Leech - Sapperlot
Il cielo, dalle parti di Strengelbach, nel canton Argovia, è un testimone cosciente di flussi energetici pregni di astensione e gentili esercizi melodici che provengono dal quintetto svizzero che con l’ultimo lavoro si è concesso una navigazione tra le nuvole, in un binomio continuo tra l’essenza della musica che pilota i sogni e i fantasmi indecenti della realtà.
L’emozione vince sulla fisicità immersa nell’astratto e il concetto che insegue le somme della bellezza, in cui la contaminazione è una freccia contemplativa che si attacca alla sperimentazione, nell’imbuto dello smarrimento il senso di perdita acquista sensualità e l’esistenza ultraterrena converge in uno stato di sospensione.
I cinque manipolano ventotto anni di carriera per sintetizzare il poderoso imprinting post-rock e dirigersi verso una mastodontica foresta colma di colorati fiori ambient e in un pop pieno di vette attrattive che cambiano lo sguardo del loro percorso. Ecco che la loro arte si trasforma in un abbraccio seducente fatto di segnali luminosi che modificano il passato in un presente non più ipnotico e cadenzato, bensì in un groviglio di magia che bacia il battito con riff meno adiacenti alla tristezza e un uso più evidente di tastiere, piano, vibrafoni, per rendere sottile il dolore di un caos che in queste sette tracce è evidente, come domanda e non come risposta al trambusto sonoro quotidiano.
Si sale in montagna, con una pragmatica propensione a trovare due situazioni per ogni singola canzone: un loop su cui l’insieme si fa adiacenza mutante, e un secondo momento nel quale il cambio ritmo, reale o apparente, muta gli accordi e le percezioni. Questo è un atipico stratagemma per fare un concept album, non per argomenti (no, non si commetta l’errore di pensare che un album strumentale non possa essere anche un concept sonoro…), ma grazie alla costruzione aritmetica che diventa un aquilone in grado di trascinare le pulsioni verso il senso di vuoto che viene obbligato a compiere un percorso di riempimento, riesce a realizzare il desiderio.
Quando la poesia non ha bisogno delle parole allora si rimane basiti, defraudati delle proprie abitudini (stupide), e si corre il rischio di imparare che da queste sette tracce esiste la scorciatoia nei confronti della flessibilità mentale.
Nel gioco delle visioni tutto si rimpicciolisce perché la band svizzera sfrutta l’ossessione del dettaglio, della ripetizione, in una corsa pirata nell’individuazione dello stretto necessario, per rendere l’ascolto un manichino di seta, in una giornata nella quale ciò che arriva è una valanga, sostanzialmente lenta, quindi ancora più greve e spavalda.
Il post-rock degli esordi rimane una intuizione, una necessità che riduce l’impatto verso la perdizione, ma, in questo gioiello balsamico, fa da spalla e non riveste il ruolo principale, per nutrire una vorticosa aspirazione di schemi stilistici ormai saturi, tra ripetizioni che ogni genere musicale tende a vivere.
Sorpresa, rinnovamento, percorsi nuovi che riempiono le strade degli ascolti verso una tempesta al rallentatore, in cui il proprio destino è quello di scrivere, nella propria mente, una storia che ci vede sconfitti con onore…
Sapperlot è una sfida segreta alla vita, nessuna foto, poco cinema, qualche proiezione, solo una lenta tazza di caffè che entra nel cuore, lasciando un gusto afono, un brivido di paura e sgomento, con carezze vitaminiche che ci riportano al tempo in cui la musica era una carneficina, data la somma di emozioni che si subivano, senza potersi opporre. Ed è ciò che accade in questo contesto: la clessidra scivola, tutto si fa sghembo, e una lucidità nucleare fa esplodere i nostri spasmi.
Il rock dei Leech è un'anestesia, un piacevole inganno, una viscerale protesta nei confronti dell’affanno e una cura razionale verso le esagerazioni di un'industria musicale che non coltiva più la bellezza vergine della magia.
Non è chiaro da dove nasca questa attitudine del gruppo a sorprendere gli ambitissimi spazi dello smarrimento, della perdita, in un quasi silenzio che opera in frequenze a stretto contatto con l’assimilazione di giochi prospettici diretti, diritti, mai abitati dalla ingenuità. Si piange sorridendo, si sogna camminando, si fa l’amore tremando, e ci si dirige nella periferia del tempo, con il dono di perderlo del tutto.
In questa simbiosi di stili e generi musicali, niente è vacante, e la melodia, un tempo conferita dagli incroci di chitarre piene di sale e pepe, oggi preferisce dare alla tastiera la guida, per rendere più tiepidi i raggi solari di queste morbide frustrate, in un bacio tra rive piene di acqua e tormento. Un’orchestra che pare comprendere tutti i 540 strumenti musicali, nell’apoteosi che mette il cielo in ginocchio.
Urs Meyer come sempre prende la sua sei corde e cammina tra le ortiche, Marcel Meyer fa lo stesso, utilizzando però anche le tastiere. Serge Olan suona la batteria come se dovesse farci toccare la vibrazione del tempo, in un applauso all’Olimpo continuo. David Hofmann gioca da playmaker, distribuendo il suo talento tra il basso, le chitarre e la tastiera. Alessandro Giannelli siede su uno sgabello per illuminare l’armonia con la tastiera, il vibrafono e spostandosi per percuotere tenui tamburi.
Sono cavalieri silenziosi di una solennità che turba, entra nei nostri balbettanti contorsionismi, distribuendo pillole di saggezza, proferendo una sola parola in tutto l’album: Love…
Ed è proprio l’amore da cui arriva l’idea, il concetto di una espiazione minimalista che induce chi ascolta a riflettere sul significato di un rapporto impari: sono canzoni che ammutoliscono, non permettendo assolutamente di rivelare cosa la cassa toracica stia vivendo.
Ossessionante è la ricerca di una produzione capace di guarire l’anomalia moderna che non la vede più come parte integrante di un percorso di costruzione. Qui, invece, si assiste a un patto, compatto, di alleanze e proiezioni.
Ed è shock, che si attacca alla speranza che il disco non finisca, in quanto in ogni rapporto salute e malattia diventano complici di un progetto celeste: sono note che scendono per volare nell’acqua, nella rovente estate dell’esistenza, dove il calore rende secca la gioia.
Vengono colpite, secondo dopo secondo, le zone del pressapochismo, del dilettantismo osceno, con un esame di maturità di cui il Vecchio Scriba è certo non verrà compresa l’importanza: con un lavoro come questo si diventa gnomi nel circo delle aquile volanti, senza becco, senza cibo ma con la pancia degli occhi sazia…
È tempo di perlustrare questi vicoli: allacciate le cinture e bevete un bicchiere di vino rosso, perché nella lentezza del sapore vive il segreto di ogni scintilla di intelligenza…
Song by Song
1 - Knock Knock
Knock Knock è uno shock: scintille di Beautiful People dei Marilyn Manson sembrano confiscare una intera carriera ma è solo un attimo, basta avere pazienza e noterete come le note grasse e distorte si combinano con la strategia ipnotica delle tastiere e del piano, per legittimare il volo di un masso…
2 - Rotor Heart
Ancora un suono denso iniziale, e poi il ritmo si mette una corsa sulle spalle, con il basso che grattugia le scie del cielo e il verticale ingresso delle tastiere fa oscillare la sensazione che un ciliegio abbia abbandonato la stabilità per divenire una impronta di luce. Il drumming dipinge la traiettoria, la tastiera sembra un sax in una giornata priva di nuvole e il fiato diventa la prigione di un sogno senza più piume…
3 - Crown Me With Whisper
Una ipnotica danza del pensiero si traveste, nel circolo atmosferico di una tastiera che circonda l’asfalto, in un sottile approcciarsi a drammatiche visioni tipiche della western music, per collaudare l’approccio all’ambient e alla world music, consentendo alla lentezza di essere una spugna, dove i drammi delle nuvole arrivano ai nostri sensi. Il drumming è una marcia che pare portare le chitarre a dormire sul ciglio di una strada senza pareti…
4 - Pick A Cloud
Nyman e Sakamoto, uniti anche se in due dimensioni diverse, prendono appunti nei primi secondi del brano, e poi è un vistoso e antico gioco mnemonico di cosa fosse il post-rock agli albori, un dilemma ritmico che non riesce a togliersi di dosso il fiato di una pulsante radioattività melodica: poche note possono bastare a rendere lucido il volto…
5 - Starmina
Si rallenta il ritmo, ma aumenta il senso di perdita, di struggimento che plana in una zona in cui le note paiono in attesa: non di una esplosione bensì di una fuga sommessa, pacifica e silente. Invece no: tutto si fa mistero e, come in un film di Bergman, il precipizio sembra un piacevole luogo dove rendere mute le stelle. Un carillon dei sensi che diviene più pesante, irrobustito da una chitarra che gratta via la pelle, lentamente…
6 - Alfonso’s Night
Di cosa è fatto il vento? Qual è la sua velocità ideale? Dove vorrebbe andare e cosa gli impedisce di raggiungere l’obiettivo? Chiedetelo a Alfonso’s Night: in questa gemma poliedrica sicuramente troviamo custodito il mistero, in una seduta psicologica dove l’ipnosi è data da un rovistare tra le vene di una emozione ridotta al minimo, ma urlante… Si piange con ossessione e gravità, in un cilindro che sembra aspettare la traiettoria ritmica che arriva quando Serge batte il suo piede sulla grancassa e i suoni si fanno più sibilanti. Momento strategico che ci riporta alla mente il brano di Peter Gabriel nel film Birdy - Le ali della libertà, quando lui riesce a volare ed è evidente che accada anche qui: siamo tutti uccelli in un volo pieno di tristezza celestiale…
7 - Everything Will Be The Same
Lottare contro il destino, l’ostinata volontà dell’uomo di ripetere ogni sciocchezza viene evidenziata da questa litania sepolcrale, summa dell’intero lavoro: si alzano le spalle, sgomenti, si trovano brillantini sonori che sembrano carezze davanti al cadavere della esistenza. Rimane l’amore. Pronunciato. Descritto con questo assione che rende i circuiti elettrici del cervello in trepidante attesa, un addio che non si può fermare. Il brano mostra più varietà rispetto agli altri sei in quanto deve ospitare una serie di addii, di congedi, un abbraccio liquido che con coraggio ci riporta nella condizione di intendere che quello che abbiamo ascoltato è uno spettacolare volo di piume abbandonate per sempre alla loro bellezza… E in questa lacrima la loro musica si siede per baciarci, nel tempo di un sodalizio che avrà reso noi tutti esseri viventi fortunati…
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