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martedì 17 maggio 2022

La mia Recensione: Adami - Cosentino - Roversi / Praha

 


La mia Recensione 


Adami - Cosentino - Roversi / Praha 


“Non ricorderai i passi che hai fatto nel cammino
ma le impronte che hai lasciato.”
(Anonimo)


C’è una strada che chiede di essere mostrata, insieme alla modalità.

Il sudore, l’aria umida, le correnti, i disagi, le reazioni conseguenti: nel mondo che si surriscalda e dove tutto è affidato alle emozioni nessuno pensa a proteggere la mente, sempre più corrotta e resa debole dai gusti.

Arriva, però, un progetto artistico che sa fare quello che sembra ormai una memoria antica: prendersi cura, con la creazione di canzoni, di ciò che conosce la rottamazione.

Tre anime, tre percorsi nobilissimi si trovano a sviluppare il senso di compattezza, come dottori della cronica malattia della musica che si è smarrita.

Ed ecco PRAHA, un cobra dalle pelle fluida, che nuota cibandosi di correnti musicali riuscendo a incuriosire e alla fine nutrire chi lo ascolta.

Illumina per la sua coerenza, compattezza, versatilità, per la sapiente capacità di connettere ciò che lo ha preceduto, sviluppando idee proprie che risultano essere decisive per fare di questo disco un incontro con la piacevolezza, che alla fine è il pane dell’anima.

Ideato, curato, prodotto con grande professionalità, merita di attraversare le vostre stanze, di trovare un posto sulla vostra pelle e nel vostro involucro.

Con riferimenti che arrivano dagli anni 80, tutto si presenta fresco, pieno, con la consapevolezza di trucchi e capacità che devono andare incontro all’esigenza moderna che desidera una parte elettronica a prescindere.

Ed in questo lavoro la troviamo, equilibrata e non strabordante..

Convivono tra le tracce sapori intensi, dilatazioni, un senso di curiosità nei confronti delle proprie note che a volte sembrano rimpicciolirsi, altre avere uno slancio per allungarsi a proteggere la propria identità che non basta a se stessa. 

Sono compresi momenti di fuoco, di ghiaccio etereo, come se la world music incrociasse lo sguardo del progressive, piantando la bandiera della conquista su trame che comprendono un abito pop che sembra uscire da un Synthpop nascosto.

Se cercate l’evidenza lasciate perdere: nelle nove tappe sono i rimbalzi di luce a tenere tutto vivo, ma i colori li si trovano studiando, facendo dell’ascolto una lezione di alto livello. Si diventa girovaghi delle sorprese, delle conferme, qualcosa che assomiglia a una attitudine iniziatica verso ciò che appare diverso, come un cammino in cui cambiano anche i mezzi per percorrere le strade e non solo i luoghi incontrati. Permane, dopo molti ascolti, la convinzione che altre forme artistiche siano all’interno di PRAHA, nascoste per poter far brillare meglio ciò che è evidente all’occhio mettendolo in condizione di percepire e capire. Le mani sapienti dei tre, la loro esperienza e la forza d’urto di una cultura che deve sempre avere nella sua identità l’urgenza di allargare gli incontri con la conoscenza, consentono di fare delle canzoni pezzi di creta, in un manipolazione che svela non solo il talento ma la profondità, il senso di questo progetto. Un album come una cascata silente: lo ascolti e ti ritrovi in una zona complessa, perciò meritevole, di bolle d’acqua che corrono per rendere muta la bocca ma accesa la mente che incomincia a trarne beneficio. Più di una terapia perché questo non è il compito principale della creazione musicale. Questi artisti esperimentano per individuare ciò che occorre definire e tutto esce dal loro laboratorio con la faccia serena, quasi spavalda perché questo percorso è una gravidanza di un piacere che nasce quando lo si comprende. Il lascito è un bolo musicale che sale alla mente, salta giù sino alle gambe, con ritmi diversi, con solidità, per depositarsi nella zona sicura della piacevolezza. Si impasta come se le stagioni fossero ancora aggrappate alla loro storicità e fossero intenzionate a combattere la devastazione di un cambiamento a cui non opponiamo resistenza. PRAHA ci aiuta a connetterci con la spiritualità, con assoli termici di grande spessore, con strutture che spaziano per portarci in un luogo che non conosciamo. Questo è il reale compito della musica: il cambiamento del nostro posizionamento. Eccoci, sognanti e ballerini, con le storie che hanno le loro ragioni per uscire dal laboratorio ed essere condivise, come una pennellata di vita che giunge improvvisa. Gli arrangiamenti potenziano, rivelano ancora di più la struttura, l’epicentro di una forza che è la costante di tutto questo disco. Come pulviscoli senza peso, i secondi passati in questi nove tuffi regalano leggerezza pop con testi mai banali, associazioni sonore e stili musicali come un afflato che non spettina le nostre malate abitudini, bensì lo stratagemma per imparare che altre forme possono divenire veicoli che costruiscono capacità diverse. Ci è voluto del tempo per giungere alla perfezione, nessun percorso artistico può essere breve perché i veri artisti prendono appunti, studiano, misurano gli elementi e li inventano per dare un volto al tempo. 

Eccolo, si chiama PRAHA, un impulso dalla pelle balcanica, poi orientale, poi moderna, poi misteriosa, che come una nube cambia l’intensità della luce, della sua pelle, come camaleonte senza divisa né obblighi. 

Andiamo allora a visitare questa esperienza progressive pop, con tutta la serenità che spero questo scritto vi abbia regalato per dare alle pareti dei nostri ascolti nuovi palazzi mentali in cui inserire questa fiumana di incanto.



Canzone per canzone 


Spiritual Climax


Il mondo dei suoni, dei suoi luoghi è ciò che caratterizza la opening track, mantra che evoca luoghi che cercano il contatto: dall’Africa alla Scozia, c’è un filo che li tiene a portata di sguardo, con il basso che ferocemente alza la voce per consegnare alla tastiera e al cantato un arco melodico nel quale sognare. La voce di Adami trova nella sua potenza la capacità di essere evocativa e la chitarra semiacustica le dà un sostegno amichevole, con un approccio che partendo dal folk si collega a quella elettrica di matrice rock wave.



Show Me The Way


Ci sono ballads dalla propensione sensuale: si nutrono del gioco delle voci, delle linee che salgono sull’areo delle possibilità e abbandonano la propria natura iniziale per andare a tuffarsi in giochi stilistici che divengono abbracci. Brano multiplo, dalla faccia che mostra curiosità nella mutazione della propria pelle, con solidità ritmiche ed un solo di chitarra che graffia, come figlia profuga di Robert Fripp. Esiste una grande attenzione alla ritmica pulsante, alla complessità della composizione che allarga il sorriso a un rock che progressivamente lascia petali di luce 70’s.


In Your Eyes


Prendi gli Who, mettili in una discoteca, falli ballare con Lou Reed e gli U2: ma è solo l’inizio di questa favola dei sensi che insegna la profondità di anime allo specchio, alla ricerca di un contatto. Su pattern ed un loop elettronico che ammalia, in questi minuti si notano le capacità di connettere alla melodia ridotta all’osso all’inizio l’incanto di una sezione di archi che quando arriva stupisce. Ed è volo su note come schiocco di una frusta gentile. 



Mum


Quando l’atmosfera invoca il rallentamento, la dolcezza di un David Sylvian dal vestito World Music, l’impatto è da brividi, veicola tenerezza con le voci che si impastano perfettamente. Con il registro che si innalza, tutto progredisce e l’atmosfera cambia, portando il brano tra le strade di un Peter Gabriel etnico e di ottimo umore. Se il Progressive vuole restare in vita deve prendere spunto anche da questa canzone, in certi suoi momenti, dove tutto è un accogliere le possibilità di sviluppo.



The Idol (Prelude)


Torna Sylvian, con Ryūichi Sakamoto, in questo passeggiare pomeridiano, con la malinconia sorridente su note che cavalcano e sorpassano i sogni. Si avvertono emozioni dalla lunga ombra bianca: un componimento che convalida ed esprime al massimo l’interazione tra la canzone e i musicisti, capaci in 192 secondi di consumare le energie del ritmo e di farci porre invece la riflessione sulla lentezza, sempre più necessaria.



The Idol


Dopo il brivido iniziale di Kraftwerk con la finestra aperta sul cielo italiano, il brano si sposta, viaggia dentro una cavalcata dalle piume capaci di volare leggere, per poi incontrare una chitarra dalla voce bassa che rallenta il tutto e l’atmosfera si macchia di un catrame elettronico/dance dai fianchi torniti, che ci rende sognanti danzando.



All You Can Feel


Il mio vertice di preferenza risiede in questo arcobaleno dei sensi che veste il brano: la perfezione degli incroci degli strumenti, la cura degli intarsi, il senso di compattezza che regna tra i tasti del piano accarezzati come un bacio e il vigore di ritmiche e chitarre piene di fiato. La struttura è un ricamo di classe, capace di spaziare e di rendere il tutto elegante in un amalgama vistoso.



Everything 


Un potenziale hit radiofonico porta l’estate nei pensieri e l’aria l’accoglie felicemente. Questo combo di tre fuoriclasse sfodera la canzone che li può condurre alle masse. Come un ghiro che si scioglie con il basso quasi funky, il piano che ci fa danzare ad occhi aperti e la voce come un gabbiano in cerca di un volo come un acuto necessario,   tutto procede per arrivare alla parte che seduce per quel tocco di musica classica che non puoi immaginare, per poi dare alla chitarra ritmica il vestito rock che invece sì che desideravi. Ed ecco che tutto si sublima nel percorso di secondi ricchi di sale, che è ciò che dà sapore. 



Return Home


Il congedo arriva con una chicca dal sapore autunnale, con il lavoro di Adami che con le sue corde vocali riesce con grande capacità a saldare la musica, che è una esibizione di classe di un lenzuolo di raso che vuole fare le capovolte tra le nubi. E il finale è in mano alla chitarra che si inchina e ringrazia per il nostro ascolto. Una chiosa assolutamente perfetta!


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

17 Maggio 2022


https://adamicosentinoroversi.bandcamp.com/album/praha






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