martedì 15 marzo 2022

La mia Recensione: Cult Strange - Rites of Passage

 La mia Recensione 


Cult Strange - Rites of Passage


Coloro che non imparano nulla dai fatti sgradevoli della loro vita costringono la coscienza cosmica a farli riprodurre tante volte quanto necessario per imparare ciò che insegna il dramma di ciò che è successo. Quello che neghi ti sottopone. Quello che accetti ti trasforma.
Carl Gustav Jung


La sfiducia avanza, scava la fossa a tutte le anime che ancora credono nel prossimo, le ombre malefiche lanciano strali, iniettano il seme del marcio in ogni sorriso. E la passione dal rosso passa al nero, come fatto ineludibile e necessario.

Esiste un centro di osservazione di questi mutamenti che passano dai solchi soffocanti della band, emblema di una acuta osservazione dei fatti del mondo, che con la sua opera sofferta stabilisce il confine tra il terrore e la necessità di fuga.

Spiace per voi ma non avrete scampo.

A loro bastano quattro coltellate nelle vostre difese zuccherose.

In quindici minuti sarete pelle secca, dal loro torbido fiato vi sentirete spegnere.

Aleph Kali, già cavaliero corsaro con Altar de Fey, qui con la specificazione di Omega, è il licantropo che rovista nelle nostri carni, imperterrito.

Orde di schiavi si ammassano davanti agli occhi degli indiavolati di Oakland, obbedienti ad una spirale sonora che avvolge le menti e le congeda dal sogno.

Le vesti si frantumano davanti a queste chitarre che scoppiano e riducono le orecchie in preghiere, non ascoltate, e le malattie nascono per colpire velocemente.

Soffermarsi sulla densità di queste composizioni significa sentirne le pulsioni che faticano a rimanere in questi minuti.

Riesco a sentire una fiumana di detriti che non trovano posto ma che, condensandosi, suggeriscono alle quattro  schegge trame ed evoluzioni trasversali.

Il caos qui sembra la soluzione e non la forma di disperazione: un’edera cavalcante piena di nervi che avverti con il basso che esplode sulle mura di ogni impalcatura per poi diventare un cumulo che ricostruisce la casa.

La batteria è frenetica, proviene in qualche modo da noduli tumorali di qualche tribù segreta. È devastante perché vive in simbiosi con i suoi dintorni che sono rovine metalliche, in quanto le distorsioni con pedaliere provenienti dalle chitarre non abbisognano di tanti varianti per ferire l’apparato uditivo.

Un suono conturbante, salato, sulle mani screpolate e sui pensieri ormai in caduta libera.

I Cult Strange spingono sul ritmo: senza fiato non si può erigere alcuna difesa valida. 

In questo è esemplare il riferimento ai Red Lorry Yellow Lorry di Sages of Din di cui vi parlerò dopo.

Ecco il segreto, così temuto, che apre le porte del mistero: nei richiami di certi fragori britannici delle oscure Brighton e Londra la band americana ricama voluttuose trame abbaglianti per tagliare il cordone ombelicale.

Più ascolti queste canzoni e più senti che deve esserci un mare che li mette al sicuro.

Sì.

Deve essere così.

Perché mentre le ascolti scivoli verso il fondale dell’oceano, dove trovi le vittime del terremoto del 1906 che travolse la vicina San Francisco.

E i Cult Strange sembrano suonare per quegli spiriti persi e soffocati, ascoltando le loro pene che ancora si agitano e creano onde pesanti.

La loro musica la puoi ballare con le lacrime che contorcendosi per darsi coraggio volano all’indietro. La velocità  è concepita come metodo per sferrare attacchi, come serpenti che si svegliano attaccando subito per procurarsi del cibo.

Ora vi porto nella East Bay dove i quattro pugnali trafficano sulle vittime ignare…



Song by Song


Slave to the Algorithm 


L’inizio del brano è micidiale: chitarra tesa a cacciare le ombre in un brutto guaio perché lei non ha paura di sicuro. 

Esiste una quota di malvagità che sconvolge, con il cantato che è una processione, supportata dagli altri tre musicisti: prendi i New York Dolls dal lato senza sole e gettali nel basso rotolante e nelle chitarre sontuose e perverse e tutto sarà chiaro.

Alla batteria resta solo il compito di frustare quelle povere ombre che muoiono senza aver creduto possibile tutto questo. Come opener track è perfetta: se l’inizio può essere di derivazione glam rock, ti rendi presto conto che tutto dilaga in splendide divagazioni dissonanti.



A Rose of Chaos


Un drumming spavaldo, uscito da una cantina piena di polvere degli anni 70, apre la danza sbilenca e accattivante.

Poi la voce e la chitarra sposano un’idea di rito grondante Deathrock di purissima classe.

Puoi udire echi di Germs e Consumers a dare ispirazione involontaria a questa corsa a pestare le rose nel chaos: aleggia continuamente l’idea che anche i Virgin Prunes soffino qui tutta la loro follia, specialmente nella modalità del cantato. E che un fare macabro - esoterico sia il sovrano di questa chicca assoluta.


Sages of Din


Come dicevo prima abbiamo nel terzo brano l’impressione che il basso e la chitarra siano i semi lanciati in aria dai Red Lorry Yellow Lorry, elaborati e sacrificati ma comunque presenti. 

Ma è solo una piccola frazione: esistono quote di purezza e unicità nel fare di questa canzone un manifesto di un genere musicale in evoluzione. È un feticcio di estremo valore che è a disposizione di chi non trema innanzi alle idee di dissotterrare spoglie mortali.



Hex/Pox/Vex


Un basso melodico più che mai è pronto ad ingannarci: tutto diventa stridore, lame a scendere nei polmoni, le voci raddoppiate le i Sex Gang Children a benedire il tutto.

E Aleph a rendere Peter Murphy un sacerdote malvagio.

Lo shock è dato da un brutale atteggiamento nel creare una cavalcata spavalda e menefreghista per uccidere ogni bagliore di luce.

Maestosa, offre elementi di eleganza nella sua attitudine a divenire l’apoteosi che esalta i residenti delle tenebre.


Un Ep seducente e angosciante da servire come pasto notturno: sia lode a Oakland per offrirci cotanta bellezza.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

15 Marzo 2022


https://cultstrange.bandcamp.com/releases




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