Lorenzo del Pero - Nato nel giorno dei morti
“La morte e la vita non cambiano mai”
Francesco Guccini
La permanenza degli uomini sul pianeta Terra è una successione di disastri ripetuti, di coscienze private della libertà perché altre, esseri incoscienti, cancellano l’equilibrio e la giustizia. Ci sono voci che sono corpi pieni di proiettili, fermi, non uccidono, ma mostrano la fatica, la rabbia, l’indignazione, lo studio della fallibilità umana e difendono il corpo di una vita sconfitta con la poesia magica di un lamento dentro note musicali e trame argute, come un termometro lanciato sulle proprie ferite. Il talentuoso Lorenzo del Pero è una di queste sillabe, un uomo in ostaggio dell’infelicità che viene regalata dai potenti, dagli ingiusti, e che ha formato una modalità nuova per non rimanere muto. Un insieme di canzoni straordinarie, non adatte alle persone superficiali, ai ciechi per convenienza, ai sordi distratti da suoni ipnotici che tolgono la capacità di comprendere ciò che accade. Un album che mostra la misura della morte che, spavalda, offre il suo ghigno a chi ama distruggere un dono così prezioso come la vita. Non è un rosario di lamentele bensì una lettura, poetica e potente, che ingloba la scrittura di una ribellione che nasce solo da antenne pulite che possono ricevere e mandare messaggi di riscatto, per nutrire una pianta senza corteccia che aspetta il declino.
Lorenzo ha dato spazio al rock sapiente, quello che usa il rumore solo quando occorre, concedendo spazio ai silenzi e ad atmosfere rarefatte con vocaboli, storie, ragionamenti colmi di vibrazioni nucleari. L’artista pistoiese urla ancora, si dimena e percuote ma, rispetto al passato, trova un equilibrio fenomenale, fatto che gli permette di tenere alta la tensione per tutte e dieci le tracce. Inevitabile pensare che spesso ci vengono alla mente Jimmy Gnecco degli Ours e Jeff Buckley sotto acido, mostrando un piglio americano, con chitarre che sono ferite nella carne, per poi adoperare il suo stile cantautorale, come una dovuta anestesia, come il gesto che pone questo insieme sulla bilancia per lasciare tutto integro. Il lavoro con Flavio Ferri e Marco Olivotto ha donato al suo stile e alla sua inclinazione possibilità diverse, direi proprio una crescita notevole, per un perimetro musicale dai confini più ampi, con una fantasia e libertà di esposizione che regalano alla fine dell’ascolto l’impressione di una freschezza e vitalità che meglio si adattano al suo talento, chiaro come la luce di una grotta insanguinata, alla ricerca di un respiro. Si tocca il cielo dove vive la religione, riusciamo a scorgere le carte truccate di una politica schifosa, comprendiamo l’ansia di una soffocante disperazione, constatiamo la lunga fila di sentimenti che vengono schiacciati da comportamenti sempre più indifferenti al rispetto e alla condivisione più pura. Una trascinante processione di personaggi dalle mani pesanti, di storie nelle quali le parole di Lorenzo compiono il gesto sfrontato di una sincerità totale, assumendosi responsabilità e una croce continua, pesante ma necessaria. Principe di approcci nei confronti di chi, come lui, considera il mondo un grande cimitero di rifiuti tossici, si addentra nei vicoli di pensieri che vibrano, con la musica che ispira i suoi percorsi diretti, senza concessione alla falsità. Dato il taglio degli argomenti, ciò che si trova è uno specchio che svela le malefatte, gli sbagli ripetuti, e lui, tramite la sua voce al vetriolo, ci convince della sua autenticità, regalando un imbarazzo che ci fa compiere lo sforzo di crescere. Ruota una molecola di rock intimista, a volte quasi slow core, sicuramente un piccolo ventaglio ad aggiustare la rotta rispetto al suo passato: una modalità espressiva più snella, commovente e ancora straziante, per l’apoteosi che si inoltra nell’alternative prossimo a quello degli anni Novanta.
I volti, i respiri, le battute d’arresto, i precipizi nervosi sono largamente espressi da una scrittura precisa come un bisturi che, con calore e passione, interviene sulla pelle per renderla ubbidiente al suo senso di giustizia.
La sacralità è un brusio fastidioso che l’artista usa, schiaffeggiando l’ipocrisia attraverso un apparato fatto di note con l’anima blues, una invocazione che offre il cadavere di un pessimismo naturale, evidenziato ed espresso senza timore. Con la formula di un sistema rock capace di evidenziare la potenza del suono, di ritmiche quasi sempre lente e deliziosamente pesanti, ci si ritrova con il riflesso di un tempo lontano nel quale produzione e arrangiamenti indirizzano la nascita dell’armonia verso un robusto palco che sostiene le torture morali di queste liriche che non concedono pause e tentennamenti. Nato il giorno dei morti è un kamikaze indomito, sorretto da una tempra resistente, un gioiello che scuote e che non scherza affatto: il dolore vissuto, espresso e rappresentato come un rosario ateo, è un boomerang che partendo da Lorenzo arriva a far tremare troni, cieli, ipocrisie, mettendo le divinità di fronte alle proprie colpe. Un disco dove l’amore non è una apparenza di comodo, bensì l'appuntamento con la responsabilità, un impegno che si mette nei panni di una madre mentre perde un figlio, di atti osceni in un teatro ribelle, nel palcoscenico delle movenze come fiumi di barbarie senza via di fuga. Il dito medio, la pulsione punk non serve al poeta del dolore: il suo vocabolario morale è un oceano di consapevolezze che devono diventare uno tsunami innaturale, senza paure, in grado di intossicare i pensieri. Bandisce i tradimenti e con il suo vibrato, il registro alto ma mai tedioso, riesce anche a divenire una carezza, piena di ansia e di progetti, per dare al cielo una possibilità di vedere il nostro pianeta migliorato.
Impressionante è la miscela di un fare quasi anacronistico utilizzando le nuove possibilità che la tecnologia moderna offre: si ottiene una credibilità che davvero fa dire al Vecchio Scriba che Lorenzo del Pero è cresciuto in modo esponenziale, senza dover rimpiangere le antiche abitudini, non cercando la comfort zone ma con la decisione di gettarsi con ostinazione in una correttezza che l’attuale musica italiana manca di mostrare.
Di certo il suo osare supera di gran lunga la propensione di colleghi più famosi e amati: questo aspetto depone a favore di questo coraggioso artista che nel suo specificare non teme paragoni, non perde tempo, oscilla sempre tra la verità e il voler modificare la storia. Non subisce ma patisce l’immobilità di un mondo che gli fa venire le rughe nei pensieri. Lotta e conquista una posizione che gli si deve riconoscere su larga scala: un album così potente non lo ascoltavamo da tanti anni. Tocca a noi non sprecare questo invito alla coscienza…
Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
30 Ottobre 2023
L'album uscirà il 3 di Novembre per l'etichetta Vrec
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