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giovedì 2 marzo 2023

La mia Recensione: Long Gone - Drowned

 Long Gone - Drowned


“L'amore dura finché resiste la memoria, non importa se dolce o amara, se è punteggiata di gesti avvenuti o solamente immaginati.” Manuela Stefani


L’acqua: la Dea, la Magnifica, la Violenta, la Preziosa, l’Infinita, la Ribelle che gioca con la Calma, la Risorsa che non dovrebbe avere prezzo, la Purificatrice che lava e sporca, l'Egoista che diventa Generosità. L'elenco specifico di ciò che è potrebbe durare per la lunghezza di un romanzo, non è il caso, il vecchio scriba lo sa già bene. Ma, credetemi, nei minuti dell’ascolto di questo album la sentirete circondarvi, bagnarvi, facendovi fluttuare in un mare di emozioni che sapranno stupirvi e lanciarvi in un generoso tuffo a metà strada tra il limpido e il misterioso chiaroscuro. Canzoni come rabdomanti, come poetesse del desiderio di fare della memoria la prima complice dell’acqua, che può far affogare tutto, occorre prestare molta attenzione.

Gli artefici sono quattro navigatori dei moti sublimi di una città priva del mare, ma che ha tonnellate di quel composto chimico che le scorre dentro con i suoi canali (Navigli), ed è Milano, ricoperta di queste anime, con le loro gocce fluide, dense, appiccicose, lunari e piene di sale e farina.

Si presentano all’appuntamento del lavoro di esordio con un concept artistico ben articolato, sviluppato in un modo tale che queste composizioni diventano le coperte delle onde che si alzano in volo con potenza ed eleganza. Si rimane sorpresi, sbalorditi, stupefatti di queste architetture che abbelliscono i pensieri, laddove l’intenzione di partenza era quella di fare un viaggio immaginario di quasi annegamento. Ma il disco dà vita, forza, coraggio e con le sue composizioni si diventa naviganti sparsi per i fiumi della memoria, la vera protagonista dell’album. Utilizzando schemi molto prossimi al Post-Rock, con chitarre, basso e batteria attenti a non rimanere confinati in quella sola possibilità stilistica, ecco vederli remare con un Alternative quasi cupo, cantautorale per certi momenti, con l’Indie Rock a tenere sotto controllo la situazione e a metterci un pò del suo. Ma non è proprio il caso di citare eventuali gruppi che potrebbero farci ricordare qualcosa e qualcuno: lo scriba invita a fare un’esperienza priva della becera necessità di comparazione. C’è così tanta acqua propria dei ragazzi che parrebbe un insulto indirizzare aprioristicamente l’ascolto con un elenco, totalmente inutile.

Quando un insieme di fasci liquidi (dodici in questo LP) suscitano curiosità, dipendenza, fascinazione, allora si diventa complici di una poesia sonora incisa sulla pelle, che si trasforma in memoria e sostentamento. La band milanese ha generato uno scossone, probabilmente nelle intenzioni, ma credo anche con una certa dose di dubbio circa il fatto di sapere se ci sono riusciti o meno, nel proprio panorama musicale, dimostrando classe, la capacità immensa di essere italiani nel mondo, con alcune caratteristiche del paese dello stivale perfettamente miscelate con quelle di altre nazioni e continenti, determinando un disco socialmente in grado di parlare un’unica lingua che vale in tutti i luoghi. Ed è quella della bellezza abbracciata al senso e alla profondità, per rendere il tutto un porto all’interno di porti del nostro pensiero.

Tutto respira di scoperte continue, di valutazioni in divenire che prendono residenza tra le note mentre escono dagli amplificatori, con suoni, canzoni e una produzione elevatissima a fare di questo esercizio musicale un malinconico atto di gioia da ripetere negli ascolti fotografici della necessità che propone di non abbandonarlo. Il tempo, in questo esordio artistico, è una ferita che si guarda da vicino e i quattro ce lo fanno sentire nei nostri battiti imbevuti di stupore e necessità, perché alla fine questo esordio discografico diventa un matrimonio improvviso, fulmineo, viscerale. E ora il vecchio scriba vi porta in ognuno di questi dodici fasci liquidi, la nuova casa di questo idillio inimmaginabile ma che è nato proprio con l’esperienza di Drowned…


Song by Song


1 Losing One 


L’ingresso, l’apertura, l’approccio dei ragazzi per cominciare questa avventura è psichedelico nelle battute iniziali, con la chitarra che aiuta a uscire da quella minima ambientazione per spostare il tutto verso uno Slow-Core tiepido, che avvolge, attraverso un tappeto ritmico che tiene amalgamata l’atmosfera in modo perfetto.


2 Throw Stones


Ci si tuffa subito in quella che sarà la linea guida del lavoro: il contatto con il tempo, in una nuvola di note come pioggia senza fretta, che circola nel cielo con eleganza e la tristezza al suo fianco, tra fragori di chitarre magistralmente trattenuti, con la voce che pare cercare di arrivare nella contemporaneità, suscitando notevoli suggestioni. E poi sono brillii di note strazianti verso la fine del brano…


3 Last Thing I Want


L’album si indirizza decisamente nella sua dimensione intima, ma pronta ad aprire se stessa con un ritornello che pare uscire da una cantina Londinese degli anni ’60. Tra suggerimenti lenti ma pieni di pathos, gli accordi si susseguono per divenire un abbraccio. La melodia, così esplicativa per la band di Milano, qui mostra il suo volto in modo perfetto.


4 Lost In Confusion


Ed è Post-Rock ai massimi livelli, miscelato allo Slow-Core, per generare un applauso del cuore: il talento è innegabile, la canzone è un palazzo mentale, tutto perfettamente costruito per indurre l’ascolto al sogno, ma anche a un senso di perdita dei sensi, che si rivela essere piacevole malgrado si avverta una sofferenza tra le note e le parole. Le onde della chitarra sembrano stirare i nervi ed è incanto, struggente esibizione di classe.


5 No Better


Tutto cresce, cresce e, con questa nuotata Post-Rock / Alternative, siamo tra le onde del cielo: si piange, il cuore avverte il pericolo della realtà, tutto sembra una proiezione della complessità umana e nel ritornello siamo convinti che i Long Gone siano i pittori della credibilità, attraverso una melodia struggente, poi arriva l’assolo di chitarra a portarci in giro verso pensieri adulti…


6 Slow Decay


Non cedono di un millimetro, anzi, i quattro hanno deciso di inchiodarci davanti alla qualità della lentezza, la madre di ogni intelligenza. E in quella zona ancora una volta si sprigiona il fascino di una decadenza che è accettabile, non soffoca, e ci porta una malinconia che pare uscita da un film muto degli anni ’20 del secolo scorso. La voce, a un certo punto, canta sulle rullate della batteria, creando tensione spettacolare e poi il brano si apre verso la minima distorsione delle chitarre, generando un perfetto clima di armonia.


7 How Long


Tempo per il vecchio scriba di commuoversi completamente, perché ogni cosa si fa ossessiva ma elegante, i giochi sensuali della chitarra ci portano negli Stati Uniti degli anni ’90, e la sensazione che ci si stia tuffando nel vuoto è precisa, grazie a un perfetta evoluzione della melodia.


8 Read Loud This Letter


Sembra che i Catherine Wheel abbiano abitato a Milano, poi salutano e lasciano la band Milanese al suo talento, il sentire diventa cupo, con un delay che incanta, e il risultato è una stupefacente dimostrazione di come il suono qui sia maturo ai massimi livelli, tutto incastrato verso la  magnificenza di una tensione palpabile, che viene sciolta dai grappoli di note della chitarra che verso il finale sa come ammaliarci, senza paura. E poi via, verso l’ultimo minuto, con le lacrime belle in vista.


9 Reap Me Back


Un arpeggio di chitarra si presenta a inizio brano ed è un loop come una installazione a cui non si può più rinunciare. L’arte trova la sua sublimazione dentro la polvere di questa canzone, un lamento docile, un cullare il ricordo per uccidere una parte inconscia di sé. Misteriosa, delicata, ipnotica: siamo a livelli stratosferici di una tensione che ha uno splendido bavaglio alla bocca…


10 Getting Cold


Verso la fine dell’album ci troviamo davanti a un episodio che svela, se ancora non si era capito, la zona dove vive la band: quella di uno Stato cuscinetto tra la follia della bellezza e la normalità della paura, in un gioco di appigli in cui tutto sembra franare verso una dipendenza dell’ascolto. A questi ragazzi è impossibile volgere le spalle, basta ascoltare l’intensità, nervosa e magnetica, che esce dalle loro propensioni a fare della musica un atto di fede verso il racconto…


11 Blind Mind


Il penultimo brano è una sfilata di note, in una passerella che, partendo dai Velvet Underground, passando per Athens, Georgia, dove i vecchi R.E.M. commossi ringraziano, arriva a Oxford, il tempo per un saluto ai Radiohead, e poi via, torna a Milano, per dimostrare al mondo che questo disco è una magia che deve trovare posto nei vostri cuori, negli scaffali e nelle vostre giornate piene di pioggia, dove quest’ultima sono le emozioni…


12 Blues Procession


Ed è un magnete a chiudere il cammino di bellezza, a definire e a specificare completamente cosa abbiamo vissuto: Blues Procession è il riassunto, il pugno che si apre e accarezza e invita a stazionare dentro i suoi confini, tra la voce che trova l’ennesima melodia vocale perfetta e il frastuono di chitarre che salutano, con il basso e la batteria che ancora una volta, quasi silenziosamente, hanno permesso alla perfezione di esibirsi…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

2 Marzo 2023


L'album sarà pubblicato il 3 di Marzo 2023







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