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giovedì 22 dicembre 2022

La mia Recensione: Roxy Music - For Your Pleasure

Roxy Music - For Your Pleasure 


La Storia ha creato Favole che hanno riscritto il valore dell’Arte.

Per necessità, svelandone il piacere.

E come tutte le favole, pure questa ha avuto la difficoltà di veder tributato il proprio merito attraverso altre che sono state scritte dopo.

Perché esistono album e band che non hanno immediato riconoscimento, e questa è quasi una tragedia, altro che favola.

E la band Londinese, rappresentante perfetta di che cosa sia l’imprevedibilità all’interno di una costante sperimentazione, sforna l’album che cambierà la musica di lì a poco: un merito innegabile non subito inteso nella sua straordinaria capacità. Canzoni come vocabolari immensi, poesia che inventa il futuro più che ricordarne i fasti, perché i tempi lo richiedevano e una pletora di artisti di quella fulgida contemporaneità avevano già stabilito la necessità di un cambiamento più che essenziale. Ma i cinque cavalieri mutanti, Brian Eno, Bryan Ferry, Paul Thompson, Andrew Mackay e Phil Manzanera ebbero il merito di trovare la vernice migliore per fare del mondo artistico, musicale e culturale un luogo magico, profondamente diverso e necessariamente nuovo.

Dopo l’album di esordio, altrettanto seminale ma meno preciso, questo secondo lavoro (da qui il folletto Eno salutò la compagnia e intraprese una più confortevole camminata tra le sue adorate scorribande con le sue amate manopole) sentenziò, definì e conclamò una svolta epocale.

Partendo dal riassumere il cammino più fosforescente del Rock e di tutte le sue piume incantevoli, i Roxy Music con For Your Pleasure fecero un salto in avanti di cui ancora oggi si sente il profumo e la precisione con cui la storia della musica da loro ha avuto i doni più grandi: il merito, la capacità, la magia, la perfezione. Facendo pure in modo che certe particelle delle canzoni contenute diventassero addirittura generi musicali destinati a creare fiumi di generose propensioni, che perdurano e lo faranno per sempre.


Riascoltarlo oggi, con orecchie attente, non può che definire uno spazio dentro il quale la musica ha trovato sia ramificazioni che specificazioni, continuative, per disegnare specificità essenziali, in costante proliferazione. Otto brani intrisi di un tutto che non smette di essere perlomeno intravisto, percepito, ma non ancora colto: è proprio questo aspetto a renderlo immortale, un generatore di dinamicità senza possibilità di bavaglio, senza che nessuno possa fermarne la corsa. Si dovrebbe consegnare la medaglia d’oro a questo strato spesso di suoni unici in contesti di proliferazioni inarrestabili con l’ipnotica capacità di fare della notte un cammino felpato e sensuale, del mattino un respiro robusto e del pomeriggio una produzione immensa di esercizi sonori tesi ed effervescenti.


Inevitabile pensare che gli abitanti celesti siano riusciti a mandare ai ragazzi della capitale britannica segnali di vita, pulsioni e attrezzature melodiche e ritmiche fuori dal limite umano: queste sono canzoni figlie di alieni ma non alienanti, sono scintille monocromatiche con un gas sconosciuto a portarle in giro per il pianeta culturale musicale senza possibilità di negarne il mistero: ciò che è stato possibile fare con le otto canzoni di questo disco è tuttora per molti è praticamente impossibile. Non tutti possono essere figli delle stelle…

Ed è nostro e di tutti il Piacere dell’ascolto, una matrioska di infinite dimensioni dentro la quale tutto si fa sottile, immenso, catartico e devastante: come un unico imprevisto che regala ossigeno e dona l’imprevedibile dono della immortalità, ecco che ci ritroviamo infanti al primo giorno di scuola, totalmente sopraffatti e già distrutti al cospetto di cotanta diversità.


Si dovrebbe fare l’ecografia, una tac total body, immergere queste canzoni dentro l’acido più portentoso per scoprire la scorza infinita di queste pillole incantevoli che fanno viaggiare la mente come nemmeno massicce dosi di droghe potrebbero fare. 

E poi lo stile: un capitolo nuovo della letteratura dovrebbe riempire i nostri giorni per intenderne la potenza, la dinamicità, perché è forse questo elemento che maggiormente sgomenta e produce moti di godimento indiscutibili. Ne sono sicuramente intrisi con dimensioni che ancora oggi paiono sfuggenti a ogni descrizione. Se il glam ha dei meriti è quello di aver fatto dello stile una propensione, molto di più che una capacità, ecco allora che i Roxy Music (sicuramente non estranei a questo genere musicale ma proprietari, inconfutabili, di molti altri) inventano il peso massimo di questa capacità e diventano i principali creatori di infinite gemme. Producono la moda all’interno delle canzoni, abiti e tessuti che non si trovano nei mercati, nei negozi, nelle fabbriche. 

Riscrivere la Storia dell’eleganza, nei primi anni Settanta poi, è di fatto qualcosa di straordinario: incomprensibile è intenderne la modalità, spudoratamente comprensibile invece è goderne la morbidezza, l’intensità, provare piacere nel trovare il garbo con il quale la somma delle note diventa sempre una passerella radiosa, dove il nero fa sorridere e dove è il blu a renderci tutti inebetiti. 

Ma qui c’è molto altro, perché la perfezione è un cielo che non si accontenta dello stile, cerca particelle flessibili per generare l’incontestabile, per dar modo al futuro di non conoscere siccità, rendendo possibile l’assoluta esigenza di trovare nella pancia dell’album un pozzo di San Patrizio.


Si diventa utenti anonimi di un ospedale psichiatrico quando si mette la mente nei percorsi di queste canzoni: uno sciame di sirene provenienti da Atlantide salgono sul velo del tempo e scendono in questi solchi per facilitare l’abbandono della nostra lucidità, rendendoci devoti schiavi di ogni possibile piacere. Perché, indiscutibilmente, nuove modalità sensoriali apparvero, generando sconvolgimenti, e occorreva tempo per capirne il valore. E poterne, conseguentemente, godere i frutti. 

L’ensemble Londinese ridefinisce i movimenti e la storia delle canzoni, nel contesto storico dove soprattutto il Progressive aveva mostrato questa necessità: l’alta produzione di canzoni e canzonette a uso e consumo dell’immediatezza avevano incominciato a rendere insoddisfatti molti musicisti, creando imbarazzo e noia, rabbia e frustrazione. Sembrava che tutto questo potesse solamente generare la modalità della creazione di nuovi generi musicali. Ma i Roxy Music fecero molto di più e molto meglio ed è già tutto in queste composizioni, respiri ribelli ma che tenevano conto dell’importanza della storia musicale. 


Con questo album tutto diventa provocazione, essenza pura di inquinate tossicità rivestite di delicatezza, di una pornografica attitudine a fare dell’ascolto un amplesso osceno, sconnesso rispetto a quella che era la musica in quegli anni. Pose e ammiccamenti, sferzate nevrotiche, corse a perdifiato, palpabili idiosincrasie, fughe da schemi rifiutati prima e ridefiniti poi, con l’assoluto bisogno di fiammate tribali che ispessiscono il delirio. For Your Pleasure è il lungo momento nel quale l’inferno e il paradiso si sfidano, inventando continuamente le regole e i luoghi non di uno scontro, bensì di generosi ammiccamenti che sfiniscono l’ascoltatore, rigenerando il presente.


Tutto si fa dominio nel giardino della schizofrenia, dove il pathos circonda il respiro, catatonico per definizione, logorando la possibilità di rinunciare alla perversa volontà di cibarsi di queste splendide fotografie oscene perché questo in realtà è l’album. La psichedelia malata di Eno disegna la follia dei polmoni di MacKay, le contorsioni metalliche di Manzanera spargono spasmi, le pelli di Thompson sconquassano il cielo e la voce di Ferry è l’acqua santa che scende dal cielo per regalarci i cancelli aperti che ci introducono nel bordello scostumato del nuovo paradiso.


Ma poi: ciò che era la magia maggiore e prioritaria era la perfetta adesione alla promiscuità musicale tra i componenti della band, in continua elaborazione spontanea e studiata, l’appuntamento ideale di una complicità senza precedenti. Le idee musicali qui sono campi di funghi in un bosco fertile, dove tutto pullula di magie a noi umani non comprensibili, ma grazie a Dio nella condizione di un ascolto masticatore. Tutto ha una direzione nell’album: dieci mani che pescano dall’oceano quintali di luce e vapori di una intensità mai sfiorata prima perché le note sono dardi, piume, eretiche dimostrazioni di valori assoluti che agitano i battiti portandoli verso il volto celeste. Tutto è miscela, un carburante colorato come nemmeno un arcobaleno sa essere, come se fosse impossibile proseguire il percorso tracciato nella musica prima di loro. Lo si capisce dalle fiammate, dai cambiamenti di scenari, dalle progressioni cavalcanti che, come temporali impavidi, non arrestano il loro dipinto. Altro che crossover e cose varie e maldestramente assortite: un vinile sacro che si eleva e si discosta, conducendo tutti verso la bellezza. 


Il lusso, la passione e la volgarità si incontrano, dentro un prisma di suoni confezionati a misura, nati e vissuti come il lavoro metodico di un sarto nella sua piccola stanza che, una volta finito, renderà più bello il mondo. A partire dall’artwork, si ha l’impressione che un’esperienza sublime stia per invadere le nostre vene e così sarà: si incontrano molteplici forme espressive, con una scenografia che cambia in continuazione dentro la recitazione da premio oscar, per un fascio interstellare che fa capire come le idee siano generatrici di piaceri multipli, ridisegnando il senso del tutto. Allora note come un circo senza tempo circondano gli stili che cambiano il passo, si sciolgono e rinascono  diversi.


Rumori, cacofonie leggere, malinconie e sottili e clamorosi sbandamenti dalla pelle dorata rendono questo album il genitore che ogni figlio dovrebbe avere: creativo, disciplinato, strabordante, enigmatico, trasversale, efficace, incontenibile, capace di suscitare curiosità a bocca aperta, For Your Pleasure è uno dei pochi album che hanno stravolto la musica, e non solo, come uno starter talentuoso prima di una gara dei 200 metri piani. 


L’incontro della genialità, in cinque esseri umani, è oggettivamente una incredibile casualità, che bisogna saper governare e conservare: a questo serve registrare la musica, per renderne possibile la fruizione mentre il tempo si allontana da quella situazione. Sono passati quarantanove anni da quell’incontro, da quella semina, e tutto è vivo, lucidamente e splendidamente, affinché nulla possa impedire lo studio e l’apprendimento. 

Ascoltare qui è lezione di classe, di armonia e piacevole solitudine, dove la gelosia vorrebbe creare piaceri individuali e solitari, per non condividere con nessuno questo orgasmo: l’amore è anche questo, innegabilmente, e si vorrebbero concerti di questo album nelle nostre singole stanze, in un solo, infinito lungo applauso.

Un’opera robusta, che sostiene e genera proliferazione non può che essere ammirato. Il gruppo musicale più influente degli anni ’70 è stato proprio questo e l’incantevole progetto di cui lo scriba sta parlando è ancora oggi un brivido dal quale sgorgano semi. 


Allora l’elettronica diventa non un atteggiamento sonoro ma una impronta, il punk nasce con una maschera perfetta, il glam mette la freccia e sorpassa la sua stessa storia, il progressive lascia le tracce perché vengano fotografate senza la necessità di metterci interamente le scarpe dentro.

Via i ritornelli e via la consuetudine di fare della canzone un fischio e/o un canto sotto la doccia: occorreva una bastonata piena di charme ed eccola qui, possente. 

Non solo dei generi sono nati da qui (post-rock, ambient, world music, post-punk, e altri ancora) ma soprattutto un concetto nuovo del tutto, dal pensiero alla musica, dove il baricentro (la genialità) avesse il ruolo e il dovere di immergersi in un tuffo continuo.


Potrei scrivere un libro, ma mi fermo qui.

Un disco del genere non si spiega: lo si vive con ascolti continui, essendo consci del fatto che ci fa arrendere tutte le volte e ci rende piccoli, ma con la certezza che si nasce con lui per poterci regalare l’illusione che prima o poi potremo farne uno simile.

Proprio vero: ci nutriamo dell’impossibile… 


Alex Dematteis 

Musicshockworld 

Salford

23 Dicembre 2022


https://open.spotify.com/album/6gKMWnGptVs6yT2MgCxw29?si=dE5vzh_vRnyaVmO48cJ-cwSi 




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