venerdì 4 marzo 2022

La mia Recensione: Rover - Rover

 La mia Recensione 


Rover - Rover


L’orologio della tristezza ha le lancette che si muovono sempre, perché loro vanno avanti anche quando noi le vorremmo in uno stato di paralisi. Ma il tempo ha deciso per loro, come per se stesso.


Quando poi la disperazione, l’amarezza, l’inquietudine ed il senso di smarrimento si riuniscono e vanno da lui, allora tutto è inevitabile: ci sarà da riflettere con la testa pesante ed in fase di stordimento continuo.


Timothée Régnier è un’anima francese, dai tratti somatici vistosamente connessi alla sua musica, una damigiana di vino inebriante ma spesso indigesta, specialmente per chi preferisce l’acqua che fa scorrere velocemente tutto.

Senza impegno.


Oggi vi parlo del suo album di esordio, una sbornia che ottunde le persone superficiali, senza possibilità di sentire vie di fuga.

È uno spogliarello di rose che cadono nude per terra, avendo già visto le lacrime seccarsi.

Si è messo talmente a nudo che lo si sente tremare davanti a chi lo evita, perché affrontare i tormenti di un individuo è sempre un esercizio che si preferisce evitare.


Eppure vi sono trame che conoscono la morbidezza, direi anche la leggerezza, tra le pieghe di un album che pur vivendo tra note come nebulosa in fase di schianto sa mostrarne la scia, dove i colori hanno significato, come opposizione estrema e necessaria.

Ascoltare questo lavoro è percorrere il sentiero in penombra che non avrà mai moti di condivisione di massa, perché dove c’è una turbolenza si prende sempre la strada più vicina. La paura della mente sconfigge anche le contraddizioni del cuore.

Timothée è un fuoriclasse senza sciabole, senza armamenti eccessivi, senza l’attitudine all’attacco. Sembra dimesso ma non lo è.

È un universo con il suo ossigeno dal sapore di morte che incanta per la sua autenticità. Mi pare un buon inizio.


E se avete pensieri che attendono di essere innescati, stiate certi che il cavaliere nero dal fare quasi pop saprà farli saltare in piedi, senza il giubbotto antiproiettile, perché lui sfida le porte in quanto sa di poterle sbattere.


Un album che è destinato all’eternità, parlavo del tempo e delle lancette, ricordate? 

Ascoltandolo ci si accorge come i generi musicali che vengono tratteggiati sono predisposti ad agglomerarsi nello spazio traslucido dello smarrimento, come una festa pagana sul sagrato di una chiesa in fiamme.


Ascoltare le 12 lancette è sedersi su ciò che si muove, con la sensazione di scomodità ma anche di una effervescenza inspiegabile e così elegante, sicuramente fuori da questo tempo attuale, così incurante di chi è lento e interessato alla introspezione.

Ok, si parte per visitare i secondi di questo orologio che sembra molto di più una clessidra se la si guarda bene…


Canzone per canzone


Aqualast


La prima lancetta ha le corde della chitarra accordata sul Re Maggiore dei Radiohead, mentre la voce, come puledro senza direzione né padroni, si fa un giro tra originalità varie e occhiolini quasi nascosti verso cantanti maledetti e ben coperti dai loro colletti. Tracce di Beatles mostrano la profondità di impronte non cancellabili. Ed è un atteggiamento psichedelico quello che perviene e che ammanta.



Remember 


La seconda lancetta è quasi obesa e ruvida: sarà la chitarra, sarà la voce che sembra una lamiera che cade dal cielo, in un volo incredibilmente morbido.

I quintali di tristezza e amarezze scivolano per nascondersi ma non fanno in tempo: si vedono, eccome.

Un ritornello che si canta piangendo e poi si corre con questo basso, insieme a voci di vergini medievali, per poter sentire il peso del dolore…


Tonight


La terza lancetta, invidiosa della seconda, corre pure lei, con chitarre come granate che esplodono con fare circolare, ricordando i Kiss con il loro brano più famoso.

Poi, però, tutto diventa terribilmente serio, la tastiera che congela ogni entusiasmo e le parole, che da sole basterebbero per deglutire ogni lacrima nascente, finiscono per precipitare nel vuoto. E il falsetto che vola per scappare via.

Vediamo allora affacciarsi Jeff Buckley, quello triste e bellissimo.



Queen Of The Fools


Con la quarta lancetta andiamo a trovare la poesia sonora di Neil Hannon con i suoi Divine Comedy, per un viaggio quasi psichedelico, sicuramente colorato dalla attitudine francese a nascondere l’ammirazione per il lato pop della Terra d’Albione.

La canzone sfreccia, danza, con parole di metallo, sagge, grevi, come pietra colante ossigeno ormai all’estremo delle sue forze. E non ci rimane che il dipinto di folli felici e della loro Regina…



Wedding Bells


Tutto precipita con la quinta lancetta: Timothée toglie il velo dell’amarezza e concede alla sua nudità il sollievo del crollo, partendo dal tono greve della sua voce, che cerca il torbido con il suo registro basso.

Come una vecchia ricerca sonora - teatrale dei Pulp, tutto diventa un recitativo che invade, ruba e muore tra emozioni sedute sopra le spettrali note di un pianoforte potente e la chitarra che con pochi accenni ci frantuma, mentre il basso si concede quella morbidezza che alla fine ci fa sospirare.



Lou


Prendi le chitarre, un basso, una tastiera, una batteria e una voce come sbadiglio eccitato: inizierai a vedere le piume della sesta lancetta.

Tutto sembra essere un sole improvviso qui: non siate ingenui e superficiali, c’è un trattato di malinconia che si esibisce in questi minuti con maestria e furbizia, perché solo agli stolti sarà concesso di illudersi.

Siamo negli anni 60, come un tuffo improvviso, sulla costa nord degli Stati Uniti, ma nel ventre della canzone la Francia reclama la sua porzione di considerazione.



Silver


Lancetta numero 7.

Il numero del mistero conosce onde spavalde di chitarre polverose, arrivano dal sud degli USA, con le scarpe piene di polvere date dal cammino inarrestabile del buon Timothée che qui concede agli angeli del tempo un po’ di luce.

Ma strizzate le orecchie: la slide guitar è una assassina, prende il cuore del cantante francese e lo fa scendere all’inferno con lei…



Champagne


Rufus Wainwright telefona: per l’ottava lancetta vuole cavalcare il tempo e si affaccia, Timothée allarga le braccia in una accoglienza piena e tutto vibra tra la tastiera e il basso che si baciano felici, mentre la canzone ci porta in Galles a prendere del tè con i Gorky's Zygotic Mynci…


Carry on


La potenza si mostra all’inizio della nona lancetta: dura per pochissimo, tutto va anestetizzato, si deve entrare nel vestito di una disperazione che ha poche forze, i raggi del sole che non riescono a farsi vedere e tutto torna nel vestito di una storia disperata che colora di tempesta questa voce, che più che mai diventa drammatica e invadente. Le chitarre tratteggiano note di buio in avanzamento e la turbolenza delle semplici tastiere rendano l’ascolto un atto magnetico.



Late Night Love


Quelle che si sentono all’inizio sembrano proprio delle lancette, veloci, con l’ansia sulla pelle. Sono le decime.

Come una marcia funebre moderna, tutto diventa una coda lunga, la voce sembra quella di un Tom McRae con la tristezza giù per le corde vocali. 

Tutto è ferita, la musica come un lutto moderno, mentre tenta di essere una scintilla viva, ogni cosa invece muore inconsapevolmente.





Full Of Grace 


Undicesima lancetta: la chitarra come un passo ubriaco ci stordisce, poi Timothée apre la bocca e tutto diventa la sintesi di un folk-noir dipinto di un rock greve senza essere metallico, scorribanda lenta dentro gli aghi della voce, l’atmosfera come quella di un aereo militare con il freno a mano nel cielo, che è perplesso e preoccupato.

Nella foresta nera tedesca il sibilo dei Coil con gli Swans a trattare l’armistizio del mondo mentre i Wovenhand escono a fare la scorta.

Quando la tragedia profuma di bellezza.



Father I Can’t Explain 


Il Tempo decide che all’ultima lancetta sia concessa l’illusione della dolcezza, avendo in dote tre minuti e otto secondi di aria, passeranno velocissimi.

Come se Lou Reed cercasse adepti, e David Bowie accennasse al consenso, la canzone è un passo di danza blues, con i bottoni puliti e la cravatta. Ma il cuore che palpita ha tremori e cedimenti.



In conclusione.


Dopo l’ascolto di questo album ci si ritrova a riconsiderare il viaggio della storia, di cosa la musica permette di vivere e cosa invece neghi.

Sì, è così, perché ciò spiega perché questo artista non sia arrivato al successo. Ma quest’ultimo non serve, non aumenta il valore in sé, certi album nascono per rimanere soli ma non per questo sono privi di senso e ossigeno.

Chi accoglie le forme ampie dell’arte troverà in queste lancette uno dei modi concreti per vivere il tempo.


Alex Dematteis 

Musicshockworld 

Salford

4 Marzo 2022


https://open.spotify.com/album/65jtY7eQJAhmCrT9JG60RX?si=8stsECTYSo6r5CHZ6I04cg


https://music.apple.com/gb/album/rover/501793644









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