Metallica - Fade to Black
Esiste un margine, nella storia inquieta di ogni furto, che sa determinare un dolore lungo come un sentiero di aggressioni senza termometro. Un furto, sì, proprio questo, diede la scintilla della prima ballata di musica Thrash, e ancora oggi non si sa chi ringraziare per quel gesto che rischiò di portare James Hetfield all’autodistruzione più totale. Partono dalle situazioni più inaspettate le delizie che raggiungono l’eternità: Fade to Black è il pianto sciolto nell’acido materno di un adolescente che, senza la sua strumentazione, si è ritrovato a misurare, calibrare, considerare l’esistenza come una moltiplicazione verticale e non una somma di banali eventi quotidiani. I denti si spezzano, il cibo (quella vita improvvisamente cambiata) scivola intero all’interno di uno spasmo non riproducibile. Ma ecco la genialità dell’arte musicale: prendere una pazzia e ripeterla all’infinito, nel macrocosmo di un impeto senza possibilità di consumarsi. L’esistenza e la morte trovano il luogo nel quale appartarsi, permettendo a una di congedarsi e all’altra di vincere, nell’oscurità di una scena terribile.
Un tremore arriva ai polmoni di una chitarra arpeggiante, figlia di un medioevo che trova il suo personale Rinascimento nelle mani di James, per poi sedersi sotto la disperazione consentendo alla seconda, quella di Kirk Hammet, di far volare lo strazio su nel cielo, dove il desiderio di vita si è dissolto. Una ballad che porta i Metallica ai primi momenti di intolleranza dello zoccolo duro del thrash, ma quella stessa sezione capirà presto di quanto beneficio sarebbe arrivato dall’ascolto: ucciso l’inganno, distrutto il sogno, il brano celebra il bisogno di flettere e di far riflettere la realtà. Quando sembrava che solo le parole avrebbero potuto generare emozioni, un testamento portatile dentro la propria coscienza, ecco sopraggiungere la veemente seconda parte, con cavalcate nelle quali la matricola Metallica torna a obbedire al proprio cliché, quello inventato proprio dalla band. Tutto schizza nell’assolo, quello di Kirk che esagera, prende la pazzia dell’amico James e la rappresenta: sono dettagli voluminosi di una pittura con il dono di sciogliersi nel petto. Lars, il vichingo che ama complicare, riuscendoci benissimo, è colui che meglio di tutti rende il drumming una miscela di venti e artigli, con le sue rullate, le sue dita sincopate e collegate all’esplosione. Molto vi è da fare, per rendere credibile questo suicidio, questa depressione, questo stordimento mentale e non resta che la dimensione non visibile per farlo, perché in ogni segreto si trova il talento, come nel buio, come quello del basso di Cliff, un genio che qui si accartoccia, scuote con i polpastrelli e lascia che il sudore dei suoi capelli finisca sulle sue quattro corde per essere un fulmine divenuto tuono. Esiste una quota intollerabile di compattezza tra le parole, un vomito che uccide gli ingressi del sangue nel pericardio, e la musica che sembra incollarsi a loro, per mostrare una coerenza, un’aderenza che fa schiantare ogni possibilità di incontrare anche un solo momento di luce. La voce di James è un cartone ammuffito, un elenco di verità inaccettabili che si trasformano (una volta saldata la convinzione al legame del ricordo coniugato al furto e alle sue conseguenze) in una grattuggia mentale che cola sino alla sua ugola che si infiamma. Il mistero consta dell’assoluto desiderio di non nascondere quelle chitarre piene di piombo mentre, abbracciate al testo, mettono la vita di un ragazzo contro il muro: Fade to Black è una esecuzione notturna, dentro il vulcano di dispetti che, come insetti feroci, scuotono il cielo facendolo arrossare, perché qui una vita lascia il sentiero e si avvia nel luogo a cui i respiri non possono accedere…
La tristezza, doverosa, consequenziale, cade dentro i watt della band americana, per essere preposta all’ambascia, alla dolente consapevolezza che senza di lei ogni gioia sarebbe sicura di sé, alimentando inutili certezze. Spavaldo, lucido, cupo, etereo nell'essere eterno, questo fascio suicida consola chi ha gli stessi moti divenendo un conseguente punto di riferimento, un approdo, e lo svincolo da ogni illusione. Si piange, come fontane di un brivido in stato di ipnosi perenne, e ci si scandalizza per la progressione a desiderare di ripetere la presenza al fianco di questo brano, in quanto un magnete, arrugginito ma sempre funzionale, ci porta nel suo nucleo, per un incontro amoroso. Sì, amoroso: il coraggio di desiderare la morte è anch’esso un atto d'amore. Quarta canzone dell’album (non sarà una coincidenza che a partire da Ride The Lightning in poi molte ballads saranno posizionate con questo numero), è quella a cui è data una missione: poter convincere i fedeli e i novizi che si può benissimo concludere qui l'approvvigionamento, perché se si andasse avanti si dimostrerebbe solo un finto attaccamento alla vita.
Coriandoli, torce, anime, progressioni di ritmi, scontri di liquidi gonfi di febbre, dove la vitalità ha il dovere di farsi da parte: pare tutto un sarcofago, un precipizio che deve rotolare nei respiri, nei pensieri, sino a rendere completamente umida ogni attitudine all’opposizione. FTB è un calvario necessario ed è proprio l’ultima parte, quella dove il ritmo prende il treno e schizza dentro, a farci intendere che certe note, certe progressioni di accordi sono già i respiri glaciali di un corpo senza vita.
Unica nel disintegrare il suo stesso segreto, la morte, la donna con la falce, la fine dell’esistenza (chiamatela come volete), si è affacciata quasi a metà degli anni Ottanta per scuotere il delirante bisogno di allegria, per uccidere la leggerezza, per massacrare milioni di anime unite nel disimpegno. Basta un furto, però, per rendersi conto di quanto si è storditi senza se stessi, di come perdere il desiderio di vivere sia un atto velocissimo, con le motivazioni che spingono a tirare per i capelli ogni gioia rimasta nelle mani dell’illusione. Non aver più nulla da dare (canta James) è una verità coniugata alla bugia, perché sono davvero poche le canzoni che possono elevare i desideri verso il proprio schianto donando moltissimo. Non si fatica per nulla a esaltare la precarietà dell’esistenza quando certi fatti avvengono nell’adolescenza. Le chitarre, il basso, la batteria, sono torce che illuminano la confusione che ha salutato con la mano e ha urlato forte il suo addio…
Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
31 Maggio 2023
https://open.spotify.com/track/5nekfiTN45vlxG0eNJQQye?si=8feaeac24c8743fa