

Andiamo a vedere un po’ meglio da dove vengono e cosa fa di loro una band così interessante.

Halle è una città dalla storia tormentata, difficile e di cui si parla poco anche musicalmente: sembrerebbe costretta a chiudersi in se stessa perché luoghi troppo importanti e famosi le stanno vicino (Berlino, Dresda, Lipsia), togliendole forse quella visibilità che meriterebbe.

Con una cattedrale gotica che è bene visitare come l’autore della recensione fece nel 1997, questo posto ha creato lavoro con l’industria chimica. 

Ed è proprio quest’ultima ad aver generato paura, desolazione, resa, frustrazione come i due tedeschi sono riusciti a dimostrare con questo sublime esercizio musicale.

Siamo di fronte a strutture che vagano tra spazi sonori concepiti con precisione, riferimenti stimolanti e ingressi verso circuiti di polvere di amianto che cade dentro movimenti robusti, paradisi desolati, abbandonati, per precisare la vivacità della mediocrità umana.

Le menti del duo diventano laboratori di immagini, ostinazioni, scariche voluminose di fiori appassiti, dove tutto si rende necessariamente in grado di ingravidare la tetraggine, per condurla, spalle al muro, alla conseguente fucilazione.

I Sintetizzatori dominano, nel volo torbido dell’affanno che qui viene posizionato come l’ultimo ostacolo prima del decesso.

Le voci provengono da entrambi i membri della band, capaci di stimolare suggestioni maliarde, nel doveroso esercizio deprimente, che esalta la qualità di musiche avvolgenti, rigide, robotiche e in grado di condurci verso danze che piegano gli arti. 

Le arterie si riempiono di una certificata abilità di propagandare un delirio artistico con il suono che domina la struttura delle composizioni: si viaggia continuamente avanti e indietro nel tempo, un falò che viene congelato dalle impronte Coldwave sapientemente quasi nascoste, come per certi frammenti Ebm. 

Si riscontra l’immensa attitudine a cambiare ritmi, dando alla preposta sezione un notevole raggio di azione, rendendo più semplice alle trame melodiche il compito di infierire sui nostri rapiti ascolti. Ed è un matrimonio perfetto per associazioni di necessità che mettono radice canzone dopo canzone: solo nella splendida Germania musicale poteva nascere un album così intenso e deflagrante. Non c’è bisogno di distorsioni per sentirsi crollare il cielo addosso: i due lo prendono con le loro dita nere e lo abbassano, generando frastuoni e lampi nei nostri cuori frementi.

Le atmosfere sembrano greggi multipli in un’adunata a fine esistenza: qualcosa di profondamente sacro sgorga dalle composizioni per certificare l’assenza di una via di fuga. Ed è un funerale celebrato in un anticipo così lontano. Ma noi, commettendo l’imperdonabile errore di danzare, crediamo di metterci al sicuro senza voler concedere spazio a testi apocalittici, tenebrosi, dove il disincanto diviene il sovrano assoluto. 

Ne pagheremo il prezzo il giorno in cui, invece, i nostri occhi si chineranno su queste parole pesanti come lastre di marmo.

Pazienza: al tempo sia concesso il potere di punirci.

 Se vogliamo essere un minimo attenti allora diamo almeno spazio all’osservazione, nell’economia degli strumenti, di come il basso sia determinante, con la sua propensione a fare del Postpunk il suo maestro, punto di riferimento e attore eccelso nella recitazione di tutto il suo campionario. 

E la chitarra? Compare molto meno, ma sa farlo come se al futuro volesse concedere un ricordo minimo ma straordinario.

Al synth ho già accennato ed è bene non dimenticare gli arrangiamenti, come comete sbrigative in attesa dello schianto nel vuoto.

Questo disco riesce a suscitare entusiasmo dentro una nube tossica ed è ora di descriverlo, canzone per canzone.


Song by Song 


1 Vortex


Ed è tuono iniziale, il tremore e la profezia che si annusano, un ipotetico luogo che viene mostrato tra fumi infreddoliti e la voce intensa di una donna che soffia, balza con toni suadenti all'interno di questo ritmo lento e sincopato.


2 Rainy


Selvatica esibizione di suoni lucidi ma cupi, la danza acquatica scende dal cielo per allarmare i nostri occhi, con una chitarra periferica che circonda il respiro. Ed è Darkwave e Postpunk in congiunzione perfetta, per annebbiare i sensi dentro le polveri dilatate di una musica che resiste all’attacco del tempo.


3 Blue Eyes


Basso e chitarra in entusiasta parata aprono la danza di occhi blu solo in apparenza: la malinconia vince il duello e si posiziona, convinta, sul viso, mentre un synth straziante bacia note come tergicristalli attivati perché bisogna far scomparire le lacrime.


4 Vase


Giunge una voce con un riverbero maligno, nella marcia che avanza ipnotica, lenta. Il cantato sequestra le forze e piazza un attacco vincente. Ed è terremoto al rallenty, glaciale.


5 Feel


La voce maschile arriva dopo pochi secondi ed è stupore. Una liturgia ritmica ci fa danzare come marionette stravaganti e inebetite, tutto si fa cupo e drammatico, il cantato opprime, abbatte la resistenza per lasciare spazio al gioco erotico della chitarra e del synth in stato di grazia.


6 Banish Sorrows


Nuova chicca balistica: il duo crea un altro edificio dai suoni perfetti, equilibrati, per venire a contatto con uno splendido crescente, un loop che solo la tastiera può generare. Ed è rincorsa nei corridori delle paure.


7 Angeldust


Gli anni ’80, ripuliti, disinfettati, aggiornati e corretti, trovano pace in questo brano, dominatore assoluto, capace di farci abbreviare il fiato. Come un rimbombo apocalittico, la voce accarezza atomi di secondi col suo registro alto ed è pura follia sensoriale.


8 Your Skin Turns Blue


L’inganno dei primi secondi sembrerebbe portarci verso le atmosfere drammatiche dei Joy Division. Poi, però, si va altrove, con in dono uno strazio simile a quello della band Mancuniana. Caos e visibilio si baciano.


9 Hinter Schweren Gedanken


Echi dei primi bagliori ebm dei Pankow paiono volenterosi di ribadire lo stupore, l’amore per il presente disco. Poi si corre con gli anfibi dentro l’acqua fredda di questa musica che si fa emblematicamente ancora più gelida.


10 Phantom


Il respiro sprofonda sotto la cupola di Phantom, il crocefisso che cade lentamente dentro il nostro sentore che non vi è più il tempo per sognare. Il congedo di questo strategico e stratosferico album avviene con un cantato decadente, come il pianto di una sirena ferita. E le note musicali sono il luogo di ogni scioglimento, il crollo totale, l’addio perfetto.


Alex Dematteis

Musicshockworld 

Salford

21 Dicembre 2022


https://detritirecords.bandcamp.com/album/left-for-pleasure-human-contract


https://open.spotify.com/album/1KYEQvojuIn6ufSjNpDuv0?si=7IVnATqRTbypkmzgcmW8hw







My Review: Left for Pleasure - Human Contract

 My Review:


Left For Pleasure - Human Contract


Germany 


Synthwave - Darkwave - Postpunk 


Once upon a time there was an abundance of musical genres, a constant bustle of new discoveries, which created astonishment, assimilation and joy as a consequence, and then turned into parents capable of generating multiple births.

But what hurts the old scribe most is the lack of sound research, its development and a precise stylistic position.

Everything is flattened, equal and boring: digital, musical ignorance and disinterest in a serious and professional approach has done the rest.

There are exceptions, and one of them is this German band (look, what a coincidence, right?), which arrives after four singles on its long-distance debut.

And it is dawn, spring, joy, circular seduction, within atmospheres laden with sadness, controlled agitation, shedding of quick-setting tears.

Then these sounds: let happiness be given a portion of the sky and us the task of a respectful bow. 

Let's take a closer look at where they come from and what makes them such an interesting band.

Halle is a city with a troubled, difficult history that is also little talked about musically: it would seem to be forced to turn in on itself because places that are too important and famous are close to it (Berlin, Dresden, Leipzig), perhaps taking away the visibility it deserves.

With a Gothic cathedral that is well worth visiting as the reviewer did in 1997, this town has created jobs with the chemical industry. 

And it is the latter that has generated fear, desolation, surrender, frustration as the two Germans have managed to demonstrate with this sublime musical exercise.

We are faced with structures that wander through precisely conceived sonic spaces, stimulating references and entrances to circuits of asbestos dust which falls within robust movements, desolate, abandoned heavens to specify the vividness of human mediocrity.

The duo's minds become laboratories of images, obstinacies, voluminous discharges of wilted flowers, where everything necessarily makes itself capable of impregnating bleakness, to lead it, back to the wall, to the consequent shooting.

Synthesizers dominate, in the turbid flight of shortness of breath that is positioned here as the last obstacle before death.

Vocals come from both members of the band, capable of stimulating seductive suggestions, in the dutifully depressing exercise which enhances the quality of music that is enveloping, rigid, robotic and able to lead us to limb-bending dances. 

Arteries are filled with a certified ability to propagate an artistic frenzy with sound dominating the structure of the compositions: one continually travels back and forth in time, a bonfire that is frozen by Coldwave imprints which are cleverly almost hidden, as with certain Ebm fragments. 

One finds the immense aptitude to change rhythms, giving the preposed section considerable range, making it easier for the melodic textures to rage on our enraptured listening. And it is a perfect marriage by associations of necessity that take root song after song: only in splendid musical Germany such an intense and deflagrating album could be born. There is no need for distortion to feel the sky crashing down on us: the two take it with their black fingers and bring it down, generating din and lightning in our quivering hearts.

The atmospheres sound like multiple flocks in a gathering at the end of existence: something deeply sacred gushes from the compositions to certify the absence of an escape route. And it is a funeral celebrated in such distant anticipation. But we, by making the unforgivable mistake of dancing, believe we are securing ourselves without wanting to give space to apocalyptic and gloomy lyrics, where disillusionment becomes the absolute ruler. 

We will pay the price on the day when, instead, our eyes will bend over these words as heavy as slabs of marble.

Oh well: may time be granted the power to punish us.

 If we want to be a bit attentive then we have at least to give space to the observation, in the economy of the instruments, of how the bass is decisive, with its propensity to make Postpunk its master, point of reference and sublime actor in the recitation of its entire collection of samples. 

And the guitar? It appears much less, but it knows how to do it as if to grant the future a minimal but extraordinary memory.

I have already mentioned synth and it is good not to forget  arrangements, like hasty comets waiting for the crash into the void.

This record manages to arouse enthusiasm within a toxic cloud and it is time to describe it, song by song.


Song by Song 


1 Vortex


And it is initial thunder, tremor and prophecy sniffing each other, a hypothetical place being shown amid chilled fumes and a woman's intense voice blowing, leaping in persuasive tones within this slow, syncopated rhythm.


2 Rainy


A wild display of lucid but somber sounds, the watery dance comes down from the sky to alarm our eyes, with a peripheral guitar surrounding the breath. And it is Darkwave and Postpunk in perfect conjunction, to cloud the senses within the dilated dust of a music that resists the onslaught of time.


3 Blue Eyes


Bass and guitar in enthusiastic parade open the dance of blue eyes only in appearance: melancholy wins the duel and sits, victorious, on the face, while a heartbreaking synth kisses notes like windshield wipers activated because tears must be wiped away.


4 Vase


A voice with a malevolent reverberation comes, in the march that advances hypnotic, slowly. Vocals seize the forces and place a successful attack. And we have an earthquake in slow motion, glacial.


5 Feel


The male voice arrives after a few seconds and it is astonishment. A rhythmic liturgy makes us dance like extravagant, inebriated puppets, everything becomes dark and dramatic, vocals are able to oppress, breaking down resistance to leave room for the erotic play of guitar and synth in a state of grace.


6 Banish Sorrows


New ballistic gem: the duo creates another edifice of perfect and  balanced sounds to come into contact with a splendid crescendo, a loop that only keyboards can generate. And it is a chase in the hallways of fears.


7 Angeldust


The 80s, cleaned up, sanitized, updated and corrected, find peace in this track, absolute dominator, able to make us shorten our breath. Like an apocalyptic rumble, the voice caresses atoms of seconds with its high register and it is pure sensory madness.


8 Your Skin Turns Blue


The deception of the first few seconds would seem to take us towards the dramatic atmospheres of Joy Division. Then, however, it goes elsewhere, with an agony similar to that of the Mancunian band as its gift. Chaos and rapture kiss each other.


9 Hinter Schweren Gedanken.


Echoes of Pankow's early ebm flashes seem willing to reiterate the awe, the love of the present record. Then one runs with combat boots into the cold water of this music that becomes emblematically even colder.


10 Phantom


The breath sinks under the dome of Phantom, the crucifix slowly falling inside our feeling that there is no more time to dream. The end of this strategic and stratospheric album comes with a decadent singing, like the cry of a wounded siren. And the musical notes are the place of all dissolution, the total collapse, the perfect farewell.


Alex Dematteis 

Musicshockworld 

Salford

21st December 2022


https://detritirecords.bandcamp.com/album/left-for-pleasure-human-contract


https://open.spotify.com/album/1KYEQvojuIn6ufSjNpDuv0?si=otbNk95CR9SUL1mud-yGFg







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