sabato 26 novembre 2022

La mia Recensione: Claudio Baglioni - La vita è adesso

Claudio Baglioni - La vita è adesso


Ci sono pozze di fango che cercano poesie: di solito sono i poeti a concedergliele, ogni tanto gli scrittori di canzoni, ma a regalargliele sono sempre le anime sensibili e solitarie. C’è un abbraccio da donare a chi non ha ascolti, a chi non ha parole da offrire. 

Esiste però la sorpresa di chi sa farlo a distanza attraverso versi che donano entrambe le cose, che si incollano perfettamente. E certi cantanti permettono questo raro idillio, facendo divenire quelle persone fortunate, equilibrate, finalmente nella condizione di sentirsi vive in una migliore propensione verso il presente.

Tra i solchi più generosi in tutto questo vi sono quelli de La vita adesso, un crocevia di scrittura elevata e suoni perfetti, per un combo che resiste all’uscita, perché la vita più che adesso è per sempre, con le sue magagne, le sue storie appese agli alberi dei bisogni, a quegli istinti che possono donare un bacio come un proiettile in testa. Ciclica, è uno spazzacamino dell’anima che in più mette dentro di noi piume e mattoni.

Claudio Baglioni nel 1985 ha completato il suo cammino fatto di un meritato successo scrivendo però (sino a quel momento) il suo album più riuscito, centrato, in grado di rendere gli italiani uniti non solo nelle spiagge bensì nelle autostrade dei sogni, nella coscienza sveglia per dovere, senza scuse, e nei quadri emozionali con la cornice perfetta. Ed è stato un botto di capodanno anticipato: era l’8 giugno, il caldo era ancora equilibrato, la stagione quella giusta e l’Italia viveva un momento critico con la modifica dei patti Lateranensi, il Presidente era Sandro Pertini, capace di vigilare come poteva sulle malefatte di una classe politica sempre in forma per fare del proprio peggio. Per quanto concerne la musica, quella internazionale del  momento  favoriva We Are The World e la finta della solidarietà viveva quasi come se fosse vera…

A Roma il Claudio nazionale mise in commercio l’album che avrebbe fatto il record del più venduto della storia italiana, valido tuttora, testimoniando che il successo fa incontrare molte anime, ma lasciando forse ancora più sole molte altre che non potevano nuotare a proprio agio tra quelle note, quello stile e quelle parole. È sempre un poco contro il molto, la guerra delle insoddisfazioni davanti alle gioie.

Però lo scriba viveva su quelle canzoni la contraddizione di trovare un oceano incantevole e pulito e la rabbia per quella musica che preferiva e di cui in quell’album non vi era presenza alcuna. E oggi sceglie di parlarne per dare voce a quella parte soddisfatta: di quell’altra lo fa già tutti i giorni.

Inquadrare questo lavoro senza pensare a ciò che ha rappresentato è una fatica assicurata ma, tant’è, ho deciso di provarci. Risulta decisamente di appartenenza molto di più a chi l’ha amato e addirittura a chi lo ha contrastato (ed erano molti) che non al suo autore, sempre impegnato a disegnare tavolozze nuove per non sentirsi legato al suo successo. Ma ha messo radice nei cuori, nei gesti, nella modalità di osservare le persone, le relazioni, gli oggetti, e tutto l’ammasso che popola la nostra esistenza. Ha generato frenesie, brividi, pianti, specchi di sole a pettinare il buio del nostro affanno quotidiano, ed è diventato motivo di una festa da recitare ad ogni evenienza, continuamente. Disegnando il tempo, inserendolo totalmente in ogni piccolo dettaglio, Baglioni è divenuto così, velocemente, il centro di spartizione dei segreti, delle verità e finanche dei dubbi che in quelle canzoni emergono con rara raffinatezza e garbo. I quadri appiccicati al cuore consolano e accompagnano i battiti nella nostra incoscienza, avendo però il merito di lasciare un sorriso nella mente, sempre fresco. Abbandonata l’abitudine di fare fotografie alla vita con decine di canzoni che, come racconti precisi, creavano una pellicola mentale sempre disponibile alla visibilità dei ricordi, con questo disco Claudio dipinge la contemporaneità mentre decide il suo destino e indaga sul fatto che in questo la tecnica fotografica possa essere solo imprecisa. Quello fu il momento nel quale si sono aperte nuove possibilità di espressione nel suo percorso artistico, la prima davvero notevole, ed è proprio questo aspetto a stupire per il successo ottenuto: decisamente un  evento atteso da una massa di ascolti che sino ad allora ancora si spartivano liberamente, ma anche confusamente, gli ascolti. Lui avvicinò, compattò, mise le mani del suo sentire nella stretta di acquirenti che trovavano nella sua musica un appuntamento doveroso, generoso, essenziale, dove l’impegno più importante si rivelò quello privato, personale, e non quello sociale.

E il suo ruolo di cantautore tornò alla radice del tempo, ai suoi prozii, cioè i cantastorie, i primi a coniugare la necessità di un racconto di istanze personali con l’impegno. La vita è adesso è un collante, una matriosca che spazza via le convenzioni, i pruriti egoistici, ed è anche un sottofondo per pensieri confusi, una distrazione, un tuffo sospeso senza avere nel cielo l’infinito perché le canzoni, una dopo l’altra, offrono una volta celeste diversa, piena delle sue storie. Piante di note che come sempre hanno il groppo in gola, tracciano la tristezza senza mancare la precisione, in un crescendo che però sa incontrare il sogno e la necessità di smarcarsi. La capacità di precisare gli stati d’animo appartiene ai fuoriclasse e non importa lo stile, la musica utilizzata, perché ciò che è preciso avvicina le persone, le mette a contatto con la verità. Certamente l’aspetto musicale non è da meno: si assiste a un grande cambiamento, a chitarre dal piglio rock e alle orchestrazioni di Celso Valli che si amalgamano perfettamente, generando una opposizione intelligente all’elettronica del Synthpop e del New Romantic, così vivaci e onnipresenti. Fior di turnisti diedero qualità e sostanza a note, accordi, linee melodiche che, seppur avendo una tecnica decisamente distante da quella italiana, ponevano incredibilmente in risalto le peculiarità della musica nostrana, spesso avvezza a scimiottare quella di altri paesi negando la propria natura. La scrittura di Claudio Baglioni conobbe nuove necessità, nuovi agganci nel cielo, che sortirono l’effetto di un binomio non prevedibile perché lui è sempre stato legato a uno stile compositivo più classico e riconoscibile. Il suo romanticismo innato questa volta trova sede nella splendida Monte Mario, che gli consente un clima interiore perfetto, con la giusta brezza nella sua mente affamata di immagini e storie che fossero adatte al suo progetto di scrivere un album che avesse la forza dell’eternità, incentrato sull’argomento che si rivelò vincente. Ha saputo coniugare la sua modalità così profondamente legata agli anni ’70 con tutta la tecnologia della metà degli anni ’80, trasferendo la sua romanità nel centro di Londra, trovandosi così al cospetto di musicisti abituati alla grandezza, a rendere preciso ogni atomo di suono. Prese la giornata di un uomo qualunque (vittoria assoluta, senza favoritismi da contestare) e lo buttò al centro del racconto del suo percorso umano, tra incontri, soddisfazioni e lamentele, preoccupazioni varie, giochi d’amore in serie e gli inceppi di un’anima comunque turbata perché questo fa la vita con ognuno di noi. E qui viene fuori un tratto coerente e continuativo che metterà a proprio agio gli ascoltatori, potendo trovare una culla, un vestito e una scarpa da appoggiare sulla propria pelle perfettamente. Quando si scrive un disco sui singoli attimi dell’esistere il rischio di tediare, ingolfare e saturare è elevato, ma Claudio ha saputo destreggiarsi, superarlo: alzata l’asticella, le gambe della sua bravura si sono allungate compiendo un salto stratosferico verso il cielo conferendogli il mito, obiettivo che forse albergava nella sua ambizione più privata, senza la quale non si cresce. Arrivano metafore, idee di appartenenza, squilibri che ricevono il supporto di una penna dorata che dona a tutti loro la pace, dentro la pelle della sua notte avvolgente e rassicurante, perché in questo album la positività trova modo di mettere radici nella terra quasi arida delle esistenze, pericolosamente ai piedi del baratro. E quell’uomo, il protagonista che soffia in queste canzoni la sua poesia esistenziale e il suo impegno, ha il sorriso obliquo, su labbra che baciano la consapevolezza che la vita vada vissuta. Il racconto si fa illuminante, tenero, con le immancabili presenze di bolle colme di amarezza a rendere credibile il tutto. Decide di conferire trasparenza alla solitudine, baciando la sua esistenza con la possibilità di valutarne la forza e pulendo il senso della contigua sofferenza: sì, ha scritto miracoli umani dentro molti versi, donando energia elettrica ai pensieri degli uomini grigi, ops, persi. Offrendo le coordinate musicali che potessero contenere una varietà indiscutibile, l’orecchiabilità rispetto al passato è data da rime baciate perfettamente e assonanze sensate, ma esistono anche episodi nei quali l’ascolto deve essere attento perché meno facilitato, riuscendo a far sposare la semplicità e la complessità: forse anche questo aspetto spiega il perché del suo successo. Il linguaggio usato potrebbe essere risultato meno comprensibile a un pubblico più giovane, ma è stato in grado di suscitare interesse e affetto in ogni caso, perché le canzoni regalano sensibilità e intelligenza che, anche se non percepita del tutto, sono semi pronti a crescere e sappiamo bene che nella adolescenza certi appuntamenti sono solo rimandati. Altra chiave di lettura per capire questo suo dilagante arrivo alle generazioni più distanti, ognuna con il proprio tempo di assimilazione. La sfera di persone più adulte trovavano immediatamente la necessità di connettersi al lungo discorso di Baglioni, una spartizione di averi che necessitava l’assimilazione, in un momento nel quale i testi in generale stavano divenendo contenitori vuoti e inservibili. Conseguentemente lo spazio era stato preso da questo cantautore sempre più immerso nel precisare, nello sferrare calci educati alla pigrizia e alla banale contentezza che andava fermata. Un servitore socialmente utile che prestava però attenzione alla necessità dello slogan, di idee che potessero fratturare un bisogno generale. Le voci dovevano trovare un unisono e lui lo creò, lo fece trovare a nostra disposizione. Diventò capace di sperimentare l’idea di una maturità quasi obbligatoria e la formò con abilità, un tenero addio al decennio precedente dove si concesse i limiti di storie d’amore che in molti faticavano ad accettare. L’identità reclamava l’accesso verso una mutazione e affidò tutto questo non per caso alla storia quotidiana di un uomo e non di un ragazzo dal cuore acceso da impulsi ed eccitazioni varie. I brividi consegnatici sono quelli di consapevoli capogiri, di esperienze che hanno eretto il pensiero, seppure a fronte di un corpo ingobbito. Questo non fu altro che la madre di un’intesa crescente, il doveroso appuntamento di un obiettivo al quale non si poteva sfuggire: congedarsi dal passato senza dimenticare, ma maturando la doverosa esperienza per costruire basamenti concreti per il presente che divenne per la prima volta il suo bisogno primario. Un muro alzato verso la ripetizione di cliché congeniali solo per chi lo amava follemente, dal  momento che in lui emergeva una necessità di descrizione totalmente devota a un argomento specifico. Da lì partire come un sarto del pensiero per sviluppare il tutto.

Difficile è il lavoro che Claudio ci obbliga a fare: la memoria è messa sotto pressione sia per la quantità di parole che ci troviamo addosso, sia per i ritornelli che tendono a non ripetersi, sfiancando una delle caratteristiche storicizzate delle canzoni. Tutto trova una forma molto varia nelle modulazioni, nei periodi lunghi delle strofe, nel suo bisogno di scrivere un libro per ogni brano perché nulla doveva essere impreciso, per non concedere fughe ai particolari che si riveleranno essere i veri tesori di questa sua metodica. Può risultare indigesto questo percorso, capisco chi non riesce a masticare il suo stile (tra l'altro in questo album molto cambiato, quindi parrebbe stupido agli occhi dello scriba muovere accuse...), in quanto non mi pare complicato accettare l'invito a separarsi dalle convinzioni, lo faccio perché credo nel messaggio proposto, nello stile di una musica adulta, vivace il giusto, mai melensa, determinata ad avere lo sguardo fiero nei confronti delle star internazionali. Non dimentichiamo che questo disco riuscì a battere nomi altisonanti, procurando una notevole sorpresa. Per questo forse bisognerebbe concedergli almeno una opportunità, poiché le canzoni aprono il cielo verso uno sguardo scevro dai limiti che non sono i suoi ma quelli di altre persone. 

Ma la musica che troviamo? Non si può negare il lavorio mirato, curato, specializzato verso un'apertura a cui in quel momento pochissimi artisti e band avevano il coraggio di pensare, figuriamoci proporla. Il coraggio qui presente è manifestato nelle architetture, negli strumenti utilizzati, nei campionamenti, nelle teorie che conobbero la capacità di divenire realtà, dove il respiro classico delle arie ottocentesche non si chiusero timidamente, ma decisero di palesare le loro grazie davanti a quella tecnologia che sembrava essere così spavalda, piena di sé. Un matrimonio di modalità che ampliò il mare delle accoglienze e di una intelligenza che voleva essere ancora umana e non artificiale. Quando la musica vive la necessità di contemplare il nuovo e l'antico crea conseguentemente messaggi nuovi, dando l'esempio, forza, possibilità e La vita è adesso lo fa davvero molto bene. Abitare la luce nei suoni magnificamente espressivi di queste dieci composizioni è un dono e non un regalo, sottile differenza ma importante da recepire: dono perché esistente e accolto solamente se c'è necessità e interesse, non un regalo, la musica non deve esserlo, e chi lo riceve spesso ha la memoria corta.

Aggiungo che ascoltarlo, oggi nel 2022, non dovrebbe solo essere una cavalcata nella nostalgia, nei ricordi che si sa svuotano il senso e il valore principale della musica, vale a dire la sua evidente connessione con l'eternità, sempre in grado di insegnare, bensì l'occasione per evidenziarne le qualità. Stimola ancora pensare che per una volta non ci troviamo davanti a un album infarcito di misteri, ma a un raggio di sole che illumina le esigenze di anime alla ricerca di luoghi, cancellando il bisogno di legarsi alla modalità interpretativa per concedere quella libertà che un ascolto profondo non dovrebbe mai avere.

Capitolo voce e interpretazione: non vi è dubbio che il range, notevole e come sempre valido, qui trova il picco della sua carriera, esse sono legate a parole maestre e quindi desiderose di avere l'interpretazione e l'intonazione corretta. Non una di loro offre esitazioni, sono perfettamente centrate, dando una sensazione di coesione e non quella di iati che in passato avevano mostrato il volto. Una modalità che si affida a zone per lui nuove, con le tonalità basse che non congelano, anzi, sono quelle maggiormente preposte a scaldare il cuore. Il suo registro alto, la sua estensione, i suoi acuti sono ancora capaci di far vibrare i lampadari del nostro padiglione uditivo, e in un paio di episodi direi ancora di più. Interprete efficace, sicuro, mai spavaldo, sempre in grado di dare verità e credibilità a quegli esercizi raffinati che sono quelle parole magicamente incastrate tra loro.

Non scriverò la descrizione canzone per canzone, non è necessario questa volta, non voglio toccare la vostra storia con loro, rispettando anche solo l'idea di un mio esercizio sterile e privo di senso.

Concludendo: non è un supermercato questa uscita discografica, non una lista di cose dove prendere ciò di cui necessitiamo, bensì l'occasione di accendere la luce delle nostre intelligenze, perché è come se lo scrivessimo ogni giorno noi questo disco, adesso...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

26 Novembre 2022

https://open.spotify.com/album/07gMifgQGXzeoHjo7b1wbj?si=vJm1ixu-TQ2slElxtZrkpg




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