La mia Recensione
Emily Jane White - Alluvion
Nessuno ama tanto i segreti quanto chi non ha intenzione di mantenerli.
(Charles Caleb Colton)
Eccomi, come fedele suddito di Charles Colton: vi racconto un segreto, dolcissimo, valido, eloquente e stupendo, che vive dentro un fascio di luce arancione e blu cobalto.
Il blu cobalto è un colore scoperto nel 1802 e questa musica contenuta dentro “Alluvion” pare provenire spesso proprio da molto lontano: una vicenda entusiasmante e sensuale che può scioccare per bellezza e profondità.
La ragazza di Oakland sa come nutrire le stelle dei nostri sogni, come essere un pugno che conosce modi soffici per comunicare l’ampiezza delle sue argomentazioni e necessità, umane e non solo artistiche.
Il contenuto di questo lavoro spazia come navicella in perenne movimento, indaffarata perché ha tanto da donare e moltissimi sono i luoghi dove depositare questi incanti che banalmente chiamiamo canzoni: è tutto molto di più che un insieme di canzoni, molto di più.
Emily è un’anima che si spoglia, che indaga, annota, riporta con suoni e parole l’immensità del suo sentire e capire.
C’è un acume, una raffinatezza, un fare inusuale che ingloba particelle che lei colora di vita armoniosa: sarà la sua voce (diamante puro che esplode nel cuore) o la sua musica (una gentilezza continua, come un soffio unico senza fine), e sarà sicuramente anche molto altro, ma qui siamo dentro il mistero che ci fa belli in ognuno dei quarantaquattro minuti dell’album.
E nel suo settimo sigillo c’è spazio anche per le sue perdite personali, traumi e difficoltà, ma non è un regalo il suo che ci conduce a rifiutarli.
Al contrario: lei ha trasformato tutto in armonia ed eleganza, rispettando se stessa e l’ascoltatore dandoci il suo processo di trasformazione.
Partita dal folk, mano a mano col passare degli anni ha saputo far confluire nella sua sensibilità e progettualità artistica il bisogno di aggiungere altri elementi.
Ed ecco che la parte elettronica, il pop, il Dreampop e lo Shoegaze entrano nei solchi di “Alluvion”.
La delicatezza del suo electropop è un capolavoro: consente voli fantasiosi senza sosta e sorrisi che convincono la mente a crescere.
Rimane intatta, come minimo comune denominatore del suo passato, la sua capacità di essere propensa a una intimità che ci permette di notarla, senza farle però del male.
Perché in Emily convivono perfettamente la forza e la fragilità, come un incanto che stordisce e genera reazioni bellissime.
E nel disco trovano spazio anche la morte, il covid, la violenza della Polizia, le donne ammazzate. Perché esiste anche la sua saggezza e volontà di parlare del lato oscuro umano: e lo fa perfettamente.
Ora mi accingo a descrivere ognuna delle canzoni comprese in questo eccellente fiume di dense canzoni.
E al momento questo è il mio album preferito del 2022. Senza dubbi.
Song by song
Show me the war
È la guerra con i suoi flussi di sangue che invade i respiri di chi rimane in vita ad aprire l’album: una marcia funebre elegante, tra elettronica e groppo in gola ed un cantato che è una pallottola bellissima…
Crepuscule
E sulla perdita di qualcuno la seconda canzone mostra come si possa cantare il dolore utilizzando una melodia breve, con la chitarra che con poche note cattura il senso del lutto e poi via per un ritornello che apre le braccia della solidarietà.
Heresy (feat. DARKSHER)
Un pianoforte, poi accordi che si appesantiscono, precedono lo sguardo di ciò che è sbagliato, con il tentativo riuscito di mantenere il dramma nel breve ritornello. La canzone è come un gospel senza futuro, con una sirena d’allarme della nostra coscienza a tenerci vigili, mentre fuori la crudeltà continua ed il piano, tristemente, ci affascina…
Poisoned
Con un attacco folk alla Amy Macdonald, Emily annota il dolore del circostante, ma come sua grande peculiarità lascia alla musica tracce di dramma con un leggero sollievo, non vuole ferirci a morte, ci tiene in vita con una canzone che apparentemente sembra vivere dentro una vivacità che, visto il testo, pare un atto forzato, per una finestra bellissima.
Body Against The Gun
Un neofolk con la maschera del carnevale più lucido conduce all’ascolto di un brano che sembra muoversi così bene fino a regalarci scintille di Heather Nova e Tori Amos, in uno scenario dove la morte ci mostra corpi freddi ed il silenzio è acceso da un pianoforte instancabile.
The Hands Above Me
Se i Cure fossero ancora malinconici avrebbero queste chitarre, mentre le voci raddoppiate raccontano di un fiato trattenuto, di tradimenti. Come se la Coldwave potesse incontrare la dolcezza, echi di Darkwave tenuta ferma con il cuscino, mentre Emily si rivolge alla sua America con voce tremante e forte al contempo, con le chitarre che portano via la gioia e la lasciano nel cielo.
Mute Swan
Identità che cambiano, domande che nascono all’improvviso ed eccoci dentro Mute Swan, un mantra sottile dalla tastiera possente e profonda, a narcotizzare il senso di smarrimento, con echi di elettronica a sedurre il respiro. Emily fa salire il suo registro di voce verso il cielo, mentre tutto graffia i pensieri che diventano scatole nere che vorrebbero sciogliersi. Ed un coltello rimane nei paraggi con il supporto di questa musica come una ipnosi elegante…
Hold Them Alive
Una canzone con le bende, brandelli di fiducia che non urlano più, una passeggiata iniziata da un piano che incontra una chitarra che secca ed essenziale fa esplodere la rabbia lentamente: non c’è bisogno di distorsioni perché è già tutto depositato nel testo. E non rimane che la Natura a consolarci, a donarci briciole di bellezza. E questa voce che vola nel cuore come uno spillo che sa pungere in modo diverso. Ma il finale regala lampi di musica barocca con un vestito moderno: quando la tristezza può divenire attraente e bellissima!
Hollow Hearth
Micheal Nyman e Lorena McKennitt sembrano abbracciarsi convinti che Emily sia la voce giusta per cantare questo brano, che è un elenco di generosità con il respiro decadente, dove il futuro muore quasi subito, utilizzando la morbidezza di una melodia che è una strega nascosta nella baia di Oakland.
I Spent the Years Frozen
Il fuoco scende dal cielo come se fosse un fascio di violìni e clavicembali con un suono rinnovato per trovarsi di fronte uno scenario ghiacciato nel quale vivere lo stordimento dei sensi. Ed è un dramma che la musica, saggiamente, pare nascondere, con le sue variazioni melodiche. Però ciò che è drammatico non puoi evitare sempre di trattenerlo e allora ecco che Emily dà alla sua voce il ruolo di aprirci gli occhi.
Battle Call
Ed ecco che l’ultimo brano sembra una doccia per nascondere il dramma di questo mondo, sapendo che nella vita moderna non c’è nulla che possa purificare davvero le tragedie di queste esistenza crudele. Tamburi e chitarre grasse si alleano ad un pianoforte che si flette dentro note alte, in una marcia di addio al pianeta che rivela tutto lo sconforto che attraversa la nostra ignoranza. Un modo sontuoso e veemente per congedarsi.
Un album decisamente gotico, intenso, pregno di una coscienza che spaventa chi crede che il mondo sia ancora un luogo bello e la vita una vicenda facile. Emily è una fata che porta verità scomode e lo fa con la capacità di regalare musiche che sanno miscelare drammaticità e fiori di poesia. Intanto, attorno, noi ci ritroviamo con “Everything that I see, life’s blood raining down on me, no blind divinity justifies this to me”.
Un Capolavoro, lo è per davvero, che viaggia da solo: non abbandoniamolo…
Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
27 Marzo 2022
https://emilyjanewhite.bandcamp.com/album/alluvion
https://open.spotify.com/album/2QiW6mdBWnYY7ygqhAj6wh?si=57O3DbAaQBayBARPV1_NTg
Il tuo raccontare la visione femminile denota come sempre analisi profonde, una ricerca dell'essere compiuto, quasi totale. Ti avvicini a questa sensibilità con la tua estrema capacità di immedesimarti e immergerti nella musica e nel profondo sentire. Grazie per l'ennesima scoperta da conservare come perle rare. MARI.
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