Nick Cave & The Bad Seeds - The Boatman’s Call
Nel mondo degli affetti, il bilancio è spesso una croce che vola come una piuma con la bava alla bocca, girovaga, ermetica, votata all’essenziale perdita di se stessa.
In tutto questo ogni fine dei rapporti diventa il chiavistello da utilizzare per correggere gli effetti. Nick Cave lo sa molto bene. Ha scritto un album per documentare un’analisi, per fermare il volo, per separarsi dal metodo tradizionale, perché quella volta il dolore ha preso una direzione portando sui suoi passi pietre di amianto. PJ Harvey aveva fatto provare all’autore australiano la frenesia errante dell’amore, quella che sbilancia verso la felicità, che non ci si può permettere quando si è abituati agli eccessi delle deviazioni. Solo, drammaticamente solo, solitario come nuova vocazione obbligatoria, ha trovato nelle sue giornate domande senza speranze, libri svuotati di ogni senso, l’amicizia come ulteriore forma di disperazione. Il Pianoforte, il fratello siamese emerso al pubblico definitivamente con Murder Ballads, gli si è seduto sulle gambe, urlandogli di metterci il cuore, di fermare le stelle delle ispirazioni, di stracciare la progettualità artistica e di virare verso un nuovo abisso: il ricordo, la riflessione del non sapere come respirare senza la sua musa. Eccolo, nudo su una stalagmite di bronzo, guardare il precipizio del futuro e rivolgersi a un Dio con cui non aveva mai avuto il piacere di parlare: se stesso…
Quello ritenuto tale rimaneva ancora ancorato ai suoi dubbi, alla ritrosia che, da uomo intelligente, non voleva cancellare. Quindi? Il piano, nero, silente, buio, illuminato da quei tasti bianchi che come sirene dalla voce macchiata lo attendevano, si palesa completamente. I suoi semi cattivi se ne stavano in vacanza dal lavoro, dalla vita, Nick non si faceva vivo ma, intanto, canzoni come fiati spettinati uscivano dai suoi pensieri, un binocolo questa volta puntato verso il lato sinistro del suo cuore, tenendo le spine sui palmi dei pensieri. Lentamente, la forma degli sbagli, delle colpe, delle risate sfumate, degli atti d’amore divenuti ormai ricordi, prendevano un appendiabiti e si stendevano su quei tasti golosi, gelosi di quel talento che per una volta si sedeva pure lui a guardare.
Un album sulla disperazione? Certo che no: il peggio era ormai alle spalle, ma qualcosa di ancora più pericoloso visitava la sua mente ed era quello del pericolo della consapevolezza, che impedisce di sbagliare con quella leggerezza di cui lui si è sempre nutrito. Cosa c'era da capire, da vivere, cosa non era consentito fare? Dove direzionarsi? Aveva ancora senso scrivere per scrivere? Le api sono animali strani quando vivono all’interno di una casetta fragile come sa essere la mente e Nick lo sa: dato del tu alla difficoltà delle idee non chiare, quei tasti si sono visti raggiungere da parole così intime come mai era accaduto prima. Non autoanalisi bensì un seminare verità e slanci passionali, con storie questa volta legate alla sfera personale, alla separazione, al sogno spezzato di una stagione storta.
Inutile aggiungere che non serve capire cosa gli sia accaduto, ma verificare il motivo che lo ha spinto a elaborare pubblicamente il suo tormento. Non più vomito artistico, quanto piuttosto una coperta di raso sulla sua pelle chiara.
Dodici rappresaglie con la vestaglia, il caffè nero, forse bollente, a scaldare il suo battito venereo, e poi via, a consumare il tempo con la sua avvelenata pergamena, la Sacra Bibbia che improvvisamente torna utile…
Vicino alla metodica così cara al suo Maestro Leonard Cohen, la scrittura si è fatta ossuta, cianotica, scarna nelle intenzioni, un operare sotto controllo: a lui interessava il cammino e non la direzione di quelle forme musicali, così vicine al blues come non mai, non elettrico, non acustico, ma soprattutto umorale. La nuvola tossica questa volta non era utile, nemmeno presente, nel suo silenzio era stabile e in attesa un magico incontro: occorreva solo che lui si sintonizzasse con quella parte della vita che aveva sempre rifiutato. Divenne un marinaio, un traghettatore del dolore, un impiegato comunale di quella circostanza che tutti sperimentano: il divorzio dal piacere.
A un'attenta analisi dei brani si fa evidente che l’intimità esibita è stata un sacrificio, una luce esplosa dentro di lui e arrivata all’ascoltatore, quasi ignaro, quasi claudicante perché privo della verità assoluta. Si parte da tale aspetto per capire la portata di questo album, un fiume che danza lento dentro un lago, con il respiro affannato e gli occhi appannati. I ricordi, le proiezioni, i ponti sospesi nella sua mente dalle ciglia abbassate, si ammassano, imprimono una scelta e un ritmo e più che altro una necessità: lasciare i Bad Seeds quasi totalmente disoccupati e giustamente infelici. Servivano come può servire un bastoncino sulle gobbe dell’onda di un ruscello: quasi a niente, se non a rendere felici gli occhi di un bambino…
Qui, però, nasce il capolavoro della band: fare da assistenti e non più da manovali, conduttori e condottieri del silenzio di cui Nick aveva bisogno. Ci vuole coraggio a suonare poco.
E Cave cosa ha fatto di così geniale in The Boatman’s Call? Quello che mai si poteva pensare, che mai si era udito prima: ha incominciato a scrivere il cuore nelle notti, non furtivamente, non nascostamente, ma con tutta la sua cosciente e disturbata struttura mentale, per farla cadere sulle gambe del suo fratello gemello. Storie spettinate, roventi e senza bilancia, dove il ritmo si alza solo in un paio di brani, in quanto l’involucro era composto da raggi di tuono con la febbre alta, ma senza arrivare al caos, di cui i Bad Seeds hanno sempre sperato di cibarsi. Gli Stati Uniti vengono presi d’assalto, lentamente, come un ossimoro sbandato in cerca di se stesso, riuscendo a consegnare al cantante una ipotesi strutturale nella quale l’armonica, il violino, il basso, la fisarmonica potessero conoscere la danza dell’alternanza, visitando il Dark Folk Noir, quello meno tribale e più dotato di dolcezza. Un album votato a quest’ultima, perché sono i bambini a insegnarci che dopo un temporale la paura cessa di esistere e occorre aprirsi in un sorriso. Ascoltato ancora oggi, questo lavoro è un sospiro dopo un infarto: apprezzato, desiderato e proprio per questo non strutturato per essere inteso. È un valzer con il freno a mano, un camminare sulla schiena di un asino sulle montagne Peruviane, circondato dai grandi panorami dove la solitudine tiene sempre la luce accesa. Un esempio di come la tristezza possa concedere ballads senza colpe, un girovagare continuo di accordi minori con il basso che sembra essere una batteria pigra ma decisa e le spazzole che agiscono per rendere il ritmo una carezza grigia. La chitarra acustica e quella elettrica si sono imbottite di sonniferi, esalando ultimi respiri pieni di pathos, seppure brevi, ma è così che si fa quando le cose vanno male: si deve essere prudenti. Mari e oceani e monti di accortezza sono il baricentro di questa opera straordinaria, che, se ai più sembra soporifera, è perché quelle persone non conoscono il disarmo, la confusione più profonda. Nick ha esaltato invece questo aspetto e l’ha gettato verso il centro di un cielo dove, esattamente come nel suo, un cuore aperto aspettava un suo abbraccio…
Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
9 Aprile 2023
https://open.spotify.com/album/4Gp9Ls1UqkrQRrTTxhvs6A?si=wYcMovwiQm6be3FFoizNHQ