martedì 25 ottobre 2022

La mia Recensione: Antic Clay - Hilarious Death Blues



Antic Clay - Hilarious Death Blues


La poesia può abitare tra le note, avendo ali nere in un cielo buio, sopra il deserto di ogni sogno.

A scriverla è Michael Bradley con il progetto Antic Clay.

Presi i suoi appunti, è salito a Asheville, nella Carolina del Nord, ha seminato incanti e abitato l’America tenuta nascosta nelle sue canzoni, facendo molto meglio della sua band precedente, quei Myssouri comunque artefici di brani dal sapore amaro che tanto piacciono allo scriba.

Hilarious Death Blues è un pomeriggio di oceanica intensità, capo chino, mente bagnata da una scrittura matura e intensa, tra generi musicali che baciano la sua generosità, la sua intenzione di non svestirsi dei suoi abiti gonfi di storie dalla saliva oscura.

Con l’armonica e la sua chitarra dal ventre insanguinato, Michael si è spinto con coraggio sulle orme di David Eugene Edwards ma con la propria sensibilità, in un album doppio per seminare ortiche e vesti strappate, come un Nick Cave perso nelle strategie di canzoni oblique, dai volti bisognosi di acqua. Perché queste composizioni bagnano, rinfrescano la mente, donano coscienza verso pensieri che necessitano di lampioni accesi tutto il giorno.

Dialoghi biblici tra angeli dal sorriso sinistro, la montagna cupa della sopravvivenza del dolore che frana nel suo inchiostro, dentro un dark-folk magnetico e magmatico, dove non c’è modo di non rimanere affascinati, dove l’ammirazione nasce da una voce calda che descrive il tempo e i luoghi come una benedizione sdraiata sulla nostra fame di canzoni miracolosamente semplici ma decisive.

Nell’ascolto di queste ventuno tracce si rischia l’asfissia, di visitare il suo talento beffardo che se ne frega del nostro bisogno di conforto: le sue mani tracciano situazioni anacronistiche e pensieri che smuovono lo stomaco, come fosse una lunga composizione, una recita teatrale in due tempi dove non si garantisce un morbido respiro.

E sta proprio in questo aspetto la quota enorme di questo album: la capacità di trasportarci in zone mistiche, impervie, piene di sale e ferite urlanti, tramite la sua dolce voce che supporta ogni dolore.

L’impianto musicale diviene catartico e mutevole quanto basta per farci intendere la profondità delle corde di chitarre piene di ombre, tra arpeggi e ritmi country che si addentrano nelle zolle secche. Ed è tormenta di note che soffocano la vita: vinta la sfida, tutto cade dentro pianti che consolano perché l’umanità di cui lui canta ha bisogno di emozioni.

Un capolavoro assoluto, quindi incompreso da quelle masse di persone che cercano immediatezza e leggerezza senza impegno.

Vorrei però invitare a intravedere, che a volte costituisce l’anticipo del vedere, quanta vagabonda e meravigliosa intensità viaggi dentro questo lavoro, così connesso ad altri maestri di poesia, di storie accecate, acciaccate, violente ma dai suoni morbidi. Perché questo è il disco: incantevole nella dolcezza estetica, diabolico nei testi.

Cito una cover che trovate in questo album: Decades dei Joy Division, perfettamente contestualizzata nell’involucro delle sue canzoni, che illumina la tristezza come un colpo di tosse tra i sentieri di alta montagna. Semplicemente monumentale.

Come lo sono tutte le altre tracce per un disco da avere assolutamente, per non privarsi dei miracoli che possono rendere migliori la nostra esistenza.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

26 Ottobre 2022


 https://open.spotify.com/album/46HYY7fTxWYo0Yby8ms3ru?si=l_ajAK8dTG6Fai08DyyMfw







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