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martedì 9 agosto 2022

La mia Recensione: Moonlight Meadow - Moonlight Meadow

La mia Recensione: 


Moonlight Meadow - Moonlight Meadow


La valigia della mente dovrebbe essere una risorsa: dove esiste anche solo possibilità di un viaggio i nostri pensieri dovrebbero già costruire sentieri infiniti.

Il viaggio della musica è multiforme, senza limiti, sospeso sino a quando non entri dentro i suoi confini. La maggior parte della musica non è conosciuta: questa è una tristissima verità e realtà, sfortunatamente connesse.

Prendiamo questa band Polacca, tre anime, cortocircuiti di nuvole fredde ma non pesanti, in movimento costante dentro la rassegnazione dei sogni, guerrieri senza tempo, mentre combattono il calore di un mondo incapace di una giusta comunicazione. Nel 2019, dopo quattro anni fatti di amalgama e la individuazione di baricentri essenziali, proposero il loro album di debutto che finì nel silenzio della maggioranza di persone disattente e incapaci di prestare attenzione a questo combo che invece aveva prodotto un insieme di perle di elegante tristezza, dai testi impegnativi, evocativi, disarmanti, alla fine davvero utili. E la musica scritta si muove su rotte già percorse in precedenza da lavori noti e famosi, ma i tre meritavano una chance: la qualità che si trova in queste undici tracce è spesse volte superiore a quelle band che invece hanno avuto successo.

La disperazione in questi solchi non soffoca, non deprime, non fa cambiare umore, piuttosto è una serie di raggi X che tolgono la voglia di parlare perché il loro referto è impietoso, veritiero, devastante.

Sono sogni che danzano dimessi, dentro recipienti di acqua che si sporcano di malinconia e assuefazione, divenendo getti di amore nero dirompente, gravità spesso in orbite di pensieri che si assentano. La voce, impostata e grattugiata da secoli di devastanti umori decadenti, infierisce, attacca e abbatte, mentre la musica che le sta attorno dimostra come i generi musicali con i Moonlight Meadow siano scuse prestigiose, atti di morte rigogliosi, che si spostano tra scintille di gothic Rock di stampo Fields of the Nephilim, nella marea della Coldwave di matrice belga, il Postpunk tedesco e alcune lievi presenze di Deathrock abilmente nascoste per non infierire.

Ma la Russia è sempre lì a dettare le linee guida della freddezza mentale, la lucidità che deve sempre troneggiare.

Se si cercano influenze precise (esercizio facile ma sterile, perché i tre dimostrano una grande varietà di qualità proprie), si decide preventivamente di non prestare un ascolto preciso che rivelerebbe le molteplici braccia, arti che accolgono i respiri e le capacità che vanno riconosciute. L’album ci porta in luoghi che conosciamo, offrendo però sorprese e la difficoltà di gestione: innumerevoli sono i momenti nei quali una sensazione violenta rapisce tutta la convinzione che abbiamo per ucciderla, perché la bellezza fa anche questo.

Il sentore che questo sia un gioiello sepolto dall’indifferenza si precisa di canzone in canzone, lasciando i pensieri sotto un maremoto di grande rabbia e frustrazione: album come questi dovrebbero suonare all’infinito nei circuiti dei nostri cuori pesanti per trovare nelle canzoni amici e compagni di frustrazioni, sempre più pericolosamente in aumento.

Ascoltandolo si percepisce come la musica elevi le nostre sensazioni specificandole, unificandole, portandole a spasso nel teatro della nostra follia non come consolazione, bensì come atto di vita ineludibile.

Le chitarre sono sirene con il burqa: fanno intuire una presenza bellissima ma non la svelano mai completamente, regole di disciplina che conducono alla struggente convinzione che vi siano impianti di luce confinati nel magazzino del vuoto, dove tutto muore. Infatti: la sezione ritmica si fa possente come atto consolatorio e la voce da una parte distrae e dall’altra santifica la bellezza di quei giri armonici che fanno di quello strumento la regina dell’album.

La fascinazione avvolge il tempo corrompendo i luoghi: si diventa tutti alunni delle ombre, corpi in fervente attesa di un dramma peggiore che arrivi per togliere definitivamente il dolore, ma i tre amano l’onestà ed esagerano nel loro campionario di frecce velenose dal ritmo scostante, nel movimento infallibile del campionario di sgomenti dei quali loro mostrano tutte le sfaccettature, rendendo l’album semplicemente perfetto.

È arrivato dunque il momento di spegnere le candele e di divenire il buio perfetto per illuminare queste undici folli dame dal sorriso obliquo…



Song by Song



Temptation


Misticismo e dolore aprono l’album, con sofferenti chitarre iniziali per poi divenire un lampo dal basso grasso, la batteria che disegna con semplicità e possanza il ritmo che travolge la pianura Polacca, in un paravento che lascia passare sguardi di tenebra. Drammatica, ossuta nel suo scheletro balbuziente, l’apertura di questo esordio è salvifica, perché conosciamo già la direzione e la specificità del terzetto.



An Old Dream and Love


Chitarra come una cesoia che ha l’appuntamento con la morte, la voce trova il suo respiro dentro un sogno che nasconde le sue storture, per conferire al brano blocchi di acciaio dal colore grigio, senza vento. Il basso è un animale preistorico, con le sue note rotolanti che mettono le mani su quelle della chitarra, per mostrare al cielo che il Goth è ancora una risorsa incommensurabile. 



Empty Waters


Le tenebre mostrano veli e denti, accarezzano e mordono con questo brano che sembra uscito dall’officina del mistero dei primi anni 80, dalla parte di Leeds. Un movimento sonoro breve circoscrive la drammaticità di presenze sconvolgenti nel testo che è un testamento, una cronaca dolorosa, la chitarra abbaia ai Cure di Faith con più drammaticità, mentre il silenzio vuole trovare rifugio ma queste note lo scavano e lo inchiodano con la sua nenia teatrale.



City of Nights


Il Post-punk cerca un anello di congiunzione con la Darkwave e lo trova: il matrimonio sarà lungo, perfetto, lancinante, pieno di polvere da sparo tenuta pericolosamente sveglia. Il ritornello è un groviglio di aperture con il registro della voce che si alza verso il cielo, aprendo le sue mani al Dio dello sconforto. Anche il nero ha una faccia Pop e qui indossa la maschera che connette il mistero alla visibilità.



…Lost Dream 


Si torna ad un ritmo più lento, Carl McCoy e i suoi vampiri suggeriscono la trama di questa chitarra che scava nella carriera dei Fields of The Nephilim per onorare la parte onirica dell’esistenza. Ed è perfezione che acceca, l’emozione è tutta nella chitarra che circonda la voce, che si astiene dal voler imitare quella di Carl, ma la suggestione musicale conduce proprio nella terra della band di Stevenage. La sorpresa arriva con il basso che pare una farfalla piena di acqua: pronto a precipitare riesce a stare aggrappato perfettamente alla chitarra.



Dance


L’unica canzone dei Moonlight Meadow che potrebbe vivere, stazionare, trovare spazio nelle radio gotiche: ha tutto per essere una cometa dal vestito elegante e capace di strutturare, nella nostra mente, la certezza di una danza piena di coltelli imbevuti di veleno perché questo brano ferisce per il suo testo, per le sue chitarre in odore di Banshees, il suo respiro vicino ai Red Lorry Yellow Lorry, ma con l’accortezza di non disperdere il suo primogenito impeto che è quello di essere prima di tutto un atto di devastazione.



Distant Memories


Psichedelia gotica, delirio che nei primi secondi ci porta all’horror rock e al vittimismo meraviglioso dei Cramps, per poi deflagrare nella corsia Darkwave senza temere di essere uccisa, in una bolla di mercurio che rileva temperature basse, si trema con i cambi ritmo, con il basso che spara missili di terra umida e la voce che dialoga con il tempo attorcigliandosi per non lasciarsi sconfiggere. Brano costruito in pieno controllo, dove le soluzioni minimaliste devastano per intensità.



Stranger


Los Angeles chiama, Lublin (Polonia), risponde: è tempo di Deathrock, che ha necessità di corrompere magnificamente le trame ipnotiche di note musicali che sono imbevute di morte e di disperazione. Mantra portato vicino ad una chiesa sconsacrata, dove non esistono preghiere o cori ma solo il canto di un ragazzo che ha deciso di esibire le sue litanie: operazione riuscita, con la musica che benedice questo viaggio nella città americana.



Moonlight Meadow


Il basso e la chitarra invocano il misticismo: c’è bisogno di un delirio, di una presenza che sia capace di dare da mangiare alla paura. E allora ecco il crossover di post-punk e Darkwave che trovano residenza in questi minuti per portare la nostra tensione ad albeggiare. È estasi che si scioglie nei sentieri di una melodia color cedimento strutturale definitivo. Quando la gioia ha le piume piene di petrolio.



Distorted Mirror


Quando l’anima, ferita e acciaccata, si guarda allo specchio, trova questa magnifica presenza ipnotica che ha il nome di Distorted Mirror, la ballata della consapevolezza dentro chitarre che odorano di pioggia, e si riesce ad intendere quanto ciò che è nato in Inghilterra negli anni 70, il Post-punk e la Darkwave, siano ancora i regnanti, capaci di intossicare ogni zona del mondo, compresa la Polonia. I tre bevono la lentezza in un calice pieno di olio, per poi gettarlo via e accelerare per ricongiungersi ai Fields of The Nephilim in un finale stratosferico.



Farewell to Childhood


L’album ci saluta con un neon che fa oscillare la luce in una chitarra poetica, quasi saggia, quasi unita alla dolcezza, illudendoci con magnifica qualità. É un faro, il brano, che riesce a far sembrare le canzoni precedentemente ascoltate un pericolo scampato, solo un brutto incubo. Abbiamo modo di danzare ad occhi chiusi senza temere di sentire qualcosa di disagevole: la chitarra ci pilota verso un raggio di luce che forse non è poi così male poter ascoltare…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Supino

9 Agosto 2022


https://open.spotify.com/album/0LIXIv3OkGyb6pOVKa1AtL?si=oS4szKBIS_uQVhvEsC1LMQ






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