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venerdì 17 marzo 2023

My Review: Dark Narrows - My Last Party

 Dark Narrows - My Last Party 


Here are the shadows of Maryland encircling the wind and bringing crumbs of electrified post-punk to the shores of a pulsing call. They return, enchant, chill breaths, tergiversate, and lead our listening on a leash to the earthly field of continuous, amplified spasms.

The need to affirm the identity of sound passes through stratagems that employ electronics as a putative father, the governing of impulse with the schematic school that right in the heart of Maryland (1978) had shown a new way forward.

Musical notes like gothic sweat moving on keyboards oxygenated by restlessness and bewilderment, circular, never mutant, always constant, travelling within themselves.

How far have these guys come? Perhaps you may have heard their magnificent cover of Desire, by The Sound. Well: in this disc you will hear their steps become authoritative, disengaged from comparisons, from the need for affirmations, and instead find a wrapping with their sound, rhythm, melodic traits that are absolutely delicious and whose importance must be recognised. A growing band, ranging and sowing pulses full of fermenting liquids that stop the discomfort of living, telling it like it is. Thus we find highly muscular uprisings, hydrating systems of rebellion that find in the guitar loops great forests to take in, with the bass pulling slaps and cleaning up the misunderstandings of stupid comparisons. It is a spectacular album, a soulful voice that overthrows identity on melodic lines that are always reduced to the bone, a sublime diet that empties and detoxifies listening from any drift composed of stupid excesses. 

My Last Party is not made up of episodes, but of a strategic line given by a summa that expands and forms a nucleus on which everything that enters becomes polite and relevant: there are few who do this and they do it damn well!

Everything is electric discharge, beat after beat that informs and kneads ideas and needs in order to launch an attack that, compulsive and atrocious, makes this work an absolute gem...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

17th March 2023


https://darknarrows.bandcamp.com/album/my-last-party




La mia Recensione: Dark Narrows - My Last Party

 Dark Narrows - My Last Party 


Ecco le ombre del Maryland circondare il vento e portare briciole di Post-Punk elettrificato sulle sponde di un richiamo che si fa pulsante. Tornano, incantano, raffreddano i respiri, tergiversano, e  conducono i nostri ascolti a guinzaglio nel campo terrestre di spasmi continui, amplificati.

Il bisogno di affermare l’identità del suono passa attraverso stratagemmi che impiegano l’elettronica come padre putativo, il governare l’impulso con la scuola schematica che proprio nel cuore del Maryland (1978) aveva mostrato una nuova strada percorribile.

Note musicali come sudore gotico in movimento su tastiere ossigenate da inquietudini e smarrimenti, circolari, mai mutanti, sempre costanti, in viaggio dentro di sé.

Quanta strada hanno fatto questi ragazzi? Magari potreste aver sentito la loro cover, magnifica, di Desire, dei The Sound. Ebbene: in questo disco sentirete i loro passi divenire autorevoli, sganciati da paragoni, da necessità di affermazioni, e trovare invece un involucro con il loro suono, ritmo, tratti melodici assolutamente prelibati e di cui è necessario riconoscere l’importanza. Una band in crescita, che spazia e semina pulsioni pregne di liquidi in fermentazione che fermano il disagio del vivere, raccontandolo come prima scelta. Troviamo quindi sommosse altamente muscolari, sistemi idratanti di ribellioni che trovano nei loop della chitarra grandi foreste di cui prendere visione, con il basso che tira sberle e pulisce gli equivoci di stupide comparazioni. Un album spettacolare, una voce dell’anima che rovescia l’identità su linee melodiche sempre ridotte all’osso, una dieta sublime che svuota e disintossica l’ascolto da ogni deriva composta da stupidi eccessi. 

My Last Party non è fatto di episodi, bensì di una linea strategica data da una summa che si dilata e forma un nucleo su cui tutto ciò che entra in noi si fa educato e rilevante: sono in pochi a fare questo e loro lo fanno maledettamente bene!

Tutto è scarica elettrica, un beat dopo beat che informa e impasta idee e bisogni per sferrare un attacco che, compulsivo e atroce, fa di questo lavoro una gemma assoluta…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

17 Marzo 2023


https://darknarrows.bandcamp.com/album/my-last-party




La mia Recensione: OBWSESSION - Mind the gap

 OBWSESSION - Mind the gap


Il Sud dell’Italia che vive malinconie e ambasce, e che non sempre è pieno di sole, che gravita dentro morbide zone come strisce di grigio, viene portato alla luce della nostra ignoranza dal talento puro di Alessandro Diciolla.

Il ragazzo della provincia di Bari scrive, con questo brano, un melodico tributo all’attenzione, emotiva e cerebrale, frutto di un albero che cresce sul suo petto, e che fuoriesce attraverso un dettato di suoni raggomitolati dal cammino di foglie di musica grasse che saltano sui tasti di un piano e l’abilità di richiami Neo Folk, dati da un sapiente utilizzo di fruscii e l'intervento dell’elettronica.

Ci si stringe in un sospiro: una punta di dolore precipita in queste note, ma nulla di cui avere paura in quanto la musica è veloce, rapace e capace di trovare l’allegria sui suoi tocchi che mette bene in fila.

Tutto è mistero: il mittente scrive al cielo con un indirizzo che non si può certificare, non possiamo immaginare un ipotetico ricevente se non il suo stupore, il suo danzare con questo approccio jazz che mostra l’interesse, la voglia, la capacità di respirare il desiderio di allargare la forma canzone e di invitare a bordo chiunque possa sognare di baciare le nuvole. Una poesia che chiede attenzione (Mind the gap…), perché se non si raccoglie una bellezza tale si può cadere e farsi molto male…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

17 Marzo 2023


https://obwsession.bandcamp.com/track/mind-the-gap




martedì 14 marzo 2023

La mia Recensione: Reitelaitis - Pavargom

 Reitelaitis - Pavargom


Un clamore esce dalla misteriosa terra Lituana, facendo sobbalzare la curiosità oltre le stelle: il progetto di un unico uomo che il vecchio scriba vorrebbe toccasse i cuori di moltitudini, in veloce progressione di quella abnegazione di fedeltà che contamina di gioia paludosa la volta celeste.

Straordinario insieme di sette brani, ruggiti gelidi e maligni, sostanzialmente in grado di far stralunare i pianeti: ci si ritrova innanzi a un miracolo pagano nel quale pulsa il battito di un cuore che atrofizza la bruttezza, per far suonare le campane al fine di festeggiare la nascita di un lavoro che può solamente veicolare lo scoppio del vuoto e condurre i pezzi dentro un'ampolla piena di classe e liquido elettrico, sbavante di morbida inquietudine. L’ipnosi calzante di questa elettronica coniugata alla Coldwave e al Post-Punk è l’ascesa di pensieri tristi che fanno vibrare, per poter annettere il vagabondaggio delle anime verso la prigione di una dipendenza che è prescritta dalla Dea della tristezza, quella che fa riflettere e non soffocare il respiro. Si balla con una artrosi mentale che fa schizzare il piacere verso le nuvole sotto i piedi: Pavargom miete vittime, conturba e sposta l’asse del piacere verso il pianto lento ma inesorabile, come una tragedia annunciata che tarda ad arrivare, ma poi è schianto dove si muore respirando ancora, anche dopo…

Come un robot pare non avere cuore, così è per la musica di Reitelaitis, ma tranquillizzatevi: dura pochi secondi, perché poi i fili, i transistor, le parti metalliche, gelide e aride, prendono la temperatura diventando sentimenti roventi.


Andiamo subito a sbattere la testa su questi pezzi di ghiaccio dal cuore caldo…


Song by Song


1 Laikui sustojus 


Si parte con un quasi Dark-Electro, una lenta espansione di synth che si sovrappongono come lamiere su un ghiacciaio sperduto, con il silenzio rotto dalla processione di questa meccanica marcia funerea.


2 Nori nenori


Scariche elettriche, il basso in zona Post-Punk, deciso e ribelle e grasso di terra profuga in grido sbilenco, la chitarra che fluttua sospetta, e la danza si fa obbligatoria, con la voce che semina mistero, rendendoci assorti, volando senza allegria mentre tutto si fa opprimente con melodica predisposizione.


3 Sunkus rytas


Probabilmente qui si esce dall’universo: la tristezza diventa un rito messianico, lento ma atroce, perché la canzone si scalda solo quando deve morire…

La linea vocale, piume di vetro in discesa libera, viene fermata dalla chitarra che rende il suono un burrone lento. Le strofe avanzano, come le lacrime, e la Darkwave e la Coldwave si stringono desolate, quindi felici e piene di se stesse, in questa meraviglia che il vocabolario non può definire: mancano le parole. Ed è mantra melanconico, la deflagrazione che ci rende piangenti, con la parte finale del brano che è un paio di mani che si stringono ai nostri fiati.


Už uždarytų durų 


Lo shock permane, ma vede questa canzone avanzare e schiaffeggiarci con i suoi synth che paiono uscire da una sinfonia elettrica con l’intenzione di dare lustro agli ’80 senza ferire, supplicando la chitarra e il basso di circondare il Post-Punk con una festa a base di pillole melodiche e sintetiche.


5 Saturnas


L’anima Industrial si presenta con la voglia di una elettronica feroce a tratti, con le sue scariche singole e poi, una volta che il basso prende spazio, è delirio ipnotico in rotazione, con sciami Synthwave a fare da supporto. 

La parte strumentale procede, copre tre decadi ed entra nella dance hall sino a quando la voce, come sgomento prezioso in turbolenza, marcia in modo robotico, colpendo il nostro delirio. Poi la danza si fa sfrenata e la lucidità si perde, nella gioiosa danza con le nuvole grigie.


6 Atlieka


Fottiamoci tutti: perdiamo la ragione, inutile volerla mantenere, qui siamo davvero inguaiati in quanto è un lento crocifiggere il bene, si diventa cattivi e feroci, con questa base granitica, una elettronica che arriva alla foce della Coldwave quasi furibonda, a due passi dall’Ebm. Non ha bisogno del cantato: ha tutte le grida assiderate nei suoi gelati transistor.



7 Išeitis


L’LP si conclude con un lento passo di Darkwave, con rimembranze Cure di Faith, ma il brano è più teatrale, più incline a far aprire i raggi di sole. Addirittura sembra una canzone che congeda la tristezza e pure noi e lancia scintille di Synth quasi come un sorriso per darci appuntamento per un futuro che vorremmo più prossimo possibile…


Un album semplicemente clamoroso: parola di un inebetito Vecchio Scriba…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

14 Marzo 2023


https://reitelaitis.bandcamp.com/album/pavargom







sabato 4 marzo 2023

My Review: Korine - Tear

 Korine - Tear


The old scribe returns to Pennsylvania to certify his adoration for the work of Korine, an amazing line-up from Philadelphia which, in this feverish February, cures our flu symptoms and gladdens our days with its sparkling and clamorous freshness, in a tree-lined avenue of songs that give oxygen and comfort.

Joy arrives, lightness imbued with awareness, with rhythms that induce dancing, and it is a levitating in the air to see the world with smiles, forgetting the blackness that overpowers it, like a generous display of dreams that overcome the impossible.

The 90s show the need for heirs within that crowded crossroads of Alternative, Synthpop, Indie Pop, Post-Punk, Pop and waves of Electronics: the band succeeds perfectly in their intent, like an absurd that wakes up and makes us witness a miracle. This happens in the ten episodes and the listening is repeated, one longs for it, one has found a new friend who doesn't break the bank, but rather entertains us in a way we haven't witnessed in a long time: music as mood elevation and the conquest of serenity. The album is the victory of research, of good taste, of the attitude to caress our days with a soundtrack that shows the film of their art: class and infinite vitality…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

4th March 2023


https://korine.bandcamp.com/album/tear




La mia Recensione: Korine - Tear

 Korine - Tear


Il vecchio scriba torna in Pennsylvania per certificare l’adorazione per il lavoro dei Korine, strepitosa formazione di Philadelphia che in questo febbricitante Febbraio ci cura i sintomi dell’influenza e allieta le nostre giornate con la sua sfavillante e clamorosa freschezza, in un viale alberato di canzoni che donano ossigeno e confortano.

Arriva la gioia, la leggerezza intrisa di consapevolezza, con ritmi che inducono a ballare, ed è un levitare nell’aria per vedere il mondo con sorrisi, dimenticando il nero che lo sovrasta, come un’esibizione generosa di sogni che vincono sull’impossibile.

Gli anni ’90 mostrano la necessità di avere degli eredi all’interno di quel crocevia affollato di Alternative, Synthpop, Indie Pop, Post-Punk, Pop e di ondate di Elettronica: la band riesce perfettamente nell’intento, come un assurdo che si sveglia e ci rende testimoni di un miracolo. Questo accade nei dieci episodi e l’ascolto si ripete, lo si desidera, si è trovato un nuovo amico che non rompe le scatole, bensì ci fa divertire come non lo facevamo da tempo: la musica come elevazione dell’umore e la conquista della serenità. L’album è la vittoria della ricerca, del buon gusto, dell’attitudine ad accarezzare i nostri giorni con una colonna sonora che mostra il film della loro arte: classe e vitalità infinita…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

4 Marzo 2023


https://korine.bandcamp.com/album/tear




sabato 18 febbraio 2023

My Review: Art Fact - in Fact

 Art Fact - in Fact


Cassettes: so lacking in sound quality but full of magic, simple to use and so easy to break, mystery and infinite joy that they have characterised the days of more than a generation.

In September 1989, one arrived in the newsroom: In Fact, by Swedish band Art Fact, and it was love at first listen, I wrote about it and was delighted. Today I decided to listen to this album again and talk a little about it.

Considering where the band came from, in that fertile period then, it seemed really hallucinating and surprising that a musical reality of that specific genre could exist in that place in the world.

Stockholm has loved Synth, ever since the 1970s, and in the late 1980s, the city's scene reinforced the need to push forward the Belgian and Francophone scenes. The trio, very young but already experienced, set out to create the idea of a more gradual, less extremist sweep than other bands in the Swedish capital. The result is a bundle of thought-provoking, danceable pieces, with a well-pronounced English vocal, fragments of electronics that would be developed by other bands shortly afterwards. In Fact makes it very clear where multiple elements can be found in compositions and how lightness sometimes needs to be exposed. A real hidden gem.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

18th February 2023


https://artfact.bandcamp.com/album/in-fact




La mia Recensione: Art Fact - in Fact

 Art Fact - in Fact


Le musicassette: così prive di qualità sonora ma pregne di magia, semplici da usare e facilissime da rompere, mistero e gioia infinita che hanno caratterizzato le giornate di più di una generazione.

Nel settembre del 1989 ne arrivò una in redazione: In Fact, degli svedesi Art Fact e fu amore a primo ascolto, ne scrissi e ne fui felicissimo. Oggi ho deciso di riascoltare questo album e di parlarne un poco.

Considerata la provenienza della band, in quel periodo così fertile poi, sembrava davvero allucinante e sorprendente che potesse esistere una realtà musicale di quello specifico genere in quel luogo del mondo.

Stoccolma adora i Synth, sin dagli anni ’70, e nel finire degli '80 la scena della città rinforzò la necessità di portare avanti quella Belga e quella Francofona. Il trio, giovanissimo ma già esperto, si mise a creare l’idea di una perlustrazione più graduale, meno estremista rispetto ad altre formazioni della capitale svedese. Il risultato è un fascio di pezzi che fanno riflettere ballando, con un cantato in inglese dalla buona pronuncia, frammenti di elettronica che saranno poi sviluppati da altri gruppi di lì a poco. In Fact fa capire molto bene dove si possano trovare elementi multipli nelle composizioni e come la leggerezza a volte debba essere esposta. Un vero gioiello nascosto.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

18 Febbraio 2023


https://artfact.bandcamp.com/album/in-fact





domenica 20 novembre 2022

La mia Recensione: The Slow Readers Club - Cavalcade

The Slow Readers Club - Cavalcade

Non c’è niente da fare: davanti a ciò che è vitale non si sfugge, si rimane intrappolati, a volte anche dolcemente. Ed è un evento che conosce ciclicità, si ciba di sé per inondare i sensi in beata moltitudine. Abbiamo appuntamento raramente con tutto questo, forse con la musica cresce la percentuale di questa probabilità.

Nel 2015 fu pubblicato il secondo album della band nata a Salford: The Slow Readers Club che con Cavalcade aprirono le porte della notorietà e incominciarono a essere compresi e conseguentemente adorati. Il disco di esordio, omonimo, aveva già mostrato il loro valore, sebbene la band non fosse soddisfatta della produzione. Tracce magicamente tristi che facevano ballare con gli occhi incendiati di lacrime. Poi questo lavoro fece scoppiare il cuore supportato da singoli in grado di attirare l’attenzione e mettendoli sulla bocca di molti. La miscela musicale si spostò leggermente pur conservando segni evidenti che il genere elettro-dark calzava a pennello con le esigenze dei quattro ragazzi in cerca di canzoni perfette. Per farlo occorreva più dinamicità e una virata verso una maggiore integrazione tra gli strumenti. Accadde, dando così il via libera ad Aaron, che iniettava nella sua voce la coda di ogni pianto, per seminare la potenza in un’ugola votata alla immensità senza catene. E tutta la band fece un notevole passo avanti, con la maturità come conseguenza di un desiderio di fare della musica un motivo di esistenza totale: avvenne poco dopo, quando i quattro lasciarono le loro attività lavorative per vivere totalmente di questa passione.

Cavalcade è stato e sarà sempre il loro album della svolta, con il lascito di canzoni pregne di fascino e capaci di coinvolgere l’ascoltatore in un sentiero di luci e spine emotive che grattano la pelle del cuore, con i sensi a circondare i pensieri spesso con poco fiato, perché in grado di mostrare il vero volto soffocante della nostra esistenza. Ecco apparire la vita con le sue croci, una fede sempre più appesantita dal misticismo, i rapporti fatti di depressione, precipizi e vertigini che fanno tremare i polsi. Il passato, il presente e il futuro, uniti da catene che, attraverso i versi straordinari di Aaron Starkie, trovano modo di far sentire e di mettere in luce tutta la loro fragilità, trovano adeguamento con la musica che si ritrova ad essere appiccicata alle loro aspettative. Le dodici tracce evidenziano abilità e convinzioni, sono credibili e ci iniettano nella vita sottocutanea riflessioni e danze, connesse e sigillate per il futuro, con la certezza che non subiranno l’invecchiamento. Ci si commuove sempre, ci si sente coccolati dalla loro tenerezza dal triste sorriso, ci si sente attraversati da una saggezza che fa male, finendo per diventare succubi di atmosfere odoranti, attraverso chitarre ridondanti, tastiere dai loop accattivanti e una sezione ritmica dai brividi sull’aria tremante, per fare della nostra vita molto più che una colonna sonora. I Mancuniani, con il loro elettro-Dark oscuro, non si negano viaggi dentro gli anni 80, ma sentono il bisogno di rimanere ancorati alle sonorità moderne e creano una prospettiva nella quale tutto vada proiettato nel futuro, senza nostalgie ad appesantire l’insieme. Si avverte tutta l’energia, l’esuberanza che diventa un pregio, la malinconia come un dovere, per fare delle canzoni piloti di sogni e constatazioni che rivelano anche il bisogno di creare nuovi confini, pensieri e stili musicali. Tutto è solenne, greve, frustrante in modo piacevole, deduttivo e devastante al contempo, come se la parte divertente degli Human League, dei Soft Cell, potesse abbracciare la cupa dinamica dei Joy Division, in un matrimonio artistico che non lascia dubbi riguardo il talento e le abilità che cresceranno sicuramente. Canzoni come recipienti, come granelli freschi nella terra vogliosa di inseminazioni continue e potenti. Abbiamo sempre la certezza che la vita e la morte nelle canzoni troveranno un abbraccio che potrà sconvolgere, perché immerse in quella malinconia che nessuno potrà negare essere il comune denominatore di ogni esistenza. Composizioni che danno l’impressione di trovare modo, nella dimensione dal vivo, di non avere vincoli di sviluppo nei suoni, di lasciare spazio a piccoli sconvolgimenti, e avverrà puntualmente. Alcune di loro surclassano le altre: parrebbe un giudizio negativo, in realtà conferma un livello molto alto, rendendo possibile affezionarsi a quelle che hanno una presa immediata. Sta qui il valore dell’album: quella che sembra la sua inferiorità più devastante si concretizza in quelle canzoni che, apparentemente, paiono inferiori, meno incisive. Saranno proprio quelle a catturarvi del tutto. Preceduto da quattro singoli (Forever In Your Debt, I Saw A Ghost, Start Again, Don’t Mind) e con un quinto dopo l’uscita (Plant The Seed), le altre sette composizioni sono anch’esse potenzialmente capaci di essere ipotetici singoli, mostrando di essere di facile preda dell’ascolto, con la volontà di scrivere brani che sanno arrivare al cuore senza esitazioni. 

Jim Glennie, bassista dei James, capì il loro potenziale e invitò la band a far loro da supporto, finendo per dare ai quattro ragazzi la giusta visibilità, che li portò a un successo inevitabile.

È l’album che cambiò il destino, mostrando che le loro carte avevano la forza per entrare nell’accoglienza con gli occhi verso il futuro, la firma della constatazione che la loro bellezza avrebbe creato nuovi seguaci. 


Qualcosa di morboso e morbido penetra la nostra anima, inevitabile, visto che i brani sono organismi di natura psichedelica, perché ci trasportano dalla dimensione subconscia a quella terrestre: si ha sempre l’impressione di un viaggio verso il mistero che viene svelato solo in parte. I giochi delle melodie hanno pennellate vistose di grigio, i ritmi svegliano gli slanci del corpo per gettarlo nell’enfasi più sublime e coinvolgente, con i testi che svettano per il desiderio di farci interrogare, mentre le lacrime vivono di corse e rallentamenti efficaci, prensili, destinati a incollarsi nella mente, che si fa generosa nell’ospitarli, seppur capaci di ammazzare spesso la fiducia nell’uomo. Ed è questa sincerità che li rende irresistibili.

Le chitarre sono ganci, tremori, vibrazioni dai molti echi, fratelli maggiori dei nostri sogni. Il basso, spina grassa sui nostri respiri, si avviluppa continuamente ai nostri pensieri, per sbatterli per terra, con seduzione e abilità. Il drumming è preciso, senza velleità di megalomania, e non per difetto tecnico: è semplicemente perfetto per non privarci di danze necessarie. Le tastiere sono sirene dalle unghie sornione, sottili, capaci però di entrare nei piani bassi del nostro umore, per farlo piangere con graffi maestosi.

La voce? Occorrerebbe scrivere un libro: non basterebbe. Aaron è il maestro di tonalità, di modalità espressive che fanno vibrare l’anima, immergendola nel buio di ogni respiro, rendendo sacra ogni sua nota. La dipendenza diventa estasi e non si può che lacrimare, perlomeno commuoversi, perché quella campana sensoriale è la vibrazione di un’emozione che vuole essere vissuta.

Sapete, sì, e benissimo, che è tempo di conoscere da vicino questi dodici lampi, con la speranza che nulla si opponga al vostro innamoramento totale.


Song by Song 


1 Start Again


Non dimenticate mai di stare attenti ai testi di ogni canzone.

Il fluido magnetico della opening track è affidato a un basso che pressa, non molla la presa. Seguito da due chitarre che saldano il tutto con fluida propensione al sogno e a sintetizzatori fluorescenti.


2 I Saw A Ghost


Bang! Si entra nella storia di una persona incapace di uscire dalla depressione con un brano perfetto: spazia in un vortice continuo nella testa con strofe in cui il cantato struggente di Aaron devasta. In più la chitarra è un’onda malinconica che rende quadrati i sensi, con il basso che scalda la pelle al contempo. Il ritornello diventa la foresta nera di ogni prigione mentale. 


3 Forever In Your Debt


Accompagnato da un video che immalinconisce, la canzone dimostra la classe dei Mancuniani che non abbisognano di cambi per esplodere nella nostra rapace volontà di essere sedotti da cotanta peccaminosa tristezza. Il basso e la grancassa aprono le danze e poi Aaron si prende i nostri cuori sino a quando Kurtis non diventa il mago della sollecitazione ritmica-melodica che troverà nel ritornello tutta la polvere che circonda la solitudine del protagonista del brano. 


4 Plant The Seed


Si vola, si cade, si fluttua negli 80’s ma con la curiosità degli anni attuali per una canzone che vede nel ritornello piazzato subito all’inizio i due fratelli al canto. Con un synth elegante e quasi segregato dalle chitarre e dal basso voluttuoso, si riesce a divenire un corpo sognante in volo, con quattro decadi a benedire lo splendore di questa creazione.


5 Days Like This Will Break Your Heart


Si prova un’emozione vibrante con questa voce che massacra ogni resistenza, nella cupa e intrigante dimostrazione che i quattro sono uragani di sentimenti nobili, in quanto sono destinati a graffiare ogni nostra ferita, ulteriormente. Irresistibile show di fantasie caduche e fotografie che stabiliscono la solitudine.


6 Don’t Mind


Ed è l’amore che vince: brano dedicato alla sposa del cantante e che vede le atmosfere prendere luce in un viatico pop e sognante dominato dalla voce di Aaron e dal binomio tastiera e chitarra, perché ci conducono a un attimo di serenità. Con un delizioso falsetto che ci avvolge poeticamente.


7 Cavalcade


Una chitarra che cavalca tra echi eleganti fa da cornice a un testo che paralizza per intensità e che vede il brano crescere ancora di più quando tutta la sezione ritmica manifesta la sua potente drammaticità. Le lacrime camminano sul cuore finendo per toccare tutto dentro, perché si rotola in una danza roboante. E a questa voce occorrerebbe conferire un premio all’incanto.


8 Fool For Your Philosophy


Canzone presente da anni nei loro Live set, è un’altra valanga ritmica, una corsa dei sensi verso la fuga da questa esistenza. Inizia con una base elettro dark per incantare sin da subito. Poi Kurtis spinge il suono della sua chitarra verso una potenza che per quanto contenuta inquina le nostre poche forze. E poi il ritornello ci porta il buio danzante, per giungere a una parte in cui tutto si fa battito di mani e i cuori salgono tra le nuvole a cercare consolazione. 


9 Grace Of God


Volete l’incanto eterno che sappia farci perdere il controllo? Eccolo! L’atmosfera è rarefatta nella strofa, un drumming che passa dal sincopato al quattro quarti lancia la canzone nel momento del ritornello in cui tutto si fa sublime con il turbinio dei pensieri, facendoci perdere i sensi mentre si trema. La tastiera è una ferita sottile che viene seguita da chitarre come schegge educate.


10 Here In The Hollow


Il gioiello più buio dell’album, quel diamante più puro che travolge per la sua educata propensione a essere quasi pop mentre invece le parole sono lame calde, insostenibili ma clamorosamente dotate di verità. È un tornado la chitarra circolare, è sensuale il basso, è determinata la batteria. Ma se si è attenti ci ritroviamo nel cestino dell’universo, senza più forze…



11 Secrets


Spiazzante, clamoroso esempio dell’amore di Aaron per il pianoforte. Ed è l’intimità che avanza nel fare delle nostre esistenze, con fughe e segreti costretti alla convivenza. Nel ritornello la batteria diventa una marcia ipnotica e la tastiera il grigio in cui nascondere le nostre mediocrità.


12 Know The Day Will Come


Se lo scriba volesse morire per lo struggimento di un presente insostenibile sceglierebbe questo brano come colonna sonora. Devastante, per i canoni musicali degli SRC, il brano è un addio a ogni sorta di legame con il respiro: per la melodia, gli incroci delle chitarre, i synth pregni della tristezza più marcia e il trinomio voce-testo-interpretazione di Aaron sono una bottiglia di sangue nero che esploderanno definitivamente nel ritornello evocativo. 


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

20 Novembre 2022


https://open.spotify.com/album/0cb2jkeQT4GSoD8cddlTOF?si=Pr7d7q6rSOqBTRlUr6X-Uw






sabato 29 ottobre 2022

La mia Recensione: Blocco 24 - Blocco 24

Blocco 24 - Blocco 24


Domani è troppo tardi: la vita è bersagliata da prospettive, sogni, ipotesi, ma ciò che conta è lo slancio del presente che partendo da se stesso semina fiori che si vedranno domani. Non bisogna aspettare.

La musica, ad esempio, sa farlo benissimo. È uno slancio del momento che ci invoglia ad ascoltare per sempre raggiungendo il futuro rimanendo fedele alla propria identità.

La musica che proviene dalla provincia ha una marcia in più. Saranno i limiti dati da minori possibilità, sarà per via di una rincorsa spesso inutile verso modelli cittadini che spesso poi rivelano pochezza.

Da una di loro giungono i Blocco 24, cavalieri del tempo sui loro cavalli che portano sismi e vibrazioni, scendono da colline e vallate come inseminati da mari e oceani ipotetici ma palpabili. Cavalcano le onde del bisogno, non come terapia bensì come samaritani delle nostre dispersioni. Le loro composizioni sono abbracci monolitici, un abbraccio enorme ma non pesante. Pesante è ciò che li circonda e che loro trasformano in preziosità, evidenti e generose, come concime e naftalina: all’interno del loro sacrato marmoreo si sviluppano battiti e impeti che scaldano i muscoli dei pensieri, trascinando in danze dai vortici sublimi, reattori musicali dentro milioni di poesie immaginifiche.

Cinque cavalieri per un blocco di undici Martelli di plexiglas, di stoffa antica piena di chip giusti, nel valore elettronico che fa sudare i pensieri e i corpi nella ballata della necessità.

Davanti alla scelta di imitare, copiare modelli di riferimento sicuramente validi, optano per una forma italiana della bellezza, dove lo stivale, che è la culla del bel canto e delle forme culturali per eccellenza, cammina con buon gusto nei tratti fisiognomici di strutture al cento per cento della terra di Dante e Pavese. Di loro due i Blocco 24 hanno il senso della lievità e del dolore in un sapore shackerato per espandere significati e permanenza nel girone del grigio che tenta la disintegrazione.

Loro impediscono la vittoria del male, per dare al non funzionante la possibilità di trasformazione.

Sono complici di ritmi contaminati di ondivaghe e nomadi trasfusioni di grammi di ombre, necessarie come lo sono le fatiche del vivere.

Viaggiando tra le confinate terre aride e persone morte per le strade, si assumono la responsabilità di filmare l’assurdo, il veleno e le traiettorie delle follie con musiche che scrivono messaggi universali, mentre i testi sono bagliori sonori pregni di maturità che, viaggiando tra le crisi, sviluppano discorsi di cronaca emotiva e razionale.

Adoperano scelte di suono per conquistare consapevolezza, tra generi diversi che una volta amalgamati si espandono come un  blocco di forze da versare nei torrenti dei nostri balbettii.

Le canzoni non sono episodi volti a rappresentare capacità di annessione e connessione verso modelli stilistici già confezionati, piuttosto portatori sani della possibilità di sviluppo.

Nella forza non c’è limite e loro cavalcano il flusso del passato per donarlo: il presente non può essere solo una biblioteca dove trovare quello che è già stato creato.

La vita è fatta di dipendenze, di tragedie, di esagerate pulsioni fisiche, di dispersioni in genere, di dispersioni politiche che snervano, di approssimazioni e intolleranze, e se volete saperne di più addentratevi nei testi di Carlo: ha saputo scriverne divinamente, baciato dagli esseri che vivono nella tempesta della volta celeste. La musica fa lo stesso, per una condivisione che sublima il tutto.

Per capire questa cascata di fulmini bisogna decifrare le loro tumultuose corse tra i vicoli colmi di sbagli. Nel Blocco 24 il fiato si perde per trovare verità e nuvole che aspettano un nuovo rimbocco. L’album è una foresta ipnotica che ci capisce più di quanto siamo in grado di fare noi con la sua forza dialettica di parole concatenate al desiderio di creare prospettive dal sapore amaro. A loro lo zucchero non serve e ce lo dicono dentro le loro vuote prigioni. Non hanno la necessità di rappresentare una generazione, non sono stupidi, bensì, perché questo fanno i cavalieri, portano pergamene tra i villaggi delle nostre menti. Loro non meritano il successo, l’applauso, la forma stupida di adorazione.

Ci donano invece la possibilità di guardare dentro noi stessi, di abbattere i nostri muri, di trasportare la forma di mutismo in un parlare ragionato.

Quello che meritano è il nostro grazie mentre impariamo che nella musica si possono trovare migliorie per uccidere forme di odio palpabili.

Non amici, non eroi, non idoli ma un lancio propositivo verso una formazione morale che sia una visita dentro il sentire più alto. 

Ed ecco che questo disco diventa pane quotidiano, un pasto dove il gusto è l’ultima cosa che conta, ma le calorie che offrono con generosa propensione per mirare a fare del nostro benessere psico-fisico una delle loro priorità sono davvero molte.

Non è difficile vederli con gli strumenti davanti alle potenzialità che cambiano pelle, mentre dentro i loro cavi trovano scosse di vibrazioni come micce che illuminano il momento dell’ascolto.

Gli impeti sono i loro imperi curiosi che viaggiano tra le sponde minate della cultura post-punk, come il sentiero da cui partire, con la letteratura che diventa appiglio e approdo, dove si muove il ventre amniotico di una spirale dinamica in cerca di un altrove da inventare.

Madre tastiera e transistor, bpm e coniugazioni sensoriali fagocitano il già fatto: sia dato spazio al ritmo corposo, a flessioni motorie come mezzi di indagine, per dare all’elettronica il senso di partecipazione all’interno di una formazione che va oltre gli strumenti che hanno deciso di depositare dentro le loro mani creative. Le caverne entrano in locali pieni di gente ma a loro la lentezza e la confusione servono solo per descrivere la folla: la sfuggono e la fottono con fulgida precisione.

Nulla pare esordiente in questo lavoro: si sente un camminare nel tempo da molto, i sensi e gli argomenti dimostrano abilità e profondità, uno sviluppo per forme che sono in grado di non consumarsi con gli ascolti ma di proliferare come onde gentili, programmate per farci stare bene.

Nessuno strumento prevale, la coesione è la coperta coerente che dà a tutti la luce, il rispetto toglie agli ego possibili sconvolgimenti e tutto diventa vena con sangue fluido che scorre nell’ascolto che si trasforma in un miracolo da abbracciare.

Ciò che ascoltiamo è una corsa di classe che sblocca le nostre gambe immobili, siamo nel loro fiato, nella loro alba che, mistica, sensuale, precisa, fa del nostro sentire un abito propedeutico per capire le loro composizioni.

Ci denudano, ci vestono, ci tramortiscono con labirinti dove le complicanze sono risorse, mentre la danza ci porta fuori della nostra stanza per baciare le stagioni tra la polvere di percorsi possibili.

Non perdete tempo a cercare comparazioni, background che vi intossicherebbero l’intelligenza: fatevi cuccioli, vergini, aperti verso i loro nascondigli, i loro geroglifici sonori sono opportunità per imparare e non per confronti che svilirebbero il loro operato.

Non è bello ciò che sorprende piuttosto è sano ciò che conferma che certe cose sono possibili, questo album lo dimostra pienamente: sono stati abili nel fare quello che dovremmo fare tutti, impegnarsi per disegnare il cielo, che ci fanno toccare, perché la realtà con loro supera i sogni.

Lo consiglio a chi si concede la sanezza di ascolti caldi, di volersi approvvigionare di forme artistiche compiute, ben saldate davanti al tempo, dove la luce e l’amore si guardano, si scrutano, si amano, per dare il benvenuto più fragoroso al Blocco 24, cavalieri di pazzie che invece di consumarci dentro mettono a galla il fragore della vita che va specificato, sempre!

E con questo album noi abbiamo un pasto completo: starà alla nostra intelligenza non scartare nulla, nulla…


Song by Song


1 Non mi muovo


Dalla decisione di un immobilismo acclamato si attraversa un ritmo feroce, tra echi di Prodigy dentro una synthwave travestita di grandine, per una canzone che sviluppa detriti comportamentali su sfere cilindriche di importazione Killing Joke nel ritornello, ma, attenzione: nessun furto con scasso, piuttosto miscele di guaiti che allarmano ed espandono un bolo alimentare dalla peristalsi nevrotica. La parte elettronica assaggia il dolore delle chitarre e ne rimane contaminato, mentre il basso e la batteria frustano il brano per renderlo incandescente.


2 Difendimi


Vecchie ossessioni umane pascolano nella insicurezza, nella durezza dei rapporti. E cosa fanno i cinque cavalieri? Creano antichi fasci luminosi, fatti da un piano girovago sui tasti, con annesso un brillio di chitarre accennate, il cantato affannoso e sublime, la sfera della tristezza dentro il basso che spinge verso la dissoluzione, con tutta la nevrosi post-punk che fa della darkwave una favola tesa. 


3 Berlino in autunno


Ecco il brano che potrebbe far storcere il naso ai puristi: che se lo grattino pure! Dopo un inizio vicino a cose conosciute, trite e ritrite (detto senza offesa), i Blocco 24 generano una canzone maestosa, per la capacità di spostarsi subito da quel territorio darkwave che li avrebbe resi prevedibili. Scrivono un muro semovente che accarezza l'acqua, con petali dance su basi elettroniche che sfociano in un synth dal vapore classico, per rendere la canzone inavvicinabile, sfuggente, unica, un purosangue per prestazione. 


4 Canzone per Mark


La saggezza passa attraverso metafore, coda velenosa di rapporti in grado di rendere fragile il respiro, ma non la memoria, non la lezione. Arriva un rallentamento del ritmo, un cantato più scandito, in grado di specificare il testo che viaggia nel sangue. La band rivela il lato melodico senza fretta, poche note su una struttura di sampler, effetti e una chitarra finale che ghiaccia il respiro.


5 Ghiaccio


Tornano i Killing Joke, avanzano i  Pink Dots, si presentano puntuali le chitarre acide degli X, perché devono vedere cosa ne faranno i cinque cavalieri. Semplice: ringraziano e salutano, sono impegnati a far prendere la scossa dentro mulinelli elettrici di grande fattura, al fine di dare al sogno la forza per sciogliere il freddo. Ma nella musica bruciano fiamme di bellicose capacità, nel gioco della alternanza dello spazio degli strumenti, tutti capaci di azzannare.


6 Stringimi


L'unico brano dell'album a mettere in difficoltà lo scrivente. Gli vuole bene, lo apprezza, soprattutto perché si è liberato abbastanza in fretta di ciò che i primi secondi avevano stimolato, e cioè trovare riferimenti troppo evidenti nella modalità alla band di Salford/Manchester che governa il suo cuore da quarant'anni. Seppure con innesti che prendono distanze dai quattro di Unknown Pleasures, per chi scrive è il momento del disco che non mostra tutte le loro abilità innovative, seppur non manchino colpi geniali da esibire. Credo che sia solamente un limite del sottoscritto.


7 Lenti e confusi


La band Romana preferita dello scriba, gli Elettrojoyce, riecheggia nel cantato e nel testo che allaccia la memoria alla band di Filippo Gatti. Ma l'impianto di note è strutturato verso altri porti, altra attitudine, dove l'elettronica annusa la leggerezza, per una canzone che mette fianco a fianco dolcezza e ritmica, strati di rock che fluttuano nel pop, per avvolgere la preziosità della confusione, che bacia la lentezza.


8 Barriere


Quello che hanno fatto nella loro carriera formazioni tedesche come i Blutengel e i Namnanmbulu (i riferimenti sono più nell'aspetto mentale che non artistico) entra incoscientemente dentro il gruppo nato a Palestrina: evolversi come necessità immediata e non come frutto di conseguenze date da risultati buoni o meno raggiunti. Qui i cinque superano loro stessi, per il diamante più puro, più originale, più sorprendente, con cambi, sviluppi, tracce e percorsi stilistici perfetti per intenzioni e capacità.

È acqua che nasce dagli Appennini e sale su al nord, a mostrare il suo corpo sensuale, controllando con facilità le proprie movenze artistiche, perché esplora il futuro creandolo subito. I Blocco 24 sono spaventosamente  capaci di precedere se stessi. 


9  Elettrica


Il cantato segue orme che arrivano dagli anni 80 (con i primissimi Bluvertigo che riecheggiano) ma senza legarsi troppo, mentre la musica è un abbraccio di tastiera che fa avanzare i giochi di chitarra sublimi. Un crooning improvviso bacia la perfezione mentre il ritmo torna a farsi vivace per trascinarci nella gioia di un ascolto che si fa umido di lacrime.


10 Sintesi


Con il testo maggiormente capace di compattare ogni possibile distanza tra chi scrive e chi legge, in un gioco di specchi naturale e consequenziale, il brano ha l'abilità di percorrere i suoni, la tecnica, in un impasto che odora del circo di Felliniana memoria.


11 Sono ancora vivo!


Lo scriba non si permette mai un percorso critico nei confronti dei testi, non è questa la sede, questa è una recensione. Mi si permetta però di complimentarmi: stile, argomento, modalità e qualità qui sono di altissima fattura. Con questo approccio le note sono mogli capaci di creare tappeti su cui sfiorare i corpi e i sensi, per poi divenire un trascinante loop che inghiotte e ci lascia esausti e contenti. Se si riavvolge l'ascolto, partendo dai primi secondi, ci si accorge del bellissimo percorso di agglomerazione stilistica, labirinti da cui estrarre strumenti e modalità per scrivere un brano che conosce la perfezione...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

29 Ottobre 2022


Carlo Marzari Voce e synth
Stefano Moroni Basso
Luca Puliti Chitarra e voci
Roberto Nosseri Batteria
Andrea Giuliano Chitarra e voci


https://www.blocco24band.it/Blocco24-booklet.pdf


https://open.spotify.com/album/3BNEyGqpLhIUFCpw0mHuMd?si=X--otWjWQJWtrOyUVuKVXQ


















giovedì 29 settembre 2022

La mia Recensione: Marlene Kuntz - Karma Clima

 La mia Recensione:


Marlene Kuntz - Karma Clima


Non c’è più tempo per l’approfondimento, per dare spazio alle Opere che necessitano volontà, interesse, passione, coinvolgimento.

Con questi presupposti scrivere del dodicesimo lavoro dei Marlene Kuntz rende la penna pesante per uno scriba indeciso sul da farsi.

Ma è giunto alla conclusione che occorre definire le cose, pur sapendo che la pigrizia e la volontà di giudicare negativamente potrebbero annullare l’intero senso di questo lungo scritto.

Scrivere un concept album su argomenti drammatici, reali, innegabili sarà già motivo di una forte contrapposizione, a prescindere, perché la massa ormai è votata alla velocità, al disinteresse, alla scarsa partecipazione laddove, invece, necessiterebbe una presenza conscia.

Quello che si ascolta tra queste nove tracce sarà contestato, verrà conclamato il definitivo abbandono nei confronti della band da parte di molti, nessun dubbio a proposito, perché l’ignoranza, il mancato rispetto e una profonda metodica verso la conoscenza di ciò che davvero può fare l’arte per resocontare la fallibilità umana sono ormai comportamenti definitivi.

Eppure i Cuneesi hanno scritto un’opera straordinaria, densa di riflessioni, immagini, evocazioni, preghiere laiche e inviti al cambiamento di marcia.

Occorre dimenticare il fanatismo, anche l’amore per la band, e addentrarsi nel senso umano e artistico di un vero Progetto, che annette modalità di approccio e di espressione totalmente diversi rispetto al passato.

Spiazzante, crudele, intenso, votato all’analisi del momento e di futuribili proiezioni, l’album è il capolavoro della band, e aggiungerei purtroppo, viste le tematiche affrontate.

Ma la modalità suscita emozione, commozione, uno smottamento dei pensieri verso la volontà di adoperarsi a rendere l’ascolto l’inizio di un nuovo percorso.

A scanso di equivoci, per non farvi leggere tutto ciò inutilmente: non è un disco di chitarre, di schizzi elettrici dentro lo stomaco, ma lo stesso organo viene preso a calci, viene accarezzato come non si potrebbe fare con alcuna chitarra. La sua presenza fa parte di un’onda sonora che trova il territorio di sviluppo attraverso un senso collettivo dove synth, orchestrazioni, un drumming di ispirazione elettronica, sono i cardini di riferimento e dove le chitarre si adagiano per saldare il tutto, in una compattezza assoluta, gradita, di valore estremo, indiscutibile.

Le canzoni entrano nell’oscurità dei comportamenti, facendoci vibrare, terrorizzandoci, dandoci la consapevolezza che ciò che muoveva l’arte dei Marlene ora ha trovato sviluppo e maturità, uomini Veri, Responsabili, realmente Attivi.

Un concept album che ruota dentro parole gravide di lacrime, lamenti, potenziali scosse da programmare con intelligenza. 

Si viaggia con sguardi dal pianeta verso il cielo, dal cielo, dentro, nella profondità di questa Terra, esaminata e portata a una comprensione precisa, per far sì che ci appartenga una consapevolezza reale, con dinamiche poetiche e totalmente connesse alla introspezione. E allora la propensione elettronica sa stupirci, condurci alle lacrime, scaldando prima il cuore e poi la testa, consapevole che per molti occorrerà molto tempo prima di comprenderlo: la speranza è che almeno si impari ad amarlo in fretta, perché non c’è tempo da perdere, la Signora Marlene vi vuole tutti gentlemen. È un album d’amore per l’amore, dove gli sprechi, i rifiuti attitudinali verso la responsabilità di ognuno di noi debbono essere eliminati e non più prodotti.

Perché le voci e i silenzi di questa esistenza ai bordi del dirupo siano campanella d’allarme, la capacità di determinare azioni salvifiche.

Tutto è un velo, una finestra che concede comprensione e partecipazione, attraverso suoni e melodie che pur descrivendo le brutture lo fanno in modo incantevole, bellissimo, regalando aria pura e disinfettata, che è un’impresa mastodontica, soprattutto ai giorni nostri.

Dimenticare il passato di questa band per conoscerne una nuova: questo occorre fare per non perdere l’occasione di una nostra crescita perché loro, come sempre, ci hanno preceduti compiendola per primi.

Ci sono brividi in arrivo, copiosi, e vi sono anche fiaccole di stupore, l’incredulità del trovarsi dentro un fiume dove vivono sentimenti pieni di rughe, dove i sogni appartengono solo agli sciocchi.

Tutto in Karma Clima comporta la sudorazione della mente, in cui lo sconforto viene a trovarsi nella splendida situazione di essere uno stimolo. Non c’è da danzare, forse nemmeno da cantare, perché queste canzoni hanno una direzione diversa da raggiungere e solo una alleanza con loro ci farà visitare la concreta capacità che hanno avuto di trovare quella bellezza che cercavano ovunque.

Le atmosfere sviluppano la traiettoria celeste, un senso effettivamente in grado di non farci sentire il peso, perché la musica è un raggio di luce notturna su cui sono le parole a fare da contraltare, regalandoci, quasi come una poesia spaesata, chilometri di zavorre.

Il mondo viene visto dall’alto, avendo premura poi di camminarci dentro, per avere una visione globale precisa, dove il dettaglio non solo fa la differenza, ma rivela il senso di disumana indifferenza nei confronti di ciò che accade. 

Tutto è storia, geografia, dove la morale viaggia al loro interno, scuotendo l’anima che, smarrita, cerca una mano, trovandola proprio in questi canzoni disagevoli ma pregne di verità.

Davide Arneodo rivela tutte le abilità tecniche che dovevamo prima o poi veder confluire in un disco: tutti gli altri sono architetti che non prendono ordini da lui, ma sostengono con la loro classe infinita queste creazioni che hanno la modalità del suono attuale per essere più credibili. E allora giunge la compattezza della band, a definire artigli elettronici sposati con melodie barocche, dove tutto è innovativo, facendo indossare alla Signora Marlene un abito mai visto prima: solo dando agli occhi atomi di profonda osservazione li condurranno all’innamoramento, che se accadrà sarà immenso, data la capacità di questo tessuto di avvolgere e sussurrare emozioni e pensieri come un infarto necessario.

Avere bisogno di questi brani deve essere una esigenza che bisogna decidere aprioristicamente, il fiato va congelato, come ghiacciaio necessario, da aggiungere a un mondo surriscaldato che non dà più importanza al freddo.

Le canzoni però scaldano, eccome se lo fanno: sono proiettili sottili, polveri letali per accoppiarsi, in grado di bucare il superfluo che regna sovrano dentro menti assenti e che devono riscoprire il senso del dovere e non solo di quella libertà che sta distruggendo tutto.

Marlene salvifica, saggia, con quella pesantezza che non fa a meno di linee morbide e sensuali, di chiome da guardare e da accarezzare. E, come nucleo di un cuneo pesante, partono da Cuneo per coinvolgerci, per non perdere la leggerezza che si raggiungerà solo quando ogni cosa avrà ritrovato l’equilibrio che rispetta tutti.

Non servono le farfalle nello stomaco ascoltando Karma Clima: quelle devono poter vivere nella natura, come tante emozioni che non debbono essere una questione privata, bensì zone mentali contro la meschinità dell’interesse, e allora quest’opera diventerà un prodigio dentro di voi, anche nella pancia, non dubitatene, però prima deve entrare in circuiti a molti dei quali non siete abituati né interessati.

Cos’è in fondo questo lavoro? Una nuvola dallo sguardo acceso verso la clemenza, verso una necessaria pausa egoistica, una propensione melodica al futuro. Sono proprio i movimenti di accordi e le loro successioni ad essere un mistero che necessita di quel tempo di cui parlavo all’inizio: bisogna formarlo, viverlo, per non arrivare alla disperazione di quel “tutto tace,” che è il simbolo del disastro.

Ora vi porto nei sentieri che non sono sonici, schizzati, pieni di frastuono, perché dentro questo album tutto è maggiorato rispetto a questi tre elementi, tutto è elevato al quadrato con classe immensa, in un delirio che sarà vostro quando sarete voi ad andare verso i Marlene e non il contrario…



Song by song


1 - La fuga

Testo e musica compatti, determinati a fare del messaggio qualcosa di chiaro e ineccepibile, nel tempo della confusione e dello smarrimento. È arte allo stato puro questo perfetto connubio: non ci rende liberi di fuggire da un eventuale tentativo di nascondere lo sguardo e diventa un vento dalle sbarre pesanti capaci di raggiungerci dall’alto, precipitando sulla nostra meschinità. Il pianoforte rende drammatico il tutto, come lo fa il drumming, tra beat e pelli vere a rimbombare dentro le parole. Le chitarre sono nascoste, la melodia rivolge il pensiero verso il cielo e gli chiede il proprio silenzio… Imponente.


2 - Tutto tace

Il cantato sorprendente di Cristiano, sull’accoppiata piano-tastiera, è uno shock rigenerante, sino al grigio maestoso di un ritornello che conduce al pianto, intenso, e il tutto accade su una linea melodica stretta ma che accoglie potenti suggestioni. Perfetto esempio di ciò che dicevo prima: non conta se non arrivano le farfalle qui, in quanto questo brano vale di più di ogni pregiudizio, perché è un volo che appartiene alla saggezza, quella più clamorosamente dotata di classe. Quando la Luna ti entra nel cuore.  Clamorosa.


3 - Lacrima

Incalzante, vibrazioni elettroniche a rapire l’orecchio, con un ritornello che scioglie ogni resistenza, per dare la sensazione di come certe parole possano essere sostenute solo da una musica precisa, ed è un miracolo questo combo, che conduce a una lacrima “così tenera”. LACRIMA è la fotografia di un impeto desideroso di mantenere il contatto con il passato, ma con i passi dentro un presente che cerca di garantirsi un futuro.  Straziante.


4 - Bastasse

L’Olimpo Marlenico mostra il dolore e si trasforma in una ballata moderna, di ispirazione folk, con gli accessori di una perfetta miscela World ed Elettronica, il tutto con una  leggerezza che scatena commozione. Le chitarre lavorano in cantina, ma salgono le scale avendo un pianoforte come migliore amico. Come se il disco solista di Cristiano avesse trovato una proiezione umorale tra le pieghe del vestito della Signora Marlene. Intensa.


5 - Laica preghiera

Struggente, lenta, ampia come una vallata di alta montagna, dove poter sentire meglio gli Dei, questo brano contiene tutta la cura dell’intimità che viene portata agli altri. Per farlo sceglie tre fasi distinte, perfettamente collegate, con la partecipazione di Elisa, che stupisce per il perfetto mood attitudinale, per il fatto di dare alla sua voce la grandezza della musica.  Poi il finale vede lei e Cristiano fisicizzare il testo con un cantato commovente, mentre Davide Arneodo dipinge le traiettorie melodiche. Necessaria. 


6 - Acqua e fuoco

Dopo un attacco che evoca i Bad Seeds, si entra in una sezione di richiami elettronici in continuo movimento con uno splendido lavoro di archi; il basso di Luca quasi dub seduce e spiazza, con piacevolezza e incanto. E se esiste una musica che entra in un testo è proprio questa, per trasformare una melodia in una montagna russa. Intrigante.


7 - Scusami

Forse il momento più alto dell’album, dove l’emozione dell’ascolto fa tornare la canzone dentro di noi per appropriarsene, con la miscelanza di chitarre e tastiera che sono i motori di un groove che potrebbero farci danzare a testa bassa. Ed è un volo che contiene parole mature, che creano feritoie e ferite, sino al recitato finale, nello stile personale di un crooning che abbiamo imparato a conoscere in questi anni. Corrosiva.


8 - Vita su Marte

Una radura di dimensione apocalittica entra nella progressione stilistica musicale che offre il peso specifico di una band completamente dentro processi creativi studiati, e in modo perfetto. Nessuna concessione: anche il ritornello, che potrebbe subire attacchi da parte dei critichini, in realtà è la legittima conseguenza dell’impianto che lo precede. Maliziosa e sensuale.


9 - L’aria e l’anima

Ed è un racconto dalle piume piene di ricordi quello che conclude l’album, il teatro che entra nelle immagini create dalla penna accalorata di Cristiano, su una base musicale struggente, che sospende ogni pensiero obbligando all’ascolto approfondito. La tristezza diventa il giudizio conclusivo sulla crudeltà umana. La chitarra finale è il bacio di addio, dove se esiste una speranza è in quelle note… E il sorprendente coro di chiusura, oltre a intenerirci, sa anche essere uno schiaffo al mondo adulto. Uno zigzagare nel caos sensoriale.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

30 Settembre 2022


Karma Clima
https://open.spotify.com/album/23RMGstKGwXFnA5SOygDho





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