David Middle - A Goth, A Piano & Songs of Sorrow
Un’ombra umorale sale dal cielo di Cambridge (lo fa da tanti anni), in costante dilatazione, usando forme artistiche diverse, prendendo il coraggio, il lavoro, il talento e la sfortuna sotto l’ala della sua splendida e ostinata necessità di non lasciare il mondo senza le sue ossessioni, dolcezze, integrità, volontà di fare del proprio mantello lo sguardo della sua purezza.
Questa espressione della natura ha un nome: David Middle, un corsaro gotico, cinematografico, a tratti un mimo della vita, altre volte un cabarettista che sfida il nero trasformandosi anch’egli come il più vorace dei colori. Per avanzare, fermare il tempo, costruire barriere coralline con la sua filosofia diretta, le sue corde vocali acute, spigolose, saggiamente tremende e implacabili, in ebollizione, una polveriera che saccheggia la calma e la conduce verso un atto di fede agnostica…
Un album da solista, mentre la sua anima non ha mai mancato di collaborare con band e progetti paralleli, è una scelta che rende più specifico il suo flusso cosciente, in una modalità che gli permette un focus indiscutibilmente forte e circostanziato ai suoi testi così potenti e in grado di trasformare la realtà, le paure, il silenzio e la memoria come i piloti di un palazzo mentale che mostra in modo ineccepibile.
Usa strategie note in modo inusuale, colora le trame sonore con il vento di una ispirazione continua, spaziando da Klaus Nomi, ai Virgin Prunes, a Rozz Williams, al più cupo Alice Cooper, arrivando a sfiorare la spalla di Genesis P-Orridge e il mento di Marc Almond. Ma è solo l’inizio, una falsa pista, in quanto David ha praterie proprie, come le sementi del suo pensiero così autonomo e originale.
La vita e le sue pene non sono raccontate bensì vissute in contemporanea, come se tutto accadesse mentre ascoltiamo e questa sensazione, divina e massiccia, lascia petali neri sul nostro respiro, rendendoci consapevoli di una dipendenza a cui in fondo non si sperava di avere la fortuna di assistere…
Si può, in questo modo, riflettere su come la pochezza degli strumenti usati in realtà aprano le porte della percezione, dando alle nostri menti lo spazio per allargare la necessità di far fluidificare questo pentagramma che invece di essere povero è ricco di grandi suggestioni. Tasti in bianco e nero e una sequenza teatrante di movimenti che accolgono archi sintetici e handclapping che suggeriscono il silenzio attorno a essi: Middle è un mago fuori da questo tempo, scevro dai condizionamenti, così barocco nella sua fertilità che non accetta forzature da parte delle forme espressive del presente.
Costruisce sentenze che, voraci, danzano nella sua ugola graffiando la volta celeste, l’unico vero paradiso che vede il suo laboratorio essere una cascata di pensieri imbottiti di incantevoli giochi di luce, dove il chiaroscuro è solo lo start dei suoi bisogni artistici, poderosi e olfattivi, sensoriali in quanto l’orchestra dei suoi battiti finisce per invadere tutto, con calma e una disperata intelligenza.
Un album per anime abili nel farsi avvolgere, coinvolgere, per sospendere la parte che si rifiuta di capire l’intensità, il dovere della coscienza, divenendo un distributore di scintille razionali che abbracciano la purezza di sentimenti caduti nella solitudine non voluta. Il connubio tra la musica e le parole risulta così essere un perfetto mantra con il quale cadere nella piacevolezza del dolore.
La ricerca armonica mostra integrità, conoscenza delle modalità espressive e un grande rispetto per quella parte della storia musicale che l’odierno non conosce e non rispetta. David si rivela così un combattente con note come pallottole gentili, mentre le parole sono sciabolate a salve, in grado di centrare lo spazio che sta perfettamente a metà tra la mente e il cuore.
L’artista rivolge l’attenzione verso la natura, misurando distanze e similitudini, coinvolgendo la strada della descrizione armonizzando il proprio spirito complice, maturando con la musica un legame intenso, quasi muto, per poter vivere liberamente una connessione con entità sicuramente più buone.
Si ha sempre l’impressione di una maturità che induce David a cullare le rughe della propria mente spingendolo verso una forma quasi segreta in cui essere custode e rabdomante, alla ricerca di verità, seppur scomode, ma gestite con autorevolezza.
Quando si ha l’impressione che voglia seminare petali neofolk si avverte una sacralità pagana forse anacronistica, che però offre la misura della sua estensione culturale, e la sua lingua sa essere un dolce veleno che rovesciandosi diventa amaro: miracoli come infissi nel buio…
Accade poi di sentirlo congedarsi dalla vita (nella maestosa Ode to Jacqueline) si avvertono brividi, come se un amico se ne andasse, ed è uno dei momenti più toccanti con i quali si deve fare i conti. La sapiente volontà di donare melodie che si fissano nella mente comporta il fatto che pure le parole facciano lo stesso, finendo per dilatare i centimetri del nostro ascolto.
Le orchestrazioni, minimaliste e mai pompose, danno anche la misura di una produzione curata, in grado di farci avere l’impressione di un racconto in musica che va riletto e riletto ancora: nemmeno una sillaba di bellezza va persa in questa opera meritevole della migliore accoglienza…
Song by Song
1 - No One Hears Me
“Pull me out from the drowning mud”
Una danza appare, nella notte, per essere un racconto tra ansia e sogni mancati. La musica è un gesto balsamico attraverso tasti battenti con morbida propensione verso il registro basso…
2 - Climbing Stairs
“Every fall is a lesson, every climb is a spell”
La contrapposizione tra le note grevi e lente del pianoforte e il cantato di David creano un lampo notturno nel quale cadere con dignità. Un brano che pare arrivare dalla tensione teatrale e cabarettistica del miglior Marc Almond. Ed è apoteosi in ripetizione…
3 - Help Me Please
“I, see faces, but memories still fade”
La memoria qui trova una clamorosa centralità e la cavalcata del basso e il contrappunto del piano ci riducono in brandelli. E poi quella invocazione, che si trasforma in un mantra da tenere nel circuito segreto delle nostre colpe. Un capolavoro senza tempo…
4 - The Whispering Wings
“Underneath the whispering trees”
Il teatro francese sale sul palcoscenico, si cambia l’abito e diviene un eco inglese del Millesettecento, con un’apertura alare del ritornello che pare essere un monito, in cui il terrore afferra i sogni e li uccide…
5 - Final Witness
“Scared to last you
never rest”
Si danza e senza il drumming è pure meglio: sulle punte, come ballerini classici, mentre il testo compie una panoramica sostenuta da una voce che si fa ago piangente…
6 - Ode to Jacqueline
“My time has come, and now i know I said goodbye”
Il ritmo rallenta e i tasti sentenziano, per poi aprire le braccia dentro un circolo di luci amorose piene di tensioni, inviti, sino al finale con un addio che traduce perfettamente uno spartito così volenteroso di essere riconoscente alla musica classica, che qui si fa ancora più evidente e necessaria…
7 - Gothic Candles (Midnight Mix)
“Through the darkness, we journey hand in hand”
David ci porta costantemente nella notte, nel buio, per attraversare le illusioni dei sogni e le più evidenti e reali forme dolorose, con un’ambientazione musicale gotica, come se Rozz Williams lo incitasse a non perdere la teatralità perfetta del suo cantato…
8 - Walking with the Dead
“In my heart, the dead will stay”
Una prodezza, un nuovo tuono nel cuore e nella testa, per questa ouverture che diventa una piacevole tortura, che cerca di trasformare un volo libero in un doveroso schianto. Tutto qui odora di definitivo, come se davvero la convivenza con la morte potesse essere l’unica gioia.
9 - Our Broken World
“Our innocence lost in the hands of fools”
Il cantato iniziale ci riporta ad Hallelujah di Leonard Cohen, ma poi tutto si sposta e si entra in una drammaticità solare, in un contrasto giocoforza ragionevole, e la musica rende il tutto perfettamente coeso e intatto…
10 - A Hollow Heart
“But through the tears, I’ll find my way”
La disperazione è obbligatoriamente un processo lento. E invece David la rende quasi una fase allegra, veloce, dalla voce leggera, e la musica che pare fare il solletico all’inverno…
11 - Dark Love
Il brano più raffinato, più teso e drammatico giunge quasi alla fine dell’album, lasciando petali dandy nel testo e spunti musicali che attraversano le epoche e gli stili per poi farci sentire il gusto amaro di un amore pieno di tenebre…
“A symphony of lust, makes your heartbeat tight”
12 - Mood Swings
“I laugh until I cry”
Una voce filtrata, come mai prima, fa da apripista all’ultima canzone, che è come un epitaffio nascosto, sepolto da una musica angelica con sfumature, in modo emblematico, drammatico. Ed è un soffio dolce che spegne la candela, che subito però riaccendiamo per riascoltare questo album così delizioso e significativo che è un peccato madornale trascurare…
Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
27 Marzo 2025
https://batcaveproductions.bandcamp.com/album/a-goth-a-piano-songs-of-sorrow