mercoledì 22 novembre 2023

La mia Recensione: JOY/DISASTER - HYPNAGOGY


 JOY/DISASTER - HYPNAGOGIA


Dio mio: quanta bellezza, quanta ricchezza…

Il vento delle mancanze e delle approssimazioni viene spazzato via da una rosa cilindrica contenente undici esplosioni emotive che fanno aggrovigliare lo stomaco e sublimano i sensi, in una corsa dove tutto viene lasciato alle spalle, con il futuro che si appresta a benedire questa fluorescenza piena di artigli e deliziosi pugni in volto. Tutto accade grazie a una formazione che da tempo semina prodezze e che con l’ultimo lavoro HYPNAGOGIA raggiunge la perfezione artistica, senza sbavature, offrendo un campionario artistico di enormi dimensioni, vuoi per il contenuto, vuoi per la forma, perché in entrambe le situazioni il loro ventaglio è solido e allontana ogni dubbio e incertezza in chi potrebbe essere scettico. Invece la freschezza, la possenza della struttura, le diramazioni, la vivacità con la quale il nero e il grigio si approcciano al sole della vita fanno spalancare la bocca: ci sono prodigi che vanno sostenuti ed è questo che bisogna fare. Compie diciotto anni la band di Nancy ed è proprio il caso di dire che con la maggiore età questi uomini, che baciano la vita con in bocca ortiche, rovi e rose blu, hanno conquistato una maturità avvolgente, spiazzante, attraverso un mare agitato di frecce, con i suoni che raccontano ancora prima dei riff e della successione degli accordi e delle trame melodiche.
Sin dal roccioso esordio, nel lontano 2006, con JD, il Vecchio Scriba ha visto espresse le doti di un insieme poliedrico, tagliente, capace di fiondarsi nei terreni della ricerca per poter governare i palpiti di una molteplice necessità di esprimere esigenze che dovevano emergere. Con il successivo Paranoia tutto era chiaro: la calamita era stata depositata per sempre nel nostro cuore. E poi un crescendo senza possibilità di arresto…
Ma veniamo a questo ultimo sussulto, il nuovo lavoro, che rimarrà per sempre nel bacino di ogni desiderio.
Impressiona la profonda partecipazione al delirio umano senza che la band rischi di sporcare l’anima: l’impresa è quella di entrare nella realtà e non di osservarla da lontano, rendendo il tutto credibile, per un gioco sensuale di umori, odori, descrizione della psiche umana che rende esterrefatti. Inclini all’indole Post-Punk sin dagli esordi, indossano la fluida veste di un Guitar Rock che avvolge la sezione ritmica per esaltare, attraverso incastri continui, il loro intuito e desiderio di completare ciò che un unico genere musicale non consente di fare. Ecco, allora, una musica che graffia, assorbe, reclama ascolti attraverso incantevoli fraseggi, peripezie umorali, seminando detriti maniacali intensi, destrutturando la convinzione che si sia già detto tutto. Robusta è l’opposizione da parte loro, ed è un’azione compiuta attraverso un martellamento ritmico e melodico, che inghiotte ogni ritrosia e sviluppa l’oceano di riflessioni che si impastano alle lacrime.
La determinazione nel trovare uno stile ed erudire la nostra ignoranza è un satellite sanguigno, privo di veleni ma denso, come una lingua d’asfalto. Per fare questo, ogni singolo brano favorisce il perfetto abbraccio tra melodie gonfie di spine e ritmi che evidenziano una concreta abilità nel prendere distanze da chi alimenterà paragoni e rimembranze. Loro scartano, con grande orgoglio, questo rischio e tracciano il cielo musicale con traiettorie colme di novità, senza negare un impianto storico che ha suggerito ma non determinato la modalità espressiva.
Il maggior artefice di tutto questo ben di Dio è Nicolas ROHR, un illuminista della gravità pulsionale, il mago francese che incide sul pentagramma con una chiave di violino posizionata sul cuore. E, quando le sillabe escono dalla sua gola, si precipita nel cuore di ogni tensione nervosa… Sebastien MASSUL è il pilota del ritmo, dalle bacchette fosforescenti e le braccia possenti, ma melodiche quando occorre, per dare alla batteria un ruolo poetico e robusto. Simon BONNAFOUS è la seconda chitarra della band, un angelo dal mantello pieno di gocce di sangue che distribuisce pugni gentili. Soupa RUNDSTADLER è un magnete delle quattro corde, capace di rendere la terra un sisma continuo, e i suoi colpi sono frustate che rendono la pelle un brivido continuo.
Come una sala operatoria nella quale l’intervento consiste nell’estirpare il cancro, così i quattro artificieri francesi si accaniscono sul corpo esanime della vita per eliminare quintali di sporcizia: intervengono con la mano ferma, decisa, scartavetrando tutte le impurità, per restituire dignità e sollievo. Queste canzoni sono terapeutiche, rovistano nella storia umana e proiettano i loro talenti dentro le nostre vene. Il cantato, in inglese, è sicuro, i testi scritti bene e la modalità vocale è uno specchio, preciso, di come i pensieri e i sentimenti possano stabilire un’unione perfetta.
Tutto è solidale, convinto, come un matrimonio buio che si inoltra nelle viscere dei comportamenti: le liriche sono spavalde, dirette, concentrano l’esperienza umana dove la paura non è permessa ma la toccano, riuscendo nell’impresa di uscire vincitori. I rapporti umani sono pieni di descrizioni nelle quali sogni e promesse sono un tappeto di guai che loro tendono a compattare verso uno scioglimento liquido, riportando la verità di ogni mediocrità davanti a uno specchio che suda e trema.
L’energia che producono è un regalo divino, che scuote ma al contempo indirizza a utilizzare meglio il tempo che si ha a disposizione, perché sono riusciti a dare una lezione a migliaia di band fossilizzate su pochi, spenti, boriosi schemi, rinfrescando la musica tutta: non disperdete questo miracolo possente. Ora è tempo di navigare dentro queste alghe infettate di bellezza irresistibile…

Song by Song

1 - Celebrate

Celebriamo, eccome se lo facciamo, la canzone che apre l’album: su un inizialmente lento e malinconico avvio, i quattro riescono poi a fomentare gli animi e a lanciare, progressivamente (grazie a un basso insanguinato), il tutto dentro un riff ipnotico e il cantato melodico ma baritonale. Il testo è una funzionale invettiva contro un interlocutore che spreca il suo regno, nel tempo del cambiamento che soffoca ogni sogno. L’assolo è ruggine che esplode e il drumming una fucilata…

2 - Fear

Struggente esibizione di una relazione in fase decadente, tutto viene orchestrato per essere un mantra tribale, con la volontà di dare all’indie rock la possibilità di flirtare con il post-punk. Le lacrime raccolte nelle ombre celebrano il coraggio di un brano che esercita una fascinazione continua, con il dualismo energetico di chitarre che spavaldamente rendono queste emozioni come un’anguilla che sfugge alla morte…

3 - Nowhere

La ballad che uccide la verità: quando tutto ciò che si scopre fa affondare l’entusiasmo. Un testo drammatico trova la giusta cornice sonora, per un combo che grattugia ogni velleità, sino a quando la chitarra solista si butta sull’oceano del dolore. Compatta, esibisce una teatralità che rimanda agli umori del primo post-punk, con una scia di morte che spezza gli occhi: siano lacrime preziose…

4 - Sorrow

Si può descrivere un fallimento non proiettando il tutto nel fango della lentezza? I Joy/Disaster ci riescono, con un arpeggio straziante, la ritmica che schiaffeggia i sensi e un ritornello che è una corona di spine. Decadente, elettrizzante, melodica, spoglia ogni capriccio in un pulsare dalle sembianze gotiche, dove però il basso e la batteria ci riportano in un rock che pulsa vita. La canzone che rivela l’ampiezza delle loro abilità.

5 - Whispering to the wall

La fragilità e la pochevolezza umana vengono inchiodate da queste iniziali note suonate da un piano pieno di dolore, poi il brano concede al cantato il palcoscenico per un resoconto amaro ma veritiero. Cupa, tenebrosa, metallica (in quanto tutto ha la parvenza di un uppercut sferrato contro i nostri desideri), la composizione offre il lato migliore di quella lunga fila di band che negli anni Novanta cercavano di riportare la darkwave e il post-punk nel piano della necessità. Qui, i quattro, fanno molto meglio: ossigenano il presente con la loro malinconia e saggezza. Un altro chiodo nella testa…

6 - In the end

Con la stessa classe dei Madrugada, il combo francese scrive un trattato di saggezza, con l’esperienza di dover comparare il reale al sogno, per scrivere un finale diverso. Lenta, capace di essere ossessiva con chitarre quasi nascoste ma che poi, in modo sublime, accompagnano Nicolas in un ritornello che è una scossa elettrica piena di aghi e spine…

7 - Changes

Il tempo, che stagna e non cambia, viene circondato da parole e note musicali che fanno intendere quanto la band sia incline a tenere il piede sull'acceleratore ma con gli occhi attenti. Un sali e scendi, dove il ritmo cambia, rovista tra le nostre gambe, per lanciarci in una danza scomposta, come marionette stordite da cotanta forza in evoluzione…

8 - Wiping tears

Demoni e desideri vivono nello stesso giardino: i quattro alzano il ritmo, riempiono i cannoni e lanciano una bomba, senza aver paura, per sorpassare la mediocrità e scrivere un nuovo, roboante trattato di sudore e verità. Il drumming e il basso sono pistoleri infuocati e desiderosi di fare una strage, le chitarre sono attori dal copione meraviglioso e incandescente e il cantato la ciliegina sulla torta infetta…

9 - Promise

Prendi i Franz Ferdinand e rendili ermetici e trascinanti in una danza piena di spettri: un teatro che si approccia al cabaret, con il ritmo che favorisce il tuffo dentro il vuoto. Semplicemente incantevole, con un corollario gotico che si intravede, per un ascolto che rende le nostre gambe delle ali dorate…

10 - Secrets

Dio mio: quanta bellezza, quanta ricchezza… Tutto dipende dalle decisioni e i Joy/Disaster estendono il discorso in un percorso vitaminico, robusto, lisergico, atomico, rovente, dove alla fine dell’ascolto tutto brucia dentro… Non è presente la negatività, ma l’amarezza dell’esistenza che gonfia le note e rende i nostri occhi fiumi di lacrime in stato gassoso…


11 - Into a dream

L’aspetto onirico ha quasi sempre trovato adesione nelle ballads, in flussi dolci che circondano la poesia. Nell’ultimo brano di questo album pieno di gioielli, invece, si assiste a una esibizione di robusta capacità volta a trasformare il soggetto in un incantevole arpeggio elettrico. Il tutto viene sostenuto da una melodia capace di sbatterci in faccia una serie di parole che, come le note presenti, compattano il bisogno di un addio cosciente di una nuova allucinante dipendenza: come le altre dieci, pure questa canzone sequestra e scarica la sua adrenalina nei nostri inebetiti ascolti…

Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
23 Novembre 2023

https://joy-disaster.bandcamp.com/album/hypnagogia

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