sabato 7 gennaio 2023

La mia Recensione: This Social Coil - Octatabylus

  This Social Coil - Octatabylus


Ritrovarsi bambini, estasiati, mentre si corre dentro le note di un album struggente, colmo di poesia ipnotica, inseminata di deflagrazioni trattenute, con la propensione ad arricchire il pianto umano con disarmante intensità e capacità. Il settimo lavoro è planato tra circumnavigazioni multiple, in un crescendo di descrizioni plurime delle quali non si possono trattenere l’ampiezza e la capacità di portarci nel gelido e nel calore dell’anima: un matrimonio di cui queste canzoni tratteggiano la forma, con l’intenzione di diventare eterne. Portare la loro ricerca filosofica al cospetto delle nostre inadeguate capacità di apprendimento rende i membri di questa band perfetti, distanti e unici. Da sempre desiderosi di avvicinare gli estremi stilistici del post-punk e del post-rock, come da ordine divino inseriscono anche elementi shoegaze per ampliare la gittata delle loro fascinazioni, decisamente meticolose e ben specificate, in un alveare sonoro che rimbalza tra i palpiti della nostra gioia vestita di grigio.

Non si riesce a credere a quanta continuità stilistica approdi nei fiumi del loro cratere artistico: un buco che spinge le loro attrazioni verso la lentezza, come se il suono fosse una piuma al cui interno inserire un sasso. Operazione difficilissima, ma a loro riesce, ed è un miracolo di cui necessitiamo la ripetizione, finendo per ascoltare le dodici fluorescenze musicali con stordimento.

Canzoni come dialogo interno, le bocche votate al silenzio, le mani a toccare gli strumenti con decadente attitudine per portarle alla resa ma renderli capaci di far uscire gocce di pioggia autunnale. Ed è magia dentro l’emisfero inebetito di sensi sparpagliati, consumati e afflitti da sensi di colpa, sebbene la melodia sembri far resuscitare spesso il loro martirio. Però, se l’ascolto è impegnato nella ricerca dei segreti più intimi, allora non vi è dubbio che Octatabylus sarà il primo afflato magnetico di questo 2023.

Si aprono gli inutili accostamenti stilistici solo per chi considera la musica un gioco, un blasfemo indovinello: date retta al vecchio scriba e fate assentare la stupidità, perché in questo album vi è personalità e cifra stilistica propria tanto da non dover sprecare il vostro tempo. Si consiglia la visione di un film di Luis Buñuel, di prepararsi con la lettura di un libro (perfetto sarebbe Georg Wilhelm Friedrich Hegel) e poi barricarsi con le cuffie e una bevanda calda: riti propiziatori per poter afferrare le onde che i tedeschi generano e che vi condurranno in un luogo potente. Siatene certi, non lo troverete nella carta toponomastica…

Sentirsi privilegiati dal fatto di poter ascoltare cotanta rarefatta dinamica percettiva è un evento raro: gli incroci di viali alberati tra note magiche e quelle che hanno il nero stampato sulla pelle rende tutto un insieme di fasci di luci in contemplazione, dove il risultato è un urlo con l’eco pieno di riverbero nella nostra mente.

Cosa volete che si scriva innanzi alla certezza che siamo beneficiari di una ricerca psicologica che riesce perfettamente a entrare dentro l’arte musicale? Si potrebbe dire che non è la prima volta, ma la fattura di questo lavoro è incandescente tra i blocchi ghiacciati delle nostre lande cerebrali sempre meno attratte dal voler capire. Sì, è musica per riflettere, dentro l’abbandono continuo che ci rende silenti, obbedienti, storditi e tumefatti, perché la vera bellezza fa male alla pelle dei nostri egoismi.

Le chitarre sono grappoli di anidride carbonica che attaccano la storia dello shoegaze: mutano e non vogliono essere definite, diventano nomadi viaggiando verso il post-punk insieme a tastiere semplicemente beffarde. Il basso in tutto l’album è una preghiera che si rende visibile sopra i tetti dei nostri sguardi, nel cielo che, insieme alla potente batteria, delinea la potenza che si rende ferita per tutto questo disco. È un inghippo, una sfida, una pazzia cercare di separarsi da questo ascolto che non ci rende stremati ma devoti: la prima forma di fedeltà è nata a inizio anno ed è il segno evidente che gli Dei dell’Olimpo ancora si fidano di noi umani…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

7 Gennaio 2023


https://thissocialcoil.bandcamp.com/album/octatabylus









giovedì 5 gennaio 2023

La mia Recensione: Songs From Savo Karelia - A Neofolk Compilation

 



Songs From Savo Karelia - A Neofolk Compilation


Il vostro vecchio scriba dalla notte dei tempi prova una fascinazione totale nei confronti del Neofolk, un bisogno viscerale di rimanere inghiottito nel fango liturgico di atmosfere all’insegna di voli decadenti, con strutture evocative che ci regalano clessidre per vivere il tempo al quale non avremmo altrimenti possibilità di accesso.

Impossibile non tener conto di sentimenti romantici travolti da disillusioni che fagocitano il pensiero verso strade buie, dove però non manca la lucidità e la forza per mantenere il contatto con propositi dalle braccia aperte.

Allegorie medievali, simboli in viaggio perenne verso l’estasi della nostra eccitazione e una nutrita schiera di folletti e streghe varie nuotano spesso nell’immaginario di testi votati a favole amniotiche.


Le fonti di ispirazione per questo genere musicale sono frequentemente introverse, di difficile masticazione, per poter creare la necessità artigiana di piccoli laboratori nei quali però la mente possa sentirsi libera di perlustrare le zone impervie del mondo. Libri, tavole antiche, racconti, esperienze febbricitanti di spasmi dolorosi, tutto questo viene messo sotto una lente dove i suoni possano essere cornacchie esibizioniste, con il becco operoso per picchiare la pelle delle nostre multiple insicurezze.

E poi sguardi continui verso la politica, gli eventi della vita, le ambasce fluide, le identità sessuali, le frustrazioni del tempo che corrode: un campionario infinito che affluisce e genera una matassa di elementi di cui tenere conto.


In tale doverosa ma minima precisazione, gli artisti che gravitano in questo mondo sono moltissimi e occorrerebbe aggiungere nei nostri ascolti anche loro: le sorprese, il nutrimento, il godimento sarebbero facilmente riscontrabili e credo pure necessari. Ovviamente esistono branchie, sacche naturali derivative, miscelanze varie con altri generi, e non sempre risulta semplice districarsi e intendere bene ciò che si ascolta. Ma troviamo semi puri, riconoscibili, punti fermi per non avere dubbi.

In tutto ciò lo scriba, adorante e felicemente perso nell’ascolto, vi consiglia questa compilation della Savo-Karelia, una casa discografica finlandese capace di accogliere gruppi musicali con diverse inclinazioni, stili, generi che la rendono estremamente interessante e credo anche indispensabile. 


L’ultimo giorno dello scorso anno è uscita una compilation che come un lampo diurno, tra luci tumefatte e stanche, ha illuminato lo scriba, che ha deciso di raccontare queste composizioni così terse, come un fedele alleato: si comprende perfettamente la magnificenza di cui sono composte, ed è necessario perlustrare questo corpo musicale con i suoi viadotti, le sue colline, le liturgie decadenti, i fumi di polveri glaciali e maledetti, con l’agglomerato pulsante di magneti in cerca di prede a cui avvinghiarsi.


Nove band per nove micidiali rappresentanti famelici di esplorare e consolidare il percorso dove poter piantare bandiere, rendere esplicabili immagini e sensazioni che ruotano nel ventre, supportate da chitarre acustiche e pratiche sonore collegate a richiami industrial e alla psichedelia più eterea, attraverso tastiere e organi che masticano catarro e saliva. Le voci, lacrime ascensionali e piene di saggezza, veicolano miscele di tenebre e di stupore, sospese tra riverberi e cantilene come preghiere gnostiche, per suscitare domande curiose.


Quando l’enfasi trova queste maestose dimostrazioni di donare fremiti si ha la garanzia assoluta di un beneficio statico, permanente, in progressiva dilatazione. Bozzetti melodici avanzano tra gli accordi saturi di limpida nuvolosità, in ossimori generosi e sfibranti, a cui non è possibile rifiutare un patto di non belligeranza. Sintomatologie varie rivelano la quantità di interventi chirurgici che le canzoni compiono verso temi importanti e decisivi, con il risultato di lastre dove il gioco del bianco e nero svela la sua essenza. Queste band confermano, stupiscono, spingono l’ascolto verso l’inverno della mente, per lasciare intatte le tracce di processioni senza volontà di resa.


Le impronte cinematografiche e narrative sono molteplici, evidenti ed esigono la vostra attenzione: vi sono scenari inusuali per clamorose evocazioni che non meritano l’assenza. I padri spirituali Douglas Pierce e David Tibet credo che firmerebbero volentieri un’ammissione di gradimento, perché non è nel nuovo e nella musica originale che il piacere cerca una cuccia. E in questo album gli artisti si sono dati davvero da fare per esibire un campionario di luci sommesse, di sentimenti in pellegrinaggio. Le ambiguità qui risultano essere pregi, le incandescenze demarcano il confine tra il bisogno e la colpa e la musica diventa, conseguentemente, mantra e coperta per parole spesse volte pregne di mistero. Lei invece, la musica, non lo è: limpidamente svela e alleggerisce. Ma quando diventa anche lei pesante non lo fa con rumori, distorsioni, o quant’altro: le riesce benissimo ingrassare il nero e renderlo opaco.


Per una volta lo scriba rinuncia alla descrizione di ogni canzone: vi lascia liberi di scoprire le immensità che potrebbero condurvi a una nuova Itaca, circondata da quel mar Ionio che sarà sicuramente contento di trasportare le efficaci note di questa compilation…


Alex Dematteis

Musicshockworld 

Salford

6 Gennaio 2023


https://savo-karelianproductions.bandcamp.com/album/songs-from-savo-karelia-a-neofolk-compilation




mercoledì 4 gennaio 2023

My Review: Iamnoone - together alone

 Iamnoone - together alone


To lose someone, something, to feel thoughts become tangles without solutions, to plunge into the attempt to deliberate a primitive but necessary sentence: having to bring out a way of being oneself, without obligatorily changing one's identity altogether.

In the final zone of pandemic, the two golden-hearted and black-nailed horsemen settle a decisive uppercut in the centre of our waverings: Iamnoone returns to teach us a new attitude with a crystal painting that will transport us to a renewed consciousness, without being in need of oxygen tanks.

While remaining, with regard to the musical style, always in the vicinity of clouds with grey skin, the duo accelerates the choice of a pop methodology that makes this album a gem of absolute value, for a creativity that allows two different entities of expression to be able to coexist peacefully, without quarrels.

Personal relationships (so severely scarred, compromised, imploded and exploded in nearly three years) are filtered, blessed, shaken, put back into circulation on the streets of the world with eight satellite blasts, because from a distance the sounds don't hurt and the colours can still be seen: the best work of the two guys has the wisdom, the skill of a cautious hurricane, making us dance on the waves of a Post-punk kept at bay, giving Cold Wave the task of piloting the sensory ship trying to keep on board prisms of Minimal Wave. With the almost carefree freshness of Pop splinters to make it all a bit sparkling.

Loneliness becomes the centrality that is processed, sought at its devastating and corrosive core, to determine choices that can give a modicum of colour to purple and bloodless faces. Philippe and Seth enter the laboratory equipped with intentions, tools, studies and a flashlight in their minds, to make the murky visible while finding a place to position a new temple. It is always the night that fills the drive of their creations, but there is an intention to leave the darkness alone, to put it to the test.

Judges, priests, doctors, scientists, masons, dancers: Iamnoone knows multiple ways to capture the essential and to release doubts from the cage. But the latter still breathes within their compositions, just enough to give continuity to the previous ones without having to experience the trauma of a divorce.

A work that declares its autonomy and detachment from opposing forces because it has within it pillars of dancing concrete, capable of running away from any possible attack and criticism. Something magically invulnerable comes out of these grooves, and it is incandescent at the end of our listening, even if the musical genres are unfairly associated with coldness. Between the music and the words, our hearts become pyres in a perpetual state of celebration, we have good reason for it, given the quality we are offered to not only enjoy but more importantly to grow. 

Musically: the guitars become less obvious but no less industrious, on the contrary, there is a sublime work of excellent contortions, of wandering movements that give meaning to the main matrix of the compositions which is conferred by the combination of bass and synth. And so it is a trinomial that sounds like a gothic orchestra in a state of grace in contact with the sky, unfiltered, to give complexity and harmony, to make the songs become a compact spark with a thousand entrances and with no exit because one has the feeling that only what is needed goes in, without wavering.

The album slips into the caves where identity deals with the empty spaces and the ones swollen with happenings that have dismembered truths and authenticities, finding a way to untie the knot that threatened to make every perception commit suicide. 

It is time to close the eyes dancing and to examine this record song by song, the old scribe will be moved in stable intensity...


Song by Song


1 - king of pain


Can one be more robust without relying on a plethora of sound normally used by the majority? Of course one can: the opening song of this work proves it to us, as the band finds (seemingly) delicate ways to define an obvious expressive growth but the whole is a well-placed slap, giving synth inlays the impression of relying on downhill dreams, while instead we witness human limitations unable to grasp how much feelings have changed, ending up as a tenuous storm. 


2 - martyr of love


A dancing cross, a dark diamond of Nordic origin, wanders as if afraid, with Seth's linear bass full of melancholy, while Philippe becomes a dreamy circle, over a Coldwave base of guitars in the rear but perfect to guard the texture of a synth in a state of grace: give Iamnoone a few notes and you get the impression of a bullet full of moonbeams.


3 - together alone


Here is the pop face covering Seth's work, supported then by a piano with notes like autumn fertiliser, for the album's title song. What a splendor this embrace between the violent oxymoron and a danceable propensity: and it is love at first sweat. The Italo Dance of the 1980s (the  one with quality and class) has been dusted off magnetically, while maintaining the stylistic gloom of the Italian duo.


4 - happiness


Let the old followers of the two leaden enchantments rest assured: there is still the known and adored DNA in the veins of Philippe and Seth, but here the past is a calf-biting feline excuse because, while we weep with a memory of ancient expanses of well-being (and everything would seem straightforward compared to the dark dish one is used to with them), we also have glimmers of light coming through guitar chimes reminiscent of The Edge and a melody almost on the current of an enchanting carefreeness.


5 - the edge of the world 


We are aboard the stars that offers time to leave it up to us to choose how to waste it... And it is wonder in permanent circulation with this chemical delight that makes our thinking a dutiful contrast agent, allowing the band to determine how things are: they seek and find the summa of their compositional quality and bring it under the sun. Let perfection be in plain sight, always. Drops of Minimal Wave that kiss Coldwave, in the circle of jubilation of sterilized references. 


6 - wasn't you 


Please unroll the carpet of ancient pearls: Iamnoone becomes an unquestionably sovereign of the enchantment that combines the need to absolutely learn from contrary events, being able not to get the musical petals they grew up with out of their skin, bringing into our layers a perfect combo of melancholy and postmodern power in celestial parade.


7 - the broken spell 


Seth takes the lens and lays it on the strings of his bass: and it is the banquet of trembling sound that exhibits its glacial molecule, in generous abundance. The song is a sting in an igloo seeking embrace, the guitar is a sieve able to deflesh, the synth notes kiss the games of the Gods of Darkness, and everything seems to be the atmospheric stench after a nuclear mushroom: the broken spell finds its throne to celebrate the massive sadness that in Philippe's theatrical and magnetic voice perfects the case of a diamond of infinite beauty that we can see among these sound waves.


8 - falling on my knees 


Let forgiveness determine the value of feelings: to do so, the closing track seals the whole album, with a musical move that makes the style and concreteness of this killer but silk-gloved duo unattainable. The pace is always consistently fast, but it experiences a slowness within it whose presence we feel, which deceives and takes over as this composition completes the absolute growth of the messengers of the dutiful replacement of behavioral designs. Coldwave puts the polish on the ten fingers and sketches magic and madness, fear and devotion, for a resounding end that establishes the band's final entry into the golden-faced artistic circus...

Alex Dematteis
Musicschockworld
Salford
5th January 2023

Album out on 6th January 2023

The album will be available here:


Thanks to Cold Transmission Music




La mia Recensione: Iamnoone - together alone

Iamnoone - together alone


Perdere qualcuno, qualcosa, sentire i pensieri divenire grovigli senza soluzioni, immergersi nel tentativo di deliberare una sentenza primitiva ma doverosa: dover far emergere una modalità di essere se stessi, senza obbligatoriamente cambiare del tutto la propria identità.

Nella zona finale della pandemia i due cavalieri dal cuore dorato e dalle unghie nere sistemano al centro dei nostri tentennamenti un uppercut decisivo: gli Iamnoone tornano per insegnarci una nuova attitudine con un dipinto di cristalli che ci trasporterà verso la coscienza rinnovata, senza essere bisognosa di bombole di ossigeno.

Pur rimanendo come stile musicale sempre nei dintorni di nuvole con la pelle grigia, il duo accelera la scelta di una  metodica pop che rende questo album una chicca di assoluto valore, per una creatività che permette a due diverse entità di espressione di poter convivere serenamente, senza litigi.

I rapporti personali (così gravemente segnati, compromessi, implosi ed esplosi in quasi tre anni) vengono filtrati, benedetti, scossi, rimessi in circolo per le strade del mondo con otto esplosioni satellitari, perché da lontano i suoni non fanno male e i colori si riescono comunque vedere: il lavoro migliore dei due ha la saggezza, l’abilità di un uragano cauto, che ci fa danzare sulle onde di un Post-punk tenuto a bada, dando alla Cold Wave il compito di pilotare la navicella sensoriale cercando di tenere a bordo prismi di Minimal Wave. Con la freschezza quasi spensierata di schegge Pop a rendere il tutto un po’ frizzante.

La solitudine diventa la centralità che viene processata, cercata nel suo nucleo devastante e corrosivo, per determinare scelte che possano dare un minimo di colore a volti paonazzi, esangui. Philippe e Seth entrano nel laboratorio provvisti di intenzioni, strumenti, studi e una torcia nella mente, per rendere visibile il torbido e al contempo trovare un luogo dove collocare un nuovo tempio. È sempre la notte a riempire la pulsione delle loro creazioni, ma c’è l’intenzione di lasciare l’oscurità da sola, di metterla alla prova.

Giudici, preti, dottori, scienziati, muratori, ballerini: gli Iamnoone conoscono molteplici modalità per catturare l’essenziale e per liberare i dubbi dalla gabbia. Ma quest’ultima respira ancora dentro le loro composizioni, quel poco che serve per dare continuità a quelle precedenti senza dover vivere il trauma di un divorzio.

Un lavoro che dichiara la propria autonomia e il proprio distacco da forze contrarie perché ha al suo interno pilastri di cemento armato danzante, capaci di correre via da ogni eventuale attacco e critica. Qualcosa di magicamente invulnerabile esce da questi solchi, ed è incandescente il finale di questo ascolto, seppure i generi musicali siano ingiustamente associati alla freddezza. Tra musiche e parole i nostri cuori diventano roghi in perenne stato di celebrazione, ne abbiamo ben donde, vista la qualità che ci viene offerta per poter non solo godere ma soprattutto crescere. 

Musicalmente: le chitarre si fanno meno evidenti ma non per questo meno operose, anzi, c’è un lavoro sublime di contorsionismi eccellenti, di movimenti girovaghi che danno senso alla matrice principale delle composizioni che è conferito dal binomio basso e synth. Ed è dunque un trinomio che sembra un’orchestra gotica in stato di grazia a contatto con il cielo, senza filtri, per dare complessità e armonia, per far divenire le canzoni una scintilla compatta dai mille ingressi e da nessuna uscita perché per davvero si ha la sensazione che entri solo quello che serve, senza tentennamenti.

L’album scivola nelle cavità dove l’identità fa i conti con gli spazi vuoti e quelli gonfi di accadimenti che hanno smembrato le verità e le autenticità, trovando il modo per sciogliere il nodo che rischiava di far suicidare ogni percezione. 

Il tempo di chiudere gli occhi danzando e poi via, canzone dopo canzone, il vecchio scriba si commuoverà in stabile intensità…


Song by Song


1 - king of pain


Si può risultare più robusti senza per questo affidarsi a una pletora sonora normalmente usata dai più? Certo che sì: la canzone di apertura di questo lavoro ce lo dimostra, perché la band trova modalità  (apparentemente) delicate per definire una evidente crescita espressiva ma l’insieme è uno schiaffo ben assestato, dando a intarsi di synth l’impressione di affidarsi a sogni in discesa libera, mentre invece assistiamo ai limiti umani incapaci di intendere quanto siano cambiati i sentimenti, finendo per divenire una tenue tempesta. 


2 -  martyr of love


Una croce danzante, brillante oscuro di provenienza nordica, vaga come impaurita, con il basso lineare di Seth pieno di malinconia, mentre Philippe diventa un cerchio onirico, su una base Coldwave delle chitarre in retrovia ma perfette per fare da guardiano della trama di un synth in stato di grazia: date poche note agli Iamnoone e avrete l’impressione di un pallottoliere fertile di raggi lunari.


3 -  together alone


Ecco la faccia pop che ricopre il lavoro di Seth, supportato poi da un piano dalle note come concime autunnale, per la canzone che dà il titolo all’album. Che splendore questo abbraccio tra l’ossimoro violento e la propensione danzereccia: ed è amore a primo sudore colante. La Italo Dance degli anni ’80 (quella di qualità e di classe) trova una rispolverata magnetica, mantenendo però la cupezza stilistica del duo italiano.


4 - happiness


Che i vecchi seguaci dei due incanti plumbei stiano tranquilli: c’è ancora il conosciuto e adorato Dna nelle vene di Philippe e Seth, ma qui il passato è una scusa felina che morde i polpacci perché, se da una parte si piange con un ricordo di antiche distese di benessere (e tutto sembrerebbe lineare rispetto alla pietanza oscura a cui si è abituati con loro), dall’altra abbiamo anche bagliori di luce che passano attraverso rintocchi di chitarra che richiama The Edge e una melodia quasi sulla corrente di una incantevole spensieratezza.


5 - the edge of the world 


Siamo a bordo delle stelle che portano il tempo a lasciare a noi la scelta di come sprecarlo… Ed è meraviglia in circolo permanente con questa delizia chimica che rende il nostro pensare un liquido di contrasto doveroso, consentendo alla band di determinare come stanno le cose: cercano e trovano la summa della loro qualità compositiva e la portano sotto il sole. Che la perfezione sia ben in vista, sempre. Gocce di Minimal Wave a baciare la Coldwave, nel girone del tripudio di richiami sterilizzati. 


6 - wasn’t you 


Srotolate il tappeto di perle antiche: gli Iamnoone diventano indiscutibilmente sovrani dell’incanto che unisce la necessità di imparare assolutamente dagli eventi contrari, essendo capaci di non togliersi dalla pelle i petali musicali con cui sono cresciuti, portando nei nostri strati un combo perfetto di melanconia e potenza postmoderna in parata celestiale.


7 - the broken spell 


Seth prende la lente e la posa sulle corde del suo basso: ed è il banchetto del suono tremante che esibisce la sua molecola glaciale, in generosa abbondanza. Il brano è una puntura in un igloo in cerca di abbracci, la chitarra è un setaccio che scarnifica, le note di synth baciano i giochi degli Dèi delle tenebre e tutto sembra essere il puzzo atmosferico dopo un fungo nucleare: l’incantesimo spezzato trova il suo trono per celebrare la tristezza massiccia che nella voce teatrale e magnetica di Philippe perfeziona la custodia di un diamante dalla bellezza infinita che possiamo vedere tra queste onde sonore.


8 - falling on my knees 


Che sia il perdono a stabilire il valore dei sentimenti: per farlo il brano di chiusura suggella tutto l’album, con una mossa musicale che rende irraggiungibili lo stile e la concretezza di questo duo assassino ma dai guanti di seta. Il ritmo è sempre costantemente veloce, ma vive una lentezza al suo interno di cui sentiamo la presenza, che inganna e prende il sopravvento, perché questa composizione completa l’assoluta crescita dei messaggeri del doveroso ricambio di disegni comportamentali. La Coldwave mette lo smalto sulle dieci dita e tratteggia magia e follia, paura e devozione, per un clamoroso finale che stabilisce l’ingresso definitivo della band nel circo artistico dal volto dorato…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

5 Gennaio 2023


L'album esce domani 6 Gennaio 2023

Sarà disponibile a questo link:

https://iamnoone1.bandcamp.com/album/together-alone

Grazie a Cold Transmission Music



 


martedì 3 gennaio 2023

La mia Recensione: The Slow Readers Club - Modernise

 The Slow Readers Club - Modernise


Il mondo conserva una sola bellezza: quella di non cedere.

Ci vuole una forza incredibile per vivere dentro questo impeto, spesso non credibile, vista la massa infinita di violenze che lo rendono pressoché bruttissimo e insostenibile. E la residenza di questa bellezza rivela contraddizioni che diventano respiri torbidi e annacquati, senza una parvenza di credibilità…

Manchester la grigia, l’intossicata di fragili tendenze tecnologiche, di pulsioni verso l’assoluta distruzione di un glorioso passato, la nuova città liberale connessa a una americanizzazione pesante, ha tra i suoi cittadini quattro ragazzi che sanno mediare perfettamente e riducono il disastro con un atteggiamento tra il progressista e il conservatore. E, nella loro costante crescita artistica, sono in grado di connettere quella umana con sguardi, tecniche,  sogni e abilità che traducono il talento in una casa piena di ogni tesoro necessario, sapendo custodire quello che fuori potrebbe smarrirsi. Ma il loro potere più grande è proprio quello di mettere a disposizione del mondo i beni del loro alveare senza veder consumata nemmeno una goccia del loro miele.

La loro avanzata verso traiettorie che possano includere evoluzioni, varianti, ritorni e slanci futuristi è inarrestabile: nuovo esempio è il loro nuovo singolo Modernise, ultimo momento disponibile prima del loro imminente sesto album in studio Knowledge Freedom Power, in uscita il 24 di Febbraio.


Spingono totalmente verso il dark electro mediante il quale, con Cavalcade, avevano incominciato a rendere i cuori di molti pieni di colori e gravidi di ammirazione, con in aggiunta una accortezza maggiore nella fase di produzione, stabilendo il contatto irresistibile di una presa melodica rivisitata e nutrita di moderne espansioni. Ed ecco che tutta l’elettronica rivela il lato composto, ordinato, scheletrico e flessibile al contempo di Aaron Starkie, che prende le redini della band Mancuniana, per trascinare gli altri compagni in una ristrutturazione che fa guadagnare freschezza e nuovi riferimenti stilistici.


Modernise è una danza ipnotica, aggressiva, piena di tagli elettronici, in elevata percentuale di rapimento possibile, per sbalordire e stordire, come un mantra che toglie l’attenzione da tutto il resto. Con un inizio con prodomi ebm, il brano è una corteccia velenosa che stabilisce ciò che il singolo precedente (che dà il titolo all’album) aveva anticipato: vi è una linfa nuova che sembra uscita dai vicoli bizzarri di Manchester, da uffici in cerca di un rimedio alla noia.

Aaron si fa messaggero di quella positività che contagia, nel tempo in cui quella parola ha seminato sconvolgimenti, portando tutto fuori dai blocchi di partenza verso un deciso scatto nel futuro.


Adorabile è la molteplicità dei compromessi tra i membri della band, le alternanze individuali che spalmano la canzone nel territorio dell’evidente controllo delle parti. Il tutto risulta vitaminico, risorsa per nuove riflessioni e per voltare alle spalle al grigio e ai chiaroscuri delle nostre esistenze. Carico di sfumature, di una volontà cosciente che spinge al rifiuto di essere la conseguenza dal proprio passato, il brano offre beats, trucchi e linee irriverenti nei confronti di chi invece si è adagiato su cliché privi di fertilità e modernità. 


Chiarissimo il messaggio per quella che sarà la prima canzone del nuovo album (il coraggio non è mai mancato ai quattro, ammettiamolo), con una apertura verso il tema del lavoro, una rinnovata identità che ci dà la possibilità di vivere, per una modernizzazione più che mai necessaria e inevitabile, un chip mentale che deve costantemente aggiornarsi.


Concludendo: quello che sarà un album tra i più luccicanti del 2023 ha appena donato al mondo un singolo con cui fare l’amore, sorridendo…

Alex Dematteis

Musicschockworld

Salford

4 Gennaio 2023


https://open.spotify.com/track/2q1ckY10MNAl8GvALWWELK?si=r4wF0XopTjC-86Fmq0Wp0g

https://www.youtube.com/watch?v=ah7AXp6FMK4&t=52s









My Review: The Slow Readers Club - Modernise

 The Slow Readers Club - Modernise


The world retains only one beauty: that of not giving in.

It takes incredible strength to live within this enthusiasm, which is often not credible, given the infinite mass of violence that makes it almost ugly and unsustainable. And the residence of this beauty reveals contradictions that become turbid and weaken breaths, without even the appearance of credibility...

Manchester the grey, the city intoxicated by fragile technological tendencies, by impulses towards the absolute destruction of a glorious past, the new liberal town connected to a heavy Americanisation, has among its citizens four guys who know how to mediate perfectly and reduce the disaster with an attitude between the progressive and the conservative. And, in their constant artistic growth, they are able to connect the human one with looks, techniques, dreams and skills that translate talent into a house full of every necessary treasure, managing to guard what could be lost outside. But their greatest power is precisely that of making the goods of their hive available to the world without seeing a single drop of their honey consumed.

Their advance towards trajectories that may include evolutions, variations, comebacks and futuristic leaps is unstoppable: a new example is their new single Modernise, the last available moment before their forthcoming sixth studio album Knowledge Freedom Power, to be released on 24 February.


They push totally towards the dark electro by means of which, with Cavalcade, they had begun to make the hearts of many full of colour and pregnant with admiration, with in addition a greater shrewdness in the production phase, establishing the irresistible contact of a revisited melodic grip and nourished with modern expansions. And here all the electronic music reveal the composed, ordered, skeletal and flexible side of Aaron Starkie, who takes the reins of the Mancunian band, to drag the other comrades in a renovation that gains freshness and new stylistic references.



Modernise is a hypnotic and aggressive dance, full of electronic cuts, as paralyzing as possible, to amaze and stun, like a mantra that takes your attention away from everything else. Beginning with ebm prodomes, the track is a poisonous bark that establishes what the previous single (which gives the album its title) had anticipated: there is a new lifeblood that seems to have come out of the bizarre alleys of Manchester, from offices in search of a remedy to boredom.

Aaron becomes the messenger of that infectious positivity, at a time when that word has sown upheaval, taking everything out of the starting blocks towards a decisive dash into the future.


The multiplicity of compromises among the band members is adorable, as are the individual alternations that spread the song in the territory of evident control of the parts. The whole is vitaminic, a resource for new reflections and for turning our backs on the grey and chiaroscuro of our existences. Loaded with nuances, with a conscious will that pushes the refusal to be the consequence of one's past, the song offers beats, tricks and lines that are irreverent in respect of those who have settled on clichés devoid of fertility and modernity. 


The message for what will be the first song of the new album is very clear (the four guys have never lacked courage, let's admit it), with an opening towards the theme of work, a renewed identity that gives us the possibility of living, for a modernisation that is more necessary and inevitable than ever, a mental chip that must constantly be updated.


In conclusion: what will be one of the most brilliant albums of 2023 has just given the world a single to make love to, smiling...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

4th January 2023

https://open.spotify.com/track/2q1ckY10MNAl8GvALWWELK?si=r4wF0XopTjC-86Fmq0Wp0g

https://www.youtube.com/watch?v=ah7AXp6FMK4&t=52s













lunedì 2 gennaio 2023

La mia Recensione: Motuvius Rex - Black Locust Grove

 Motuvius Rex - Black Locust Grove


Immagini gravide di tensioni e lampi magnetici si alzano, con un volo ferreo, da Louisville, nel Kentucky, per recare danni magnifici, corposi e acidi, nella gramigna incolta della nostra incoscienza. Come un serpente pieno di sabbia, pronto per il suo pasto, Mr. Christopher Shahn Rigsby fa di noi prede assolute. Le sue armi sono due canzoni che arrivano e anestetizzano la nostra convinzione che davanti alla potenza delle cavità oscure ci si possa difendere. In attesa dell’imminente Lp The Vigilant Sower, l’uomo dalla barba epilettica ci infesta e rende giustificato il suo misterioso regno. Visitando luoghi a noi negati, ci insegna la desolazione e la tempesta, le disgrazie e la tossicità mentale, con precisione chirurgica e unghie che si spezzano dentro la sua voce fumogena ma pesante come una lastra di marmo.


Il Maestro dell’inquietudine arriva attraverso la combustione di un folk noir rovistato e rivisitato, sulla strada di un’apocalisse funerea, immediata, con tracce minime del mai rinnegato Gothic Rock. Ma lui ha costruito una macchina del tempo ed è giunto, per noi (ovviamente), dentro la piazza di un paese medioevale, ingrigito e polveroso. Gli odori pesanti sono stati essiccati e messi in un’ampolla. Tornato ai giorni nostri, Christopher li ha utilizzati gettandoli in queste sue lacrime graffiate.


Si passeggia tra i Death in June assediati da torsioni crudeli, i Red Lorry Yellow Lorry come sacerdoti in attesa di punirci, i Fields of the Nephilim massacrati dai dubbi che vorrebbero ammazzare Cthulhu e da una catena di angeli neri in trasferta dentro i nostri rosari arresi e schiacciati da pietre levigate, smussate, abbandonate nel nostro respiro.


Due canzoni che ora entrano nella penna descrittiva del vostro scriba impaurito.


Song by Song 


1 - Black Locust Grove


Fotografie sconsacrate avanzano nei lapilli di chitarre ridondanti, la voce di Christopher invoca quella di Chris Reed, per un sodalizio virtuale immenso, mentre la musica si muove come una clessidra in un giorno di vento: pronta a morire, felicemente, mentre le tenebre allungano le loro mani dentro le creature terrestri. Uccelli e serpenti si inchinano e si avvicinano ai nostri cuori. Si danza su una batteria sincopata e nevrotica, con il basso sovrano: martellate le sue, colpi di ascia che però affascinano, come nella scena maestra del film Shining.



2 - Shattered (Full Gospel)


Pensare possibile un’unione tra i Death In June e i Fields of The Nephilim pare un azzardo figlio di allucinazioni con la bava alla bocca. Ma è cosa vera e giusta e soprattutto possibile e quindi reale: Christopher inscena una recita dove il ritardo dei sensi viene ritmato da un sacro hand clapping, e le chitarre sono secche sentenze come i colpi sui tasti di un piano in decadenza permanente. La malinconia precipita in un catino composto da desideri fustigati e le voci fuori campo rendono il brano la scena di un film pieno di controfigure: quanto sia pericoloso avvicinarsi a disumani desideri lo sappiamo tutti…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

3 Gennaio 20223

https://motuvius.bandcamp.com/album/black-locust-grove

https://open.spotify.com/album/0qiYMUUruih0NqsQXptdlY?si=RmbBaQ8-Q1CRcWLOVWPOAw



 

My Review: Motuvius Rex - Black Locust Grove

 Motuvius Rex - Black Locust Grove


Images pregnant with tension and magnetic flashes rise up, with an iron flight, from Louisville, Kentucky, to do magnificent damages, full-bodied and acidic, in the uncultivated crabgrass of our unconsciousness. Like a snake full of sand, ready for its meal, Mr Christopher Shahn Rigsby makes absolute prey of us. His weapons are two songs that come and anaesthetise our belief that before the power of dark hollows we can defend ourselves. In anticipation of the forthcoming LP The Vigilant Sower, the man with the epileptic beard haunts us and makes his mysterious realm justified. Visiting places denied to us, he teaches us about desolation and storm, misfortune and mental toxicity, with surgical precision and nail that break in his voice which is smoky but heavy as a slab of marble.


The Master of Disquiet arrives through the combustion of a rummaged and revisited folk noir, on the road to a funereal, immediate apocalypse, with minimal traces of the never-renounced Gothic Rock. But he has built a time machine and arrived, for us (of course), inside the square of a medieval town, greying and dusty. The heavy smells were dried out and put into an ampoule. Back in the present day, Christopher used them by throwing them into these scratched tears of his.


We stroll among Death in June besieged by cruel twists, Red Lorry Yellow Lorry as priests waiting to punish us, Fields of the Nephilim slaughtered by doubts that would like to kill Cthulhu and a chain of black angels moving inside our surrendered rosaries and crushed by polished, blunted stones, abandoned in our breath.


Two songs that now enter the descriptive pen of your frightened scribe.


Song by Song 


1 - Black Locust Grove


Deconsecrated photographs advance in the lapilli of redundant guitars, Christopher's voice invokes that of Chris Reed, for an immense virtual partnership, while the music moves like an hourglass on a windy day: ready to die, happily, as darkness stretches its hands inside the earthly creatures. Birds and snakes bow and approach our hearts. We dance to a syncopated, neurotic drumming, with the bass which is sovereign: it produces hammer blows, axe strokes that nonetheless are able to captivate, as in the master scene of the movie The Shining.



2 - Shattered (Full Gospel)


To think of a possible union between Death In June and Fields of The Nephilim seems like a gamble, the result of hallucinations frothing at the mouth. But it is true and right, and above all possible and therefore real: Christopher stages a recital where the delay of the senses is punctuated by sacred hand clapping, and the guitars are as dry as the blows on the keys of a piano in permanent decay. The melancholy precipitates into a bowl composed of flogged desires and the voiceovers make the track the scene of a movie full of stand-ins: we all know how dangerous it is to approach inhuman desires...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

3 January 2023

https://motuvius.bandcamp.com/album/black-locust-grove


https://open.spotify.com/album/0qiYMUUruih0NqsQXptdlY?si=RmbBaQ8-Q1CRcWLOVWPOAw



La mia Recensione: This Way To The Egress - This Delicious Cabaret

 This Way To The Egrees - This Delicious Cabaret



“La felicità, signorina mia, è fatta di attimi di dimenticanza."

Totò


Può mancare lo stato della Pennsylvania nel radar del vecchio scriba?

Certamente no: da quelle parti la musica è acciaio rovente e i trucioli di poesia visitano lande clamorosamente piene di ogni ben di Dio.

Torna a parlare della band di Bethlehem, dello stesso disco che nel 2011 venne posizionato da chi scrive al numero tre degli album più gustosi.

E così ci torna per nostalgia e perché molto partì da lì con una serie di band che si dedicarono a un rispettoso ragionamento e altre che invece preferirono un più comodo copia e incolla, ha sicuramente allargato il campionario delle possibilità di certi generi musicali nella capacità di mescolanze miracolose.

La matrice però riguarda il punto di partenza: cabaret libero di spaziare, tra il folk, il country, l’art-punk e profumi mediterranei atti a soddisfare gli ascoltatori. Si plana nello stato di una colonizzazione devastante, dove le industrie fagocitarono le antiche modalità che rispettavano la Natura e gli esseri umani viaggiavano nell’esistenza senza squilli di tromba.

E i Balcani paiono vivere una nuova stagione trasferendo baracca e burattini nella cittadina americana.

Lì vive una tribù folle, capace di scrivere pagine di musica per portarla nei viali di ogni incertezza cerebrale. Si chiamano This Way To The Egress e hanno in dotazione tutta la passione che si affaccia su metodiche in grado di fare di un album uno spettacolo di strada.

E This Delicious Cabaret è un lavoro che distribuisce allegria, storie senza tempo, e spolvera le nubi della Contee di Northampton e Lehigh per connettere l’umore verso l’incanto, rendendoci bambini affamati di fiabe, strettamente per adulti.

Tutto pare infestato da coriandoli che portano in giro atomi e nubi di incandescenti diavoli, come anche da vittime cerebralmente lese e topi, per un sistema nervoso centrale che dalle crisi emerge sbuffando petrolio. 

Il folk e il blues si mettono il trucco, cappelli di seta pronti a svolazzare dentro questa piovana di un cabaret che semplifica la musica da una parte ma la rende dall’altra il laboratorio perfetto per scorribande che pare renderlo inaccessibile alla comprensione, che è il loro merito più grande.

Violini e mandolini rendono l’atmosfera un viaggio splendido nelle strade della città e la danza che ne consegue porta sorrisi e zucchero filato negli angoli più bisognosi della nostra curiosità. 

Due le voci che ondeggiano, saltano, recitano e santificano, per un risultato che ammalia, supportato da ritmi pieni di sole e vento. 

Le canzoni vengono abitate dal pianoforte più melodico e furibondo al contempo di cui godere, da tromboni sbuffanti carbone, e le storie sembrano centri sociali pieni di girovaghi e anime in pena pronte al trapasso, senza rughe malinconiche nelle loro esistenze.


Il ritmo delle composizioni vive di un’area possente, in libera uscita, con le chitarre e il basso che trovano la poesia non di un sostegno da parte degli altri strumenti, bensì le indicazioni per poter divenire una folla di arti che abbracciano i corpi dei nostri ascolti: la magia di assiomi che circolano col volto lucido e fiero. A volte sembra di trovarsi dentro il tendone di un circo, altre tra le strade di una Parigi vogliosa di un sano caos. Vengono fuori profumi primaverili quando il ritmo incalza, ed è danza, ed è gioia che avanza e seduce, scolpisce pensieri. Il mistero si infittisce quando le voci si inoltrano con dolcezza e tutto incomincia a sembrare un sogno, anche se questo cabaret stabilisce sempre un contatto con vulcani in esplosione.

La vena Jazz, che vive quasi muta, ci riporta a zone periferiche, a giornate stanche, al riassunto di dispersioni in cerca di una mano. Ma il lato drammatico non manca mai di respirare sulle nostre già sconvolte anime in circolo.

E ora via: tuffiamoci, tremanti e bisognosi, in questo mare caldo, undici onde che ci porteranno ai confini del mondo…


Song by Song 


1 - Last Kiss


L’apertura, solenne, magmatica, rovista tra il suono sino ad arrivare a una fisarmonica zingara con la voce di Tyrant Taylor che sembra quella di Tom Waits con meno petrolio ma con più sfumature. Fino alla comparsa di Sarah Egress, perfetta sirena che tra canti, controcanti, sbuffi e risate, si connette in questa musica che rapina i sensi e accelera come un vecchio treno a vapore.


2 - Turpentine


Si prosegue con una marcia tra nuvole e polvere: questa volta tocca a Sarah incantare, con un violino principesco che conduce il brano a farsi progressivamente una giostra di colori e andamenti tzigani di chiara matrice America Dark Folk nel ritornello.


3 - Chapel Hill


Gli Stati Uniti melanconici prendono l’aereo e volano a Parigi: ci troviamo davanti al cabaret come perfetto altare dove presenziare al ciclo della natura in lutto. Ci si sposta poi su una collina per vedere il tutto divenire danza scomposta, allucinata e isterica.  


4 - On a 45


Sia il violino con il vestito da viandante sornione a rendere il brano l’ennesimo gioiello che rivela l’ampiezza culturale/musicale della Pennsylvania: strumenti in stato di continua grazia lo raggiungono e si ascolta una melodia semplice ma assassina attraversare il tempo, con rullate assassine e gonfie di tensione.


5 - Flirtin’ With Death


Quando una marcia funebre si prende la responsabilità di divenire motivo di gioia: il calore del sangue scalda le mani gelide della morte e si indossa un abito musicale apparentemente scarno, ma poi i fiati (strumenti adatti per questa occasione) gonfiano la melodia e il ritmo si fa deciso.


6 - Gypsy Shoe


Impossibile resistere alla strategia di questa canzone: tutto trita la storia di abitanti della confusione che qui vengono allineati verso un ordine che conquista per forza e intelligenza. I cori minimalisti gonfiano il vento e il pianoforte diventa il mago che fa da contrasto al violino e alla fisarmonica, in un duello Gypsy di incantevole fattura.


7 - So What So What


Il Blues veste il dubbio e si getta in cilindri pieni di olio tra il dramma e la poesia per ripristinare il rock ‘n’ roll degli anni 50 con il senso di una transizione che abbisogna di rumori sensoriali, sottocutanei. È un viaggio tra il Jazz-Blues che sembra uscito da una bettola stanca di non avere risposte. Monocorde e magnificente, con la voce grattugiante ma melodica,  che riporta in auge il sud di quegli Stati Uniti pieni di anime in lotta, qui descritte con profonda maestria.

Tutto pare alleggerirsi, farsi più giovane e snello, con soluzione dinamiche mai presenti negli altri brani, almeno all’inizio. L’accessibilità all’ascolto è garantita dall’euforia mostrata, per un teatro di avanguardia che rasenta vestiti pop.


8 - We’ll All Soon Be Dead


Lo stile, di quella parte meno interessante della carriera di Elton John, nei primi secondi, sembra stravolgere l’idea che ci siamo fatti di questo album ma poi, come un miracolo da benedire, un brano che rasenta la perfezione si affaccia in una veloce giornata primaverile. Incursione di stile, di strumenti accordati per dare agli arrangiamenti minimi fiamme orizzontali, per offrire ironia e magnificenza in un pulsare che stimola l’abbraccio. Ironico e spavaldo, sia nella musica che nel testo, il brano è una marcia trionfante.


9 - Swashbuckler 


Il teatro entra nelle nostre case, con aggeggi malefici travestiti da cori con attitudini pop, poi il cambio di ritmo, di atmosfera, un Paolo Conte ringiovanito che sembra uscire dalle ombre di stratagemmi che rendono il brano un putiferio dalle tinte quasi rock. Non si finisce di avere la bocca spalancata…


10 - Delicious Cabaret


Penultimo delirio temporale: avanti e indietro nel tempo e nei luoghi per un brano che riassume l'aspetto tragicomico del cabaret e di una pulsione che viaggia tra il Jazz e lo Swing, senza dimenticare, nel cantato, la radice Folk-Noir Americana. Si canta un taratatà credendo di poter essere spensierati: illusi! E Sarah è una Marlene Dietrich priva di candore, ma perfetta per conferire alla sua parte cantata un podio solo per lei perché nella sua semplicità, che fa da contraltare alla complessità degli elementi musicali esposti, vi è parte del  segreto di questo straordinario album… 


11 - Saint


La frustrazione, l'assoluta necessità di dare alla morte un congedo grazie all'importanza di una figura estrema come quella di un Santo porta Tyrant a scrivere una canzone come trampolino di lancio per un mutamento attitudinale: da gnostico a uomo di fede. Il cantato, che sembra spesso il verso di un cane che rincorre un nemico, diventa l'elemento di spicco che accompagna il testo allucinato, sfibrante ma che descrive la storia in modo sublime. Dalla zona Balcanica alla sponda sud della Spagna, alla zona Provenzale, la musica compie un viaggio sublime, convincente, disegnando tratti di culture in contatto, elemento presente in tutto l'album. Splendida conclusione per queste undici onde che ci hanno resi consapevoli che la magia si muove senza territori né confini...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

2 Gennaio 2022


https://thiswaytotheegress1.bandcamp.com/album/this-delicious-cabaret


https://open.spotify.com/album/1k2v7Ab1BP0fNJ9KHVnZBq?si=XD2MiEHiRCaC0c3HU93Fhg







sabato 31 dicembre 2022

La mia Recensione: Basement Revolver - Embody

 La mia Recensione:


Basement Revolver - Embody


Se esistono sentimenti che definiscono la nostra esistenza basta farsi un giro a Hamilton, nell’Ontario (Canada) e ascoltare questo album assaggiando la poesia del suo lago, che riesce a essere impraticabile d’inverno ma che consolida la potenza dello sguardo dentro la sua potenza oscura. E a decidere il destino dei nostri ascolti è una fata triste che è in grado di disperdere parte di questa realtà nella dolcezza, riuscendo a estirpare sentimenti di solitudine e impossibilità scrivendo canzoni come passi amari sopra i sogni, in un crocevia delizioso, quasi spavaldo.

Si fa coadiuvare da tre compagni dalle braccia delicate ma robuste, come magazzinieri attenti a non rompere, prima ancora che a spostare le loro creazioni dentro i nostri cuori.

Suoni aperti, talvolta cupi, sempre nei pressi di uno Shoegaze minimalista che adopera la calma per anestetizzare l’emarginazione nei testi precisi di Chrisy Hurn-Morrison (la voce più ricca di nuvole al momento), una donna che ha nell’isola la stessa materia ricercatrice che ha nelle mani, in una danza dagli occhi color stupore.

In trentotto minuti non si troverà mai un momento per separarsi da queste onde emotive, da questi ritmi e dalle melodie che celebrano un talento davvero denso di piume che navigano tra la pioggia e il vento dei nostri cuori…

Chrisy mette i pensieri su una barca ed entra nel lago, decidendo di scrivere testi con lo sguardo profondo: in assenza di onde, lei decide di far sprofondare temi dolorosi su un fondale che li attende con tremante dolore. Gli argomenti descritti sono spesso circostanziati a fatti reali e alla propensione di miscelarli con una fantasia che matura riflessioni che non attraccano mai alla depressione. E alla musica viene conferito il ruolo di un coma con onde celebrali che si muovono attente, senza bisogno di foga, per mantenere un’atmosfera generale, abbracciata a dinamiche oniriche, sensuali e prudenti: una saggia modalità da cui imparare. Dilatazioni, tutto sparpagliato con armoniosa capacità, le canzoni sono un concept album razionale e sonoro, un’esplorazione viscerale che alza lo sguardo saltuariamente verso un piccolo cambiamento per dimostrare che anch'esse hanno muscoli nelle braccia. Ma non tirano mai i pugni: tutto in loro è rispettoso anche quando si danza, perché sembrano capaci di dare volutamente alle atmosfere il potere di una leggendaria brina che rende i nostri ascolti nuovi brividi da vivere, gioiosamente.

Le traiettorie presenti fanno di queste canzoni una galleria dove gli affreschi che troviamo solo in parte ricordano i loro primi lavori, tre Ep e cinque singoli, più il precedente Lp Heavy Eyes. È chiaramente vistosa la loro crescita, il complesso di variabilità a loro disposizione, i disegni melodici in estensione, con sfumature evidenti che fanno di questo album una stella marittima dei nostri pensieri.

Capaci di fissare bene nella nostra memoria la svolta dell’indie americano degli anni ’90, hanno saputo andare oltre oceano e venire a guardare qui, nella terra d’Albione, dove hanno trovato arcobaleni Shoegaze con il freno a mano, dove poesia e immaginazione fanno l’amore con grande gentilezza.


Le corsie della loro bellezza si riempiono costantemente di un incrocio alquanto difficile e pericoloso che si specifica nell’unire perfettamente molto spesso Dreampop e Shoegaze, riuscendoci come Dei illuminati da un talento inarrestabile e fluente, con melodie tra il cupo e i raggi di sole, in un impeccabile bacio accademico.


Dimostrando come la pandemia potesse e dovesse essere utilizzata non come noioso passatempo ma come preziosa analisi, in questi solchi troviamo l’amalgama tra il ragionamento e l’incanto di una evidente evoluzione spirituale, dove riescono a materializzare la realtà complessa con il bisogno della semplicità, con l’utilizzo di una misteriosa bacchetta magica. Lo si intende quando, ascoltando queste undici vibranti farfalle, si vola in sali e scendi sensoriali ed emotivi, perdendo la paura, acquisendo consapevolezze che mutano la nostra identità. Sono le chitarre a pilotare ardori, è la batteria che disciplina il buon gusto con l’intelligenza, è il basso a fare del nostro stomaco un teatro sperimentale eccelso.


I quattro fanno continuamente spazio a intuizioni, convergono come unico combo verso la necessità di versare chilometri di vernice dentro una tristezza primitiva, qui sciolta nel mare calmo dei loro scettri. Capaci di fertilizzare le note con sublime maestria, si riesce a vedere tutto il loro corso di manipolazione e l’intenzione di dare ai pensieri una finestra su montagne innevate. Ed è proprio da quest’ultime che scendono ogni tanto delle slavine di suono che eccitano e fanno provare il brivido di una necessaria paura.


Specchi sparsi in ogni testo, in tutte le note, fanno di questo lavoro un atto di disciplina, il necessario sviluppo della conoscenza, con un armamentario vistoso, sempre generoso, per poter invadere con consapevolezza i nostri sensi raggelati. Riuscendo con l’autoanalisi, infine, a fare della musica una bolla promiscua ed efficace, dove tutto accade per un disegno divino che ci fanno vedere, come una concessione necessaria per loro, e che lascia a noi la responsabilità di non sprecare la ricchezza di questo lavoro…


Song by Song


1 - Skin


“Feel you standing there

Try to grin and bear, 

Touch me with your stare”


Ed è delirio sullo stile Catherine Wheel quello che apre l’album, con lo slow-core che si mette addosso abiti Shoegaze, per un incantevole cammino dentro la pelle, tra distorsioni e il basso che bussa al cuore sino a quando l’ipnotica voce di Chrisy ci insemina con petali di poesia.


2 - Be Okay


“In the darkness

It gets hazy

Stuck in its grasp”


La formula rimane quella sognante ma tutto si fa più pieno di muscoli, con la voglia di correre nel buio per sentire l’aria fresca, per rallentare, correre ancora, nella frenesia di chitarre come graffi del vento.


3 - Circles


“Try to take each day that comes

One step at a time

Decluttering my mind”


Siamo dentro una seduta analitica dal risvolto doloroso, con la mente che perlustra sembianze, riflessioni, cerca risposte nel marasma emotivo e razionale.

La musica è una stanza psichedelica, lenta, suggestiva, che bacia la World Music sino a trasferirsi, con eleganza, in un ballo Dreampop con lo sguardo Shoegaze.


4 - Slow


“If I could call you on the telephone

I’d ask you maybe can I just come home

Don’t want to have to prove my innocence”


Lacrime incantevoli necessarie e nutrienti scendono dal trinomio voce - parole - musica per stabilire, sui nostri sensi, una dipendenza assoluta: dove vive l’intensità, la rabbia, la voglia di chiarire, vi sarà sempre un corrispettivo di sensi allineati verso il cielo. Strepitosa dimostrazione di classe, l’atmosfera del brano è una stufa che riesce a far capire il vuoto e il pieno di certe distanze, con la musica che, raccolta in una fascina notturna, suggerisce il chiudere le porte all’imprecisione. Qui tutto è perfetto e quelle lacrime iniziali finiranno per farvi volare via da voi stessi…



5 - Blackhole 


“Every day it feels like more

Weight on my chest

Pushing me down

Consumes my soul”


Tra un a pioggia dissetante e chitarre che seminano sogni, il brano è una testimonianza di delicata propensione a fare dell’amore un luogo aperto, sino ad arrivare al soffocamento in un buco nero. Come la nebbia di novembre, qui si percepisce l’umidità di un sentire che sembra morire, ma saranno proprio queste atmosfere musicali a far divenire il tutto una ninnananna malinconica e perfetta.


6 - Storm


“Maybe I was made to love you

Shake this tired head 

Fill my dry bed”


Rimane la pioggia ad accompagnare questa voce piena di un radioattivo pulsare, uno sgocciolare nel cuore, con una linea melodica affidata a poche ma sensualissime note e un suono che sembra un fischio che bacia un riverbero educato, con il drumming che rende il tutto un eco di potente suggestione, mentre nel ritornello tutto si fa delirio tra il registro alto e le chitarre svolazzanti.


7 - Transatlantic


“Liquid are your thoughts

I hear them flow

Like water trickling”


Che dolcezza sopraffina! Ci si coniuga con diamanti ritmati, tra fusioni di spasmodici desideri che sorpassano le distanze e chitarre in attesa di ruotare e che lo fanno con garbo. Il ritmo è un esercizio di perfetta chimica tra il basso e un drumming che pennella poetiche vampate di gioia. Nel contesto di un testo molto profondo, Chrisy veste la voce di cristalli liquidi nel quale vedere le sue potenzialità totalmente esibite.


8 - Dissolve


“Passing time draws us nearer 

I dissolve into you”


L’amore improvviso arriva e apre i pori: siamo nella primavera del cuore e la musica fa altrettanto, per unire una storia semplice ed efficace, per dare al tempo parole e musica come un canto celeste.


9 - Tired


“Carry the weight of your judgement

‘Til I’m forced down on my knees”


Uno squarcio il testo, un abbraccio la voce, una consolazione questa musica: calorie necessarie per ingrossare la mente verso una positività che sembra lontana. Una discesa dentro le mani che graffiano e note musicali come un mantello a proteggere questo cataclisma…


10 - Tunnel Vision


“Deep, deep dive

I feel so confused

All the time”


Shoegaze allucinato e celestiale, il drumming secco, la chitarra che alza la polvere e le parole, minime, a saldare il frastuono per testimoniare che la band sa arrivare al sodo, tra il cuore e la mente, come artigiani dello stupore. 


11 - Long Way 


“Your body will change

It will look different

Its curves and its burdens

Carry the shame”


L’onestà intellettuale richiede sincerità e a volte durezza, se non addirittura una non tanta velata crudeltà, per stabilire il contatto autentico dell’esistere.

L’ultimo brano, spaventosamente glaciale e siderale, è un esplodere continuo, con e senza distorsioni. È un abbandono delle maschere e per essere visibile nulla deve essere complicato. Pochi accordi ma un’atmosfera inequivocabile determina la fine dell’album per dare all’ascolto una gioia che implode…


Alex Dematteis 

Musicshockworld

Salford

1 Gennaio 2023



https://basementrevolver.bandcamp.com/album/embody


https://open.spotify.com/album/7egXCioiZMNz9EmGk7Z3GB?si=NBTOGPtKSJqGY2rlhmGK2g






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