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giovedì 13 aprile 2023

La mia Recensione: STATIQBLOOM - Separate Worlds

 STATIQBLOOM - Separate Worlds


Una foresta vista dall’alto, un essere umano spaventato corre alla ricerca di un non so, la pioggia spara proiettili elettronici su quel corpo, un canto arrotato e maligno lo accosta. Potrebbe essere la scena di un film sull’apocalisse questo primo remix della sigla STATIQBLOOM, composta dall’enigmatico Fade Kainer, rimasto ormai l’unico membro. Compatto, porta la Dark-Electro a convivere con l’Industrial, in un gioco tribale, un vomito sonoro che avvolge e conquista. Intemperanze, insistenze, capacità fanno di questo brano un anticipo della fine che verrà. Con la seconda rielaborazione, fatta dal progetto greco Qual, la modalità diventa meno ossessiva da una parte, ma con la sensazione che sia sempre presente una volontà di distruzione. Suoni pesanti, l'atmosfera si fà più caotica e gotica per un risultato eccellente.  


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
13 Aprile 2023




My Review: STATIQBLOOM - Separate Worlds

 STATIQBLOOM - Separate Worlds


A forest seen from above, a frightened human being runs in search of a don't-knows-where, the rain shoots electronic bullets at that body, a rounded and malignant chant approaches it. It could be a scene from a film about the apocalypse, this first remix of the STATIQBLOOM theme song, composed by the enigmatic Fade Kainer, now the only member left. Compact, it brings Dark-Electro together with Industrial, in a tribal game, a sonic vomit that envelops and conquers. Intemperance, insistence, skill make this track a foretaste of the end to come. With the second reworking, done by the Greek project Qual, the mode becomes less obsessive on the one hand, but with the feeling that a will to destruction is always present. Heavy sounds, the atmosphere becomes more chaotic and gothic for an excellent result.


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
13th April 2023




sabato 11 giugno 2022

La mia Recensione: Einsturzende Neubauten - Halber Mensch

La mia Recensione:


Einsturzende Neubauten - Halber Mensch


Luogo di collocazione emotivo: pozzanghera elettrica.


Epoca: attorno alla perdizione sensoriale, circa.


Elementi necessari all’ascolto: fulmini addominali, senza pause né disturbi.


La disgrazia delle preferenze giunge alla punizione onesta, nessuna possibilità di sfuggire, si sono rotti gli argini dell’inferno, per accogliere in un tripudio di ferite lancinanti chi osa stare lontano da questo orgasmo bellico.

Üntergang è il luogo del precipizio, la casa di un fuoco fatuo che ha generato un’onda che copre l’inconsapevole mondo. Da Berlino, dove tutto geme e urla, dove si progettano impalcature di bellezze siderali, dove non c’è uscita di sicurezza, nasce la follia delle forme più astruse e caotiche, l’orgasmo nero che annichilisce.

Necessità di terrorizzare la banalità, la comfort zone, le genuflessioni deprimenti e senza nerbo, il dovere di educare l’ignoto verso uno scontro fatto di scintille e detriti sonori. Ecco che gli edifici devono crollare e provocare fastidio, dolore, confusione, su polvere di fumo benedetto da anime sconvolte e disobbedienti ad una sistemazione esistenziale priva di contenuto, concetto e perdizione.

Non ci sono palchi, le transenne vengono gettate sotto lame senza perdono, si tritura il presente, nel delirio del “tutto serve” per rendere martire ogni cosa.

Dopo due collezioni di lava sanguinante e corrosiva, i Berlinesi decidono di infangare il suono e cercare una collocazione diversa per dare l’impressione di un cedimento, di un inganno: siamo illusi, ignoranti, gli EN utilizzano la volgarità per smascherare le nostre stupide conclusioni.

Alber Mensch è omicidio culturale, valanghe che puzzano di cupidigia disastrata e perfetta.

Al suo interno troviamo molto più della morte. Questa, a confronto della distruzione che ci viene mostrata, diventa un incubo tollerabile. Concessioni e negazioni, sferzate concettuali su territori sconosciuti e armati di torbido orrore, di silenzi sverginati con fruste nere, piene di borchie: alla pace è tolta ogni accessibilità, non ne troverete e sarete prigionieri dell’esaltazione traumatica.

Se il terrore, il disagio, la fuga senza più ossigeno nei nervi potete chiamarli musica, accomodatevi pure e rilassatevi, è pronto il rito dello sconvolgimento a segare la presunzione.

Gli EN non concedono respiro, oltre gli inferi c’è solo la constatazione di un dolore e della perdizione che, uniti, massacrano tutto quello che è convenzionale. 

A morte l’abitudine, allora.

Loro danno spazio a ciò che non ha grazia, una disgrazia che contagia sino all’irrigidimento del tutto, come unico, spaventoso godimento.

Berlino come Nagasaki: morte del futuro, conclamata e impossibile da seppellire, tra le lamiere e le spinte allucinogene di massacri continui a ogni forma di bellezza.

Lo stato dello cose (Wim Wenders lui sa) conosce l’ultimo passo tra i lacci attorno ai nostri pensieri, l’attesa della fine dell’incubo dura cinquantacinque minuti e cinquantacinque secondi: troppi, vero?

Berlino inchiodata alla sua croce, forse “tradita” dai suoi stessi concittadini, la purga più intollerabile da subire, nei liquidi amniotici come in quelli gastrici, urla di rabbia contro queste creature uscite dal sorriso dei vermi. La violenza abita, conquista, entra in aghi sorridenti di tossicità varie, acquisite e conquistate per liberarsi della noia e del vuoto. Freddo oltre i Poli, ossidata la temperatura, si può concedere al delirio la polverizzazione degli schemi, un massacro pianificato, dove il baricentro di ogni follia sorride alla devastazione mai contemplata prima.

Sono strategici, furbi, maliziosi gli EN: dopo avere per davvero distrutto i timpani con Kollaps e Zeichnungen des Patienten O. T., mitragliate furiose al di là di ogni immaginazione, creano il teatro della illusione intossicando con finta musica, dove sembrano esistere le condizioni di parvenze sonore vicino alla forma canzone.

Certo, è così, ma a quale prezzo, in quale modo, chi può davvero sentirsi salvo davanti a questa concessione?

Petali di litanie ossessive gravitano nei canali uditivi per infiammare ogni desiderio melodico, una precipitazione continua di malumore, di dissolvenza emotiva necessaria per i cinque distributori di dinamite al fine di non concedere il respiro di un sogno che porti l’ascoltatore in un bunker. Tutto inutile.

Qualcosa doveva crollare, sono partiti dal basamento di una cultura corrotta, storta, complice, venduta al consumismo e dove l’ideale politico incominciava a stare stretto ad una piccola “tribù indegna”: gli EN ne erano i più feroci rappresentanti e l’arte era vista come un’apoteosi che poteva fornire gli elementi e gli argomenti giusti. Giù tutto allora, ruspe e martelli pneumatici a sfracellare quel cemento, quell’acciaio buono solo per essere visto stravolto e abbattuto. 

Il cantato di Blixa proveniente dalle catacombe ben si allineava agli attacchi perversi degli altri quattro, come uno scudo lanciato a bomba sulle armonie, le frivolezze, le giocosità di canzoni non più tollerabili. Bisognava cancellare un passato scomodo esercitando una violenza diversa, distruggere se stessi per nascere puri, con la polvere di cemento sulla pelle, in stato perenne. Ed ecco l’occasione per eliminare l’ego di un mondo ormai già sordo ma non consapevole: Halber Mensch dunque come viatico necessario per scoprire responsabilità, colpe, disarmonie, e conoscere l’annullamento del diritto al “sempre avanti comunque”; gli EN dichiarano la guerra e procedono, senza ostaggi. La pelle dell’uomo andava scorticata, incenerita, presa a colpi di pistola, ferita da scosse elettriche primordiali, buttata nel vuoto da scorribande di fresatrici semoventi, bisognava capitalizzare il materiale bellico infinito a disposizione: l’amica Pazzia, dagli occhi pieni di vene nere, saldata a stagno, senza esitazioni, giungeva come unico aiuto. Una distruzione creativa che deve divenire una sirena d’allarme per ogni coscienza in fase di opposizione: gli EN sparano, costruiscono armi chimiche nei sepolcri sacri dei loro eccessi, come prigionia liberatoria, assoluta.

Come vedremo più avanti, la band berlinese non dimentica nemmeno l’amore: lo butta nel fuoco di attacchi implacabili, non risparmia accuse, lo circonda di velenose polemiche e gli strappa la maschera.

Per assurdo gli EN si mostrano più raffinati e addirittura eleganti rispetto agli esordi ma è un’illusione mirata, usata con le armi di chi crede al loro processo di caduta. Rimane, invece, un assalto davvero implacabile, post moderno. Sotto i detriti che lasciano ben in vista, ci sono i commenti terribili nei confronti della società, della politica, con i polsi legati che poi vengono tagliati, senza esitazione. Entrano nel teatro mondiale della rappresentazione del finto come se dappertutto esistessero Charlottenburg e il Deutsche Oper Berlin, per un balletto dove la realtà viene fatta danzare consapevole della morte imminente.

Un lavoro che evidenzia tracce di minimalismo già presente nella capitale tedesca ben da prima dei cinque metallurgici impazziti. Un cammino verso un dandismo sonoro, una pseudo complicità organica per sistemare bene i loro ordigni, come se fossero stati puliti prima dell’esplosione dei nostri ascolti. 

Ma tutto ciò che ho scritto potrebbe far pensare a un album accessibile rispetto al loro stesso passato e accessibile al contempo per chi ha dimestichezza con certe “sonorità”. Nulla di più falso, perché non ci si deve soffermare sulla struttura del suono ma occorre includere quella dei testi, forse addirittura molto più ostili di ogni distruzione più o meno alleggerita rispetto ai primi due fuochi, datati 1981 e 1983. 

Occorre però specificare: mentre i primi vagiti di musica industriale si concentravano sulla produzione di rumori casuali, disturbando quel poco che conducesse ad una sterile soddisfazione, gli Einsturzende Neubauten erano desiderosi, sin dall’inizio, di costruire temi, argomenti, per poi creare un’opera di unificazione di strutture che si ponevano decisamente al di fuori di quella che era considerata la musica classica accademica del ventesimo secolo, cioè il volgare Pop.

Halber Mensche diventa così un’evoluzione colta, spiazzante, determinata da una consapevolezza di ulteriori necessità, non un vero cambiamento bensì una saldatura composta di nuovi elettrodi fusibili, per poi causare il piegamento di leghe di Nichel e leghe di Titanio per un osceno divertimento bellico. Distruggere per togliere il puzzo umano incosciente, sedato da millenni di comodità e abitudini volgari. Ci pensano gli EN, portandoci nella scuola del rumore dedita alla ricerca sonora, alla contemplazione fuori da ogni logica, dando chiaramente l’impressione di voler creare una generazione violenta, sintetica e anticipatrice di un nichilismo senza possibilità di arresto. Tutto viene facilitato dal punto di partenza: distruggere Berlino usando la fertile cultura che vive nei sotterranei, quella degli anni 70 che osava, creava avanguardie e progettava una vita parallela. Ascoltare questo lavoro è vivere di respiri, infiniti sussurri maniacali che viaggiano nell’addome invocando urla strazianti, coralità come base di risate isteriche e grottesche, per essere liberi di creare lo sterminio di atmosfere surreali, alla ricerca dell’apocalisse. Che verrà.

Abbiamo la sicurezza di essere stati divisi in due e che la metà ancora in vita sia quella cattiva, pesante, devastante e devastata. L’altra metà è rimasta uccisa dalle presse, dallo stress e dai lampi. Il sarcasmo e la dura critica sociale della band le ha chiuso le vene, insieme alla loquacità metodica e capace di spezzarle il fiato. 

Blixa nell’album diventa più devastante, col suo cantato, rispetto ai suoi compagni di avventura, dando alla sua continuità espressiva il ruolo di ricercatore di ossessioni, di limitatore della libertà, come l’antico greco Caronte, trasportando i morti e la morte entro le tracce di questo disco, come se l’appuntamento fosse all’interno del cimitero di Dorotheenstadt.

Che si taccia ora! È tempo di dare senso a questa fiumana di parole, andiamo a spaccare gli  otto pilastri, per guardare i lori interni e avvolgerci nello stordimento.



Canzone per canzone



Halber Mensch


Tutto inizia con un coro femminile a cappella, in una modalità che fa pensare a qualcosa di poco umano, desideroso di creare qualcosa di terrificante, sino a quando Blixa libera tutta la sua intensità e forza evocativa mentre parla della morte dell’intelligenza e di un pensiero che deve conoscere uno spazio maggiormente libero. Vistosa dimostrazione che gli “strumenti” musicali della band potevano conoscere un pò di riposo, offrire una pausa prima di rendere evidente, nell’album, una natura meno incline alla pura distruzione dei lavori precedenti ma non per questo meno “disturbanti”.




Yü-Gung (Fütter Mein Ego)


Ci troviamo davanti a una sorpresa nella loro carriera: ritmo isterico, priva di melodia, un treno che accelera e frena, il cantato che da solo graffia sino al finale claustrofobico. Percussioni sotto forma di loop con inserti synth, nel labirinto di una corsa che sembra uno schianto continuo, consente al combo tedesco la prima vera, e riuscita, canzone che precederà l’ingresso della band verso soluzioni dinamiche diverse e anche di interesse nei confronti di quell’elettronica che sperimenteranno maggiormente in futuro.




Trinklied


Soldati camminano in una marcia ipnotica, tutto ridotto nella strumentazione per affacciarsi a tratti, brevemente, creando poi continuità in un cantato isterico: quando dalla sintesi nasce la base del terrore, un degrado certificato, preludio della successiva Z.N.S.

Un racconto sonoro, sintetico, suggestivo, teso, nevrotico, dove l’attore Blixa mangia il palco con la sua voce, risucchiando ogni atomo di polvere dentro il suo cantato e lo squallore cantato perfettamente.




Z.N.S


La nostra vita viene dichiarata come sfacelo inevitabile, in una nube folle di percussioni che cadono dal cielo, urla scomposte e vibrazioni di pseudo feedback, in una ossessione resa praticabile. Tutto è governato da un continuo schiocco delle dita, una trave viene percossa ossessivamente, un senso di oppressione governa l'ascolto mentre Blixa racconta perfettamente, con enfasi, di una crisi di astinenza da sostanze stupefacenti per rendere definitive tutte le nevrosi e i deliri umani. Incantevole la mancata continuità musicale, che arriva a sprazzi, incendiata da soluzioni nuove, negando di fatto che abbia tutti i crismi della canzone. Diabolica.




Seele Brennt


La forza di una allucinazione governa la potentissima Seele Brennt, manifesto della loro insurrezione, di piani dinamici discontinui e per questo spaventosi, dove l’urlo agghiacciante di Blixa terrorizza appoggiato ad una carica tellurica tenuta quasi nascosta, e poi un colpo di frusta, il via dentro un pianoforte imbastardito. Con un finale che toglie il fiato all’interno di detriti che creano una tensione devastante. La suspense regna dentro dinamiche fatte di pause e riprese del ritmo per convogliare in un caos ragionato. E l’anima brucia in un giorno infuocato dalle schegge insensibili.




Sehnsucht


Abrasiva, maniacale, terrifica e allucinata, un ibrido perfetto tra il post-punk primordiale e l’urgenza distruttiva fuori ogni schema per generare un caos educato alla dipendenza immaginifica, chitarre sghembe e ritmiche (con accordi blues/psichedelici per brevi istanti), contornate da scuotimenti nevrotici sulla voce alienante di Blixa. Presenta una sensualità malata, dalla quale si viene risucchiati, dentro un nucleo teso a sparpagliare minuscoli atomi di melodia, subito abortiti. Una ragnatela sonora dalla quale è un piacere provare dipendenza.




Der Tod Ist Ein Dandy


Il momento più devastante dell'album, ipnotico e necessario per le anime viandanti, una ciminiera al lavoro, dove tutto viene buttato al suo interno.

Si viene soffocati da questa fabbrica che si impegna per schiacciarti, annullarti in un lavorio incessante, nessun riposo, turni continui sino allo sfinimento. Gli assordanti rumori sono alla fine salvifici: meglio morire con questa musica che non inganna come la vita, perché alla fine è celestiale essere triturati dentro la bellezza. Come in una produzione lavorativa dove viene annullato il pensiero, ecco che il brano ci butta in un tornio circondato da frese e altre macchine, dove l’inferno al confronto sembra calmo…




Letztes Biest (Am Himmel)


Dopo la morte causata con intensità, ecco che per l’ultimo brano la band si sente libera di sperimentare un funerale quasi melodico, sul palco di un teatro dadaista, dando modo di anticipare le nuove direzioni artistiche future. Brevi accordi recitati come se fossero un rosario, mentre il cantato si appoggia a un basso scordato e a uno scuotimento frammentato.


Alex Dematteis

Musicshockworld

11 Giugno 2022



Einsturzende Neubauten:


Blixa Bargeld

Mark Chung

Alexander Hacke

N.U. Unruh

F.M. Einheit


Produttore: Gareth Jones


https://open.spotify.com/album/5T06pEavfCaLWxhnq8eNdw?si=lnEGInCyRm6rfBn9PU-hVg








giovedì 28 aprile 2022

La mia Recensione: Flavio Ferri / Alex Dematteis - Speakdown

 La mia Recensione 


Flavio Ferri / Alex Dematteis - Speakdown


Un fiume nero scorre nelle vene di chi crede di averlo ancora rosso: un’incoscienza colpevole che addormenta i sensi, la ragione, camuffa e distorce la verità per finire dentro la zona della comodità, la nemica numero uno della saggezza, del benessere, del buonsenso e della verità che costruisce le basi di un miglioramento prima personale e poi collettivo.

Esiste un colpevole: l’ingannatore egoista.

Esso ha sodomizzato lo scorrere del tempo che aveva dei limiti ma ragionevolezze varie.

Flavio Ferri e Alex Dematteis l’hanno trovato e affrontato: atto disumano, crudele, ingiusto, violento e così non si deve fare, speriamo che abbiano scherzato.

Il loro lavoro si chiama Speakdown, tre angoscianti e dissacratorie cavalcate con spade tratte e lucidissime dentro questo cattivo che si nasconde e mostra solo il presunto benessere che contagia la civiltà moderna.

Non hanno fotografato la realtà perché le immagini sono fatte per essere dimenticate, servono a poco se non coniugate ad una ragione che scatta in piedi per reagire e agire, se è il caso di farlo.

Tutto quello che hanno prodotto è una dura lotta, centimetro per centimetro dentro il Capitalismo e il Mercato, fratelli siamesi di una esistenza anestetizzata e resa volgare. I due hanno pianificato un delirio, un contrasto pieno zeppo di frammenti indigesti atti a grattugiare l’apparato uditivo prima e la coscienza dopo.

Missili su crateri colmi di pece, dove non esistono barlumi di lucidità che possano confortare ed essere spunti propositivi.

Si sono dati il ruolo di distruttori di ciò che era già annientato di per sé, creando scenari apocalittici, cancellando la gradevolezza dell’ascolto della musica, che è divenuta magma, scintille di catrame, nebulosa, devastazione sonora, annullando e schiacciando la noiosa e inutile forma canzone.

Coraggioso e combattivo oltre ogni limite accettabile, Flavio Ferri ha operato scientemente non interessandosi al consenso (altro elemento catastrofico del Mercato) e ha costruito invece un micidiale marchingegno nel quale tutta la sua vorace combattività ha generato stridori come conseguenza del rapporto tra il concetto ed il mezzo utilizzato.

Facendo così l’artista milanese ha avuto modo di liberare l’espressività, la precisione, ha mirato e fatto fuoco con il suo ordigno, ha voltato le spalle alla comodità per farci sgranare gli occhi: rimane solo l’indifferenza a tutta questa follia. Per lui sarebbe la manifestazione evidente che il Mercato e soci vari sono scontati e in tal modo paleserebbe la sua vittoria, consapevole che in tutto questo la felicità non troverebbe luogo.

Purtroppo.

Dal canto suo Dematteis, su incarico di Ferri, ha scritto storie, scorticato la ragione dell’egoismo, inveito, arrossato il respiro e pianificato un insieme di pensieri che potessero resocontare il fallimento.

Ha insistito a descrivere la tossicità umana e vivisezionando lo squallore di una comunicazione massiccia, ma priva di un messaggio colto ed elevato, ha deciso di filmare con le parole amare gocce di veleno e micce di pensieri insoluti e di difficile  codificazione.

I rapporti, gli egoismi, il senso del possesso degli oggetti, la gravità di silenzi umani a favore del caos del consumo sono stati la scintilla creativa dei due per fare un disco pesante, ostico, indigesto, ma non scontato. Sono stati determinati e consapevoli e hanno portato l’arte nel luogo dove appare più assente: quello della volontà di fare dei disastri un punto di partenza, come un invito ad un senso collettivo che possa cambiare le carte.

Ma falliranno: il mondo ha troppe follie piatte per accettare questa che è lucida e iperdinamica.



Canzone per Canzone 



Daily Snapshot n.1


La luce del dopo nucleare comportamentale si apre su un tappeto elettronico e giunge la voce della Borsa a segnalare l’orrore di ciò che sopravviverà: la fame di speculazione, del guadagno. Ferri cammina lento con la processione analogica che rappresenta il tremore, la precarietà, la banalità che lotta per vincere. Suoni, come distruzione accesa e confermata, che si affacciano sino a quando un giro di basso pesante si accorda con un vibrato paranoico ed ossessivo. Da quel momento è un susseguirsi senza sosta di detriti fuori ritmo a sentenziare il vuoto che ha stravinto sul sistema umano di alienazione. Diciassette minuti di strazio e vertigine, con segni di terrore e al contempo di rassegnazione: la catastrofe è appena incominciata.


Fuck the Style


Dematteis e Ferri iniziano subito con la rappresentazione teatrale del vuoto che si compiace, la fiumana di sciocchezze che entra nell’illusione di una solitudine che pensa di trovare nella tecnologia l’unica modalità per valorizzare la comunicazione, divenuta proprio per questa ragione inesistente. Flavio crea angoscia, film muti con onde psichedeliche e industriali, beats e strati sonori ad alta densità termica: tutto viene congelato, quasi polverizzato da flussi catastrofici a ciclo perpetuo. Alex esamina il disastro umano e l’ignoranza con la sua assenza, seguendo Flavio per avanzare drammaticamente in una processione violenta: non rimane che quella modalità per mostrare l’imbecillità umana. Quasi sedici minuti di tortura sonora sconvolgente per divenire l’atterraggio sulla pelle della morte e per celebrare e definire la fine di tutto. Senza repliche. 



Understress 


Il balletto degli illusi, gli incubi che diventano un grido infinito trovano sede definitiva nell’atmosfera plumbea e agghiacciante delle rovine a battito impreciso di Ferri, che crea una simil danza allucinata, a tratti sensuale, con accenni melodici che illudono, come illude la realtà che inganna se stessa. Un mantra sidereo smette di gravitare nella volta celeste e plana su un mondo incattivito e sotto stress. Sono aghi le parole di Dematteis come lo sono i circuiti tetri di Ferri: uniti nel certificare il Mercato che, compatto, schiaccia i cervelli. Mantra bellici e astuti graffiano le orecchie con l’opposizione al senso ritmico, tutto si spezza, si interrompe e riprende come scatti inevitabili, sino a sconquassare la resistenza dell’ascolto. Parole come vermi contagiosi esplorano e sentenziano e la musica non è tale bensì un fungo allucinogeno che deturpa la lucidità. È un cataclisma a flussi, violenza perpetrata che su una elettronica bastarda, saccheggia tutto ciò che rimane della nullità umana…



Alex Dematteis

Musicshockworld 

Salford

29 Aprile 2022


https://www.vrec.it/prodotto/ff01/




My review: Flavio Ferri / Alex Dematteis - Speakdown

 My Review 


Flavio Ferri / Alex Dematteis - Speakdown


A black river flows in the veins of those who believe they still have red blood: a guilty unconsciousness that numbs the senses, reason, that disguises and distorts the truth to end up in the comfort zone, the number one enemy of wisdom, of well-being, of common sense and truth which builds the foundations of a personal and then collective improvement.

There is a culprit: the selfish deceiver. 

It sodomised the flow of time that had limits but various reasonablenesses.

Flavio Ferri and Alex Dematteis have found it and confronted it: an inhuman, cruel, unjust, violent act that should not be done, let's hope they were joking.

Their work is called Speakdown, three distressing and desecrating rides with drawn and very lucid swords inside this villain that hides and shows only the presumed wellness infecting modern civilisation.

They have not photographed reality because images are made to be forgotten, they are of little use if not combined with a reason that stands up to react and act, if it is appropriate to do so.

Everything they have produced is a hard struggle, inch by inch within Capitalism and the Market, siamese brothers of an anaesthetised and vulgarised existence. The two guys have planned a delirium, a contrast full of indigestible fragments capable of grating first the auditory apparatus and then the conscience.

Missiles on craters full of pitch, where there are no glimmers of lucidity that can comfort and be propositive points.

They have taken on the role of destroyers of what was already shattered in itself, creating apocalyptic scenarios, erasing the pleasantness of listening to music, which has become magma, sparks of tar, nebula, sonic devastation, cancelling and crushing the boring and useless song form.

Courageous and combative beyond all acceptable limits, Flavio Ferri has acted intentionally without concern for approval (another catastrophic element of the market) and has instead constructed a deadly device in which all his insatiable combativeness has generated screeching as a consequence of the relation between the concept and the means used.

In doing so, the Milan-born artist has been able to free his expressiveness, his precision, he has aimed and fired his device, he has turned his back on comfort to make us widen our eyes: all that remains is indifference to all this madness, but for him it would be the evident manifestation that the Market and its various associates are taken for granted and in this way he would manifest his victory, aware that in all this happiness would not find a place.

Unfortunately.

For his part, Dematteis, on assignment of Ferri, wrote stories, scraped the reason of selfishness, inveighed, reddened his breath and planned a set of thoughts that could give an account of failure.

He insisted on describing human toxicity and vivisecting the squalor of a massive communication, but lacking a cultured and elevated message, he decided to film with words bitter drops of poison and fuses of unsolved and difficult to codify thoughts.

Relationships, selfishness, the sense of possession of objects, the seriousness of human silences in favour of the chaos of consumption were the creative spark of the two guys to make a heavy, hostile, indigestible record, but not obvious. They were determined and aware and brought art to the place where it seems most absent: that of the desire to turn disasters into a starting point, as an invitation to a collective sense that could change the game.

But they will fail: the world has too many flat follies to accept this one, which is lucid and hyperdynamic.



Song by Song 



Daily Snapshot No.1


The light of the behavioural nuclear aftermath opens up on an electronic carpet and the voice of the Stock Exchange arrives to signal the horror of what will survive: the hunger for speculation, for profit. Ferri walks slowly with the analogue procession representing trembling, precariousness, banality struggling to win. Sounds, like burning and confirmed destruction, appear until a heavy bass line accords with a paranoid and obsessive vibrato. From that moment on it is a non-stop succession of detritus out of rhythm to sentence the emptiness that has won over the human system of alienation. Seventeen minutes of heartbreak and vertigo, with signs of terror and resignation at the same time: the catastrophe has just begun.


Fuck the Style


Dematteis and Ferri immediately begin with the theatrical representation of the emptiness that feels pleased with itself, the torrent of nonsense entering the illusion of a loneliness that thinks it can find in technology the only way to enhance communication, which has become non-existent precisely for this reason. Flavio creates anguish, silent movies with psychedelic and industrial waves, beats and sound layers with a high thermal density: everything is frozen, almost pulverized by catastrophic flows in a perpetual cycle. Alex examines human disaster and ignorance with its absence, following Flavio to advance dramatically in a violent procession: all that is left to show human imbecility is that manner. Almost sixteen minutes of shocking sound torture to become the landing on the skin of death and to celebrate and define the end of everything. Without repetition. 



Understress 


The ballet of the deluded, the nightmares that become an infinite cry find their definitive home in the oppressive and chilling atmosphere of Ferri's ruins with an imprecise beat, creating a hallucinated dance-like, sometimes sensual, with melodic hints that deceive, as reality deceives itself. A sidereal mantra stops gravitating in the celestial vault and glides over a world in a state of stress. The words of Dematteis are needles, as are Ferri's gloomy circuits: united in certifying the Market which, compact, crushes our brains. Warlike and cunning mantras scratch the ears with the opposition to the rhythmic sense, everything is broken, interrupted and resumed like inevitable jerks, until it shatters the resistance of our listening. Words like contagious worms explore and pass judgment and the music is not such, but a hallucinogenic mushroom that disfigures lucidity. It is a cataclysmic flow, a perpetrated violence that on a bastard electronic music, plunders all that remains of human nothingness...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

29th April 2022


https://www.vrec.it/prodotto/ff01/




sabato 9 aprile 2022

My Review: Estetica Noir - This Dream in Monochrome

 My Review 


Estetica Noir - This Dream In Monochrome


It's easy to be eristic nowadays in a world increasingly distant from itself.

Some souls seek contact, others close themselves up in their own emptiness trying to sink other people’s dreams. 

And there are looks that notice this and note the whole mechanism of unrestrained vertical falls.

Then the time comes for agitation, for a magnetic rampant aberration, for dusty, solitary and decadent atoms of happiness.

It is there that being solipsistic becomes the practice of human beings destined for oblivion, coldly connected to breathlessness.

From Turin, the Gothic and post-punk cradle of not ancient memory, comes a band to show us all this with a surgical and liturgical album, where the consolation comes from the precision of facts and sounds extraordinarily compacted for a final effect extremely (I would say also unfortunately) precise of what is happening.

And this second work shows us a band more intent on combining electronic music and its ever-present need to circumscribe its identity in an increasingly contaminated Darkwave.

Perhaps a less obscure band than in the past, musically speaking, but with clear signs of concern that lead the songwriting inside a grey glass bell.

The guitars suffer the charm of a black-nailed rock, the voice is a seductive tombstone that is also able to caress.

The feeling remains that their constant search for truth occasionally leads them into industrial territories, more in mood than in music.

A pleasant sense of restlessness permeates the whole to give this work a remarkable approach to a more than ever necessary farewell to dreams.

The melody presents itself and it is the light of the universe that knows no day, where the rays belong to history, as if the millennia were companions of shadows and fears.

No connection with other Italian bands that copy and paste this kind of music: there is an identity that differs from all this, giving us the joy of being able to define them as combative, resistant, brave.

A rich album that leads to a serenity that doesn't make you smile but rather reflect: songs like glass paper that remove the superfluous and streamline the mind. It’s like receiving as a gift a sprinkling of conscious and active darkness: a faithful friend who knows how to remove all the damage that illusions create.

A hard but elegant work, which can be used if you want to exclude tendencies to wastefulness: the guys from Turin advance inside the central nervous system, offering accurate sounds that, as precise as a devilish smile, make us slim and pragmatic.

The Savoy city once again presents the world with a band that can leave this land to conquer others far away: may glory be with them.

Blow out the candles now, because we will travel towards their ten sound footprints and make an intense path within which we will walk with the right fear.


The fact that the 80s are the well from which to draw strength is immediately clear with the opening ROOMS OF MASKS, the track closest to the Synthwave and Darkwave oscillations of two fundamental bands: Legendary Pink Dots and Clan of Xymox. Silvio Oreste's guitar solo is a wonderful cry reminiscent of Killing Joke and the feeling that everything is the cry of a wounded dolphin.

With SWEEPER the rhythm dictated by Rik Guido on bass and Paolo Accossato on drums emanates purple energy with the electronic music guided by Marco Caliandro on synth. which reminds us how with a few chords you can generate addiction.

The rhythm remains high but with the seduction of suggestive slow parts in the following STRIATE BODY, where the rhythm changes, the sensual crooning and the synth and guitar games on the side of the hardest Post-punk of the swans from   Birmingham Au Pairs gives us the magic of the old times.

We catch our breath with AUTUMN, a bridge full of Minimal Wave ice cubes to savour northern French nostalgia. Subtle and heavy, the song is a colourful interlude of autumnal value from a Godard movie.

We move on to Germany with the next N.U. which is able to show the temporal embrace between the poignant melody of vocals and a slow electropop with its sides covered with Kraftwerk and Frozen Plasma's Synthpop/Futurepop.

DAWN OF PLUTO is one of two examples of their maturity: from the thoroughbred guitar that hisses and scratches, to the bass that masks its devotion to Red Lorry Yellow Lorry, to vocals that bring us back to Killing Joke's Euphoria in the chorus.

The main track arrives: the erotic chaos of NYCTOPHILIA, the howling of ravening souls and nomads in search of melodic consolation. 

X brings us back to the sensual timbre of Namnambulu with small E.B.M. traces in the singing mode, while the guitar shows us a talent that takes the night on poignant fingertips.

The band from Turin plays one more ace with THE FALL: here everything makes you think that even the more resistant strength can give in to the wretched sirens that twist your eardrums to make them surrender.

CLIMBING UP THE LONELINESS is the shutter that closes the light with the sidereal tone of Silvio, captain of a spaceship aiming for the heart of the universe, able to find in the guitar solo the way to make the stars surrender.

Splendid, sad and magnetic, the song encapsulates all the depth of a work that deserves an extended  applause.


Alex Dematteis

Musicshockworld 

Salford

10th April 2022


ESTETICA NOIR:


Silvio Oreste - Vocals, Guitars, Programming

Rik Guido - Bass

Paolo Accossato - Drums

Marco Caliandro - Synth, Programming, Back Vocals


ht https://open.spotify.com/album/25PhdFJ1HVstmjz0Ok7fLf?si=zlk40lkNTK6SGqXpSiL74Q







La mia Recensione: Estetica Noir - This Dream in Monochrome

 

La mia Recensione 


Estetica Noir - This Dream In Monochrome


Facile essere eristico oggi in un mondo sempre più distante da se stesso.

Alcune anime cercano il contatto, altre si richiudono nel proprio vuoto facendo affondare i sogni degli altri. 

E ci sono sguardi che notano questo e annotano tutto il meccanismo di cadute verticali senza freni.

Arriva allora il momento dell’inquietudine, di una magnetica aberrazione galoppante, di atomi di felicità impolverati, solitari e decadenti.

Ecco che l’essere solipsista diventa la prassi di umani destinati all’oblio, freddamente connessi all’affanno.

Da Torino, la culla gotica e post-punk di non antica memoria, giunge una band a mostrarci tutto questo con un album chirurgico e liturgico, dove la consolazione nasce dalla precisione di fatti e suoni straordinariamente compattati per un effetto finale estremamente (direi anche purtroppo) preciso di ciò che sta accadendo.

E questo secondo lavoro ci mostra una band maggiormente intenta a coniugare l’elettronica e il suo immancabile bisogno di circoscrivere l’identità in una Darkwave sempre più contaminata.

Forse un gruppo meno oscuro rispetto al passato, musicalmente parlando, però sono ben evidenti segnali di preoccupazione che conducono la scrittura dentro una campana di vetro di color grigio.

Le chitarre subiscono il fascino di un rock dalle unghie nere, la voce è una lapide seducente che sa anche accarezzare.

Rimane la sensazione che la loro costante ricerca della verità li conduca saltuariamente nei territori industrial, più nel mood che nella musica.

Un senso piacevole di irrequietezza permea il tutto per conferire a questo lavoro un notevole approccio ad un addio più che mai necessario nei confronti dei sogni.

La melodia si presenta ed è la luce dell’universo che non conosce il giorno, dove i raggi appartengono alla storia, come se i millenni fossero compagni di ombre e paure.

Nessuna connessione con altre band italiane che copiano e incollano questo genere di musica: vi è una identità che si discosta da tutto ciò donandoci la gioia di poterli definire come battaglieri, resistenti, coraggiosi.

Un album opimo che conduce ad una gioia che non fa sorridere bensì riflettere: canzoni come carta vetro che tolgono il superfluo e snelliscono la mente. Come ricevere in regalo una spruzzata di tenebra consapevole e attiva: un’amica fedele che sa togliere ogni danno che le illusioni creano.

Un album crudo ma elegante, che può essere utilizzato se si vogliono escludere tendenze allo spreco: i ragazzi di Torino avanzano dentro il sistema nervoso centrale, offrendo accurate sonorità che precise come un sorriso diabolico ci rendono snelli e pragmatici.

La città Sabauda torna a presentare al mondo una band che può lasciare questa landa per conquistarne altre lontane: che la gloria sia con loro.

Spegnete le candele, perché ora viaggeremo verso le loro dieci impronte sonore e compiremo un percorso intenso dentro il quale camminare con la giusta paura.


Che gli anni 80 siano il pozzo da cui attingere la forza lo si capisce subito con l’iniziale ROOMS OF MASKS, il brano più vicino alle oscillazioni Synthwave e Darkwave di due band fondamentali: Legendary Pink Dots e Clan of Xymox. L’assolo di chitarra di Silvio Oreste è un pianto meraviglioso che ricorda i Killing Joke e la sensazione che tutto sia il verso di un delfino ferito.

Con SWEEPER il ritmo dettato da Rik Guido al basso e di Paolo Accossato alla batteria emana energia porpora con l’elettronica pilotata da Marco Caliandro al synth a ricordarci come con pochi accordi si possa generare dipendenza.

Il ritmo si mantiene elevato ma con la seduzione di parti lente suggestive nella  successiva STRIATE BODY, dove i cambi ritmo, il crooning sensuale e i giochi del synth e della chitarra dalla parte del Postpunk più crudo dei cigni di Birmingham Au Pairs ci regala la magia dei tempi andati.

Prendiamo fiato con AUTUMN, un ponte pieno di cubetti di ghiaccio Minimal Wave per assaporare nordiche nostalgie Francesi. Sottile e pesante, la canzone è un intermezzo colorato di valore autunnale  di un film di Godard.

Ci si sposta in Germania con la successiva N.U. che è capace di mostrare l’abbraccio temporale tra la melodia struggente del cantato e un electropop lento dai fianchi ricoperti di Kraftwerk e il Synthpop/Futurepop dei Frozen Plasma.

DAWN OF PLUTO è uno dei due esempi della loro maturità raggiunta: dalla chitarra purosangue che sibila e graffia, al basso che maschera devozione ai Red Lorry Yellow Lorry, fino al cantato che ci riporta ai Killing Joke di Euphoria nel ritornello.

Giunge il brano principe: il chaos erotico di NYCTOPHILIA, ululato di anime corsare e nomadi in cerca di una melodica consolazione. 

X ci riporta al timbro sensuale dei Namnambulu con piccole tracce E.B.M. nella modalità del canto, mentre la chitarra ci mostra un talento che si prende la notte sui polpastrelli struggenti.

La band Torinese cala un altro asso con THE FALL: qui tutto fa pensare che anche la forza più resistente possa cedere davanti alle disgraziate sirene che contorcono i timpani per farli arrendere.

CLIMBING UP THE LONELINESS è la saracinesca che chiude la luce con il tono sidereo di Silvio, capitano di una navicella spaziale che mira al cuore dell’universo, capace di trovare nel solo di chitarra il modo di far arrendere le stelle.

Splendida, triste e magnetica, la canzone racchiude tutto lo spessore di un lavoro che merita un applauso in estensione.


Alex Dematteis

Musicshockworld 

Salford

10 Aprile 2022


ESTETICA NOIR:

Silvio Oreste - Vocals, Guitars, Programming

Rik Guido - Bass

Paolo Accossato - Drums

Marco Caliandro - Synth, Programming, Back Vocals


https://open.spotify.com/album/25PhdFJ1HVstmjz0Ok7fLf?si=zlk40lkNTK6SGqXpSiL74Q




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