venerdì 29 luglio 2022

La mia Recensione: Duran Duran - The Chauffeur

 La mia Recensione:


Duran Duran - The Chauffeur



“Si possono intravedere i tormenti di una persona già attraverso le sue speranze.”

Mirko Badiale


La magia vive nell’aria, vestita di segreti e incantesimi: non sempre ama farsi vedere. Sarà per timidezza, imbarazzo o magari è proprio il non svelarsi troppo che la rende forte.

Ciò che conta è che per strane coincidenze nella musica la magia riesca a perdere una quota della sua essenza per guadagnarne altre e quando lo fa si crea sempre una forte attrazione con chi ascolta.

Dopo un album di esordio bellissimo, e forse il loro migliore, ecco che il secondo si riempie di nuovi percorsi musicali e in un brano di Rio appare, come se fosse  una miscela antica colma di fascino e mistero, la magia di una canzone intitolata The Chauffeur.

La band di Birmingham trova modo di entrare nella zona alta della storia musicale perché questo brano contiene frammenti di luce sparsi tra le ombre, regalando la sensazione di dolenza e sanezza al contempo. Come se fosse circondata da flussi mistici, questo mantra di Synthpop è un magistrale esempio di quanto i cinque fossero maturati e in grado di dimostrare quella bravura che anestetizza i dubbi che da molte parti affioravano. 

Come una ipnosi che seduce la storia raccontata (scritta magnificamente, tra immagini e dolore che si arrampica sino alla cima del monte per mostrare il suo volto tumefatto), la musica sorvola il tempo moderno e quello delle favole, lasciando all’ascoltatore l’impressione che si stiano guardando le scene chiusi dentro un armadio.

L’incedere lento, la drammaticità del piano, il loop del synth che entra per definire la bellezza di una struttura sonora votata a catturare i sensi e il cantato con le stampelle di Simon Le Bon conferiscono all’insieme l’ipotesi che quella magia ha catturato le note e le parole per depositarle dentro una fascina che brucia per scaldare l’eternità.

Brano che si discosta dagli altri dell’album Rio, uscita dal cilindro di un mago solitario di un teatro buio di una qualsiasi provincia, ha la caratteristica di formare nella mente la convinzione che l’amore di coppia abbia i suoi peccati che trovano sempre dei raggi di sole per non lasciarli nascosti, come la musica che, per quanto possa e voglia giocare a nascondino, si trova il modo di vederla e di goderne a pieni polmoni.

Perché The Chauffeur va respirato, portato a viaggiare dentro l’altra magia: i passaggi che abitano le nostre stanze mentali segrete.

Dentro una forma canzone benedetta da uno splendido intro, si arriva poi al delirio del lungo finale con i fiori sui fianchi di un flauto che fa schizzare il brano verso la fine dell’800, supportato da una batteria che sembra chiedere aiuto alle valli per poter far arrivare il suo incedere e il pianoforte che tratteggia il volto di questa poesia dal labbro inclinato verso la tristezza.

Se l’amore, come descritto nel testo, può conoscere il suolo duro della farsa, ecco che i cinque escogitano il modo di non connettere la musica totalmente a un sentimento attitudinale arcigno e prendono i pennelli con i colori tenui: Nick Rhodes e John Taylor stendono la loro capacità su un telo dove pulsioni e melodie si mettono d’accordo, e lo fanno bene, perché tra queste note si scrive la storia, un dipinto che rimarrà per sempre nelle magiche gallerie del nostro cuore.

Con l’indubbia capacità di farci vibrare con emozioni a tappeto, il testo suggerisce però una sedia, un tavolo, una birra e la volontà di tuffarsi, con prudenza, dentro parole che, unendo la fantasia e la morale, sanno circondare la verità senza essere troppo dirette, schiette, ma conservando l’autenticità comunicativa che non può né deve mancare.

Si rivelano musicisti strepitosi, con l’eccellente produzione di Colin Thurston, le cui qualità sono state a servizio di David Bowie, The Human League, Magazine, Gary Numan, Talk Talk e altri ancora.

Il lavoro del produttore Londinese è evidente: i suoni, la capacità di controllare i flussi di idee dei ragazzi di Birmingham, quella patina di sole e sale, vento e mistero che si vede all’ascolto fanno della canzone uno splendido esempio di cosa sia una produzione. Tutto fila liscio, dentro la melma di parole con la tensione sulla schiena, e questa sensazione di sacralità che aleggia per tutta la durata della favola triste diventa la sciarpa con la quale circondare le nostre paure.

Una canzone che sa commuovere, confondere, dare l’impressione che l’inaspettato abbia le fauci pronte ad azzannare, anche se provenienti da dei giovani musicisti che stanno cercando il successo e lo ottengono con un album pieno di singoli e circuiti musicali dalla presa facile.

Questa no.

La coinvolgente The Chauffeur è la carta d’identità di una band che è diventata maggiorenne con questo episodio, portando i detrattori a confrontarsi con la sapienza, la consapevolezza, il talento di scrivere una sfera sonora che si presta a letture diverse, durante ascolti stregati, che ci fanno appartare nel nostro io dove la nebbia e l’ombra attendono di avvolgerci.

Tutto scricchiola qui: non c’è presenza alcuna di boria, di eccesso di personalità, di perseguire note che possano arrivare comodamente dentro  ascolti disimpegnati.

Piuttosto, ed è evidente, si è voluto prendere il pentagramma, buttarlo nei primi vapori degli anni 80 intrisi di synth, sì, ma assolutamente caldi e parsimoniosi, quasi come se non dovesse esserci nessun disturbo dell’anima all’ascolto. Però tutto si rivela maturo, profondo, per portarci in dono un benessere dal cappotto grigio dal bavero alzato in quanto questo gioiello potrebbe anche congelare ciò che abita la spavalderia e la presunzione perché i tradimenti non hanno dalla loro parte l’eternità, questa canzone invece sì, proprio perché ha saputo rivelare un aspetto che tendiamo per convenienza a nascondere.

The Chauffeur: il capolavoro dei Duran Duran dimostra che non tutto era sbagliato in certi nuovi movimenti musicali, che non era plastica quella che usciva dalle dita ma una poderosa dimostrazione di qualità, che smentendo molti sono arrivate a tantissime anime che all’ascolto di questa torcia medievale dall’abito moderno hanno potuto riconoscere che ciò che vale può uscire da ogni contesto.

La voce di Simon, spesse volte alla ricerca di un registro vocale troppo alto, qui si accorda con la perfezione e sa rendere tutta la musica del brano come la gemella perfetta del suo racconto. Ma tutto il nono pezzo del secondo lavoro è una voce argentata, dalla sfumatura blu, per potersi confondere nel cielo delle stelle che sorrideranno per sempre…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Torino

29 Luglio 2022


https://open.spotify.com/track/4kZOi9K2i06Syi2DiSfEqT?si=zXuvLWjfR6Ok6MNNU2_aeg







Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.

La mia Recensione: The Cure - Songs Of A Lost World

  The Cure - Songs Of A Lost World “La vita dei morti dura nella memoria dei vivi” - Cicerone Fa male. Potrebbe bastare così. Si entra nel m...