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lunedì 2 gennaio 2023

La mia Recensione: This Way To The Egress - This Delicious Cabaret

 This Way To The Egrees - This Delicious Cabaret



“La felicità, signorina mia, è fatta di attimi di dimenticanza."

Totò


Può mancare lo stato della Pennsylvania nel radar del vecchio scriba?

Certamente no: da quelle parti la musica è acciaio rovente e i trucioli di poesia visitano lande clamorosamente piene di ogni ben di Dio.

Torna a parlare della band di Bethlehem, dello stesso disco che nel 2011 venne posizionato da chi scrive al numero tre degli album più gustosi.

E così ci torna per nostalgia e perché molto partì da lì con una serie di band che si dedicarono a un rispettoso ragionamento e altre che invece preferirono un più comodo copia e incolla, ha sicuramente allargato il campionario delle possibilità di certi generi musicali nella capacità di mescolanze miracolose.

La matrice però riguarda il punto di partenza: cabaret libero di spaziare, tra il folk, il country, l’art-punk e profumi mediterranei atti a soddisfare gli ascoltatori. Si plana nello stato di una colonizzazione devastante, dove le industrie fagocitarono le antiche modalità che rispettavano la Natura e gli esseri umani viaggiavano nell’esistenza senza squilli di tromba.

E i Balcani paiono vivere una nuova stagione trasferendo baracca e burattini nella cittadina americana.

Lì vive una tribù folle, capace di scrivere pagine di musica per portarla nei viali di ogni incertezza cerebrale. Si chiamano This Way To The Egress e hanno in dotazione tutta la passione che si affaccia su metodiche in grado di fare di un album uno spettacolo di strada.

E This Delicious Cabaret è un lavoro che distribuisce allegria, storie senza tempo, e spolvera le nubi della Contee di Northampton e Lehigh per connettere l’umore verso l’incanto, rendendoci bambini affamati di fiabe, strettamente per adulti.

Tutto pare infestato da coriandoli che portano in giro atomi e nubi di incandescenti diavoli, come anche da vittime cerebralmente lese e topi, per un sistema nervoso centrale che dalle crisi emerge sbuffando petrolio. 

Il folk e il blues si mettono il trucco, cappelli di seta pronti a svolazzare dentro questa piovana di un cabaret che semplifica la musica da una parte ma la rende dall’altra il laboratorio perfetto per scorribande che pare renderlo inaccessibile alla comprensione, che è il loro merito più grande.

Violini e mandolini rendono l’atmosfera un viaggio splendido nelle strade della città e la danza che ne consegue porta sorrisi e zucchero filato negli angoli più bisognosi della nostra curiosità. 

Due le voci che ondeggiano, saltano, recitano e santificano, per un risultato che ammalia, supportato da ritmi pieni di sole e vento. 

Le canzoni vengono abitate dal pianoforte più melodico e furibondo al contempo di cui godere, da tromboni sbuffanti carbone, e le storie sembrano centri sociali pieni di girovaghi e anime in pena pronte al trapasso, senza rughe malinconiche nelle loro esistenze.


Il ritmo delle composizioni vive di un’area possente, in libera uscita, con le chitarre e il basso che trovano la poesia non di un sostegno da parte degli altri strumenti, bensì le indicazioni per poter divenire una folla di arti che abbracciano i corpi dei nostri ascolti: la magia di assiomi che circolano col volto lucido e fiero. A volte sembra di trovarsi dentro il tendone di un circo, altre tra le strade di una Parigi vogliosa di un sano caos. Vengono fuori profumi primaverili quando il ritmo incalza, ed è danza, ed è gioia che avanza e seduce, scolpisce pensieri. Il mistero si infittisce quando le voci si inoltrano con dolcezza e tutto incomincia a sembrare un sogno, anche se questo cabaret stabilisce sempre un contatto con vulcani in esplosione.

La vena Jazz, che vive quasi muta, ci riporta a zone periferiche, a giornate stanche, al riassunto di dispersioni in cerca di una mano. Ma il lato drammatico non manca mai di respirare sulle nostre già sconvolte anime in circolo.

E ora via: tuffiamoci, tremanti e bisognosi, in questo mare caldo, undici onde che ci porteranno ai confini del mondo…


Song by Song 


1 - Last Kiss


L’apertura, solenne, magmatica, rovista tra il suono sino ad arrivare a una fisarmonica zingara con la voce di Tyrant Taylor che sembra quella di Tom Waits con meno petrolio ma con più sfumature. Fino alla comparsa di Sarah Egress, perfetta sirena che tra canti, controcanti, sbuffi e risate, si connette in questa musica che rapina i sensi e accelera come un vecchio treno a vapore.


2 - Turpentine


Si prosegue con una marcia tra nuvole e polvere: questa volta tocca a Sarah incantare, con un violino principesco che conduce il brano a farsi progressivamente una giostra di colori e andamenti tzigani di chiara matrice America Dark Folk nel ritornello.


3 - Chapel Hill


Gli Stati Uniti melanconici prendono l’aereo e volano a Parigi: ci troviamo davanti al cabaret come perfetto altare dove presenziare al ciclo della natura in lutto. Ci si sposta poi su una collina per vedere il tutto divenire danza scomposta, allucinata e isterica.  


4 - On a 45


Sia il violino con il vestito da viandante sornione a rendere il brano l’ennesimo gioiello che rivela l’ampiezza culturale/musicale della Pennsylvania: strumenti in stato di continua grazia lo raggiungono e si ascolta una melodia semplice ma assassina attraversare il tempo, con rullate assassine e gonfie di tensione.


5 - Flirtin’ With Death


Quando una marcia funebre si prende la responsabilità di divenire motivo di gioia: il calore del sangue scalda le mani gelide della morte e si indossa un abito musicale apparentemente scarno, ma poi i fiati (strumenti adatti per questa occasione) gonfiano la melodia e il ritmo si fa deciso.


6 - Gypsy Shoe


Impossibile resistere alla strategia di questa canzone: tutto trita la storia di abitanti della confusione che qui vengono allineati verso un ordine che conquista per forza e intelligenza. I cori minimalisti gonfiano il vento e il pianoforte diventa il mago che fa da contrasto al violino e alla fisarmonica, in un duello Gypsy di incantevole fattura.


7 - So What So What


Il Blues veste il dubbio e si getta in cilindri pieni di olio tra il dramma e la poesia per ripristinare il rock ‘n’ roll degli anni 50 con il senso di una transizione che abbisogna di rumori sensoriali, sottocutanei. È un viaggio tra il Jazz-Blues che sembra uscito da una bettola stanca di non avere risposte. Monocorde e magnificente, con la voce grattugiante ma melodica,  che riporta in auge il sud di quegli Stati Uniti pieni di anime in lotta, qui descritte con profonda maestria.

Tutto pare alleggerirsi, farsi più giovane e snello, con soluzione dinamiche mai presenti negli altri brani, almeno all’inizio. L’accessibilità all’ascolto è garantita dall’euforia mostrata, per un teatro di avanguardia che rasenta vestiti pop.


8 - We’ll All Soon Be Dead


Lo stile, di quella parte meno interessante della carriera di Elton John, nei primi secondi, sembra stravolgere l’idea che ci siamo fatti di questo album ma poi, come un miracolo da benedire, un brano che rasenta la perfezione si affaccia in una veloce giornata primaverile. Incursione di stile, di strumenti accordati per dare agli arrangiamenti minimi fiamme orizzontali, per offrire ironia e magnificenza in un pulsare che stimola l’abbraccio. Ironico e spavaldo, sia nella musica che nel testo, il brano è una marcia trionfante.


9 - Swashbuckler 


Il teatro entra nelle nostre case, con aggeggi malefici travestiti da cori con attitudini pop, poi il cambio di ritmo, di atmosfera, un Paolo Conte ringiovanito che sembra uscire dalle ombre di stratagemmi che rendono il brano un putiferio dalle tinte quasi rock. Non si finisce di avere la bocca spalancata…


10 - Delicious Cabaret


Penultimo delirio temporale: avanti e indietro nel tempo e nei luoghi per un brano che riassume l'aspetto tragicomico del cabaret e di una pulsione che viaggia tra il Jazz e lo Swing, senza dimenticare, nel cantato, la radice Folk-Noir Americana. Si canta un taratatà credendo di poter essere spensierati: illusi! E Sarah è una Marlene Dietrich priva di candore, ma perfetta per conferire alla sua parte cantata un podio solo per lei perché nella sua semplicità, che fa da contraltare alla complessità degli elementi musicali esposti, vi è parte del  segreto di questo straordinario album… 


11 - Saint


La frustrazione, l'assoluta necessità di dare alla morte un congedo grazie all'importanza di una figura estrema come quella di un Santo porta Tyrant a scrivere una canzone come trampolino di lancio per un mutamento attitudinale: da gnostico a uomo di fede. Il cantato, che sembra spesso il verso di un cane che rincorre un nemico, diventa l'elemento di spicco che accompagna il testo allucinato, sfibrante ma che descrive la storia in modo sublime. Dalla zona Balcanica alla sponda sud della Spagna, alla zona Provenzale, la musica compie un viaggio sublime, convincente, disegnando tratti di culture in contatto, elemento presente in tutto l'album. Splendida conclusione per queste undici onde che ci hanno resi consapevoli che la magia si muove senza territori né confini...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

2 Gennaio 2022


https://thiswaytotheegress1.bandcamp.com/album/this-delicious-cabaret


https://open.spotify.com/album/1k2v7Ab1BP0fNJ9KHVnZBq?si=XD2MiEHiRCaC0c3HU93Fhg







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