venerdì 3 giugno 2022

La mia Recensione: Angst4 - Was Bleibt

 La mia Recensione:


Angst4 - Was Bleibt


Tentacoli notturni rendono selvaggio l’impulso di una danza simmetrica, come contrabbando di note sparse e raccolte da mani sapienti e capaci di veicolare la saggezza del suono proveniente dalla patria del frastuono ordinato, la mastodontica Germania.

Un afflato vagante, permeante, permanente sui nostri istinti che a scatti seguono la stella cometa all’interno di una nuvola: la si sente, non la si vede, ma la sua esistenza pulsa con i nostri raggi bisognosi.

Sono sette, una consecutio temporum che mette tutto a posto, l’educazione che determina l’ordine, uccidendo la confusione.

Angst4 è un plotone di disciplina che nello specifico agisce nel nostro vocabolario ritmico spoglio: urge modificare lo spreco, indirizzandolo verso i territori dove l’unica legge è la conoscenza.

Come sia possibile essere così meticolosi nel dettaglio senza sembrare eccessivi lo sa solo il nucleo operativo della loro intellighenzia, viale ombroso e allucinato in roteanti e straboccanti flussi di energia, che partendo da nervi di acciaio confluisce nella foresta nera, da sempre luogo di ispirazione cilindrica.

Dadi metafisici saltano tra la cittadina di Saarbrücken, per una notte capitale della fragranza sonica, bevendo lapilli di Coldwave attrezzata all’accoglienza di quell’Electropunk capace di incidere tatuaggi cosmici in agguato continuo.

Questo viale imbevuto di ribellione in ascesa si intitola Was Bleibt, miscela liquida/solida che aggroviglia la mente in percorsi di labirinti che sconfinano nella confusione attrezzata per una acclamazione senza fiato: nella discesa verso il piacere le tappe sono trappole in attesa del nostro sangue elettrico.

Ci ritroviamo collocati in una dance floor dalle pareti che pulsano musica in avanscoperta, fulgida e magnetica, come una guerra nucleare dei sensi che cadono per terra, stremati.

I nostri corpi come selvaggina, come cavie senza abbellimenti, al cospetto di una follia che deturpa il cielo dei nostri sogni. 

Un album che piazza il suo tergiversare nevrotico tra considerazioni rese limpide dai suoi gioielli in fase di decodificazione continua, con il linguaggio dell’intensità che diviene petroso e lunatico. 


Nulla è nuovo, all’interno di questo ventre, ma supera l’entusiasmo di chi potrebbe essere deluso davanti a una mancata occasione di creare un genere sconosciuto, di inventare avamposti mai incontrati prima. I tedeschi curano quelli che altri hanno mancato di perfezionare, calibrano generi musicali che stanno conoscendo l’usura e la noia.

Ed è questa l’occasione per sentire la loro ribellione, capace di operare questo malato, non immaginario, che si chiama Coldwave, con suo cugino l’Etectropunk, anch’esso in precario stato di salute. 

Nella condensa di questo salone dove corpi obbedienti danzano inebetiti, robotizzati, grigi e con le manette nei pensieri, l’ascolto di questo album rende possibile il congedo dalla noia accumulata per trovare una forma di divertimento edulcorata e potente, consegnando voluminosi sorrisi in propensione a chi cerca nuove forme di conquista.

L’approccio alle canzoni è una scelta, ma da solo renderebbe sterile ciò che entra nell’apparato uditivo: nel caso di queste sette conturbanti tracce sismiche occorre un decalogo comportamentale che ammazzi un eventuale spreco, perché tutto nel disco è un evento che va riconosciuto e consegnato alla Storia.

Non sentirete atti di sconvolgimenti penetrare il vostro udito, bensì quelle migliorie che viaggiano abilmente segregate e nascoste: a voi spetta diventare maghi sapienti capaci di sciogliere l’arcano e nutrirvi di ricchezze a portata di gioia.

Adottate le misure precauzionali di un giudizio accantonato (non servirebbe, vi distruggerebbe), siate generosi nello studio di movimenti a tenuta stagna, di levitazioni continue nel fracasso che può nutrire le mancanze sicure di una conoscenza specifica di queste lande desolate ma generose di semi sublimi.

E sarà estasi cavalcante dentro l’emisfero di questa sfera di note: metà saranno riconosciute, l’altra metà viaggerà solitaria nello spazio, irraggiungibile e sovrana. L’invito è immergersi in uno scafandro per visitare le particelle di H2O che vagano nei fondali della conoscenza, in attesa che i vostri ascolti diventino carezze.

Saranno allucinanti le spranghe che assaggeranno le vostre gambe, aghi acquiferi entreranno muti sotto la vostra pelle per farne un altare, sconclusionato e perso nel buio del dolore che, è bene ricordarlo, non è mai innocuo.

Potrebbe essere una sfida calarvi nell’oscurità di canzoni come rocce ipnotiche che cadono, come onde, come voli senza paracadute, come urla dalla bocca cucita, perché questo lavoro è una allucinazione senza sostanze chimiche ma altrettanto devastante.

Il mio ascolto si ripete, la lente di ingrandimento scova altre gemme dalla veste scura, come un tesoro all’interno di una piramide, con il vortice che si colloca non solo nelle estremità: si rimbalza dentro birilli ignoti che conducono alla soffocante tristezza di cui è permeato questo pazzesco insieme.

Una fatica ascoltarlo, ma un piacere sublime entra nello smarrimento, nello stupore che riesce ad allargare le mie fauci: sarà così anche per voi se indosserete il camice da studiosi scrupolosi.

Una raccolta di foglie gravitanti intorno allo spazio degli anni 80, minuti di telecamere tra i beats, le pulsioni di un basso alla ricerca di un territorio da rendere martire, una tastiera che compare con apparente leggerezza: suo il compito di stregare definitivamente. Alla chitarra il ruolo di regina generosa ma mai esagerata, l’equilibrio sottile che trasforma l’acqua in oro. 

Non possono nascere dubbi: a volte parrebbero voler essere invisibili, sottili come un pensiero congelato ma poi sanno come prendere calore e donarlo a noi, anime corrose di cotanta maestria.

Andiamo, dobbiamo entrare nei loro cubetti di ghiaccio sino a intossicare ogni nostro battito che diventerà obbediente e malizioso.


Song by Song 


In Gefahr


Sin dalle prime note si rende evidente il territorio espressivo, la dote che sviluppa, amplifica e certifica una zona di interesse che nobilita espressamente due generi musicali che si trovano a braccetto, in uno splendido connubio. 

Il basso e la tastiera sono due mondi cupi che si prestano a generare meteore e meteoriti con il loro tracciato specifico. Post-Punk e Coldwave di profonda attitudine alla volontà di ipnotizzare, usando poche ma incisive note. Ed è polvere da sparo immediato.



Erinnerungen


Tensione nel cantato, una vocazione ad un esistenzialismo scenico notevole che lascia spazio alla parte strumentale, che si appoggia alla scena Jugoslava dei primi anni 80 per un risultato di grande spessore, dove molto gravita verso la sospensione climatica per generare una nebbia che condensa la nobiltà di una tristezza ritmata.



Namenlos


Pioggia trasversale, con l’introduzione che paralizza come estasi dalle piume gelate, si danza poi con il basso dal plettro scintillante, una tastiera tenuta nella retrovia per salire poi davanti ai nostri occhi, per generare estasi e turbinio. Scheletrica, ridondante, misteriosa, con una parte elettronica liofilizzata ed efficiente, scivola dentro il ventre  pieno di elementi tipici dei D.A.F. tenuto volutamente seminascosto per poter riascoltare ricordi sottili, per poi trovare il suo volto di gran classe.



Ein Bild (erste Version)


Un suono, una attitudine profetica di un futuro melmoso esce allo scoperto con questa canzone che mette in rilievo una complessità strutturale interessante.

Si sta in attesa, mentre tutto accade con ingressi di malinconia multipli, che come un serpente assetato ci circondano minacciosi. Un esempio di un lavoro complesso, di soluzioni di arrangiamenti efficaci, il brano che si ferma per poi tornare con la sua ipnosi e nevrosi tipicamente germanica.



Überall 


Essenziale, giocato sull’ampiezza immaginifica, che scarta il superfluo, questo è un esempio di fluida e tossica disciplina sonora, dove tutto è capace di circondare ciò che è brutto e annichilirlo. Echi e bagliori del locale The Cave Club di Francoforte sembrano conservare il magnetismo e la necessità di rendere i battiti corporei di questi minuti un collante di monossido di carbonio per spargere una morte ipnotica sui nostri muscoli rapiti.



S/W


Apoteosi, flagranza di devastante intensità, fiumi di Coldwave incollati con il sangue stagnante conducono a una danza dal cuore genuflesso e riconoscente: il clima della canzone è una lastra semovente dai scintilli pieni di tenebra, un ossimoro necessario e di antica memoria che necessita di essere tenuto in vita. Di una atroce intensità, gli Dei del dolore sentitamente ringraziano: anche loro si ritrovano ad essere immischiati in questa losca frenesia, danzano sino all’ultimo colpo di questo basso assassino.



Sternschnuppen (live im Proberaum)


Atomi di morte trovano la loro dimora in questa frastornante esibizione di lussuria, resa volutamente sacra e lenta, avvolgente dimostrazione di un teatro che ha saputo saccheggiare la violenza della perdita di ogni contatto di sentimenti per raggelare i respiri. Si freme, si invoca la luce ma questo buio non dà scampo: si trema mentre tutto il terrore minimalista echeggia nelle vene che si sfilacciano e muoiono, senza nessun testimone…


E' tempo di prendere questo album, metterlo tra gli artigli del nostro desiderio, farlo riposare per qualche ora e poi tornare al suo cospetto e farci usare, senza ritegno: sarà ingordigia senza barriere...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

3 Giugno 2022


https://angst4.bandcamp.com/album/was-bleibt






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